sabato 25 agosto 2012

Terza lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti

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G. Valli in Milano il 14 luglio 2012
Nel dare corso alla richiesta di ulteriore diffusione a queste “Terza Lettera” che mi perviene sulla mia posta elettronica, confermo alcuni miei giudizi introduttivi. Premetto che non sono uno “storico revisionista”, come ci si ostina a farmi passare, ma un «filosofo del diritto», nel cui ambito disciplinare rientra perfettamente il tema della “libertà di pensiero”, che i nostri politici, infeudati ad Israele, stanno aggirando e svendendo. Dirò poi come. Qui mi limito ad alcune riflessioni, ispirate dal lodevole accanimento con cui il dott. Valli insegue il Signor Gatti, credo pagato da noi contribuenti per il suo “Osservatorio sul pregiudizio anti-ebraico”, che si risolve in una raccolta di articoli di stampa, redatti da degni colleghi dello stesso Gatti. In pratica, una specie di gioco delle tre carte, dove ricorrono circolarmente sempre gli stessi temi e gli stessi personaggi senza che si possa mai risalire ad una fonte documentata ed argomentata. Ed è qui la riflessione sulla quale voglio soffermarmi e richiamare l’attenzione. Se ripercorriamo la storia recente della “persecuzione” contro gli “ebrei”, vediamo che i suoi carattere distintivi – credo non contestati – siano stati la “discriminazione” e l’«esclusione». Ebbene, gli “ebrei” odierni non praticano essi in maggior misura una siffatta “discriminazione” ed “esclusione”? Al Palazzo di Giustizia in Roma, davanti a Flick e alla Di Cesare, ho gridato forte che il “vero” ed il “falso” possono essere noti all’uomo solo mediante un libero contraddittorio. Invece, costoro pretendono di fissare una strato sociale di reietti, ai quali non si debba riconoscere nessun diritto, neppure quello elementare della difesa... Il discorso è ampio e non ci vogliamo dilungare. Terminiamo con un suggerimento agli storici ed agli investigatori. Suggeriamo loro un ampliamento della ricerca sulla rete dei “sayanim”, ossia sulla loro esistenza accertata o meno nonché sulla loro funzione, sui loro metodi, sulla loro dislocazione, sulla loro identificazione, sulla loro pericolosità o meno per il nostro sistema democratico e per la tutela generale dei diritti di libertà dei cittadini, di tutti i cittadini, senza strati privilegiati. Fa quindi bene il dott. Valli, finché ne avrà la pazienza e costanza, a stanare il Signor Gatti, che per etica e diritto è tenuto a rendere conto delle sue affermazioni e non può sottrarsi alle contestazioni che da quelle affermazioni sorgono. Avesse taciuto, poteva starsene in silenzio, ma non può pretendere di lanciare il sasso e nascondere la mano. Se è questa l’«etica ebraica» di cui parla Donatella Ester Di Cesare lo andremo ad indagare in separata sede.

Antonio Caracciolo



Terza lettera 
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti

Gentile signor Stefano Gatti,

Stefano Gatti
vengo per la terza volta a sollecitarLe un chiarimento sull’aggettivo «famigerato», da Lei usato per definire la mia persona. Qualche collega di malpensiero mi sta istigando a non demordere da quella che si profila sempre più come la caccia ad un furbetto. Così essi La tacciano, pensi!, mentre io faccio di tutto per trovarLe giustificazioni, che so?, un colpo di calore, una delusione amorosa, un attacco ischemico o altre quisquilie. Altri mi sollecitano al contrario, all’insegna del de minimis non curat praetor, a sospendere questa polemica, peraltro garbata anche se monodirezionale.

    Mi avesse definito «farneticante» anziché «famigerato», avrei accolto l’aggettivo di buon grado, sapendo da che bocca sarebbe uscito. È il non sapere su cosa Lei si basi per il «famigerato», che mi accora. Anche perché, sapendolo, avrei cercato di emendarmi. Indubbiamente a questo mondo non c’è mai nulla che riesca a produrre il cento per cento di soddisfazione a tutti. Così, mentre A sta agitando il cappello con una serie di evviva, vediamo B aggrottarsi dubbioso. E lo stesso è per Y e Z. D’altra parte, il nocciolo del contendere mi è stato fornito su un piatto d’argento proprio da Lei.

    Ritengo poco tollerabile la malacreanza di ignorarmi, dopo avermi inferto un colpo di spillo. Egualmente inquietante giudico il suo sguardo da furbetto, ammiccante come quello di un ragazzino che, lasciato solo in casa, abbia scoperto la chiave della credenza delle marmellate. Potrei anche ritenerLa un giovanottello di animo diffidente. Uno che ritira la mano dopo avere scagliato la pietra. Un ritroso che si sottrae agli sguardi del pubblico per tema di venire considerato importante.

    Taluno ha commentato malignamente: «Povero Valli... scendere al livello di questi qua [o «di quelli là», non ricordo bene]!». Espressione forse scaturita da qualche malanimo antiebraico. A parte questo, Lei  mi sta diventando una droga. Una magnifica ossessione. Una ossessione che spero Le stia procurando intima soddisfazione, quando non una vera e propria notorietà intratribale. Del resto, non posso che rallegrarmi per il fatto che a Lei sia grato, dopo l’uscita allo scoperto, ritirarsi con modestia nella tana, senza traccia della sempiterna chutzpah. E mi cito:
Chutzpah: Termine aramaico significante un misto di «simpatica» sfrontatezza, improntitudine e insolenza, un’aggressività che comprende l’aver fegato e la faccia tosta, per Daniel Gordis la chutzpah è «estrema fiducia in se stessi al limite della sfrontatezza», «la sfacciataggine più disarmata, la spocchia più inammissibile che si possa immaginare: è un mix improbabile di cinismo e ingenuità, di simpatia e orrore, di sorriso e raccapriccio» per Elena Loewenthal, «caratteristica di carattere» super-ebraica per Moni Ovadia: testi tradizionali dicono Israele la più sfacciata fra le nazioni, affermando che «l’impudenza, perfino quando è diretta verso Dio, è utile»; Fölkel intride la definizione di humor noir: «Quando uno uccide sia il padre che la madre e, dopo, difendendosi al processo per omicidio, chiede le attenuanti per il fatto di essere rimasto orfano»; altrettanto incisivo Victor Ostrovsky: «Fai una cacata davanti alla porta di un tizio, poi bussi alla porta e gli chiedi della carta igienica»; Celso e Giuliano Imperatore l’avevano detta alazoneia superbia barbara; per sant’Ambrogio è un misto di superbia arroganza, versutia astuzia, procacitas insolenza e perfidia malvagità; l’arcivescovo di Lione Agobardo al’'epoca di Carlo Magno, Amolone e i polemisti medioevali la dicono insolentia Judaeorum.
    Grande popolo, il Suo! Ovviamente, escluse persone come Israel Shahak, Israel Shamir, Norman Finkelstein, Gilad Atzmon, Ariel Toaff, Spinoza, Uriel Da Costa, Elisha ben Abuya, Qohelet e pochi altri. La mia proverbiale obiettività mi spinge poi a provarLe quanto io sia equanime. Mi ricito:
Ben scrive invero, del giudaismo «religione-fattasi-popolo», Harold Cecil Robinson: «Non l’antisemitismo è all’origine della crisi che minaccia oggi il mondo, bensì l’odio degli ebrei contro tutti i popoli che non mettono a loro disposizione il proprio territorio per un’uso libero e indiscriminato [...] L’antigiudaismo non è il fatto primario, ma un fatto secondario, una conseguenza, la reazione a una fede che pone gli ebrei al di fuori e al di sopra dei popoli non ebrei, col pretesto ideologico che questi popoli devono essere guidati e sfruttati dagli ebrei in quanto popolo eletto».

