mercoledì 24 maggio 2023

Attività censoria in facebook: testo censurato.

PUBBLICO ANCHE QUI il testo appena censurato da FB, risalente all'8 febbraio del 2022.

L'ho già pubblicato con una nota sul social russo VK.

Io stesso rileggendolo a più di un anno di distanza, penso di poterlo confermare, anche se la campagna pandemica del governo è ormai cessata... lasciando il posto a quella per la guerra.

In che Paese viviamo!

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 Un Caro Saluto ai Contatti VK.
Sono assente da parecchio, perchè scrivo su Facebook e mi è gravoso tenere insieme le due piattaforme... Adesso però mi è arrivato da Facebook la Cnesura di un post scritto all'inizio del 2022, l'8 di febbraio... Non è che la cosa mi turbi molto. Invito però i miei contatti facebook a venirsi a leggere in VK il Post censurato: non è importante in sé, ma aiuta a capire quali sono i criteri che governano la mente del Censore.
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E SECONDO LORO,
noi dovremmo credere a qualunque cosa loro dicono, per la sola ragione che sono loro a dirla!
• Loro stessi (giornalisti prezzolati) ammettono di essersi contagiati, dopo aver assunto le dosi prescritte, ma si confortano dicendo che se non si fossero sierizzati, per loro sarebbe stato assai peggio... È un atto di fede?
• Il loro Gallo Massimo è finito contagiato dopo aver assunto tre dosi: ci può essere dimostrazione fattuale della "inefficacia, inutilità, dannosità" dei loro sieri più eclatante di questa? I veri "negazionisti" dell'evidenza sono loro! Quanto poi ai cosiddetti scienziati, almeno quelli televisivi, è da dire che hanno perso qualsiasi briciolo di credibilità!
• Vi è però un punto che evitano accuratamente di trattare:
– se almeno ci si potesse assicurare che i sieri genici sono innocui, nel senso che se non funzionano, per lo meno non fanno male e non producono effetti collaterali anche letali, uno potrebbe anche accettare di farsi iniettare un placebo.
– purtroppo i morti da siero ci sono, e sono tanti, e loro in modo assai sospetto li tengono nascosti.
• Il problema è poi ancora un altro, di natura non medica. Questi Signori negano il principio stesso della libera disponibilità del proprio corpo da parte di ognuno:
– hanno per questo condannato il nazismo nel Tribunale di Norimberga, ma poi superano di gran lunga i crimini per i quali hanno condannato i nazisti...
Vogliono nascondere il fallimento di tutta la loro politica pandemica addossando la colpa ai "novax", termine spregiativo e diffamatorio da essi stessi creato. In realtà, i loro scopi sono altri e li stanno perseguendo mentre noi ci accaloriamo su un problema inventato ad arte. È una tecnica distrattiva.
A Ugo Mattei viene rimproverato la comparazione fra fascismo e draghismo. È assai peggio. Io sono convinto che il fascismo non avrebbe sacrificato e oltraggiato il suo popolo, la sua base sociale, come sta facendo il draghismo, che ha venduto il popolo italiano al draghismo ed al quale non dispiace per niente una drastica riduzione della popolazione, la svendita dell'Italia, l'impoverimento degli Italiani.
Bene ha fatto Ugo Matteo, il cui processo di discredito è già stato avviato da un canagliume giornalistico, a lanciare un Appello per una Lotta di Liberazione Nazionale. Mi auguro che venga raccolto dai più prima che sia troppo tardi.
• Continuo sempre ad analizzare e decostruire la propaganda di regime che si esprime principalmente attraverso i talk show. Mi pare di notare che hanno abolito il sia pur minimo contraddittorio. La campana che si sente è una sola: la loro. Non è detto che sia un male: diventano così monotoni che non si ha più interesse a seguirli. Quelli che sono riusciti ad ingannare, e si lasciano ancora ingannare, ne hanno fatto il pieno: è prossibile che inizi un processo di rigetto. Gli altri che non sono riusciti a ingannare (loro dicono convincere) prima, meno che mai riusciranno a farlo adesso... E se una minoranza di milioni di persone riesce ad iniziare un percorso di attivismo politico, può essere una Salvezza per il paese, per la patria.

