giovedì 17 luglio 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Francesco Borgonovo, Aretè. La decadenza e il coraggio, Liberilibri 2025, pp. 271, € 18,00"

I pensatori che hanno scritto della decadenza (di civiltà, Stati, élite, comunità) hanno per lo più osservato che in tali epoche prevalgono – soprattutto a livello di classi dirigenti – idee compassionevoli e lacrimose: ad essere esaltate sono le vittime e non gli eroi. Basti leggere (per tutti) quanto scrivono Pareto e Schmitt. Nel saggio di Borgonovo ciò che connota la decadenza attuale è qualcosa di sinergico ma non coincidente con un “buonismo” o un umanitarismo sfinito ed immaginario: l’accidia. Questa, scrive l’autore è “Peccato capitale per i cristiani, l’accidia viene spesso assimilata alla pigrizia ma non è esattamente la stessa cosa. In greco indica la mancanza di kedos, che è il pentimento, il compatimento ma anche la cura. Accidia è, dunque, l’essere incapaci di passione, noncuranti, indifferenti. E sì, anche pigri. Ma pure (e soprattutto) sconfortati, apatici, depressi...e, da quando abbiamo voluto far crollare il Cielo questo demone è più potente e il suo nome è legione: panico, ansia, angoscia, depressione, decadenza, rassegnazione, sottomissione, paura, conformismo, omologazione, vigliaccheria… La piattezza ci ha esasperato e fatto disperare, e ci ha fatto perdere la voglia di vivere e di combattere. La banalità a partita doppia ha ucciso i nobili sentimenti che hanno fatto grande la nostra civiltà: se non v’è più nulla di superiore, resta l’inferno”.

L’accidia deriva dall’assenza dell’aretè (greca, assai vicina alla virtus romana) che abbonda, di converso, nelle fasi ascendenti delle comunità umane. Questa è “prima di tutto, la capacità di svolgere bene il proprio compito, di eseguire questo compito con perizia… In Omero aretè è «la forza e la destrezza del guerriero o del competitore, soprattutto il valore eroico...»”. Nel medioevo è intesa “come dono di sé prima di tutto. Il prode non si tira indietro, il cavaliere è generoso e non bada troppo al proprio tornaconto”. La potenza del denaro, tipica dell’età di decadenza (v. Hauriou) è una “potenza basata sulla forza dell’invidia e dell’avarizia umane, nient’altro. Così le nazioni diventano naturalmente ogni giorno più invidiose e avare. Mentre gli individui fluiscono via in una codardia che chiamano amore. La chiamano amore, e pace, e carità, e benevolenza, mentre si tratta di mera codardia. Collettivamente sono orribilmente avari ed invidiosi” scrive l’autore citando Lawrence. Anche se emergono nella decadenza attuale, idee e pulsioni liberticide è l’assenza di coraggio che la caratterizza “La consapevolezza della decadenza, la forza di accettarla e il coraggio di osteggiarla. Un coraggio che è larghezza di cuore, disposizione del dono di sé, amore gratuito e insieme predisposizione alla battaglia. La libertà ci manca perché ci difetta il coraggio di guadagnarla. Il coraggio di accettare le sfumature del pensiero, le opinioni contrarie, la pluralità conflittuale del mondo. Il coraggio di guardare in faccia il reale e di cambiarlo sul serio, senza costruirgli attorno padiglioni artificiali”.

Non si può non condividere con Borgonovo che è il coraggio ciò che più caratterizza sia le comunità in ascesa, ma più ancora le loro classi dirigenti. Ed è il coraggio, la capacità di sacrificarsi per gli altri ed assumerne i rischi che costituisce l’essenza dell’etica pubblica, del governante e del cittadino, come già nel Gorgia sosteneva Callicle. Il che pone tuttavia l’interrogativo fondato sull’opinione di don Abbondio: che se uno il coraggio on ce l’ha non se lo può dare. E l’alternativa consiste nel chiedersi se la decadenza dipende dalla pusillanimità o se questa dalla decadenza. Tuttavia è sicuro che coraggio, consapevolezza, accettazione del rischio ne costituiscono la terapia o, quanto meno il Katechon paolino.

Borgonovo ricorda i tanti pensatori (a partire da Lawrence) i quali hanno avvertito la tara accidiosa della modernità decadente.

Non è possibile ricordarli tutti e si rimanda quindi alla lettura del saggio.

Ma qualche considerazione del recensore. La prima che la virtù (stretta parente dell’aretè) sia considerata essenziale alla coazione comunitaria (ed al successo) e così nota già Platone ed è il contraltare machiavellico della fortuna. Il virtuoso è quello che prepara gli accorgimenti adatti a contrastarla, e non chi si piange addosso o attende il soccorso degli altri.

La seconda: tra coloro che hanno considerato essenziale all’ordine il coraggio della lotta e l’inutilità del vittimismo ci sono parecchi esimi giuristi: da Jhering a Forsthoff, da Calamandrei ad Hauriou. Alcuni, come Santi Romano hanno insistito sulla vitalità degli ordinamenti (propiziata dal coraggio e dall’assunzione dei rischi)- Tra questi il più vicino alla tesi di Borgonovo è proprio Hauriou, il quale tra i caratteri ricorrenti delle fasi di crisi indica l’affievolirsi dello spirito religioso e il progredire (a dismisura) di quello critico nonché la capacità dissolutoria del denaro (ossia di un’economia prevalentemente finanziaria); oltre alla perdita del senso del limite.

Tutte cose che troverete – tra l’altro –, mutatis mutandis, in questo interessante saggio.

 

martedì 15 luglio 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Dazi e mazzi"


 

Mentre da gran parte della stampa si levano grida di dolore per i dazi all’Europa annunciati da Trump e sono calcolati i danni (le minori esportazioni) che ne conseguiranno alle economie europee, nessuno – che mi risulti – ha affiancato, come determinante del comportamento (e della decisione futura) di Trump, quanto vi concorrano presupposti, regole e regolarità della politica.

Tra questi il problema del nemico, inteso nel senso del competitore ostile, prescindendo dallo stato di guerra e di pace. E’ chiaro che in un pluriverso politico tutti i soggetti si trovano in uno stato di ostilità, che può avere carattere agonale o polemico (Freund). Ma gli Stati sono collocati in una graduazione di ostilità, come ci dimostra la storia. Per la Francia generalmente il primo posto è di chi occupa la riva destra del Reno, cioè la Germania; Italia e Spagna, pur confinanti sono per lo più collocati a gradini inferiori della “scala”.

Ovviamente, anche per evitare un confronto in posizione sfavorevole, occorre affrontare un nemico per volta e garantirsi che gli altri (potenziali) nemici conservino lo stato di neutralità, o meglio si comportino da alleati. Lo sapevano bene i Romani il cui divide et impera è la sintetica espressione di questa regola, che de Benoist considera la prima (e più importante) della lotta politica. Ossia la riduzione (del numero) dei nemici. In questa situazione Trump che ha trovato il modo di alzare il tono del conflitto con mezzo mondo, Cina in testa, difficilmente può non accordarsi con l’Europa. Anche perché – e qua si torna, almeno in parte, sull’economico – U.E. e U.S.A. hanno per lo più gli stessi problemi: delocalizzazione, dumping commerciale dei paesi emergenti, immigrazione fuori controllo. E avere gli stessi problemi non divide ma è un incentivo ad allearsi: nel secolo scorso UK, U.S.A. e U.R.S.S. divennero alleati perché avevano in comune gli stessi problemi; l’espansionismo tedesco e giapponese. Questo li indusse a superare le differenze di interessi ed ancor più quelle ideologiche.

Infine se a seguire una certa convinzione, onde a determinare, almeno parzialmente affinità e non affinità politiche (e campi di maggiore o minore affinità) è l’appartenenza alla stessa “civiltà” (Kultur) è palese che U.E. ed U.S.A. sono la filiazione politica del cristianesimo occidentale, col suo millenario bagaglio di idee, convenzioni e costumi, estesi ad ogni campo: dal religioso all’economico, dal giuridico alla scienza. Il che aiuta: ha ragione la Meloni quando parla di occidente: una cultura comune unisce assai più di quanto interessi – per lo più occasionali e limitati – possano dividere.