 Se da una parte esistono quindi
figure virili quali Gedalja Ben Elieser, o
di tragica dirittura quali Otto Weininger, Arthur Trebitsch, Essad Bey, Albert Ballin, Walter Rathenau (del quale però non dimentichiamo il «consiglio» ai goyim, parafrasatoci da Robert Dun: «Sapete qual è la nostra missione sulla terra? Condurre ogni uomo ai piedi dei Sinai. Se non ascolterete Mosè, vi ci condurrà Gesù; se non ascolterete Gesù, sarà Karl Marx») e Max Naumann,
● altre di chiaro acume quali Osman Bey, Max Nordau, Karl Kraus, Norman Solomon, Moshe Carmilly-Weingarten, Yosef Hayim Yerushalmi, Jean Daniel, Edward Luttwak, Benjamin Ginsberg, Robert Friedman e Chaim Bermant,
● di una pur sfrontata schiettezza quali Martin Buber, Marcus Ravage e Nahum Goldmann, o
di qualche equilibrio quali Bernard Lazare, Anne Kriegel, Norman Cantor, Giorgio Israel e Noam Chomsky,
di condivisibili tesi quali Joseph Rothschild, Hans Jürgen Eysenck, Richard Herrnstein, Ralph Nader, Lori Wallach, Jeremy Rifkin ed Edward Goldsmith (sul cui fratello James manterremmo una qualche riserva),
di aperto coraggio quali Victor Gollancz, Michael Mandel, David Jacobs, Alejandro Teitelbaum, Alfred Lilienthal, Israel Shahak, Israel Shamir, Salcia Landmann, Harold Pinter, Gilad Atzmon, Yehudi Menuhin e il figlio Gerard, Michel Warschawski e Massimo Fini,
altre ancora ispiranti adesione come i sublimi Qohéle t ed Elisha ben Abuya, Da Costa e Spinoza o il quidam Enrico Paggi,
istintiva simpatia quali Harry Weinstok,
struggente stima quali Dov Eitan e Yoram Sheftel,
rispetto e sincera pena quali David Cole e Ariel Toaff,
persino ammirazione quali i revisionisti/antisionisti J.G. Burg, Joseph Benamou e Abraham Gurewitsch,

    e se l’Antica Sapienza ha per millenni rimbombato «attèm mèlach haaretz, voi siete il sale della terra», se Moses Hess, riecheggiato poi da Renan, ha scritto che «gli ebrei devono essere presenti come uno stimolo nel corpo dell’umanità occidentale, come una specie di lievito» (in “Triarchia europea”, 1841: il lievito à la Magris! per Renan «l’ebreo era destinato a servire come lievito nel progresso di ogni paese, invece di formare una nazione distinta sul pianeta», in «Dalla parte dei popoli semitici nella storia della civiltà», edito nel 1863 a Milano), se Emil Ludwig né Cohn ha confermato: «Ich halte die Juden zwar nicht für das Salz der Erde; der Pfeffer Europas aber sind sie bestimmt, Non considero certo gli ebrei il sale della terra, ma il pepe dell’Europa sì» (attirandosi l’ovvio commento di Wolf Meyer-Christian: «Senza volerlo, con tale motto egli conferma il diritto dell’odierna Europa a difendersi dall’ebraismo: dove il pepe non viene usato a giuste dosi, se viene offerto come cibo o gettato negli occhi agli ignari da mano criminale, provoca drastiche reazioni. Perché in un caso corrompe il sangue, nell’altro rovina la vista»), se ancora nel 1982 N. Voronel commenta « è come se l’elezione del popolo ebraico sia nella vita di diaspora. “Siamo il lievito [...] Il nostro compito è portare a fermentazione il piatto straniero”», e Sonja Margolina ribadisce che i confratelli hanno svolto, nella minestra delle culture europee, il ruolo delle «spezie», ammettendo però che in Russia hanno esagerato, talché quella minestra si è fatta immangiabile,

  dall’altra parte Arruolati invasati della multietnicità come i boss del Congresso Ebraico Europeo, Acceleratori della Fine come i Börne, Landauer, Mühsam, Toller, Georg Hermann, Coudenhove-Kalergi, Richetti, Polish ed Elio Toaff, le Luxemburg, Calabi Zevi (col rampollo Tobia), Diana Pinto e consorti, Nussbaum, Kopp, Jacob/Veil, Nirenstein, Chivassi Colombo, i Joseph Roth e Jacques Attali, l’odioso quartetto Daniel Cohn-Bendit, Bernard-Henry Lévy, André Glucksmann ed Alain Finkielkraut, gli Halter, i Derrida, Klarsfeld, Gourévitch, Wieviorka, Zygmunt Bauman, gli Aza-gury, Arrigo Levi, Guido Bolaffi, gli archetipici Furio Colombo e Gad Lerner, l'isterico Christopher Hitchens, gli Amos Luzzatto e Riccardo Di Segni, i Mieli, i Claudio Morpurgo, i Grinblat, Clark/Kanne/Nemerovsky, Jean Kahn, Patrick Weil, l’honoraire Claudio Magris, i Violante, gli Ovadia, i Winter, Teitelbaum, Ringer, Minc, il trio Enrico Modigliani, Emanuele Fiano e Riccardo Pacifici, i Morin, Markovits, Konrád, Peck, Broder, Wiesel, gli Steven Katz, i Gaubert, Narkiss, Bubis, Siegel, Michael Friedmann, Silberstein, David Rothkopf, Richard Falk, i Soros e quant'altri Supremi Docenti a partire dai Freud, Boas, Horkheimer e compagnia, per finire agli ex-Ehrenberg, Lewontin e Stephen Jay Gould,
    non solo contravvengono ai più elementari princìpi di onestà intellettuale, ma rendono indigeribile anche a noi – cosa invero seccante – la nostra minestra nel nostro piatto.
    Va bene che leggo nel Talmud – immarcescibile, attualissima norma di vita – espressioni un tantino troppo laudative nei confronti di noi goyim:

«Solo voi giudei siete uomini» – rassicura, instancabile ed ancor più autorevole, il Talmud – «mentre le altre genti dell'universo non sono composte da uomini, ma da animali» (Baba Mezia 114b). O anche, più esattamente con la prima edizione di Lazarus Goldschmidt, che riproduce anche il testo ebraico di Bomberg: «Voi [ebrei] siete chiamati uomini, e non [we'ên] i popoli del mondo sono chiamati uomini, ma bestie ['ellâh behêmâh]»; nella seconda edizione, priva dei riferimen-ti ebraici, Goldschmidt mantiene la traduzione della prima, ma mette le ultime due parole tra parentesi: «ihr heißt Men-schen, nicht aber heißen die weltlichen Völker Menschen (sondern Vieh)».
    Tali parole però, scrive ad Hermann De Vries De Heekelingen (1880-1941) monsignor Agostino Bea (di ascendenza «tedesca» con antico cognome Behar), rettore del Pontificio Istituto Biblico richiesto di consulenza per il processo intentato ad Oron/Losanna il 15-17 gennaio 1940 contro l'ex pastore evangelico «antisemita» Philippe Lugrin, accusato dai Nostri di avere manipolato passi talmudici, «formano la conclusione della frase, la quale vuole mostrare per quale ragione Rabba b. Abuha Elijahu poteva stare in un cimitero non-ebreo. Ecco la risposta: la legge proibisce il contatto con i cadaveri degli uomini, ma i non ebrei non sono uomini, ma bestie; dunque essi non sono contrari alla purezza levitica [«R. Simón b. Johaj sagte: Die Gräber der Nichtjuden sind nicht (levitisch) verunreinigend, denn es heißt: ihr aber seid meine Schafe, die Schafe meiner Weide, Menschen seid ihr», è il passo che immediatamente precede il suddetto 114b]. Si vede che l'argomentazione stessa richiede le parole "ma bestie". Se essi non sono uomini, che cosa sono?».
    Decisamente più edulcorate sia la versione della Soncino Press: «R. Simeon b. Yohai said: The graves of Gentiles do not defile, for it is written: And ye my flock, the flock of my pastures, are men; only ye are designated "men"», sia la spiegazione in nota: «Soltanto, ovviamente, dal punto di vista della contaminazione rituale. Cfr. Numeri XIX 14: Questa è la legge: Quando un uomo muore nella tenda, chiunque entra nella tenda e chiunque si trova nella tenda sarà impuro per sette giorni. (In ogni caso la frase perde tutta la sua violenza se ci si ricorda che è semplicemente un modo di dire talmudico per indicare "non umano" [is simply a Talmudic idiom denoting "inhuman"], e che il suo autore fu il Maestro Simeone, che era stato così crudelmente perseguitato [so bitterly persecuted] dai romani. V. Lazarus, The Ethics of Judaism, I, pp.261 ff.)». Il contrasto «bestiale» ebrei-goyim verrà comunque ribadito nel terzo Paese di Dio da The Jewish Frontier, febbraio 1939: «Ogni ebreo, fosse anche l'unico ebreo rimasto sulla faccia della Terra, ogni bambino ebreo, ogni vecchio è un testimone vivente dell'esistenza di una razza umana a confronto con una razza fatta solo di bestie» (in W.R. Frenz). Ed ancora: «Anche se i popoli del mondo somigliano fisicamente agli ebrei, essi somigliano loro soltanto come le scimmie agli uomini» (Keritot 6b tosaphot).
    Lo statuto esistenziale dei non-ebrei – gli orlim: «incirconcisi» (letteralmente: prepuzi), per via della loro esisten-za immonda e perversa nient'altro che animali... in particolare asini, cavalli, cani, maiali e loro carogne – è bene illuminato da quanto afferma Abodah Zarah 4a: «Il Maestro Chana figlio di Chanina richiamò l'attenzione su una contraddizione: È detto: "Io non provo ira" [Isaia XXVII 4], ed è detto: "Il Signore è un vendicatore e pieno d'ira" [Nahum «il-consolatore» I 2]. Questa non è una contraddizione: l'una sentenza parla degli ebrei, l'altra dei non-ebrei [vedi anche Berakot 7a]» e, poco più avanti, «Il Santo-chebenedettosia!, parlò a Israele: "Quando giudico gli ebrei, non li giudico allo stesso modo dei non-ebrei"». Eguali concetti in due scritti ebraici divulgativi del XVII secolo, citati da Johannes Eisenmenger e Roderich-Stoltheim/Fritsch: nello Jalkut Rubeni si legge: «Gli ebrei sono chiamati uomini perché le loro anime provengono dall'uo-mo più illustre; i non ebrei, le cui anime provengono dallo spirito impuro, sono chiamati porci»; nell'influentissimo Shenei luchot ha-berit, "Le due tavole del Patto" (composto dalle sezioni Derekh hayyim e Luchot ha-berit) di Rabbi Yeshayah Horowitz (il cabbalista Isaiah ben Abraham ha-Levi Horowitz detto, dalle iniziali della maggiore opera, Ha-Shelah ha-Ka-dosh, «il santo SheLaH», 1570-1626 o 1565-1630), compendio delle leggi giudaiche stampato ad Amsterdam nel 1649 e a Wilmersdorf nel 1686 in seconda edizione: «Sebbene i popoli del mondo assomiglino esteriormente agli ebrei, sono soltan-to ciò che sono le scimmie in confronto agli uomini» e «Per questo al non-ebreo è stata data figura umana: perché gli ebrei non si dovessero far servire dalle bestie».
    Anche il Midrash talpiot pubblicato a Varsavia nel 1875 da Elijah ben Salomim insegna al Popolo Eletto la diffe-renza che lo separa dal resto dell'umanità: «Dio ha creato i non-ebrei sotto forma umana perché essi non sono stati creati per altro scopo che per servire gli ebrei giorno e notte senza interruzione. Ora, non si addice ad un figlio di re [cioè ad un ebreo] l'essere servito da una bestia con le sembianze di un animale ma da una bestia con sembianze umane» (225d). Si-milmente predica, ai nostri giorni, Hatanya, il testo fondamentale dei Lubavitch/Chabad, il più potente ramo del chassidi-smo. Secondo questo testo-chiave, rileva Israel Shahak, «tutti i non-ebrei sono creature assolutamente sataniche “che non hanno nulla di buono". Persino i loro embrioni sono qualitativamente diversi da quelli ebraici. L'esistenza dei non-ebrei è "inessenziale", poiché tutto il creato fu creato unicamente "per il bene degli ebrei" [whereas all of creation was created so-lely for the sake of the Jews]».