martedì 23 maggio 2023

Teodoro Klitsche de la Grange: "Geminello Preterossi, Teologia politica e diritto, Editori Laterza Bari 2012, pp. 295, € 25,00"

L’espressione “teologia politica” è polisensa. Di solito denota l’influenza della religione nell’ordinamento delle comunità umane; in altri casi la corrispondenza tra rappresentazione dell’ordine metafisico-teologico e quello politico; in altri quello della somiglianza tra concetti della teologia con quelli del diritto pubblico. Il tutto in un’epoca in cui la secolarizzazione appare compiuta, il cielo si è eclissato ed ha lasciato la terra, onde parlare di teologia politica sembra un’attività di archeologia culturale.

L’autore ritiene invece che: “La tesi fondamentale di questo libro è che la teologia politica sia inestinguibile. Anche al tempo della sua negazione, qual è quello presente. L’obiettivo che ci proponiamo è di scavare dentro questa insuperabilità. Sia facendone la genealogia, in modo da illuminare il nucleo teologico-politico della modernità e la costante riemersione di domande di senso in ambito secolare. Sia evidenziando le forme rovesciate che la teologia politica assume nel contesto ideologico neoliberale, cioè come teologia economica e teologia giuridica”. Al posto della teologia politica appaiono quindi quelle economica e giuridica “Ma interpretare quella crisi come tramonto o scomparsa sarebbe ingenuo. Piuttosto, con la teologia economica e quella giuridica si assiste alla  riproposizione in forme rovesciate, spesso ostili al primato del “politico”, dei problemi di legittimazione e delle esigenze ordinative che sono alla base del nucleo teologico-politico moderno e del suo lascito paradossale”. Per teologia economica (il termine è anch’esso polisenso) Preterossi intende in primo luogo “una proposta ermeneutica sul neoliberalismo che non si limiti a sottolinearne gli aspetti ideologici e le conseguenze sociali, ma individui in esso un paradigma di razionalità e di governo basato su altre logiche (e altri “assoluti”) rispetto alla costellazione di senso propria della trascendenza politica sovrana”: il tutto senza alcuna trascendenza (almeno apparentemente). Mentre con la formula “teologia giuridica” si intende sottolineare la tendenza alla moralizzazione della normativa giuridica”. Come la teologica economica è rivolta contro la sovranità degli Stati, ma, non è riuscita ad eliminare quello che Miglio chiamava “regolarità della politica” e, in un diverso discorso, Freund “i presupposti del politico”, e ancor meno le situazioni eccezionali. Che anzi si sono ripresentate in modi (la pandemia) e in teatri (la guerra in Europa) dove sembravano estinte. Segno che i quattro cavalieri dell’apocalisse non sono stati pensionati dalla “fine della storia”. L’inconveniente fondamentale del neo-liberalismo è di andare “in direzione di un modello di società che escluda qualsiasi dimensione di trascendimento simbolico del piano di immanenza… non solo non riesce più a fare ordine, ma per arginare illusoriamente tale ingovernabilità si finisce per revocare… tutti gli elementi costitutivi del “politico”, senza tuttavia la possibilità di istituzionalizzarli, renderli produttivi, travolgendo così anche la funzione della mediazione giuridica e sociale”. Guerra e stati d’eccezione (da anni nell’occidente globalista viviamo per lo più tra l’uno e l’altra) mostrano come “tutti i tentativi di aggirare o rimuovere la teologia politica ne subiscono la nemesi, pagando il prezzo della mancata assunzione delle sfide alle quali essa corrispondeva. Così che, in un quadro disarmante di inefficienza ordinativa, si finisce per replicarla surrettiziamente in forme compensative e politicamente inefficaci”. In effetti caratteristica della modernità “grazie a una serie di passaggi che siamo abituati a denominare “secolarizzazione”, (e che) la politica e la mediazione giuridica si sostituiscono alla religione come forza coesiva mondana. Ma non si tratta di una liberazione del religioso, cioè delle aspettative che in esso erano riposte. Quella sostituzione carica la politica della funzione simbolica istitutiva che era stata propria della religione”, e produttiva di coesione sociale perché esercita la funzione di mediare e decidere i conflitti. Per cui il riemergere del “politico” (e del teologico-politico) ai tempi dell’anti politica, ne prova l’insostituibilità.