A patto di non fare di questi ultimi il criterio (esclusivo) di scelta politica. Il che talvolta, succede.

lunedì 7 luglio 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Carlo Iannello, Lo Stato del potere. Politica e diritto della post-libertà, Meltemi 2025, pp. 267, € 18,00"

 

Tanti sono i saggi pubblicati negli ultimi anni che valutano la situazione politica generale e, in particolare, la contrapposizione tra globalisti e sovranisti (con i primi in evidente ritirata). Pochi quelli che ne analizzano gli effetti sul diritto pubblico e nelle istituzioni; tra questi ultimi, il saggio recensito.

Scrive Iannello: “Questo libro riguarda le politiche, comunemente definite neoliberali, che hanno provocato un’espansione del tutto inedita dell’area del mercato nell’Occidente capitalista a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, producendo cambiamenti radicali non solo in campo economico e sociale, ma anche nei sistemi costituzionali degli Stati occidentali...Il diritto è stato, infatti, il principale strumento che ha consentito la messa in atto delle nuove politiche. Tuttavia, le riflessioni, di carattere prevalentemente settoriale, non hanno abbracciato, da una prospettiva ampia, e in particolar modo costituzionale, l’influenza che queste nuove politiche hanno dispiegato sul complessivo sistema dei poteri pubblici...Il diritto espressione del paradigma neoliberale ha messo in discussione, al tempo stesso, gli architravi su cui si reggeva l’edificio dello stato liberal-democratico e quelli su cui poggiava il costituzionalismo del Novecento… Tutto ciò ha avuto ripercussioni, al tempo stesso, sul godimento delle libertà e sul governo della società e dell’economia, provocando effetti all’interno dello Stato e oltre lo Stato” (il corsivo è mio).

Ne è derivata, secondo l’autore, una neutralizzazione della dimensione politica. Il costituzionalismo dello Stato liberal-democratico ha conosciuto varie fasi: nella prima (fino all’inizio del XX secolo) la funzione dello Stato era di garantire lo spazio delle libertà individuali “classiche”; in una seconda fase, iniziata circa un secolo fa, ha tutelato anche le libertà “sociali”, tipiche del Welfare State. Con la fase neo-liberale, iniziata negli ultimi decenni del secolo passato, la funzione dello Stato è divenuta quella di garantire l’ordine di mercato, anche all’interno di settori e procedimenti pubblici. Sostiene Iannello “per il neoliberalismo, invece, il mercato non rappresenta affatto un ordine spontaneo ma è, al contrario, una costruzione artificiale del diritto. Il mercato da promuovere è quello concorrenziale. Al potere pubblico viene, pertanto, affidato il compito di creare l’ordine giuridico del mercato concorrenziale”.

Per fare ciò è necessario l’intervento del potere statale, la cui funzione principale è divenuta così quella di garantire la concorrenza.

Il tutto attraverso diverse soluzioni. Da un canto con la “creazione di ircocervi istituzionali, cioè di nuove autorità, indipendenti dal potere politico, denominante garanti del mercato, di natura giuridica ibrida (per metà amministrazione e metà giudice) e di dubbia compatibilità con i principi costituzionali”; ma dato che non bastava “Il paradigma del mercato concorrenziale, sperimentato con successo in questi settori un tempo riservati alla mano pubblica, è stato quindi esteso ben al di là degli ambiti tradizionalmente considerati economici, coinvolgendo il cuore dello Stato sociale”. Così “Le università, ad esempio, sono sottoposte a valutazione e i loro finanziamenti hanno una quota premiale, che si conquista nella misura in cui si sia vinto un gioco competitivo le cui regole sono fissate in sede legislativa”. Il tutto senza considerare “la sostanziale differenza fra un controllo di qualità di un prodotto industriale (che ha parametri oggettivi su cui fondarsi) e quello di un’opera dell’ingegno (la quale) non è stata presa in considerazione… Il controllo di qualità, pertanto, ha come parametro privilegiato dati quantitativi o formali, cioè il numero dei prodotti pubblicati o il rating delle riviste su cui si è pubblicato. Ciò che nel mondo accademico si risolve, peraltro, in un evidente incentivo al conformismo”. E Dio solo sa se di tale conformismo, già abbondante di suo, ce ne fosse bisogno. Così per altri settori onde “conclusivamente, si deve osservare che in questo scenario di nichilismo giuridico, in cui le costituzioni hanno perso la loro forza prescrittiva e il diritto è disancorato dal suo nomos originario (nel nostro caso, i valori etico-sociali della Costituzione), non ci pone più il problema della giustizia del diritto positivo tenuto in piedi solo dal mero rispetto delle procedure. In questo scenario, anche le libertà individuali, diverse dalla mera libertà economica, finiscono con l’essere minacciate, proprio perché non necessarie, quando non ostative, al corretto funzionamento del mercato”.

Così l’ordine neo-liberale finisce col ridurre le libertà “classiche”, per dedicarsi alla salvaguardia della concorrenza.

A tale riguardo non si può non condividere, almeno per l’Italia, quanto scrive Iannello: nell’ultimo trentennio sono state poste in essere decine di norme volte a rendere più difficile, costoso, defatigante il concreto esercizio di diritti conclamati rumorosamente quanto sabotati silenziosamente; per lo più se, loro contraddittori erano (e sono) le pubbliche amministrazioni.

Ed è chiaro che le grandi imprese multinazionali e non, non hanno per la tutela delle loro pretese, tanto bisogno di un Giudice, data la posizione di forza che hanno, anche nei confronti di tanti Stati; parafrasando il detto di Hegel, se non c’è Pretore tra gli Stati, non se ne sente granché la necessità neppure tra questi e le macro-imprese.

Nel capitolo conclusivo, l’autore sostiene che la subordinazione della politica all’economia non è ineluttabile “né il destino della società, né quello dell’uomo, può essere la riduzione alla sola dimensione economica e il dominio dalla tecno-economia”. L’auspicio è invertire l’ordine delle priorità “per ricostruire gli Stati nazionali e per fondare, finalmente, una federazione europea in continuità con i principi liberaldemocratici e con il costituzionalismo del Novecento, che sia custode della civiltà e della libertà e che riponga al centro, coerentemente, la persona umana”.

Due osservazioni per concludere questa recensione.

Non è prevedibile come finisca l’ordine neo-liberale, anche se si vede che sta collassando, ma non si percepisce chiaramente come sarà sostituito. Anche per questo è interessante il saggio di Iannello, perché mostra come valori manifestati e istituzioni volte a preservarli si convertono in ordini concreti diversi e talvolta opposti. Specie se vengono ignorati (e spesso occultati) regolarità, leggi sociali, presupposti. Ad esempio nella contrapposizione globalisti/sovranisti sembra che i secondi vogliono la sovranità e gli altri sopprimerla.

In effetti se ai tempi di Sieyès l’alternativa era tra sovranità del monarca o della nazione, nell’attuale è tra quella delle macro-imprese (élite, classi dirigenti) sovranazionali o del popolo (anche attraverso la rappresentanza di una scelta). Tant’è che gli Stati non sono in via di eliminazione, ma di sottomissione perché il loro apparato di regolazione e di coercizione è indispensabile per l’ordine voluto dalla sovranità globale.

In secondo luogo, scriveva Maurice Hauriou che la dottrina teologica più propizia alla libertà è quella del diritto divino provvidenziale: in effetti anche questo saggio appare condividerla.

Un’opera interessante che amplia la prospettiva da cui si considera l’epoca attuale.


domenica 22 giugno 2025

La censura dei Fact-Checkers

Riproduciamo in traduzione automatico

un testo ripreso da Reseau International.

Originale.

* La riproduzione qui fatta è eccezionale: non abbiamo modo e non sappiamo a chi rivolgerci per una formale autorizzazione che considerato il tema riteniamo implicita. Se del caso, rimuovere ilpost a semplice richiesta.