    Per quanto tutto ciò sembri un po' «forte», altri passi confermano la sostanza di una forma mentis che porta Mac-Donald (II) a concludere che «l'impurità dei non-ebrei non fu solo teorica, ma ridusse le effettive possibilità di interazione coi non-ebrei»: «Il seme di un non-ebreo non è che il seme di un animale» (Jebamot 94b tosaphot); «Concludete che il Misericordioso ha dichiarato che il loro seme è libero, come è detto: "La cui carne è come la carne di un asino e l'effusione del loro seme come quella di un cavallo" [Ezechiele XXIII 20]» (Jebamot 98a); «Il seme di un non-ebreo ha lo stesso valore del seme di una bestia» (Ketubot 3b tosaphot); «Non è permesso [fare] poppare [un neonato ebreo] da una non-ebrea né da una bestia impura, ma se il bambino è in pericolo, niente va risparmiato per salvargli la vita» (tosephta Shabbat IX 22, da Gedaliah Alon, in MacDonald I); dato che i rabbini, rileva Gian Pio Mattogno, proibiscono di sedersi a tavola con un pa-gano, se un goy invita alle nozze del figlio non diciamo un solo ebreo, ma tutti gli ebrei della città, non per ciò questi, an-che se sono tutti tra loro, vanno assolti: per il fatto di consumare il pasto assieme agli idolatri, peccano anch'essi di idola-tria, come dice Esodo XXXIV 15, e ciò anche se mangiano e bevono cibi loro propri e vengono serviti da propri camerieri (tosephta Abodah Zarah IV 6);
    ancor più, «Il rapporto sessuale con un non-ebreo è come quello con le bestie» (Sanhedrin 74b tosaphot, riportato da padre Justinas/Iustinus Bonaventura Pranaitis in Christianus in Talmude Iudaeorum, sive Rabbinicae Doctrinae de Christianis Secreta, 130 pagine edite a San Pietroburgo nel 1892, tradotte in tedesco nel 1894 dal sacerdote austriaco Jo-seph Deckert quali Das Christentum im Talmud der Juden, oder Die Geheimnisse der rabbinischer Lehre über die Chri-sten, "Il cristianesimo nel Talmud degli ebrei, ossia I segreti della dottrina rabbinica sui cristiani"), per cui, conferma Mai-monide (Mishneh Torah, libro 5: "Il codice della santità"), una donna non-ebrea congiuntasi con un ebreo, in particolare con un sacerdote, «è soggetta ad essere messa a morte, poiché attraverso di lei un crimine è stato compiuto da un israelita, come [se si fosse congiunto] con un animale» (il sacerdote, invece, va solo fustigato); «Il Maestro Chija figlio di Abuja disse: Se uno si congiunge con una non-ebrea fa come se si fosse imparentato con gli idoli, poiché è detto: "e si è congiun-to con la figlia di un dio straniero" [Malachia II 11]; ma ha il dio straniero una figlia? Si deve piuttosto intendere il con-giungimento con una non-ebrea» (Sanhedrin 82a, che in tosaphot auspica: «possano così abbatterlo gli zelanti»);
    «Chi viene detta prostituta? Tutte le figlie non-ebree o una figlia ebrea che ha avuto a che fare con qualcuno [die mit jemandem zu tun gehabt, traduce Löwe: «che ha avuto rapporti sessuali»] che non può sposare a causa delle diverse proibizioni matrimoniali, o che ha avuto rapporti sessuali proibiti con un minorato [die mit einem Geschwächten verbote-nen Umgang gehabt], anche se poi li dovesse sposare. Di conseguenza se una donna ha avuto a che fare con un animale, benché la pena per tali atti sia la lapidazione, non è una prostituta, e un sacerdote può sposarla, poiché non ha avuto rapporti proibiti con un uomo» (Eben haeser 6, 8).
    «Se un non-ebreo o uno schiavo si congiunge con una Figlia d'Israele, il figlio che nascerà è come figlio di prostituta» o, con la Soncino,«if a heathen or a slave has intercourse with the daughter of an Israelite, the issue is mamzer» (Qiddushin 70a) e «Il figlio di un non-ebreo o di uno schiavo che si sono congiunti con una Figlia d'Israele è un bastardo» (Jebamot 16b). Similmente, vedi Ketubot 30a, Eben haeser 44, 8 («Se un ebreo ha promesso di sposare [o: si è fidanzato con] una non-ebrea o una schiava, o se un non ebreo o uno schiavo hanno promesso di sposare [o: si sono fidanzati con] un’ebrea, in ambo i casi tale atto non è valido») e Joreh deah 377, 1 (il termine mamzèr deriva da meam zar, letteralmente «da un popolo straniero»; un mamzèr può sposare solo una mamzèret o una proselita, non una vera ebrea). Scende poi in campo Maimonide: «Il comandamento: Non uccidere, significa: Non si uccida nessuno di Israele. Ma i non-ebrei, gli ereti-ci e i figli di Noè non sono israeliti» (Yad hazaqah IV 1, "Mano forte", libro meglio noto come Mishneh Torah, "Secondo insegnamento" o "Ripetizione della Legge": il Codice di Maimonide).
    Tra le basi di tale atteggiamento vedi le espressioni non proprio fraterne scagliate dal favoleggiato Padre Abra-mo/Abraamo contro il fido amministratore Eliezer, il quale, dopo che l'Altissimo ha espressamente vietato di unire Isacco ad una cananea, ha osato offrirgli la propria figlia: «Tu, Eliezer, sei uno schiavo e Isacco è nato libero: i maledetti non pos-sono unirsi con i benedetti» (Genesis Rabbah 612-13 e 636-37, Midrash Hagadol Genesi 388-89 e 770-71). Ed ancora, ac-cogliendo sospettoso Rebecca dopo quella caduta dal cammello che l'ha deflorata («Mio signore, mi sono spaventata ve-dendovi apparire a quel modo, e sono caduta a terra dove uno spunzone del cespuglio mi è penetrato fra le cosce»... cosa davvero credibile, visto che capita tutti i giorni ancor oggi), rivolto ad Isacco: «Gli schiavi sono capaci di qualsiasi tradimento. Porta questa fanciulla nella tua tenda e assicurati che sia ancora vergine, dopo questo lungo viaggio in compagnia di Eliezer!» (Yalqut Genesi 109, Midrash Hagadol Genesi 366 e 30-70, Genesis Rabbah 651-53, Midrash Agada Genesi 59-60, Midrash Leqah Tobh Genesi 111, 113, Mekhiltà de-Rabbi Shimon 45, Sepher Daat Zeqenim 13d e 14b, Sepher Ha-dar Zeqenim 9b; per la cronaca, il buon compagnon de route Eliezer, che era stato quasi condannato a morte per quel so-spetto crimine, a ricompensa viene preso dall'Eterno in Paradiso, benché ancora vivo).
    Ciononostante, lo ritenessi di qualche utilità per ammorbidirLe la tradizionale cervice, sarei disposto ad inviare qualche riga a un Bet din – ignoro la giurisdizione rabbinica di competenza – af-finché La richiamassero alla proverbiale onestà che affligge i Suoi congeneri.

