lunedì 31 agosto 2009

Giornalisti presi di mira dalla Lobby: 77. Paola Caridi e le sue sgradite (a chi?) cronache dal Medio Oriente

Homepage

Di Paola Caridi ho comprato un libro su Hamas, che sto leggendo con interesse, anche se lo trovo un poco difficile. È ormai abbastanza semplice comprendere il funzionamento dalla Armata internettiana promossa e probabilmente finzanziata da Israele. Vengono date una serie di parole d’ordine: parlate sempre e male contro l’Iran, la Libia, ovvero i loro governanti presentati in opposizione ai loro popoli, che chiaramente possono confidare sulla grande amicizia di Israele, che sa cosa consigliar loro, chiaramente per il loro bene. Quanto ai fantastici piani atomici dell’Iran non si trova mai una risposta ad un facile quesito posto dal senso comune: ma perché Israele non incomincia a disarmare la sua atomica? Per quale divino diritto Israele deve possedere l’atomica ed i suoi vicini assolutamente non possono? Inutile cercare argomentazioni raffinate negli organi dello squadrismo sionista. È utile e sufficiente prendere nota delle direzione delle loro invettive, delle loro denigrazioni, delle loro diffamazioni. Uno di questi bersagli costanti è Paola Caridi, che proprio per questo diventa per noi una persona interessante ed un assai probabile fonte di verità in questo nostro regno hobbesiano delle tenebre.

Vers. 1.0/31.8.09
Precedente/Successivo
Sommario: 1. La faccenda è semplice. – 2. Il filosofo con i sandali. – 3. Hamas, Fatah e l’ottusità infinita dei sionisti nostrani. – 4. Si attaccano al velo. –

1. La faccenda è semplice. – I politici israeliani, ovvero i coloni sionisti, non solo in Palestina, ma in ogni parte del mondo dove la Lobby può farsi sentire ed far valere la sua influenza o il suo potere diretto mirano a produrre ceti dirigenti asserviti. Un caso eclatante è l’Egitto, che dopo la “pace” vive in un regime a sovranità limitata. In Italia, con Frattini, uomo di Israele, non stiamo meglio. Nelle analisi di Paola Caridi mi sembra che affiorino queste verità elementari ed antiche quanto il mondo.

2. Il filosofo con i sandali. – Si tratta di una bella recensione dell’autobiografia di Sari Nusseibeh, appunto il filosofo con i sandali, discendente della più importante famiglia palestinese con 1300 anni di storia alle spalle. Il libro è annunciato in traduzione italiana presso il Saggiatore. Mi incuriosisce e lo andrò a comprare per leggerlo alla faccia dei “Corretti Denigratori” in preda alla consueta isteria, ripetendo stancamente le solite corbellerie che non riescono più neppure ad indignarmi: sono ripetute con lo stampino, forse direttamente da una macchina, o da un idiota delegato. Al contrario, non spenderò neppure cinque centesimi per il Tel Aviv della Elena Loewenthal che non riserva sorprese e non credo occorra leggerne i libri. Diversa cosa è la Gerusalemme che mi aspetto di trovare nell’Autobiografia del filosofo con i sandali, che mi fa vagamente pensare ai gymnosofisti. La produzione e collocazione di fango fetido si conferma ancora una volta come l’attività professionale dei “Corretti Informatori”.

