lunedì 18 maggio 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – Cap I § 1: Il «linguaggio in codice».

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”

1.

Il «linguaggio in codice»

All’inizio del capitolo settimo («Operazioni mobili di massacro»), Hilberg scrive:
«Quando la burocrazia ebbe completato l’insieme dei provvedimenti descritti nei capitoli precedenti, quando ebbe terminato di definire gli Ebrei, di appropriarsi dei loro beni e, infine, di concentrarli nei ghetti, era stato raggiunto un limite oltre il quale ogni nuova tappa significava necessariamente che gli Ebrei, nell’Europa nazista, avrebbero cessato di esistere. Il vocabolario ufficiale tedesco denominò il passaggio all’ultimo stadio “soluzione finale della questione ebraica” (die Endlösung der Judenfrage). Il termine “finale” rivestiva due significati complementari. A un primo livello, faceva capire che il fine ultimo del processo di distruzione era ormai definito con chiarezza. Se la tappa del concentramento aveva rappresentato un periodo di transizione verso un obiettivo non ancora esplicito, la nuova “soluzione” risolveva ogni incertezza, dando una risposta a ogni altro interrogativo; l’obiettivo era fissato in modo definito - ed era la morte.
Ma il termine “soluzione finale” comportava anche un’implicazione più profonda e di maggiore portata. Himmler lo diceva molto chiaramente: in seguito, non ci sarebbe mai più stato un problema ebraico da risolvere. Defizione, espropriazione, concentramento sono provvedimenti dai quali si può recedere; ma la morte è irreversibile, e proprio per questo essa assegnava al processo di distruzione il suo carattere di avvenimento storico irrevocabile» (p. 289).
Ci si aspetterebbe che questa approfondita analisi del termine “Endlösung” riposi su documenti tedeschi, tanto più in quanto, nella sua opera, Hilberg ne cita prodigalmente a centinaia. Invece non solo essa non è avvalorata da alcun documento, ma praticamente tutti i documenti in cui appare la smentiscono clamorosamente. Tale analisi, infatti, altro non è che un caso specifico di quel preteso «linguaggio in codice» tedesco inventato dal giudice Jan Sehn (12) e adottato dagli inquisitori di Norimberga per travisare sistematicamente documenti affatto innocui e creare così prove fittizie a favore della realtà del presunto sterminio ebraico, essendo muti al riguardo gli archivi tedeschi sequestrati. Hilberg elenca diligentemente i termini di questo presunto «linguaggio in codice» (pp. 338-339) e la presenza di uno di essi in un qualunque documento tedesco diventa per lui una “prova” a favore dello sterminio ebraico.

In realtà, adottando questo falso criterio esplicativo, Hilberg travisa sistematicamente il significato dei relativi documenti. Ciò appare particolarmente evidente nella documentazione riguardante la politica di emigrazione-evacuazione ebraica da parte dei Tedeschi che egli delinea nel capitolo ottavo. Ma prima di procedere alla verifica delle fonti da lui addotte, è necessario un breve inquadramento che ne renda comprensibile il contesto storico-documentario.
NOTE

(12) Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato. Edizioni di Ar, 2000, pp. 9-10. Torna al testo.

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