La stessa “teologia economica” neoliberale “è una teologia politica “anti-politica” perché fa dell’immanenza un assoluto, Cioè una forma di trascendenza sacrale che nega se stessa. Infatti il neoliberalismo non è, se si guarda alla sua logica profonda, solo una teoria “economica”, ma una filosofia della spoliticizzazione dell’agire umano”. Analogamente la sua opposizione dialettica, ossia il “populismo”, non rinuncia al “fondo” teologico. Scrive l’autore che “”Ne deriva che o c’è dio o c’è il popolo: nelle società secolarizzate, è inevitabile che la fonte sia quest’ultimo. Il popolo prende il posto di dio come soggetto costituente. Il populismo, evocando il popolo, si ricollegata a questo passaggio decisivo della tradizione democratica moderna, che è un passaggio teologico-politico in senso schmittiano, quindi come sostituzione di una “trascendenza politica” moderna, emergente sul piano dell’immanenza a una trascendenza sacrale, in sé “trascendente””.

Preterossi conclude sostenendo (cosa ormai evidente) che la “teologia economica” alla lunga, non ha funzionato: al deficit di eccedenza politica non ha sostituito alcun surplus ordinante “Ciò ha causato una profonda crisi di legittimazione”, né ha suscitato legami comunitari. La “teologia giuridica” neppure: la tesi dell’autore è che “la saldatura di un diritto sempre meno preoccupato dell’effettività e della certezza con la morale neoliberale sia non solo il segno di una generale crisi del “giuridico”, ma allo stesso tempo il tentativo, disperato e fallimentare, di individuare una sfera legale eticamente immunizzata, che compensi la perdita di auctoritas delle istituzioni e l’inaridimento della sfera pubblica”. La teologia politica è così inestinguibile “in quanto esprime la struttura di fondo della metafisica politica moderna… L’unico modo per tenerla sotto controllo è riconoscerla, non contrapporvisi direttamente, o negarla. Se, come credo, la modernità può essere concepita come una forma di “auto-trascendenza dell’immanenza”, ciò significa che la teologia politica è un movimento interno alla modernità secolare”. Non è necessario che il fondamento sia di natura religiosa “Può essere anche di natura etico-politica, ideale (nella modernità matura è stato prevalentemente tale). Ma il punto è che il “contenuto etico” non può risolversi in compensazione soggettivistica, moralistica del vuoto d’identità collettiva”. Così “La teologia politica si ripropone oggi nella forma del simulacro. Non produce risposte politiche, ma surrogati di verticalità e di sicurezza”.

Resta il dubbio se vi siano forme di soggettività politica collocabili “oltre” la teologia politica, che l’autore ritiene auspicabili “di visioni politiche ambiziose, che non temano di confrontarsi con le “cose ultime”, abbiamo bisogno.. La politica come amministrazione va bene, forse, per tempi tranquilli. Non quando lo spirito torna a calzare gli stivali delle sette leghe”

Un saggio assai interessante ed esauriente, nel solco pensiero di Hobbes, Hegel e Schmitt.

Una notazione del recensore ad un libro così articolato e del quale ho cercato di rendere l’essenziale.

È noto che a partire da de Bonald, continuando per Donoso Cortes e arrivando a Maurice Hauriou la correlazione tra concezioni teologiche e forme politiche (non solo statali) è stato variamente affermato. Così per de Bonald il deismo era la concezione teologica sottesa al costituzionalismo liberale (il re che regna ma non governa), il teismo cattolico allo Stato assoluto; per Donoso Cortes il nocciolo del liberalismo era sempre deista, quello del socialismo ateo. Per Maurice Hauriou lo stato borghese era uno dei possibili esiti della dottrina teologica del diritto divino provvidenziale, mentre lo Stato assoluto lo era del diritto divino soprannaturale; il decano di Tolosa riteneva anche come questo fosse un  intervento (intervention) della metafisica sul diritto. Il quale ricopre come un guscio (couche) il fondo (fond) teologico, ma non può sfuggire a questa costante (o regolarità). La quale si manifesta chiaramente quando il diritto viene a mancare, come nel caso dei governi di fatto, fondati sulla “giustificazione teologica” e non sulla legalità delle procedure. Il fond teologico è così creatore di forme giuridiche. Resta da vedere quali forme possa creare il “pilota automatico” (versione tecnocratica della “mano invisibile”) tecno-globalista. Probabilmente nessuna (se coerente); ove apocrifo (e ipocrita) la consegna del destino delle comunità a poteri indiretti ed opachi. Colla prospettiva di avere un governo né visibile né responsabile.