    Nell’attesa che la pena irrogataLe consista nella lettura di una ventina – ma, volendo, anche più – di testi sull'Immaginario Olocaustico, dei quali vorrà poi stendere, in buon italiano, un non pre-giudiziale riassunto, mi dichiaro pronto a segnalarLe i migliori titoli. Ho però la vaga impressione che l'offerta non verrà presa in considerazione.
E spalanchi la mente! Butti al macero sia il Grande Hilberg dai piedi d'argilla che l'ololibelli-stica minore. In particolare la «filosofa» Donatella Ester Di Cesare (splendido il purimico «Ester»!). Della quale peraltro condivido l'indignazione per essere stata definita maliziosamente «la personifica-zione dell'idiozia» e «faccia da cartomante, da medium che fa le sedute spiritiche».

Non si tratta così una non-shiksa! La comprendo, povera crista, anche se, come tanti Suoi con-generi, persevera a becerare sugli Olodenti, gli Olocapelli, gli Olospazzolinidadenti fatti di Olocapelli, gli Olobottoni fatti con le Oloossa, le Oloceneri, le Oloprotesidentarie, i cumuli di Oloscarpe, le Oloossa, gli Oloparalumi, gli Ologuanti e gli Olopantaloni in Olopelle, gli Oloocchi infilzati a mo’ di farfalle, gli Olotesticoli fatti addentare dai cani o per i quali vengono appesi gli Olosterminandi, i cumuli di Oloocchiali e di Oloanelloni, gli Olosgabelli fatti di Oloossa, gli Olomaterassi fatti di Olocapelli, gli Olofertilizzanti fatti di Oloceneri, le Olofiamme vampeggianti dagli Olocamini, e via dicendo.

    Sperando di brindare presto con Lei alla vittoria di tutti i popoli liberati dall’oppressione us-raeliana, in prima fila l'eroica Siria di Bashar al-Assad, resto in attesa di una Sua resipiscenza.

Cuveglio, 24 agosto 2012

giovedì 23 agosto 2012

«I popoli che resistono» a Pentone, un piccolo comune della Sila, in Calabria

Mentre sullo scenario internazionale si addensano le trame di oscuri, ma non troppo conflitti, presentati come “ribellioni" spontanee dei popoli, in Pentone, un piccolo comune in provincia di Catanzaro, arrampicandosi con la macchina sulla Sila, si svolge per il terzo anno di seguito una manifestazione che fa il punto vero sui «popoli che resistono», e resistono per davvero. Vi è bisogno di manifestazioni come quella pentonese perché le guerre e le invasioni odierne si svolgono principalmente sul piano mediatico. La cattiva informazione e la disinformazione fanno passare per “interventi umanitari” vere e proprie aggressioni che cambiano i governi degli stati a piacimento, per farli adeguare al solo criterio loro riconosciuto: che siano graditi agli Usa e soprattutto ad Israele. Non vi sono limiti alle manipolazioni di cui i loro servizi segreti non siano capaci, lasciando a noi la sola arte della congettura per tentare di scoprire la verità vera.

 Qualche esempio? È di ieri la notizia di un «ribelle “ceceno”» che viene ucciso in Siria, accanto ad altri “ribelli”... “libici”, “afghani”... Ma che ci fanno in Siria? Sono dei mercenari, pagati dagli Emiri del Golfo, che pagano pure le “diserzioni” dai vertici del governo siriano. Mai l’uso della corruzione fu più sfacciato ed aperto, se son costretti a parlarne media nostrani, che per giunta ci dicono che in questa opera “democratica ed umanitaria” di corruzione è implicato anche in governo Monti, un regalo che ci ha fatto la finanza internazionale, con una sua tipica “ingerenza umanitaria”, poco rispettosa dalla libera determinazione dei popoli, si tratti di quello italiano o di quello siriano. Una associazione la nostra non arbitraria, giacché il nuovo fronte globale è fra i popoli tutti della terra, che “resistono”, ed i governi occulti della finanza e dei servizi segreti con i media al loro servizio... Ed ancora, altro esempio: è di Gordon Duff l’avvertimento che l’attentato al generale Dempsey non può essere attribuito ai Talebani, che non ne avrebbero avuto la capacità tecnica, ma probabilmente ai servizi segreti israeliani, che avrebbero voluto in questo modo dare un classico “avvertimento mafioso” al generale che era appena andato a dire in Israele che l’aggressione israeliana all’Iran non avrebbe avuto successo, perché non poteva contare sulla copertura del governo americano, già scottato in Iraq ed Afghanistan, la cui disastrosa aggressione è avvenuta su istigazione sionista. E non si dimentichi che una forte corrente di analisti, denigrati come “complottisti” attribuisce proprio ad Israele l’attentato alle Torri Gemelle, il cui scopo erano appunto le guerre “umanitarie” in Medio Oriente la sospensione dei diritti civili e politici dei cittadini amnericani ed europei, in pratica un colpo di stato, cose che si sono verificate e che sono ancora in corso.

Sa quel che dice
 Ben vengano dunque manifestazioni come quella di Pentone, il cui pubblico non si limita a quello che si è arrampicato sui tornanti delle Sila, ma si estende ai fruitori dell’ottimo video You Tube che segue e che è solo un sintesi di quello integrale che darà visione ed ascolto di tutti gli interventi delle due giornate agostane, del 18 e 19 novembre 2012. Ad essi, in questo post, seguiranno i nostri commenti, che saranno come una forma di partecipazione post evento alle due giornate di incontri e dibattiti, organizzati da Invicta Palestina e dal gruppo di amici dell’infaticabile Rosario.
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giovedì 16 agosto 2012

Seconda Lettera di Giannantoni Valli all’agit-prop Stefano Gatti

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Non avevo dubbi pubblicando la Prima lettera di Giannantoni Valli a Stefano Gatti, che questo non avrebbe mai risposto. E credo che neppure Valli se lo aspettasse. La Lettera era tuttavia opportuna e la mancata risposta testimonia della mala fede di questi signori, che si comportano assai male da molteplici punti di vista, che cercherò di illustrare sommariamente. Intanto, questi Signori hanno un padrone di riferimento, che è l’odierno “stato” di Israele, che poggia sui seguenti principali pilastri: 1°) occupazione della Palestina, da sempre abitata dai suoi legittimi abitanti, cioè gli attuali palestinesi che vivono attualmente o in regime di apartheid, o come profughi del 1948 e successive ondate, o come internati nel Lager di Gaza; 2°) colonizzazione dei territori occupati, sia quelli del 1948 sia quelli del 1967, occupazione illegale quest’ultima, anche per la vigente normativa internazionale; 3°) la “pulizia etnica” della Palestina, che introduce una caratteristica nuova ed aggiuntiva, ben più grave, ai precedenti storici di altre forme di “occupazione”, “colonizzazione” ed “apartheid”, che in “Israele” esiste, ma in forma assai più grave di quella esistita nel Sud Africa o negli Usa, perché unita alle finalità premeditate ed attuate di “pulizia etnica”; 4°) un pilastro aggiuntivo, non meno importante, è il controllo capillare dei media dei paesi occidentali, al cui interno si colloca l’attività del Signor Gatti. Al controllo dei media occorre aggiungere la corruzione dei politici, che nel caso degli Usa, attraverso l’attività pubblica dell’AIPAC e altre associazioni, è visibile alla luce del sole. Da noi, avendo diversa tradizione giuridica, il fenomeno non è meno corposo, ma meno evidente. Basti pensare che il CDEC, a quanto è dato leggere in rete, ha avuto un corposo finanziamento pubblico su iniziativa di soggetti cui in Italia fa capo il B’naï Brith. E a quanto leggo il signor Gatti è l’estensore di una Rubrica sul “Pregiudizio antiebraico”, consistente in raccolte di articoli sulla stampa, redatti a loro volta da personaggi dello stesso giro. Ho già osservato in altra occasione come sarebbe il caso di concentrare l’attenzione sul pregiudizio “ebraico”, ben più consistente di quello (presunto) anti-ebraico. Ma non esiste un finanziamento pubblico per questo genere di ricerche, che il dott. Valli ha invece condotto per suo conto producendo una documentazione impressionante.