3. Hamas, Fatah e l’ottusità infinita dei sionisti nostrani. – Trovo l’articolo di Paola Caridi, cui si accede dal link, più agevole del libro di Hamas. È invece di una stucchevole ottusità il commento denigratorio, non formato, di chi all’articolo fa precedente un commento redazionale, dove il suo estensore in modo preconcetto non vuole intendere la sostanziale, irrimediabile carenza di legittimità dell’impresa sionista i cui orrori e le cui nefandezze superano i momenti più del secolo passato fino ai nostri giorni, fino a “Piombo fuso” e ora appena un poco raffreddato. Nessuno può avere dubbi su Abu Mazen: è un fantoccio allevato dagli israeliani per servire ad uno scopo ben determinato. Si vuole portare a compimento l’operazione di pulizia etnica e la cancellazione di ogni residuo di dignità di un popolo, quello palestinese, che ci dà invece ogni giorno lezioni di eroismo e di resistenza tenace di fronte alla più grande potenza di questa terra, cioè gli Usa posti sotto il giogo della Lobby. Dovrebbe dirla lunga il fatto che dei palestinesi tengano prigionieri altri palestinesi. È noto, ma poco divulgato, il tentativo da parte di Fatah di conquistare il potere con le armi, ma il complotto è stato prontamente sventato. Da allora torrenti sonori per tacciare Hamas di terrorismo. Come si acquista la patente di terroristi? Quattro compari, in appartate stanze del potere, decidono di compilare una “lista” di persone da definire “terroristi”, come a dire la totale delegittimazione umana e morale. Quindi si passa la lista ai media di regime e ai politicanti “amici”. Se appena ci si prende la briga di approfondire i concetti, si apprende che in un senso più proprio sono criminali e terroristi proprio i redattori di siffatte liste nonchè i loro propagandisti.

4. Si attaccano al velo. – Tutti gli espedienti per farci odiare gli islamici e farci sentire tutt’uno con Israele (“Israele siamo noi!”) sono buoni. Perché da cento anni ed oltre gli occupanti coloniali sionisti vessano in tutti gli indigeni? Perché le loro donne portano il velo! Bisogna farglielo togliere, e magari non solo il velo! Per questo vale la pena di fare guerre sanguinosi con milioni e milioni di morti, molti di più dei mitici “sei milioni”. Giustamente, Paola Caridi irride su tanta ipocrisia e tanta idiozia. A proposito, ricordo dalla mia infanzia che mia madre e tante donne calabresi portavano il velo, senza per questo essere meno madri e meno donne.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 39. Miska, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga ”dopo” l’«invasione» araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.



Miska was completely destroyed with the exception of boys’ elementary school and its mosque. It should be noted that Miska was destroyed based on the orders of a Jewish National Fund official, Yosef Weitz.

38. Biyar ‘Adas 39. 40. Mazar

Miska

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Miska subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 38. Biyar ’Adas, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga ”dopo” l’«invasione» araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


37. Cherquis 38. 39. Miska

Biyar ‘Adas

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Biyar ‘Adas subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

2. La demolizione dei villaggi durante la tregua. – Mai piano fu più determinato e più meticolosamente studiato. Il momento era in fondo ardentemente agognato dal 1882, anno del primo insediamento sionista. I palestinesi erano disarmati davanti a tanta ferocia ed il mondo aveva già a che fare con i suoi propri guai. Saper cogliere l’attimo favorevole è sempre stata la peculiarità di uomini come quelli che costituirono i quadri sionisti. Mentre gli altri pensano alle loro disgrazie, loro tramavano come profittare delle disgrazie e della debolezza altrui. Non è affatto strano che la consapevolezza nazionale e politica palestinesi si sviluppi a partire dall’aggressione coloniale e dalla pulizia etnica. Prima non avevano affatto bisogno di percepire in tutta la necessaria portata un nemico che era ancora allo stato potenziale, benché non fosse mancato chi per tempo avesse avvertito la presenza dei criminali progetti sionisti.
La demolizione rappresentò una parte centrale delle attività di Israele dal momento in cui la tregua (dichiarata l’8 giugno, ma in pratica iniziata l’11 giugno e durata 4 settimane) entrò in vigore. Durante la tregua, l'esercito si impegnò nella massiccia distruzione di numerosi villaggi evacuati: Mazar a sud, Fayja vicino a Petah Tikva, Biyar ’Adas, Misea, Hawsha, Sumiriyya e Manshiyya vicino ad Acri. Grandi villaggi come Daliyat al-Rawha, Butaymat e Sabbarin furono distrutti in un solo giorno; molti altri furono cancellati dalla faccia della terra prima che la tregua finisse 1’8 luglio 1948.