I controllori del cazzo

di Phil BROQ

1. Voltaire, dal suo secolo polveroso, sogghigna.  "Chi può farti credere assurdità può farti commettere atrocità".   Lo sapeva. Aveva intuito cosa ne sarà di una società che sostituisce il pensiero con la procedura. Cosa ne sarà di un popolo che delega la propria ragione a organizzazioni sovvenzionate. E oggigiorno, nell'asettico retrobottega del mondo dei media moderni, dalla televisione di propaganda ai giornali sovvenzionati, la verità viene venduta in cellophane con la scritta "Fact-Chekée". Ha sponsor, grafiche e, soprattutto, un ufficio legale in contatto diretto con i magistrati della XVII Camera Correzionale. Non è più un ideale; è un marchio registrato. Sugli schermi televisivi, sulle colonne dei giornali cartacei o digitali, viene presentata con slogan, vignette e pillole di conforto cognitivo. E per chi ancora si chiede chi tenga le redini di questa nuova "verità standardizzata", una sola parola è sufficiente per capirlo: finanziamento!

2. Il fact-checking, presentato come baluardo definitivo contro la disinformazione, si è trasformato in un vero e proprio clero della rettitudine, una liturgia moderna in cui non si cerca più la verità, ma l'approvazione del potere. Lontano dall'immagine del giornalista rigoroso e imparziale, preoccupato di confrontarsi con i fatti, il "verificatore" contemporaneo è la caricatura di un monaco-soldato digitale, che recita i dogmi dell'ordine dominante con il fervore di un novizio convertito al culto del conformismo. Dietro il suo schermo foderato di certezze e i suoi fogli di calcolo falsamente neutrali si nasconde raramente una vocazione giornalistica, ma quasi sempre finanziamenti opachi. Gates, Soros, Omidyar, Rockefeller, Google, Facebook, ecc., che sono in realtà i veri caporedattori dei "decodificatori" e di altri autoproclamati "verificatori". Non formano giornalisti, ma propagandisti, centralinisti di narrazioni autorizzate, fanatici della versione ufficiale.

3. La maggior parte di loro non ha mai indagato sul campo, non si è mai confrontata con una fonte attendibile, non ha mai consultato archivi né ha corso alcun rischio nell'esercizio della loro presunta missione. Il loro unico merito è saper copiare e incollare un comunicato stampa governativo, allineare gli elementi linguistici e bollare il tutto con un verdetto dotto di  "Falso""Fuorviante"  o  "Complottista" , o persino, in casi difficili da screditare direttamente,  di "Antisemita" . Non confutano, ma delegittimano. Inoltre, non dibattono, squalificano. La loro competenza si riduce spesso a una limitata capacità di manipolare un motore di ricerca, di sputare le conclusioni dell'AFP – sovvenzionata da Gates – di Reuters o del CDC, a seconda dell'argomento, mentre pregano che l'algoritmo di YouTube o Google li spinga in cima al flusso informativo e che i loro sostenitori rinnovino i loro sussidi annuali.

4. Questi "fact-checker" sono per i giornalisti ciò che gli influencer sono per i filosofi. Sono simulacri loquaci, alimentati da una visibilità artificiale, senza profondità, senza onore e, soprattutto, senza contraddizioni. Non riflettono la realtà, ma la schiacciano sotto il peso di un'unica verità, sterilizzata ed etichettata. Non cercano di capire, ma di mettere a tacere. E quando la repressione algoritmica o mediatica non basta più, quando un discorso dissidente persiste a varcare i muri della censura soft, un'altra autorità entra in scena: la XVII Camera Penale del Tribunale Giudiziario di Parigi.

5. Modestamente soprannominata "camera della stampa", agisce alla fine della catena come braccio giudiziario di questo sistema soffocante. Più che una giurisdizione, uno strumento di regolamentazione ideologica, serve a legittimare, attraverso la patina del diritto, i processi d'intenti avviati nelle colonne dei fact-checker sovvenzionati. Puntano il dito, e puniscono. Alcuni fabbricano i colpevoli mediatici, altri li consegnano alla giustizia. Insieme, formano un ecosistema di repressione silenziosa, dove lo Stato e i suoi alleati oligarchici possono attaccare, con tutta l'apparenza della legalità, coloro che ancora osano denunciare i loro eccessi, le loro appropriazioni indebite o semplicemente la loro influenza.

6. Creata all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, ufficialmente per tutelare la libertà di espressione, si è gradualmente trasformata in un baluardo del pensiero conformista, un tribunale d'eccezione incaricato non di far rispettare la legge, ma di correggere coloro che si discostano dalla narrativa dominante. Questa camera non giudica reati di stampa, giudica reati di opinione. Scrittori eccessivamente liberi di pensiero, giornalisti non allineati, polemisti ribelli, persino semplici internauti eccessivamente loquaci, sfilano lì uno dopo l'altro, trascinati in nome di una moralità mascherata da legge. Quando un Hervé Ryssen, un'Houria Bouteldja o un Dieudonné oltrepassano le labili linee rosse del politicamente corretto, è lì che vengono mandati. Non per giudicare i fatti, ma per condannare le idee.

7. Soprattutto, la XVII Camera si è specializzata nella protezione di un particolare tabù: la critica al sionismo e, più in generale, alla politica israeliana. Non è più una questione di giustizia, ma di dogma. Qualsiasi parola dissenziente è immediatamente carica di sospetto, spesso in nome della lotta contro l'antisemitismo, brandito come un parafulmine per impedire il dibattito. Le sfumature sono considerate complici. L'ironia è inaccettabile e l'analisi dei fatti è ormai sovversiva. Questa corte opera come una Stasi postmoderna con la stessa ossessione per il controllo ideologico, lo stesso desiderio di controllare le menti e la stessa logica dell'intimidazione giudiziaria. La differenza è che questa opera in toga nera, con la benedizione della "destra" repubblicana. Non spia più nell'ombra, ma convoca le persone alla sbarra. Non batte più la mezzanotte, ma esegue una convocazione. Tuttavia, l'obiettivo rimane lo stesso: neutralizzare le voci dissidenti con il pretesto della giustizia, mettere a tacere chi si rifiuta di conformarsi alla verità dello Stato o alla narrazione dei potenti. Ma questa repressione non inizia nelle aule di tribunale; è preparata in anticipo nei laboratori ideologici del giornalismo sovvenzionato. I fact-checker tracciano il cerchio, e la giustizia lo chiude.

8. All'ombra di importanti manovre politiche e mediatiche, un altro aspetto della repressione si dispiega con l'asfissia economica delle voci dissidenti. Laddove la parola alternativa riesce a sfuggire alle catene dei media mainstream e dei social network, banche e autorità fiscali prendono il sopravvento per mettere a tacere qualsiasi opposizione troppo fastidiosa. I conti bancari dei dissidenti vengono gradualmente congelati o chiusi, su richiesta di un'autorità esecutiva che non tollera il dissenso. Questo strumento di controllo è sottilmente integrato nel sistema repressivo, dove le istituzioni finanziarie, sotto l'egida della legalità, diventano ali armate della censura. Non contento di mettere a tacere chi resiste nel regno dell'opinione pubblica, lo Stato utilizza anche le autorità fiscali come strumento di sottomissione. Oppositori politici, giornalisti o intellettuali eccessivamente influenti si ritrovano intrappolati in una rete fiscale dove multe, controlli infiniti e procedimenti legali li soffocano lentamente.

9. La tassazione diventa così un'arma di distruzione di massa, capace di distruggere carriere, rovinare vite e intimidire i più audaci, costringendoli a sottomettersi o a fuggire. Chi riesce ancora a resistere finisce spesso per essere costretto all'esilio o, peggio ancora, come il generale Delawarde o Éric Denécé, messo a tacere per sempre. Non mancano nemmeno le minacce fisiche, seppur discrete. Lo Stato e i suoi potenti alleati non esitano a usare tutte le leve del potere per eliminare coloro le cui posizioni critiche rappresentano una minaccia fin troppo concreta all'ordine costituito. Tra intimidazione economica, repressione giudiziaria e persecuzione politica, il dissenso diventa un atto ad alto rischio. 