Dunque, questi Signori mai e poi mai risponderanno in primo luogo perché consapevoli della loro malafede, ma anche in virtù di un loro pregiudizio “razzista”. Infatti, se ci si imbatte in costoro si riscontra spesso, quasi fosse una parola d’ordine, una direttiva ricevuta da organi centrali, in argomentazioni del tipo: “io non parlo con uno che...”. Se la digressione non mi portasse ora lontano, avrei avuto da raccontare risvolti assai comici che rinvio ad altra occasione. Anche nella cosiddetta Indagine parlamentare della Signora Nirenstein sul presunto “antisemitismo”, una “indagine” che disonora il Parlamento italiano e ben mostra quanto sia caduto in basso, era stato detto da un parlamentare non troppo asservito alla Lobby che in una indagine conoscitiva avrebbero dovuto essere ascoltati anche i soggetti ai cui danni ed alle cui spalle veniva condotta una siffatta indagine, ossia gli storici “revisionisti” bollati diffamatoriamente e aprioristicamente come “negazionisti”. Ma avendo ben chiara la sporca operazione in atto, da soggetti NON parlamentari è stata data l’indicazione, anzi l’ordine, che NON si dovesse concedere l’«onore» di ascoltare e far parlare quelle persone contro le quali si vogliono imbastire leggi penali, per sanzionare niente altro altro che il loro diritto costituzionale alla libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento.

Qui una parentesi va aperta per spiegare l’ipocrisia con la quale questi Signori intendono aggirare non solo chiaro dettato costituzionale ma anche tutte le dichiarazioni universali dei “diritti dell’uomo” – ahime! quanti crimini vengono commessi con la scusa dei “diritti dell’uomo”, una “ingerenza umanitaria” che produce morti ammazzati e per fame a milioni –. Come ragionano questi Ipocriti del terzo millennio? Certo, dicono, la libertà di pensiero è sacra ed intoccabile. Ma siccome a “negare” fatti remoti che sono noti solamente per nostra statuizione, e che devono dunque essere presunti “de iure” e “de facto” veri ed indiscutibili, i reietti “negazionisti” (le streghe della nostra epoca) non fanno altro che ledere la “dignità” dei morti che ogni anno diventano sempre più morti, per il maggior decorso del tempo della loro dipartita, noi non facciamo altro che punire e reprimere la lesione della “dignità dei morti”, sacrificando ai morti “la dignità dei vivi”. Con questo artificio da miserabili azzeccagarbugli si persegue lo scopo politico di mettere a tacere qualsiasi critica verso lo stato di Israele, che si avvale di un esercito di “sayanim” – leggasi Atzmon ed altri –, cui appunto si deve la produzione di siffatte leggi e l’attività mediatica che le accompagna.

Va ancora notata una particolare incoerenza, di cui si è trovato vittima proprio Ilan Pappe, storico della “Pulizia etnica della Palestina”, ma anche figlio di un “ebreo”, al quale nella Germania degli anno Trenta era stata negata la libertà di parola. Orbene, nella Germania di inizio Terzo Millennio si verifica la stessa cosa per il figlio, che a Monaco in una sala del comune non ha potuto parlare per l’opposizione degli “ebrei” della locale comunità. La cosa si è saputa e Pappe ha scritto al riguardo una Lettera aperta che noi in questo blog abbiamo tradotto e pubblicata. È da dire che anche a Roma a Pappe è stata negata la libertà di parola in una sede pubblica, ma qui i retroscena non sono così documentabili e scoperti come in Monaco di Baviera. Tuttavia, la verità è facilmente intuibile. Un altro esempio collegato è ancora più recente. Qualche anno fa avrebbe dovuto tenersi a Roma nel Palazzo di Giustizia un convegno (con relatori venuti dalla Germania) sulla spinosa questione della “libertà di pensiero”, ma poteri occulti hanno fatto negare la sala, prima concessa, all’ultimo momento. E fin qui lo scandalo è ridotto. Senonché nella stessa sede non è stata invece negata la sala a chi si sta facendo promotore per mettere il bavaglio ad ogni non gradita libertà di pensiero, aggirando perfino la volontà del parlamento e la sovranità del popolo italiano. Questi Signori vorrebbero una applicazione automatica e regolamentare del Trattato di Lisbona, rendendo del tutto impotente il Parlamento italiano che - ministro Mastella – aveva dovuto tener conto della alzati di scudi della corporazione (pur non gloriosa) degli storici italiani, che in questo modo avrebbero visto il loro mestiere ridotto al rango di giornalisti embedded dei fatti storici del passato remoto. La legge non passo e vi fu soltanto un rincrudimento della infame legge Mancino, la cui “storia” sociologica e politica andrebbe utilmente ricostruita.

Concludo rilevando l’incoerenza morale della discriminazione, che gli “eredi” sedicenti e presunti delle Vittime per antonomasia praticano oggi verso quanti hanno la sola colpa di non accettare perinde ac cadaver le loro argomentazioni e le loro ricostruzione storiche del passato nonché il loro catalogo dei diritti. Come il dottor Valli, di nulla i nuovi paria sono responsabili che di far esercizio del loro libero pensiero. Poiché si è parlato di “dignità dei morti”, che questi Signori pretendono di tutelare mandando in carcere degli innocenti, è il caso di rilevare con Norman G. Finkelstein che proprio dei morti – che dovrebbero essere lasciati riposare in pace – sono loro ad abusare. Quei morti non potranno mai aver pace finché del loro nome e della loro memoria si continuare ad abusare per trarre vantaggi materiali e per far soffrire ingiustamente innocenti e uomini amanti della pace e della giustizia nonchè della verità. Stando così le cose, non dico ingenuo, ma è tecnicamente impossibile che uno Stefano Gatti abbia a rispondere a chi decostruisce e svela le sue menzogne e la sua attività denigratoria, non potendo tecnicamente dire “diffamatoria”, giacché l’uso di questo termine è una prerogativa giudiziara, ahimé di una Giustizia che si troverà ingabbiata ove la Lobby anche in Italia riuscisse a far passare le “sue” leggi a detrimento delle libertà del popolo italiano, che dovrebbe essere per lo meno sovrano in casa sua, infestata da sayanim che altro non vogliono che la sua rovina.

Antonio Caracciolo

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Seconda lettera del dottor Gianantonio Valli
 al signor Stefano Gatti

 Gentile signor Stefano Gatti,

G. Valli in Milano 14 luglio 2012
nella speranza che Lei concordi nuovamente sulla necessaria diffusione in ogni sede mediatica delle mie considerazioni, ardisco far seguito alla mia del 29 luglio.