Tutto sommato il livello di preparazione in cui fu impegnato il comando militare durante il mese di giugno per le tappe successive mostrò una crescente fiducia nella capacità dell’esercito israeliano di proseguire non solo le operazioni di pulizia etnica, ma anche di estendere lo Stato d’Israele al di là del 78 per cento della Palestina del Mandato già occupata. Parte di questa fiducia era dovuta al significativo potenziamento della sua forza aerea. Alla fine di maggio Israele era carente solo sul piano dell'aviazione. In giugno tuttavia ricevette una notevole fornitura di ìnuovi aerei in sostituzione dei modelli piuttosto antiquati.
I. Pappe, op. cit., 183-184
Un capitolo a parte merita la trattazione delle complicità internazionali di cui il sionismo godette e senza del quale non avrebbe potuto portare a compimento i suoi disegni. Si taccia di teoria del complotto la rilevazione dei collegamenti internazionali che le comunità ebraiche hanno sempre avuto nei secoli e nei vari paesi in cui erano dislocati. La teoria del complotto è invero piuttosto una teoria della calunnia. Per gli stessi anni in cui vedevano la luce i “falsi” Protocolli di Sion sono noti e documentati gli interventi della finanza ebraica nella guerra russo-giapponese. Per non parlare poi dei rapporti sostanziali fra ebraismo e bolscevismo. Le pressioni sul neonato Onu e su Truman per produrre la situazione del 1948 in Palestina non saranno mai abbastanza studiate ed approfondite.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 37. Cherquis, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga ”dopo” l’«invasione» araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


36. Damira 37. 38. Biyas ‘Adas

Cherquis

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Cherquis subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 36. Damira, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga ”dopo” l’«invasione» araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


35. Khirbat Azzun 36. 37. Cherquis

Damira

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Damira subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 35. Khirbat Azzun, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga ”dopo” l’invasione araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


34. Khirbat Lid 35. 36. Damira

Khirbat Azzun

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Khirbat Azzun subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 34. Khirbat Lid, fra i 200 villaggi distrutti “prima” della mitica fuga “dopo” l’«invasione» araba.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


33. Shaykh Muwannis34. 35. Khirbat Azzun

Khirbat Lid

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente l’equivalenza di “ebraico” e “sionista”, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Khirbat Lid subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Ammesso e non concesso il fatto che costituisce motivo ricorrente della propaganda israeliana, e cioè che i palestinesi avrebbero spontaneamente abbandonato le loro case e i loro villaggi, per vicende connesse alle strategie belliche, diventa arduo comprendere perché mai – finiti i combattimenti – ognuno non potesse ritornare alla propria casa ed al proprio villaggio. Invece, le case furono saccheggiate ed i villaggi distrutti di sana pianta. Le abitazioni migliori che furono risparmiate vennero “assegnate” ad ebrei, ai quali veniva riconosciuto un assai strana “diritto al ritorno” in case che non erano le loro ed in terre dove non erano nati né loro né i loro antenati. In pieno XX secolo la più folle superstizione religiosa-sionista serviva a coprire la più colossale impostura di tutti i tempi in nome di un Dio che non ha nulla di divino, ma diventa un agente criminale che meriterebbe di essere giudicato e condannato da ogni tribunale umano di questa terra. Le menzogne tirate fuori per coprire una pulizia etnica che ha certamente avuto determinanti complicità nelle maggiori potenze dell’epoca, uscite vincitrici della seconda mondiale con una pretesa arbitraria di superiorità morale sui popoli vinti. La storia, per chi sa seguire e leggere gli eventi, ha dimostrato presto (già con Hiroshima e Nagasaki) che i vincitori non sono ipso facto migliori dei vinti. La Nakba, ossia la pulizia etnica della Palestina, è assolutamente certa e di un’evidenza incontestabile, mentre la Shoah – mito assurdamente, antigiuricamente e immoralmente fondativo dello stato “criminale” (Jaspers) di Israele – ha bisogno di una sua verità imposta per legge per essere costrittivamente creduta. A tanta barbarie e vilipendio della libera ricerca della verità non si era mai assistito a memoria d’uomo. Per chi appena dipana il velo delle menzogne del sistema mediatico nulla contrasta maggiormente con i comuni criteri del buon senso. Tuttavia, ognuno di noi nel suo microcosmo concettuale può dare un grande contributo alla lotta spirituale per la verità, respingendo le menzogne che ogni giorno ci vengono propinate attraverso i canali ufficiali dell’informazione e dell’educazione. Non siamo impotenti. Abbiamo la forza della verità, del senso umano di giustizia.