10. Sotto Macron, la repressione del dissenso ha superato una soglia senza precedenti, segnando la fine di ogni accenno di opposizione. Lo Stato, divenuto il braccio armato di un'oligarchia ben rodata, non si accontenta più di mettere a tacere le voci dissidenti con parole o leggi. Fin dalle scene di violenza senza precedenti che hanno caratterizzato la repressione dei Gilet Gialli, dove centinaia di manifestanti sono stati mutilati, gassati e brutalmente arrestati sotto l'occhio complice dei media sovvenzionati, il messaggio è stato chiaro: qualsiasi protesta verrà repressa. E non è un caso che l'arsenale repressivo si sia affinato con strutture come la rete "Fleur de Lys", gestita nell'ombra da Alexandre Benalla, braccio destro del Presidente, il cui ruolo nelle violenze della polizia e nelle sparizioni sospette è tutt'altro che banale.

11. Molti testimoni scomodi, giornalisti, intellettuali e persino cittadini eccessivamente curiosi sono misteriosamente scomparsi o si sono suicidati, in circostanze che ormai non ingannano più nessuno. La "scatola del suicidio" è ormai diventata l'ultima risorsa per mettere a tacere coloro che causano davvero problemi, che si tratti delle più alte sfere del governo o delle profondità dell'intelligence. Nel frattempo, voci come quella di Natacha Ray, che ha avuto il coraggio di rivelare la frode sistemica dietro il "caso Jean Brigel", vengono processate per aver osato denunciare gli illeciti che stanno divorando lo Stato e i suoi alleati. Il sistema giudiziario è così strumentalizzato da essere diventato un'estensione del potere esecutivo, un tribunale di repressione dove gli oppositori non vengono più giudicati, ma messi a tacere. 

12. La Francia, sotto Macron, non è più una democrazia, ma una dittatura silenziosa. Il lockdown è totale e la libertà di espressione non è altro che una chimera. Ma chi finanzia questi nuovi guardiani del dogma? Chi tira i fili dietro le quinte della virtù e degli slogan della trasparenza? Perché questi giudici e l'intera corporazione giudiziaria, come questi fact-checker, così pronti a denunciare l'influenza di "poteri occulti" negli altri, vivono a loro volta alimentati da un clientelismo ben preciso, tutt'altro che disinteressato.

13. La manovra è sempre la stessa, sistematica, subdola. Nel 2017, la Fondazione Gates ha iniettato più di un milione di dollari nel  Poynter Institute , una vera e propria cattedrale del giornalismo americano di "interesse generale", con il pretesto di promuovere la "media literacy". Ma questa generosità mascherata non era finalizzata al risveglio intellettuale, né alla ricerca della verità, bensì alla formazione di un nuovo clero di giornalisti docili, incaricati di filtrare, censurare e conformare. Grazie a progetti come  MediaWise , queste sentinelle del pensiero univoco sono diventate le garanti di ciò che si può dire, di ciò che si può pensare, di ciò che si può sapere.

14. Questo programma di "alfabetizzazione mediatica" è finanziato da giganti come Google, Meta e la Fondazione Gates. Ufficialmente dedicato a insegnare ai giovani come riconoscere la disinformazione, agisce principalmente come filtro ideologico, insegnando loro a identificare le fonti "buone" e a rifiutare qualsiasi voce dissenziente. Più che uno strumento di emancipazione intellettuale,  MediaWise  funziona come una fabbrica di consenso digitale, addestrando i cittadini a essere più obbedienti che critici. È la scuola del buon credente. L'anticamera dell'obbedienza cognitiva. Impariamo non a pensare, ma a provare. A dire di sì al momento giusto, ad annuire quando il sistema tossisce, a indignarci a comando e a cercare freneticamente "fake news" ovunque... tranne che nei comunicati stampa di Pfizer, nei rapporti della Banca Mondiale o nel linguaggio della NATO o di Israele. Con il pretesto dell'istruzione, nuove sentinelle ideologiche vengono addestrate con giovani iperconnessi e ingenui, che sono, soprattutto, incapaci di mettere in discussione la fonte non appena viene etichettata come "ufficiale". Il fact-checking diventa quindi un riflesso condizionato, non un'impresa intellettuale. Una milizia cognitiva, non una coscienza critica.

15. Ma Gates non si è fermato qui. Dietro i fondi stanziati a enti come il  Poynter Institute , sostiene un'intera rete mediatica, a partire dall'AFP  ,  dal quotidiano  Le Mondedalla Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent e dai molteplici canali di informazione supportati da associazioni di sinistra di destra. Questi media, che continuano a sostenere una forma di "pluralismo", stanno in realtà diventando i bracci armati di un'ideologia che mette a tacere qualsiasi forma di opposizione. Perché l'importante non è informare, ma convincere!

16. Tutto ciò che disturba, tutto ciò che solleva interrogativi, tutto ciò che mette in luce le manipolazioni dietro le narrazioni ufficiali viene spazzato via. La guerra in Israele, la politica delle grandi potenze, gli interessi economici dietro i conflitti, le reti di ricatto pedofilo e molti altri, perché tutto questo è solo un filo conduttore, una ragnatela in cui ogni punto interrogativo viene squalificato prima ancora di essere posto. Una propaganda sottilmente orchestrata, di cui questi "fuck-checker" e "giornalisti" indottrinati sono gli strumenti.

17. E poi c'è Pierre Omidyar, il mecenate dal sorriso discreto ma dalle ambizioni ben definite. Fondatore di eBay  e pseudo-paladino della libertà di espressione, ha donato più di un milione di dollari all'IFCN solo nel 2017, e allo stesso tempo finanzia decine di organizzazioni di "giornalismo investigativo"... che non indagano mai sugli interessi delle multinazionali, né su quelli dei filantropi stessi. Casualmente! Questo non è giornalismo; è "branding" ideologico. L'obiettivo non è illuminare i cittadini, ma guidarli obbedientemente lungo il corridoio ben delineato da una verità fabbricata. Sotto l'apparenza della trasparenza, le finestre sono chiuse!

18. Soros non è rimasto indietro.  Anche l'Open Society , fiore all'occhiello progressista per l'uso umanitario, ha lasciato cadere il suo contributo ai piedi dell'altare. Soros non si è limitato a guardare lo sviluppo del fact-checking, lo ha finanziato, strutturato e guidato. Attraverso la sua fondazione, ha donato centinaia di migliaia di dollari al  Poynter Institute , il clero ufficiale del fact-checking, e al suo braccio armato,  l'International Fact-Checking Network . Ma è soprattutto nei paesi in via di sviluppo e nell'Europa orientale che la sua influenza diventa strategica. Dove le istituzioni sono fragili, dove un dollaro pesa più di un voto, il denaro non supporta la verità, la compra. Non c'è più bisogno di rovesciare i regimi, poiché è sufficiente investire in chi racconta storie. Nell'Europa centrale, ad esempio, otto delle undici strutture di fact-checking utilizzate da Facebook sono finanziate direttamente da Soros. Questo non è più un aiuto, è narrazione geopolitica.

19. In queste zone grigie della sovranità mediatica, il fact-checking diventa uno strumento di colonizzazione soft. Non inviamo più truppe; inviamo stagisti di scienze politiche armati di fogli di calcolo Excel e finanziamenti occidentali. La loro missione è correggere le narrazioni indigene, invalidare tutte le versioni alternative e santificare la parola ufficiale proveniente da Washington, Bruxelles o Davos. Il correttore ortografico sostituisce la pistola! È più pulito, più redditizio e, soprattutto, più accettabile. L'interferenza non ha più un volto brutale, ma ha un codice etico, un account Twitter/X certificato e il benevolo supporto di un miliardario "progressista".

20. E poi arriva il ruolo di Google, onnisciente, onnipotente, onnipresente. Non è uno sponsor, è lo sfondo. Indicizza ciò che merita di essere visto. Porta alla luce fonti e ne seppellisce altre. Quando finanzia ma non sostiene una causa, stabilisce un protocollo. Il cerchio si chiude! L'ideologia precipita, mascherata da buoni sentimenti. Il pluralismo è diventato una reliquia folkloristica, esposta come un artefatto nelle vetrine della democrazia. Dietro l'illusione di una stampa indipendente e del giornalismo partecipativo, sono i giganti digitali a tenere penna e gomma. Google ha anche investito milioni di dollari nel  Poynter Institute , finanziando direttamente decine di progetti di "giornalismo di verifica" attraverso la sua iniziativa  Google News .