            Questa volta però, vista l'assenza di una Sua risposta, ho deciso di risparmiare busta, carta e francobolli per le destinazioni postali a Milano e Roma. Non me ne voglia se la somma risparmiata servirà ad acquistare altre pubblicazioni e volumi. Del resto, assicuro, si tratterà sempre di documentazione su di Lei e i suoi congeneri.

            Per quanto a noi goyim, ed a me in particolare, ripugni perdere tempo in questioni inessenziali, ritengo pur sempre corretto aderire alla massima «chiedere è lecito, rispondere è cortesia». Ovviamente, quando si tratti di rispondere a quesiti gentilmente formulati, senza intenti polemici né volontà di aprire, ad esempio con Lei, una diatriba intellettuale.

            Non entro quindi nel merito del problema Siria, sul quale abbiamo probabilmente visioni discordanti, e neppure tratterei della legittimità dello Stato degli Ebrei o dell'annosa questione «nazismo/neonazismo». Per la quale ultima mi sono già dilungato, sperando comunque di avere chiarito, con Sua soddisfazione, un problema culturale che forse tuttora La affligge.

            Da informazioni raccolte, ho saputo che Lei sarebbe il responsabile di tale «Osservatorio sul pregiudizio antiebraico». Mi sarei maggiormente compiaciuto se la dizione fosse stata «Osservatorio sul giudizio antiebraico». Non ritenga che gli avversari dei Suoi congeneri siano sempre affetti da pre-giudizi, irrazionali e non documentati! Talora – certo raramente o forse mai secondo Lei – potrebbe trattarsi di post-giudizi. Giudizi cioè a posteriori, razionali e documentati. Ma non voglio sottrarLe ulteriore tempo per la Sua prestigiosa professione di Osservatore. Entro in argomento.

            Al punto 5 della mia lettera Le avevo chiesto su quale mia nefandezza Lei basasse l'aggettivo «famigerato», usato per definire la mia persona. Non mi ha risposto. Taluno mi ha suggerito che il motivo poteva essere il mio radicale rifiuto dell'impostazione mentale dei Suoi congeneri. Talaltro, la mia ripugnanza per il Santo-che-benedetto-sia. Talaltro ancora, rifacendosi a più concrete analisi politiche, la mia irriducibile avversione ad essere preso per i fondelli.

            Boh! Penso che, in mancanza di una Sua risposta, dovrò rassegnarmi a restare nell'ignoranza. Certo, non mi affiderò alla Giustizia Democratica né la inviterò coi padrini ad un appuntamento dietro il convento dei Carmelitani. Anche se «la giustizia deve essere di questo mondo». Anche se per l'Altro Mondo ho fatto mio il «Let din welet dayan» del sublime Acher (non per Lei, ma per i goyim traduco: «Non c'è giudizio né Giudice»). Invero, lascio ai Suoi congeneri deboli di mente la questione «retribuzione nel Mondo Avvenire». Deboli di mente, chiarisco, qualora ci credano davvero. Forti invece di mente, fortissimi e ammirevoli, qualora di tale superstizione abbiano impregnato, quale arma letale, la mente dei goyim. Abbia pazienza, ormai mi conosce, mi cito:

Per il goy Kevin MacDonald, docente di Psicologia alla Ca­li­fornia State Univer­sity, il giudaismo, al di là di tutte le tattiche che lo razio­na­lizzano quale religione, altro non è che «una strategia evolu­zionistica ecolo­gica­mente specializza­ta [...] sostanzial­mente centrata sulla difesa del gruppo», massi­mo tra i paradigmi di etnocentri­smo e competizione per il successo economico-ripro­duttivo, «una strategia di gruppo altruistica, nella quale gli interessi dei singoli sono subordinati a quelli del gruppo»: «"Ciò che importa davvero nella reli­gio­ne ebrai­ca non è l'immortalità del singolo ebreo, ma quella del popolo ebraico [...] Il futuro della nazione, e non quello dei singoli, resta l'obiettivo decisivo" [S.W. Baron, A Social and Religious History of the Jews, I e II, edito nel 1952 da The Jewish Publication Society of America]». Una strategia che ha portato nei millenni, con la voluta separazione degli ebrei dal resto dell'umanità, ad una sorta di «pseudo­spe­ciazione»: «Per coloro che si dispersero in civiltà estranee, anche dopo generazio­ni, "il giudai­smo fu in realtà non tanto la religione della madrepatria quanto la religione della razza ebraica; fu una religione nazionale non in senso politico, ma in senso genealo­gi­co" [G.F. Moore, Judaism in the First Centuries of the Christian Era: The Age of the Tannaim, I, Harvard University Press, 1927]. Di conseguenza, convertirsi "non signi­ficò entrare in una comunità religiosa, ma venire naturalizzati nella nazione ebraica, e cioè – dal momento che l'idea di nazionalità era razziale più che politica – essere adottati dalla razza ebraica"» (in MacDonald I), ribadendo che «possia­mo concepire il giudaismo soprat­tutto come un­'invenzio­ne culturale­, mantenu­ta in vita dai controlli sociali che operano per strut­tu­rare il comportamento dei membri del gruppo e caratte­rizzata da un'ideolo­gia reli­giosa che razionalizza all'inter­no del gruppo il comporta­men­to sia nei confron­ti dei membri del gruppo sia nei con­fronti degli estranei [that rationalizes ingroup beha­vior both to ingroup members and to outsiders]» (in MacDonald II).

BIBLIOGRAFIA:

MacDonald K. (I), A People that Shall Dwell Alone - Judaism as a Group Evolutionary Strategy, Praeger, 1994

MacDonald K. (II), Separation and Its Discontents - Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Praeger, 1998

MacDonald K. (III), The Culture of Critique - An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Praeger, 1998

MacDonald K. (IV), An American Professor to Responds to a "Jewish Activist" - Dr. MacDonald's Testimony in the Irving-Lipstadt Trial, «Journal of Historical Review» n.1/2000

MacDonald K. (V),  prefazione alla nuova edizione di  The Culture of Critique, 1stbooks Library  (in proprio), 2002, in  csulb.e­du/~kmacd/books-Preface.html

MacDonald K. (VI), Judaismus als evolutionäre Strategie im Wettstreit mit Nichtjuden, «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» n.4/ 2006.

            La mia seconda domanda – priva di malizia come la prima – era tesa a sapere se Lei fosse «figlio degli autori del volume, tosto mandato al macero, Il quinto scenario, edito nel 1994 da Rizzoli, nel quale si avanza la tesi che ad abbattere l'aereo passeggeri su Ustica furono due caccia israeliani». In caso affermativo La avrei pregata di indirizzare i miei complimenti e il mio rammarico agli autori. I complimenti, per l'acutezza investigativa e l'indipendenza intellettuale mostrata nel trattare un tema tanto esplosivo. Il rammarico, perché il volume è stato distrutto dall'editore e mai più ristampato. Un rogo di libri, Lei m'intende! Dopo le querimonie di Avi Pazner, ambasciatore dello Stato degli Ebrei.

Infine, mi accorgo di essere incorso, nella precedente lettera aperta, in due inesattezze (ma anch'Ella, del resto, a parte i rilievi già da me formulati, ha definito «lungo discorso» la mia esposizione di soli tredici minuti... vedrà nelle prossime conferenze!).