domenica 30 agosto 2009

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 33. Shaykh Muwannis, distrutto e trasformato in campus universitario di Tel Aviv con Club Insegnanti.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. I villaggi distrutti.


32. Yajur 33. 34. Khirbat Lid

Shaykh Muwannis

Sommario: Il mito della fuga palestinese. – 2. La Serra di Tel Aviv. – 3. Camera con vista. –

1. Il mito della fuga palestinese. – A negare decisamente una siffatta equivalenza, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che qui di seguito descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie. Il villaggio di Khirbat al-Manshiyya subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista.
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.

Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.

Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.

La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.

Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.

Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.
Ilan Pappe,
op. cit., 132-133
Note:
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
Rimarchevole il fatto che il campus dell’università di Tel Aviv sorga sopra le rovine del villaggio di Shaykh Muwannis e che addirittura «una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante» (ivi, 132). E dire che quando si parla in Inghilterra e in Europa di boicottaggio accademico si trova chi tira fuori i principi della libertà scientifica e simili corbellerie, ignorando da dove nasce e su cosa lavora gran parte del “corpo insegnante” israeliano. Voci fuori del coro come quella di Ilan Pappe subiscono minacce e devono emigrare.

2. La Serra di Tel Aviv. – L’Epilogo che chiude il libro di Pappe sulla Pulizia etnica della Palestina inizia con un paragrafo dedicato all’Università di Tel Aviv che con singolare ignoranza è stata edificata su un villaggio palestinese distrutto, mantenendo un solo edificio di pregio che è stato adibito a Club degli Insegnati, mutandone il nome per cancellare una coscienza invero assai sporca che poco si addice alla retorica accademica, in nome del quale si vuole negare ai docenti europei il sacrosanto diritto di boicottare le università israeliane.
L’Università di Tel Aviv, come tutte le altre università israeliane, è impegnata a promuovere la libertà della ricerca accademica. Il circolo degli insegnanti dell'Università di Tel Aviv si chiama la Serra. In origine era la casa del mukhtar del villaggio di Shaykh Muwannis, ma se vi capitasse di essere invitati a pranzo o di partecipare a un seminario sulla storia del paese o sulla città di Tel Aviv, non ve ne accorgereste affatto. Nel menù del ristorante del circolo si legge che l'edificio fu costruito nell'Ottocento ed era appartenuto a un uomo facoltoso di nome Shaykh Munis: un uomo senza volto, fittizio, messo lì in un non-luogo fittizio, come lo sono le altre persone “senza volto” che una volta vivevano nel villaggio distrutto di Shaykh Muwannis, sulle cui rovine l’Università di Tel Aviv ha costruito il suo campus. In altri termini la Serra compendia la negazione del piano strategico del sionismo per la pulizia etnica della Palestina, messo a punto non lontano da lì, lungo la spiaggia, in Yarkon Street, al terzo piano della Casa Rossa.
I. Pappe, op. cit., 305.
Mi chiedo come si sentano gli insegnanti israeliani che pranzano alla Serra. Credo che si sentano bene e non abbiano scrupoli di sorta. La coscienza si piega facilmente al proprio comodo e del resto se proprio vogliamo dar credito alla stato ebraico, cioè fondato sulla tradizione religiosa di quella sublime religione che è il monoteismo mosaico, fatto di odio per i goym, votati allo sterminio per volere divino, non è difficile trovare un’autogiustificazione ad un vero e proprio processo di conquista e occupazione coloniale. Proprio non credo che quanti in Israele, giunti come immigrati privilegiati di elezione, da ogni parte del mondo, abbiano scrupoli a godere di terre e proprietà altrui regalate loro da un governo di sopraffazione criminale. A caval Donato – dice un noto proverbio – non si guarda in bocca. Mi viene da sorridere quando si parla di opinione pubblica israeliana, che sposterebbe le sue percentuali ora da una parte ora dall’altra. Viene da pensare alla famosa società dei ladroni ed alle loro regole democratiche, benintesi fra ladroni ed escludendo accuratamente i derubati, ai quali viene ora inibita perfino la memoria del furto e dello sfregio subito. Mi riesce difficile immaginare una società più barbara e disumana.