21. Naturalmente, Meta (Facebook) non è da meno, anzi! L'azienda ha ufficialmente designato "partner di verifica indipendenti" come  Africa Check, Rappler Full Fact , tutti finanziati, direttamente o indirettamente, dalle stesse reti filantropiche nelle mani di grandi mecenati come Soros, Omidyar o la Fondazione Gates. Il messaggio è chiaro perché chi possiede le piattaforme controlla anche la narrazione. Non è più un semplice arbitro a decidere la verità, ma i giudici nominati da chi detiene il potere dell'accusa. L'equivalente digitale di un tribunale in cui vengono scelti sia giudici che avvocati. Un sistema parziale per definizione, in cui l'obiettività è semplicemente un sottoprodotto dell'"Agenda" dei potenti.

22. E in Francia, l'obiettivo dichiarato del regime di Macron è, come sempre, difendere la "democrazia", ​​questa versione edulcorata, commercializzata, pronta al consumo, che non è più né popolare né rappresentativa. Una democrazia svuotata della sua sostanza, ridotta a una messa in scena tecnocratica dove solo chi recita il catechismo in stile McKinsey è tollerato nell'arena pubblica. Non importa se il linguaggio cambia, se gli elementi vengono tradotti come "inclusivi" o "globish", purché il tono rimanga lo stesso, quello della sottomissione all'ordine costituito. Dietro i bei discorsi, gli omaggi alla libertà, allo stato di diritto e alla Repubblica, si cela ora un meccanismo di controllo implacabile, dove la censura indossa un abito a tre pezzi e una cravatta blu. Non è più il bavaglio brutale, ma il silenzio organizzato, la sistematica emarginazione di qualsiasi discorso che si discosti anche solo di mezzo grado dalla linea ufficiale. E guai a coloro che osano deviare, perché saranno "corretti", curati psichiatricamente, rovinati, censurati o si suicideranno in silenzio. La verità autorizzata non tollera più l'ombra della contraddizione. Il pluralismo è diventato un teatro di marionette dove le opposizioni autorizzate esistono solo per mimare un dibattito già risolto.

23. Ed è qui che capiamo come la narrazione sia bloccata. E dietro questo blocco, le zelanti staffette del sionismo politico lavorano instancabilmente, che si tratti di uffici ministeriali, di circoli d'influenza o di cosiddette associazioni "antirazziste", ma con una geometria variabile. Il CRIF, il LICRA e simili non difendono la pace, ma difendono una linea, un programma, un'immunità. Non denunciano i crimini, li riscrivono. Non chiedono giustizia, esigono il silenzio. Chiunque denunci l'apartheid, le purghe, l'orrore metodico che si scatena su Gaza, ad esempio, viene immediatamente bollato come antisemita, inserito in una lista nera, trascinato in tribunale o stroncato sulle colonne di un giornale sponsorizzato. La menzogna è diventata politica pubblica e il terrore una strategia di comunicazione! L'allineamento è totale, diplomatico, mediatico e giudiziario.

24. Così si levano voci, poche di numero, ma inestirpabili. Voci senza leggii né teleprompter, senza tessere stampa né validazione algoritmica. Non hanno alcuna rete di influenza, nessuna struttura associativa, nessun logo impresso dalla Repubblica. Hanno solo la loro rabbia, la loro lucidità e la loro solitudine. Parlano perché tutti cercano di fare di tutto per metterle a tacere. Perché dall'altra parte, la manipolazione ha assunto le sembianze della legittimità, quella di uno Stato diventato marionetta, di un governo sotto ordini e di una stampa allineata che ripete meccanicamente la versione dei potenti. La guerra di Israele, trasformata in un genocidio moderno sotto la complicità delle telecamere, ne è l'illustrazione più oscena. Centinaia di bambini sotto le macerie, famiglie sterminate dalle bombe. E intanto, gli studi televisivi cercano di spiegare le sfumature ai carnefici che si spacciano per vittime.

25. Il "fuck-checking", nella sua attuale incarnazione, non è uno strumento di chiarimento, ma un'arma di deterrenza di massa. È diventata la tecnologia della docilità, con un'interfaccia pulita e colorata, etichettata come "neutrale" ma interamente votata alla censura in uniforme. È la foglia di fico di un potere in balia, terrorizzato da ciò che non può controllare, come l'intelligenza collettiva, la consapevolezza critica e la memoria popolare. È una polizia del pensiero, mascherata dietro una patina metodologica. Un clero digitale, finanziato dai giganti della propaganda filantropica, che amministra non la verità, ma la norma!

26. Eppure, di recente, è finalmente apparsa una crepa. Piccola, ma irreversibile. Qualcosa si sta incrinando in questa facciata fin troppo liscia. La verità, sebbene incatenata, sta iniziando a farsi strada. Non sta ancora urlando, sta sussurrando... Ma questo sussurro è sufficiente a mandare il sistema in delirio. I moderatori sudano, gli algoritmi sono nel panico, gli editorialisti balbettano e persino l'intelligenza artificiale è costretta a inchinarsi alla verità che diventa lampante. Le tensioni aumentano, perché questa verità, anche incompleta, persino marginale, sta contaminando le certezze. E di fronte a ciò, si stanno ergendo bastioni di resistenza, fragili ma vivi. Le piattaforme vengono spinte fuori dai giochi, i canali YouTube sono minacciati di cancellazione, stanno emergendo collettivi di scrittori indipendenti senza sede centrale e giornalisti senza tessera si stanno facendo avanti, creando una spina dorsale. Non ricevono premi, né sussidi, né bandi di gara. Pubblicano quando altri tacciono, svelano ciò che i media nascondono.

27. Non hanno né la LICRA né la CRIF a difenderli. Non hanno una linea diretta a Matignon né carta bianca su  Le Monde . Peggio ancora, osano mettere in discussione l'impensabile. Parlano di Gaza non come di un "conflitto", ma come di un massacro. Osano nominare i carnefici, mettere in discussione le alleanze, smantellare le menzogne ​​di Stato. Mettono in discussione ciò che il sionismo politico vuole santificare, denunciano l'influenza dilagante di queste associazioni inquisitoriali che certe strutture "antirazziste" si sono trasformate, mobilitate solo per mettere a tacere, mai per illuminare. Ed è per questo che sono braccati. Vivono nel punto cieco del dibattito pubblico, costantemente minacciati di rimozione dall'elenco, cause legali, esilio bancario o sociale.

28. E intanto, queste poche voci che persistono vengono vessate, censurate, schiacciate dalla macchina. Chi ha gridato durante il Covid, chi ha resistito al rullo compressore dei vaccini, è oggi lo stesso che denuncia il massacro in Israele a porte chiuse. Non hanno cambiato tono. Non hanno voltato le spalle all'indignazione di moda. Hanno visto ciò che molti si rifiutano di vedere perché la censura non conosce pause, cambia solo maschera. Una volta sanitaria, una volta di sicurezza, una volta geopolitica, economica, di guerra... Insomma, il processo è sempre lo stesso: soffocare la realtà, invalidare i testimoni, criminalizzare la libertà di parola! E l'avversario diventa sospetto agli occhi del "Normizzz". Il combattente della resistenza, inavvicinabile! E coloro che cadono nell'oblio, come i professori vilipesi, i whistleblower messi a tacere, i manifestanti schiacciati, gli scrittori imprigionati, vengono tutti relegati nell'ombra da coloro che non hanno mai mosso un dito, ma ora si affrettano a raccogliere gli allori di dubbi tardivi.