            La prima: ho traslato l'anno goyish 2012 nell'ebraico 5769, mentre chiunque sa che l'anno corretto è il 5772. Il 5772° anno dalla Creazione del Mondo.

            La seconda: ho definito «avvocatessa» Donatella Di Cesare, per quanto la quarta di copertina specificasse che è «professore ordinario di Filosofia teoretica». Chiedo scusa per il mio blocco mentale. Invero, dopo avere letto l'opuscoletto liberticida Se Auschwitz è nulla - Contro il negazionismo, mi ero inconsciamente convinto che nessun docente di filosofia avrebbe potuto assemblare una tale accozzaglia di sofismi e spacciarli per ragionamenti. Forse, ma non ne sono sicuro, nemmeno un azzeccagarbugli. E chiedo scusa agli azzeccagarbugli.

            Con osservanza

Cuveglio, 13 agosto 2012

sabato 4 agosto 2012

Davanti alla RAI contro la disinformazione sulla Siria e altro

Torno giusto giusto adesso da un sit in davanti alla sede RAI in Roma di viale Mazzini, oggi, in un caldo 4 agosto 2012. Ne do subito notizia per i lettori di questo blog con qualche riflessione estemporanea. Non eravamo moltissimi, non eravamo oceanici, se questo caratterizza il successo di una manifestazione. Ed io stesso ne sono venuto a conoscenza quasi per caso. Insieme a me c’era qualche italiano e la maggior parte credo fossero di nazionalità siriana, residenti in Roma. Fra questi l’unica persona che ho riconosciuto è stato Mons. Capucci, da me sempre difeso ogni volta che lo vedo attaccato dai sionisti, che lo hanno tenuto in prigione, torturandolo, per quattro anni. Gli è stato imputato un contrabbando di armi e su questo viene sempre attaccato dai signori sionisti, che di armi ne hanno da vendere e ne vendono. Da un italiano oggi ho sentito che è perfino possibile che le armi gliele abbiano messo nella macchina i sionisti stessi. E la cosa non mi stupirebbe affatto, sapendo di quanti e quali cose sono capaci costoro. Ha 93 anni, lucidamente portati. Ne ho voluto fare io una verifica, ripetendo per la seconda la stessa cosa, nel prendere commiato da lui. La prima volta era stato qualche ora prima, all’inizio della manifestazione protrattasi dalle 14 alle 18. Ma l’anziano vescovo se ne è accorto benissimo e quasi quasi mi sorbivo un rimprovero.
Mons. Capucci, nato in Aleppo
Il momento più alto della manifestazione è stato al suo termine, quando Mons. Capucci ha tenuto un breve discorso in lingua araba, che io non ho potuto comprendere. Ed è stato forse meglio così, perché ho potuto meglio notare l’afflato pastorale e la figura ieratica del sacerdote. Mi era stato spiegato - la prima volta che l’avevo appunto conosciuto – che la sua carica sacerdotale di capo della chiesa melchita è a vita. Non esiste per lui una età di pensionamento. E quindi non vi è niente di cui stupirsi, se identifica interamente la sua vita con le sorti del suo popolo, che è appunto quello siriano, essendo nato ad Aleppo, nel 1922, come leggo anche in quella fogna sionista che è Wikipedia, direi infestata da sayanim. Mi ha sorpreso e confortato ad un tempo, nelle poche parole che abbiamo scambiato, che lui nutre la speranza che si possa uscire presto da questo “tunnel”. Mi auguro che sia come lui spera. Io la vedo molto brutta ed assai nera.

Dicevo, non eravamo moltissimi, se il numero è un indicatore di successo. Ma non credo sia questo il parametro principale per valutare questo genere di manifestazioni, peraltro un “sit in”, dove si sono succeduti al microfono vari oratori e dove nelle pause i presenti hanno potuto parlare tra di loro e conoscersi, scambiandosi informazioni ed esperienze.  Ho trovato una grande chiarezza di idee. Mi ha anche sorpreso di sentire per la prima volta in nome di associazioni. Nessuno parla mai in questi incontri a titolo personale, ma sempre a nome di una associazione di cui fa parte. Ed è davvero una miriade di associazioni, delle quali mamma Rai non ci fa sapere nulla. I telegiornali della sera aprono con l’ultimo starnuto di Bersani o la centesima puntata del bunga bunga di Berlusconi. Sembra che non esista altro nell’universo politico e che niente maturi nella società. Ed è questo il nucleo della politica di disinformazione della tv di regime, fatta da idioti che vogliono rendere idioti quanti si abbeverano alla loro fonte. Ma la verità pare stia emergendo lentamente. E a questo punto si tratta per loro di adulterare ciò che non si può più nascondere. Cosa? Che diamine! Che i sedicenti “liberatori” della Siria sono bande mercenarie di assassini prezzolati, i quali per procura hanno ricevuto l’ordine di abbattere uno dei pochi paesi che non si sia voluto piegare al giogo del “sionismo”. Questo nome, sionismo, è stato fatto più volte negli interventi, a dimostrazione del fatto che si è ben consapevoli di cosa ci sia dietro.

Dicevo anche “chiarezza di idee”. E la cosa più notevole mi è parsa la piena consapevolezza che non esistono da una parte gli italiani e dall’altra i siriani. Esiste una stessa identità sociale, fatta di diritti, dignità, libertà minacciata e tolta, da una parte, e dall’altra l’oppressione di chi ha la stessa mancanza di rispetto dei propri cittadini e di ogni persona, appartenente a popoli contro i quali è portata la guerra, con stupidi ed ottusi ideologismi, che non ingannano ormai proprio nessuno e che vengono ripetuti come rumori assordanti privi di senso. A me è rimasto impressa la scenografia di una finta manifestazione in Tripoli, in realtà girata in studi televisivi credo del Qatar. Ebbene, quando ciò è stato rimproverato ad uno dei gaglioffi di Libia, che ora sono al governo, questi nel corso di una conferenza stampa parigina, ha ammesso il fatto, ma aggiungeva che si trattava di uno “stratagemma di guerra”, che appunto ci è stato propinato attraverso i media e noi ci siamo sorbiti e molti ne sono ancora ignari o immemori. Ciò avvenne ad opera degli stessi media che ora ci forniscono notizie sulla Siria. Ed è per questo, non potendo fare di più, che mi sono unito alla protesta davanti alla sede RAI, di cui per errore pago un doppio canone, che non mi è stato ancora restituito da Equitalia. L’unica mia risorsa sarà di non pagare il prossimo anno il rinnovo dell’abbonamento. Vedremo cosa succederà.

Dimenticavo di dire che non ho portato con me la macchina fotografica, aggeggio che mi infastidisce e mi toglie la concentrazione. Ma moltissime foto sono state scattate da altri ed appariranno a breve in internet. Le riprenderò da lì e qui mi riservo qualche riflessione aggiuntiva a queste annotazione estemporanee redatte di getto. Come anche mi riservo la correzione dei refusi, che hanno indotto qualche mio nemico a dire che non so scrivere: è possibile.