 

mercoledì 17 maggio 2023

Teodoro Klitsche de la Grange: "Sempre più fitta"

Qualche lettore ricorderà che nei primi tempi della guerra in Ucraina notavo che la clausewitziana “nebbia della guerra” era particolarmente densa e fuorviante perché alimentata a piene mani da una comunicazione tutt’altro che imparziale, informata ed esperta: con risultati spesso sconcertanti, a cominciare dal piano logico.

In occasione della controffensiva ucraina si è raggiunto un apice della (cattiva) informazione. Vediamo perché:

a) in primo luogo della controffensiva sappiamo tutto leggendo il giornale o guardando la televisione: luogo (Dombass); entità delle forze ucraine (8 brigate in addestramento); tempo (imminente – ma rimandato già più volte nella sua imminenza perdurante); esiti politici (la caduta di Putin) e così via, vagamente precisando.

Ora la nebbia clausewitziana è frutto sia della natura della guerra che delle misure dei comandanti, tutte volte a non far capire al nemico i propri piani e obiettivi. Perché, a conoscerli, è facile prendere le contromisure. Non occorre aver fatto la scuola di guerra: basta ricordare l’Aida, quando Amonasro cerca di carpire, tramite la figlia, i piani di Radames. Nella storia militare vi sono poi dei casi clamorosi di “depistaggio” fornendo false (ma credibili) informazioni. Uno dei quali - così noto che ci è stato realizzato un film – consistente nel confondere  i tedeschi sul luogo dove sarebbe avvenuto lo sbarco degli alleati nel 1944. I servizi inglesi lo prepararono così accuratamente da trarre in inganno – anche a sbarco avvenuto in Normandia – Hitler, convinto che ce ne sarebbe stato un secondo a Calais.

La conseguenza logica non è solo che se uno dei contendenti ti dice che attaccherà a Charkiv invece che a Kiev, sicuramente non attaccherà Charkiv, probabilmente neppure Kiev, ma da un’altra parte, dove meno è atteso; ma anche che le informazioni più credibili sono quelle che non sono diffuse. I (falsi) piani dello sbarco in Francia furono messi dagli 007 inglesi sul cadavere di un ufficiale britannico fatto ritrovare agli spagnoli (e quindi dai tedeschi), e non pubblicati sul Times; se li avesse letti sul giornale, Hitler avrebbe creduto ad un espediente dell’Intelligence Service.

C’è da chiedersi per quale ragione la comunicazione mainstream è così lontana da una rappresentazione credibile (e coerente) della situazione. Perché se le notizie fuorvianti sono fornite - come in gran parte sono – dagli uffici dei belligeranti (e dei loro alleati) sarebbe il caso di citarne la fonte (almeno) e, in certi casi di scrivere due righe di commento. Cosa che qualche rara volta avviene, ma quasi sempre no. Escluso che tali mezzi possano trarre in inganno il nemico, per la loro disarmante ingenuità, occorre individuare altri obiettivi. Un analista attento come Pietro Baroni definisce la “guerra psicologica” come “L’insieme delle operazioni, delle azioni, delle iniziative tendenti a conseguire l’obiettivo di assumere e mantenere il controllo di grandi strati di masse e di pilotarne le opinioni, i giudizi e le conseguenti manifestazioni, agendo sulla ricettività istintiva, sull’emotività e sul processo formativo delle valutazioni”. Nel caso gli obiettivi non sono Putin o Zelensky, ma l’opinione pubblica, occidentale soprattutto. Dalla quale occorre far approvare le misure a favore dell’Ucraina, in modo da attenuare l’onere dei sacrifici e dei rischi che comportano. A tal fine è necessario rappresentare la situazione bellica in modo conforme agli scopi da raggiungere.

E il divario tra ciò che è e ciò che si rappresenta è l’inganno e la simulazione occorrente.