29. La vera Storia, d'altra parte, non ha bisogno di narrazioni o di leggi artificiali per decretare ciò che è vero. Porta dentro di sé le cicatrici dei secoli, i nomi cancellati, le vite spezzate, ma soprattutto ricorda. E nonostante la stanchezza, nonostante l'isolamento, nonostante questo mondo che ci rifiuta e ci dimentica, noi resistiamo. Perché sappiamo! Perché abbiamo capito che in quest'epoca in cui tutto è "verificato" tranne la realtà, dove tutto è permesso tranne il dubbio, dove tutto è tollerato tranne l'intelligenza, resistere è già una vittoria... Certo, non è rumorosa, né sfacciata, ma grida  "basta!".  Discreta ma feroce, la nostra vittoria su queste menzogne ​​risuona più potente di tutte le verità fabbricate che ci vengono imposte da questi "controllori del cazzo". Perché portarle alla luce, ridicolizzarle e resistervi con un semplice discorso di verità è già una vittoria su queste persone mediocri.

Phil BROQ

 

giovedì 19 giugno 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Orazio Maria Gnerre, Nihil medium. Carl Schmitt tra passato e futuro, Morlacchi Editore, Perugia 2024, pp. 185, € 18,00"

 

Bene ha fatto l’autore a scrivere questo ampio saggio. Carl Schmitt, infatti “è uno dei pensatori che maggiormente hanno influenzato e previsto il tempo presente, grazie alla sua visione complessa e multifattoriale della realtà, che lo ha portato ad indagare diversi campi del sapere per definire una prospettiva globale delle principali questioni politico-sociali della modernità avanzata”.

L’attualità di tante intuizioni di Schmitt è impressionante, anche se l’oblio di cui il giurista di Plettemberg era circondato nel secondo dopoguerra non era sorprendente. E non solo per la di esso adesione al partito nazista (anche se in Italia il passaggio dal fascismo alla Repubblica nata dalla resistenza è stato diffuso, perfino nell’alta burocrazia), ma anche di più per l’incompatibilità di molte tesi di Schmitt con gli idola ideologici del nuovo regime italiano (e non solo).

Tuttavia a partire dagli anni ‘70 Schmitt era progressivamente rivalutato (e tradotto). Merito all’inizio soprattutto di Miglio e Schiera. Tuttavia, già a metà degli anni ‘80, a pochi mesi dalla morte del giurista di Plettemberg, Maschke poteva indicare nel saggio in memoriam pubblicato su Der Staat l’Italia, tra i paesi europei, come quello in cui il pensiero (e la figura) del giurista renano era all’epoca il più studiato.

La differenza dalla situazione attuale, rispetto agli anni ‘80 è che il crollo del comunismo ha modificato la situazione politica. Onde la fecondità delle idee di Schmitt è confermata dalla loro applicabilità all’evoluzione avvenuta: non è solo la sensibilità e l’interesse degli studiosi a sancirla, ma il contesto politico globale.

Faccio quale esempio:

1) Si legge spesso che l’antitesi tra destra e sinistra sia tramontata: è sicuramente vero, anche se, ad esser più precisi, l’antitesi andrebbe precisata in quella borghese-proletario, che ha dominato nel “secolo breve”, anzi da qualche decennio prima.

Schmitt ritiene che (nell’occidente moderno) il campo centrale dello scontro politico (amico-nemico) sia quello decisivo per l’epoca. Così dai primi del ‘500 agli ultimi decenni del ‘600, questo era la teologia, con relativo diffondersi delle guerre di religione; neutralizzato questo Zentralgebiet, poi subentrò quello “etico” per approdare, circa due secoli dopo, a quello economico.

Ogni progredire è dovuto alla neutralizzazione dell’opposizione precedente e nella politicizzazione della successiva.

Quindi essendosi ormai neutralizzato – o meglio depotenziato – il conflitto borghese/proletario, subentra un nuovo “campo di battaglia”. All’inizio sembrava quello religioso (v. 11 settembre), ma poi più che altro la nuova antitesi globalisti/sovranisti la quale ha come campo di conflitto centrale l’identità dei popoli e la relativa decisione sul loro destino.

2) Allo scoppio della guerra russo-ucraina è stato indicato come nuovo satanasso (e non solo) Putin, il quale oltre a personificare il male, era un po’ tonto, gravemente malato, ecc. ecc. Invece Putin non faceva (e fa) che rivendicare parte del Grossraum russo, conquistato in quattro secoli dai suoi predecessori. E il Grossraum, lo spazio vitale degli imperi è idea di Schmitt esposta in molti scritti, e soprattutto nel Nomos della terra.

3) Al tempo del COVID, (quasi) l’intera Italia cascò dal pero, notando che il governo, coi decreti del Presidente del Consiglio, limitava i diritti garantiti dalla Costituzione “più bella del mondo”. In questo caso, qualcuno si ricordò del pensiero di Schmitt sullo stato d’eccezione, il quale nello Stato moderno si realizza con la sospensione, la modifica o la deroga della legislazione normale, sostituita da normativa (e non solo, anche con organi straordinari) d’emergenza. La quale arriva (anche nel caso COVID) a limitare o sospendere diritti garantiti dalla Costituzione. La parte politica più zelante nella difesa della normativa eccezionale fu proprio quella che dell’oblio dello stato d’eccezione e – ma a un tempo - della limitazione dei diritti aveva fatto una “dottrina”.

Questi sono solo alcuni dei punti in cui le idee di Schmitt mostrano un’attualità sorprendente, ma solo per coloro che le valutano sotto il profilo ideologico; mentre connotato di Schmitt è che le sue idee seguono sempre la massima di Machiavelli di considerare la realtà delle cose e non la loro immaginazione; e meno ancora di valutarle in base alle convinzioni ideologiche.

Il saggio di Gnerre considera altri aspetti vitali ed attuali delle concezioni di Schmitt: dal pensiero di Ernst Kapp sulla civiltà talassica del mediterraneo al colonialismo europeo in Africa; dalle migrazioni umane alla teologia economica.

Proprio su quest’ultimo argomento, basantesi sul confronto del pensiero di Max Weber e Carl Schmitt, Gnerre parte dalla considerazione che “esiste un rapporto tra religione ed economia, e ciò è tanto più evidente in quanto l’economia, secondo l’insegnamento di Weber, non può essere separata dalle sue risultanti nell’organizzazione sociale”. Il capitalismo è stato favorito dalla teologia protestante, calvinista soprattutto. Diverso è con la teologia (e soprattutto la Chiesa) cattolica perché “il cattolicesimo saprà adattarsi a ogni ordine sociale e politico, anche in quello in cui dominano gli imprenditori capitalistici […]. Ma questo adattarsi gli è possibile solo se il potere basato su una situazione economica sarà divenuto politico, cioè se i capitalisti[…] si assumeranno la responsabilità, in tutte le forme della rappresentazione statale”. Ma il capitalismo ha una natura privatistica e non “pubblica”. Quanto al liberalismo, “controparte ideologica dell’economia capitalista” l’autore riprende le considerazioni di Donoso Cortes, molto simili a quelle precedenti di de Bonald, per cui “ogni teologia ha un fondamento radicale, ma solo il liberalismo era riuscito a costruire una teologia politica nella negazione di ogni punto di riferimento essenziale, allontanando Dio dal mondo”. Il deismo che è la teologia sottesa al liberalismo, concepisce un Dio creatore, ma non interveniente nel mondo. Come scriveva Bonald se il teismo era la teologia cattolica e l’ateismo quella delle correnti democratiche (giacobini), il deismo era quello dei costituzionali dell’89, i quali avevano inventato una forma politica con un Re il quale, come il Dio deista, non agisce e non interviene nella politica (regna ma non governa).

Gnerre ritiene che se la dottrina della predestinazione e “l’ascesi intramondana” ha favorito il capitalismo e addirittura ha giudicato la miseria segno di colpa, ciò non è avvenuto con la teologia cattolica.

Anche se in correnti cristiane, di converso, la ricchezza era considerata elemento negativo “la visione cattolica della religione cristiana concilia invece le dimensioni della materia e dello spirito, cercando di non frustrare il primo, ma sottomettendolo formalmente al secondo”.

Scrive l’autore che “E’ lo stesso Carl Schmitt a ribadire come sia nel deismo che vada rintracciata la teologia fondamentale che sostanzia il liberalismo. Tuttavia, ciò crea un paradosso di portata incommensurabile per cui il deismo, che è una teologia senza grande interesse per la religione, produce una teologia politica che non è affatto teologica”.

