lunedì 20 luglio 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – Cap IV § 1: Sintesi della deposizione








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Rinvii:
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO IV
La deposizione di Hilberg al processo Zündel del 1985


1.
Sintesi della deposizione

Nel resoconto stenografico del processo, la deposizione di Hilberg copre oltre 600 pagine. In questo capitolo mi occuperò soltanto di alcuni dei problemi dibattuti che hanno una stretta attinenza con quanto ho esposto sopra in relazione alla sua opera. Prima, però, è opportuno mostrare un quadro generale della deposizione di Hilberg. Per questo, mi avvalgo della magistrale sintesi di Robert Faurisson, che fu accanto all’avvocato Christie durante il processo:
«Egli inciampò fin dalla prima domanda. D. Christie gli annunciò che avrebbe letto una lista di campi per chiedergli quali avesse esaminato e quante volte. Risultò che non ne aveva esaminato nessuno, né prima di pubblicare la prima edizione della sua opera maggiore nel 1961, né dopo questa data e neppure per l’edizione “definitiva” del 1985. Dato che aveva cominciato a lavorare sulla questione dell’Olocausto nel 1948, eravamo dunque in presenza di un uomo che si era conquistato la reputazione di essere il primo storico al mondo nel suo campo specifico di ricerche senza aver esaminato, una sola volta in tretasette anni, un solo campo di concentramento. Egli aveva visitato solo due campi, Auschwitz e Treblinka, nel 1979: “Un giorno a Treblinka e forse una mezza giornata ad Auschwitz e una mezza giornata a Birkenau”: per di più, fu in occasione di cerimonie.
Egli non aveva avuto la curiosità di ispezionare i luoghi, né, sul posto, gli archivi di Auschwitz. Non aveva mai visitato i luoghi designati “camere a gas”.
Essendo stato pregato di fornire qualche spiegazione su progetti dei crematori, fotografie, grafici, rifiutò dichiarando: “Se cominciate a mostrarmi progetti di edifici, fotografie, diagrammi, [in queste materie] non ho la stessa competenza che per i documenti scritti”.
Egli stimava a più di un milione il numero degli Ebrei morti ad Auschwitz e a “forse trecentomila” quello dei non ebrei, ma non spiegava come era giunto a queste stime, né perché i Polacchi e i Sovietici erano arrivati a un totale di quattro milioni, cifra [all’epoca] inscritta sul monumento di Birkenau.
D. Christie l’interrogò poi sui campi che si riteneva avessero contenuto camere a gas omicide. Sciorinò i nomi di questi campi, chiedendogli ogni volta se questo campo avesse posseduto o no una o più di queste camere a gas. La risposta avrebbe dovuto essere semplice per questo eminente specialista, ma anche qui, di nuovo, Hilberg perse la bussola. Accanto ai campi “con” e ai campi “senza” camera a gas, egli creò, nel disastro delle sue improvvisazioni, altre due categorie di campi: quelli che avevano “forse” avuto una camera a gas (Dachau, Flossenburg, Neuengamme, Sachsenhausen) e quelli che avevano avuto una “piccolissima camera a gas” (per esempio Struthof-Natzweiler in Alsazia), così piccola che ci si domandava se valeva la pena parlarne; egli non rivelò i suoi criteri di distinzione tra queste quattro categorie di campi.
Gli fu chiesto se era a conoscenza di una perizia (expert report) che stabilisse che un certo locale fosse stato effettivamente una camera a gas omicida. Hilberg fece orecchi da mercante, poi tergiversò e moltiplicò le risposte più inappropriate. Le sue manovre dilatorie divenivano così manifeste che il giudice Locke, generalmente così pronto ad accorrere in soccorso dell’accusa, si sentì obbligato a intervenire per chiedere una risposta. Solo allora, senza più cercare delle scappatoie, Hilberg rispose che non era a conoscenza di alcuna perizia di questo genere. Ci sono quattordici pagine di trascrizione (pp. 968-981) tra il momento in cui questa imbarazzante domanda viene posta e il momento in cui infine viene data la risposta.
Conosceva un rapporto d’autopsia che stabilisse che un certo cadavere di un detenuto era il cadavere di un individuo ucciso mediante gas tossico? La risposta, anche qui, fu: “No”.
Poiché Hilberg, in compenso, dava una così grande importanza alle testimonianze, fu interrogato su quella di Kurt Gerstein. Egli tentò di dire che, nel suo libro, non utilizzava affatto le confessioni di quest’ufficiale SS. Al che Christie gli replicò che, in The Destruction of the European Jews, il nome di Gerstein appariva ventitré volte e il documento PS-1553 dello stesso Gerstein era citato in dieci occasioni. Poi, alcuni frammenti di queste confessioni, sotto differenti forme, furono letti davanti alla giuria. Hilberg finì col convenire che certe parti di queste confessioni di Gerstein erano una “pura assurdità” (pure nonsense).
Stesso scenario con le confessioni di Höss. Hilberg, prostrato, dovette ammettere in una circostanza: “It’s terrible”, il che, nel contesto, significava: “È indifendibile”. A proposito della più importante delle “confessioni” firmate da Höss (documento NO-1210), egli riconobbe che eravamo in presenza di un uomo che faceva una deposizione in una lingua (l’inglese) diversa da quella sua propria (il tedesco), una deposizione dal contenuto completamente inaccettabile, “una deposizione che sembra essere stata il riassunto di cose che egli aveva detto o che poteva aver detto o che pensava forse di aver detto, da parte di qualcuno che gli aveva sbattuto davanti un riassunto che egli aveva firmato, il che è infelice.
A proposito del fatto che, secondo questa “confessione”, ad Auschwitz erano stati gasati due milioni e cinquecentomila persone, Hilberg arrivò a dire che si trattava di “una cifra manifestamente non verificata, totalmente esagerata, che era stata forse ben conosciuta e diffusa dopo le conclusioni erronee di una commissione di inchiesta sovietico-polacca su Auschwitz”.
Sentendo che doveva gettare la zavorra, non ebbe alcuna difficoltà ad ammettere, con D. Christie, che “storici” come William Shirer non avevano per così dire alcun valore» (561).