3. Camera con vista. – Dal testo di Pappe, senza bisogno di fare alcun turismo tragico in Israele, apprendiamo che lasciata la Casa Rossa, dove la Consulta si riuniva, ora dalla nuova sede si poteva osservare il villaggio di Shaykh Muwannis, distrutto, privato dei suoi abitanti e poi trasformato in campus universitario di Tel Aviv.
La Consulta continuava a riunirsi, ma con meno regolarità poiché lo Stato ebraico era ormai un/atto compiuto con un governo, un Consiglio dei ministri, un comando militare, i servizi segreti ecc, tutti in funzione. Non ci si preoccupava più del piano generale di espulsione: dopo l’avvio del Piano Dalet i risultati erano più che soddisfacenti e non occorrevano ulteriori coordinamenti o controlli. Ora il problema principale era di avere truppe sufficienti per sostenere una “guerra” su due fronti: contro gli eserciti arabi e contro un milione di palestinesi, i quali, secondo la legge internazionale, il 15 maggio erano diventati cittadini israeliani. Alla fine di maggio, anche queste preoccupazioni erano scomparse. L’unica novità nel funzionamento della Consulta fu il trasferimento della sede in un nuovo edificio, sulla cima di una collina da cui si vedeva il villaggio di Shaykh Muwannis, dal quale erano stati espulsi i palestinesi. La sede divenne poi il Matkal, quartier generale dello Stato Maggiore dell’esercito israeliano.11 Da questa nuova posizione strategica, la Consulta poteva osservare i terribili attacchi che ebbero inizio illo maggio contro i villaggi palestinesi della zona, che non furono gli unici: lo stesso giorno furono compiute operazioni identiche nei villaggi a est e a nord. La brigata Alexandroni ebbe l'incarico di ripulire i villaggi a est e a nord di Tel Aviv e di Giaffa e ricevette poi l’ordine di spostarsi a nord per cominciare a cacciare, insieme ad altre unità, la popolazione palestinese dalla costa fino a Haifa.

I. Pappe, op. cit., 165
Note:
11. Vedi Maqor Rishhon. Il motivo citato fu quello di colpi diretti sulla Casa Rossa e sull’appartamento di Ben Gurion da parte di aerei egiziani.
Alcune considerazioni si impongono. Ne accenniamo brevemente. Per quanto riguarda il nazismo, o meglio ciò che al nazismo si attribuisce comunemente, vi sono pafrecchie persone che in Germania vengono condannate perchè si ostinano a sostenere che le cose non stanno esattamente così come vengono raccontate. Se analoghi criteri dovessero adottarsi per la pulizia etnica della Palestina – crimine non meno orrendo e certo della cosiddetta Shoah –, basta studiare la logistica dei luoghi per avere una prova ai massimi livelli del crimine perpetrato. È incredibile e disgustoso come ogni giorno dai sistemi mediatici di propaganda veniamo bombardati con la presunta intenzione di Ahmadinejad di cancellare dalla carta geografica lo stato di Israele, cioè di fare quanto i sionisti hanno già fatto con la Palestina. Temono che venga fatto loro ciò che hanno già fatto ad altri e vogliono premunirsi con una guerra preventiva: Afghanistan, Iraq ed ora anche Iran! In pratica, tutto il mondo è a rischio di guerra per le armi dell’orso americano che ubbidisce docilmente ai comandi e agli input della Lobby.