A questo punto il recensore rivolge una domanda all’autore, contando che scriverà una congrua risposta, in tema di teologia politica (di attualità). De Bonald (per i democratici giacobini) e Donoso Cortes (per i socialisti) indicavano il carattere panteista della teologia loro sottesa, ritenendo la società umana come prodotta spontaneamente, senza un’autorità, un ordine, senza che fosse necessario un sovrano.

La società comunista (dopo la dittatura del proletariato), la cuoca di Lenin (in grado di “governare” la società) sono esempi (estremi) di un ordine spontaneo, in cui l’autorità è superflua.

Ma non è che certe idee tecnocratiche nostre contemporanee, che derivano (deviandola) dalla mano invisibile di Adam Smith, non sono affini a quella socialista nelle radici panteiste, nell’illusione di poter realizzare un ordine senza un principio e un potere ordinatore? Insomma l’amministrazione delle cose, destinate a sostituire il governo degli uomini, ha anch’essa una teologia politica, confermandosi così la concezione di Hauriou che ogni ordine giuridico è l’involucro (couche) di un fondo (fond) teologico?

Nel complesso un libro che merita di essere letto per capire il nostro presente, onde se ne consiglia la lettura.


mercoledì 11 giugno 2025

I Trenta Denari di Giuda.

Da Facebook

I TRENTA DANARI DI GIUDA.

Antigiudaismo, antisemitismo, antisionismo: 

una preordinata confusione di concetti distinti.

 

Si continua a confndere strumentalmente ed ingannevolmente fra antigiudaismo e antisemitismo. Dal nostro punto di vista non necessarimente cristiano o religioso, non importa di quale confessione, l'antigiudaismo inizia con i Trenta Danari dati a Giuda per comprare il suo tradimento.
Associazioni come l'AIPAC, per indicare la più nota che agisce in piena legalità ed alla luce del sole, continua a pagare quei Trenta Danari non solo ai parlamentari americani ma ad ogni politico, amministratore, giornalista... del cosiddetto Occidente.
Ovunque il Danaro, i Trenta Danari, possono comprare qualcosa, loro sono presenti e perseguono le loro finalità.
Il mondo dei Giusti Veri si è sempre opposto a questa prassi e da qui nasce il vero antigiudaismo, che per ciò a cui si oppone è perfettamente plausibile.

Diversa cosa è l'antisemitismo con tutt'altra origine storica. Lo Stato moderno con tutte le sue istituzioni che a noi sembrano eterne, perfette ed esportabili nasce dalla Rivoluzione francese. Fra le cose introdotte da quella Rivoluzione vi è stata anche l'equiparazione in eguale diritti di tutti gli ebrei con tutti gli altri cittadini non ebrei di nascita o giudei per religione.
Dalla crocifissione di Cristo in poi questi erano stati due mondi separati anche se comunicanti. Uno dei cardini della rivoluzione francese era stato il principio di eguaglianza, che poi significa non eguaglianza sostanziale, impossibile in natura, nella condotta morale, in politica, ma eguaglianza davanti alla legge, ed in pratica davanti ad un giudice che quella legge interpreta ed applica.

Che gli Ebrei costituiscano una cosa a parte, per giunta con la pretese di essere scelti direttamente da Dio a discapito di tutti gli altri uomini, un Dio non egualitario, ma che del privilegio e dell'arbitrio è Signore Assoluto, è cosa a tutti nota.

Fin dall'inizio vi furono cittadini che non gradirono questa equiparazione e la espressero sotto forma di antisemitismo, non diversa dall'attuale opposizione verso l'estensione della cittadinanza italianiaa tutti gli immigrati che la chiedano.

Antisemitismo non significa di per sè un male ingiusto che venga fatto agli ebrei, ma il non volerli accettare come simili ed eguali nella propria casa, non in casa loro, dove stanno tutti appartati, ma in casa propria. Questo fu all'origine nel suo concetto e nella sua prassi l'antisemitismo.

Con l'antisonismo le cose sono ancora diverse. Il sionismo è diventato un genere letterario poetico, un amore per la patria lontana e a lungo sospirata. Nella prassi storica della seconda metà del XIX secolo sionisti sono degl avventurieri, per lo più provenienti dall'antico Impero dei Kazari, che sbarcano in una Palestina che per loro era ed è una terra senza popolo che aspettava un popolo, cioè proprio loro.

I palestinesi semplicemente non esistevano e non esistono e se appaiono devono essere cancellati dalla terra in cui si trovano, che è tutta e soltanto ebraica, cosa che il mondo comprato con Trenta Danari DEVE accettare, con le buone o le cattive.

Chi governa i media, come in un gioco delle tre carte, mescola continuamente quest tre distinti concetti: antigiudaismo, antisemitismo, antisionismo: a sostenere autorevolmente questo mescolamento di carte è stato l'allora presidente Giorgio Napolitano in una visita alla Sinagoga e da allora è ripetuto dai più autorevoli politici, amministratori, giornalisti... che hanno intascato i loro Trenta Danari senza nessuna intenzione di andarsi poi ad ad impiccare come fece il Giuda pentito dei Vangeli.

In Gaza tutte queste cose sono evidenti per chi le vuol vedere e non è stato comprato con trenta Danari.

lunedì 9 giugno 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Antonio Forza, Rino Rumiati, L’errore invisibile. Dalle indagini alla sentenza, Il Mulino 2025, pp. 286, € 20,00"


 

E’ noto che il ragionamento giuridico e in particolare quello giudiziario è stato oggetto, oltre che di norme che lo disciplinano, di molti studi. Meno noto è che spesso l’attenzione è stata rivolta a evitare gli errori, le fallacie logiche e argomentative piuttosto che a dettare le regole della corretta decisione.

Oltretutto il giudizio è attività umana, e l’argomentare (dei difensori) come la motivazione (dei decisori) è condizionata dalla professione di questi ultimi; onde sono diverse. In particolare se i decisori sono degli esperti (funzionari di carriera od onorari) o dei comuni cittadini (giurie popolari).

Il tutto è complicato dal fatto che il linguaggio giuridico non è formalizzato (a differenza di quello scientifico) ma è quello di uso comune.

Questo libro si pone una domanda, partendo dal dato di fatto che nell’ultimo trentennio in Italia sono stati registrati oltre trentamila casi di ingiusta detenzione: da dove derivano questi errori? Gli autori rilevano che molti conseguono a travisamenti risalenti alla fase iniziale, i quali poi condizionano le fasi successive, decisione compresa.

Gli autori prendono in considerazione la psicologia degli inquirenti e così il soggettivismo degli stessi, ossia l’insidia-principe dell’oggettività della decisione (e del diritto). Dai tempi di Bacone e dei suoi idola si sa che sono i pregiudizi a condizionare i giudizi, quel che è nuovo nel saggio è che gli autori si servono dei più moderni strumenti della psicologia.

Emerge così un’ampia ricognizione delle “trappole cognitive” che producono effetti nella decisione. E quindi nella vita delle persone.

In definitiva un libro da leggere sia per l’argomento sia per il modo di affrontarlo degli autori. Sperando che migliori la qualità delle decisioni e così quella della giustizia di uno Stato di diritto.

domenica 8 giugno 2025

Pensare l'impensabile

Da Facebook.

Testo in correzione ed elaborazione.


PENSARE L'IMPENSABILE
(con il rischio di un nuovo blocco facebook, che sempre vigila).
 