In questa occasione Christie lesse in aula un passo del libro di Shirer in cui appariva un grossolano travisamento delle dichiarazioni di Lammers a Norimberga (562). Cito dall’edizione italiana del libro:
«
Così Hans Lammers, il capo dalla testa taurina della Cancelleria del Reich, quando a Norimberga rese la sua testimonianza, alle domande incalzanti dell’accusa rispose: “Sapevo che un ordine del Führer era stato trasmesso a Heydrich da Göring... Quest’ordine era chiamato ‘la soluzione finale del problema ebraico’”» (563).

In realtà Lammers, all’udienza del 9 aprile 1946, interrogato dal colonnello Pokrowsky, viceprocuratore dell’Unione Sovietica, dichiarò:
«Mi è solo stato comunicato che un ordine del Führer era stato trasmesso dal Maresciallo del Reich Göring all’allora capo del RSHA, il signor Heydrich. [...]. Questo incarico fu definito “Endlösung der Judenfrage”, ma nessuno sapeva di che cosa si trattasse, che cosa significasse, e successivamente mi sforzai in varie occasioni di chiarire che cosa dovesse significare effettivamente il termine “Endlösung”, che cosa dovesse accadere. Ieri qui ho cercato di spiegare questa questione, ma non ho potuto parlare compiutamente».

Indi Lammers ribadì ciò che aveva affermato il giorno prima, ossia che «erano affiorate voci sull’uccisione di Ebrei» che lo indussero a verificarle, ma, dopo i suoi accertamenti, queste voci rimasero tali. Allora si rivolse a Hitler e Himmler (564), il quale gli parlò soltanto di evacuazioni (565).
L’accenno di Lammers all’ «ordine del Führer» che era stato trasmesso da Göring a Heydrich si riferiva alla lettera di Göring del 31 luglio 1941 più volte citata, che non aveva nulla a che vedere col presunto sterminio ebraico.
Torniamo al resocontro processuale di Faurisson. A Hilberg
«fu chiesta la sua opinione sulla testimonianza di Filip Müller, l’autore di Tre anni in una camera a gas di Auschwitz. Gli furono letti dei passi tratti dal più puro antinazismo da sex-shop e D. Christie dimostrò davanti alla giuria, grazie a un’analisi del revisionista italiano Carlo Mattogno, che F. Müller o chi per lui, aveva semplicemente commesso un plagio traendo un intero episodio, quasi parola per parola, da Medico ad Auschwitz, questo falso notorio firmato da Miklos Nyiszli. A quel punto Hilberg cambiò improvvisamente tattica: finse emozione e dichiarò in tono patetico che la testimonianza di F. Müller era troppo sconvolgente perché si potesse dubitare della sua sincerità. Ma tutto suonava falso in questo nuovo Hilberg che, fino ad allora, si era espresso in tono monocorde e con la circospezione di un gatto che tema la brace. D. Christie non giudicò utile insistervi» (566).

Indi Faurisson espone la questione del presunto ordine di Hitler, di cui mi occupo dettagliatamente nel paragrafo seguente.

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