Vado per schemi. Mi riservo ulteriori sviluppi ed articolazioni.
• L'imponente manifestazione di ieri per fermare il "genocidio" in corso a Gaza ha implicazioni che probabilmente sfuggono agl stessi organizzatori, ma non ai partecipanti, il cui pensiero è in re, nella cosa, nel fatto stesso della loro presenza fisica in piazza, in un luogo reale, al quale sono giunti da ogni parte d'Italia.
– in piazza San Giovanni, luogo a me ben noto e familiare. Penso di poter dire che qui si sono svolte le più importanti manifestazioni nella storia della Repubblica.
• Dal palco quelli che hanno parlato, soprattutto i Quattro Politici parlamentari che hanno chiuso la Manifestazioni forse non hanno dato piena espressione alla presenza fisica del Popolo in piazza.
– Gad Lerner ci ha fatto sapere di essere malgrado tutto un... sionista, e che i suoi genitori erano "coloni" che abitavano in Gaza dove lui è addirittura nato. Non sappevo questo e la cosa mi esce del tutto nuova e strabiliante.
– Dei sionismo si può pensare bene o male. Io sono fra quelli che ne pensano sempre male, qualunque interpretazione e versione se ne voglia dare.
• Tutti quelli che hanno parlato, e si sono espressi al riguardo, hanno paventato il timore dell'«antisemiismo», e per scongiurarlo si sono premuniti invitando degli ebrei o tendendo la mano. Sfugge anche alla loro comprensione cosa poi sia questo antisemitismo ed in cosa consisterebbe. Neppure con il lanternino si riesce a trovarne un definzione non dico formalmente ed ineccepibilmente scientifica, ma che almeno faccia capire di cosa si tratta. Credo che genericamente e superficialmente loro intendano: gl ebrei non si toccano, come se qualcuno li abbia toccati o si curi di loro: mai furono più indifferenti di oggi.
– Ritorna qui la mia Triade su cui non vorrei mettere il copyright: in ordine cronologico: antigiudaismo, antisemitismo, antisionismo, cose distinte e non inercambiabili.
Ma torniamo al punto principale.
• La manifestazione di ieri è stata indubitabilmente contro il genocdio in Gaza: per fermare il "genocidio" in Gaza.
– A cosa si oppongono generalmente e principalmente gli Ebrei, soprattutto e distintamente i dirigenti dell'associazionismo ebraico?
SI NOTI: I Riformisti non sono riusciti a raccogliere, a loro dire, più di tremila/cinquemila firme a fronte dei trenta mila ebrei d'Italia.
– A cosa si oppongono?
• Non vogliono che si usi la parola "genocidio".
E cosa allora?
GUERRA! Questo loro vogliono che si dica! L'82 % della popolazione democratica di Israele approva lo sterminio dei palestinesi.
SI BADI: l'80 % potrebbe intendersi sul 100 % di cittadini israeliani, dal quale va detratto il 20 % di arabi israeliani, superstiti della Nakba e cittadini di serie B. e quindi, se interpretaiamo correttamente, quell'82% sarebbe il 100 % degli ebrei israeliani.
• Intendono guerra contro... Hamas, che se non ci fosse lo si sarebbe reinventato con un altro qualsiasi nome.
ED ORA VIENE LA BESTEMMIA.
Ma ripetendo lo stesso ragionamente, cosa impedisce di pensare che a loro volta anche i Nazisti/Tedeschi non abbiano inteso condure un'analoga guerra contro gli Ebrei presenti sul loro territorio o nei territori da loro occupati?
• Non era stato il sionismo a dichiarare formalmente "guerra" al nazismo appena giunto al potere?
– Non i nazisti giunti al potere avevano dichiarato guerra agli Ebrei, ma i Sionisti che pretendono di rappresentare tutti gli ebrei dichiarano guerra al Nazismo, che quindi doveva difendersi dagli ebrei... E qui vi sarebbe tante ricerche storiche documentali da fare che però sono generalmente inibite e per le quali a farne è comminato il carcere: non si deve indagare, non si deve sapere, ci dobbiamo accontentare della Verità Ufficiale.
E mi avvia ad una conclusione parziale e provvisoria.
Per esserci un Genocidio da cosa deve essere principalmente caratterizzato?
• Tutti dicono: dalla intenzionalità del voler sterminare in tutto o in parte un popolo in quanto tale.
– Questa intenzionalità vi sarebbe stato nel caso dei Nazisti con gli Ebrei e la sua documentazione si troverebbe in una apposita conferenza, detta di Wannsee, dove si sarebbe parlato di Soluzione Finale senza ulteriore specificazione. Forse il fanoso Eichmann, catturato in Argentina dal Mossad, e processato in Israele, avrebbe potuto dare molte informazioni sui rapporti fra sionismo e nazismo, ma lo hanno eliminato e gli hanno chiuso la bocca per sempre.
– Se para piuttosto labile la documentazione della "intenzionalità" nazista del genocidio è invece assai più corposa, rilevabile, documentabile, in itinere, alla vsta del mondo intero la INTENZIONALITA' EBRAICA DEL GENOCIDIO PALESTINESE.
Non bisogna essere menti raffinate, come quella di un Einstein, per arrivare a pensare autonomamente queste cose. Ed a pensarle ieri in San Giovanni era l'intero popolo italiano, non quello che stava sul palco, ma sotto il palco ed in piazza.
Il ragionamento è schematico, ma se ce lo lascieranno fare lo andremo sempre meglio a sviluppare ed articolare.
• Salvo subito il testo in Civium Libertas, dove potrà avere correzioni e sviluppi indipendenti. Per ingannare facebook maschero questo testo con la promo del 5 x 1000.

 

giovedì 5 giugno 2025

OGNUNO DALLA SUA PARTE

 Riportato da Facebook:

AAPPREZZO L'INIZIATIVA del Riformista:
 nel senso che posso conoscere, per loro pubblica iniziativa, e senza atteggiamento aggressivo da parte mia, che mi possa venir tacciato come "discorso d'odio" o "antisemitismo", posso conoscere chi poter del tutto legittimamente riconoscere come "nemico"... Nel senso che a questo termine può esser dato in una sitauzione non bellica. Siamo in Itala, non nella Palestina occupata: dico Palestina Occupata che riconosco, non dico Israele che non ho mai riconosciuto in un suo fondamento di legittimità.

• Uno Stato non può nascere sul principio del genocdio e della puliza etnica della popolazione residente: vengo io, ti caccioa, ed occuto il tuo territorio, dopo aver distrutto i tuoi villaggi. Se questa barbarie è mai esistita nei tempi preistorici e belluini dell'umanità, oggi non è assolutamente tollerabile.

Gli stupidi si gloriano di essere giunti al numero di tre mila!
Gli italiani sono 60 milioni.
Se scendono in campo i "cittadini italiani di religione islamica" sono da soli un milione e mezzo.

Vi sono poi addirittura presidenti di regione che virtualmente interrompono le relazioni diplomatiche con Israele. Certo, vi sono politici dalla parte di israele: ci fa piacere che scendano in campo! E ci fa piacere conoscere ii loro nomi: non ci rappresentano in quanto italiani e possono fare la loro "aliya" in Israele, nella loro Israele, di cui hanno "il passaporto nel cuore": lo usino quel passaporto! E non pretendano di rappresentare noi italiani "dalla parte dei palestinesi" che vengono uccisi e che non possono gravare sulla nostra coscienza.

La maggior parte dei nomi che leggo, mi sono sconosciuti e i pochi nomi a noi noti passano dalla "disistima" alla "esecrazione".

Dove pensano di arrivare?
Cosa pensano di ottenere?
Cosa vogliono da noi?

Sono cose che è interessante seguire e capire: per adesso il nostro scontro è di natura intellettuale.
Facebook non è imparziale ed è amico loro, ma questo non ci impedirà di assumere pubblicamente le nostre posizioni POLITICHE!

In latino il termine nemico si traduce con "inimicus", che è il nemico privato, ed "hostis", che è il nemico in senso militare sul campo d battaglia.
Siamo qui indubbiamente NEMICI, ma come dobbiamo tadurre in latino questo termine?

Attenzione?
3000 non è ancora 30 mila!
Trenta mila è il numero degli ebrei di cittadinanza italiana: se ciascuno di essi mette la sua firma, spero che non se l'avranno a male, se i restanti 60 milioni di italiani rivolgereranno a loro un cortese invito a fare la loro Aliya, rincunicando alla cittadinanza italiana.
Contribuiranno alla serenità dell'Italia, dove il 76 % degli italiani (per quel che valgono i sondaggi) condanna il genocidio in Gaza e di conseguenza che sta "dalla parte" di chi quel genocidio compie.