giovedì 19 giugno 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Orazio Maria Gnerre, Nihil medium. Carl Schmitt tra passato e futuro, Morlacchi Editore, Perugia 2024, pp. 185, € 18,00"

 

Bene ha fatto l’autore a scrivere questo ampio saggio. Carl Schmitt, infatti “è uno dei pensatori che maggiormente hanno influenzato e previsto il tempo presente, grazie alla sua visione complessa e multifattoriale della realtà, che lo ha portato ad indagare diversi campi del sapere per definire una prospettiva globale delle principali questioni politico-sociali della modernità avanzata”.

L’attualità di tante intuizioni di Schmitt è impressionante, anche se l’oblio di cui il giurista di Plettemberg era circondato nel secondo dopoguerra non era sorprendente. E non solo per la di esso adesione al partito nazista (anche se in Italia il passaggio dal fascismo alla Repubblica nata dalla resistenza è stato diffuso, perfino nell’alta burocrazia), ma anche di più per l’incompatibilità di molte tesi di Schmitt con gli idola ideologici del nuovo regime italiano (e non solo).

Tuttavia a partire dagli anni ‘70 Schmitt era progressivamente rivalutato (e tradotto). Merito all’inizio soprattutto di Miglio e Schiera. Tuttavia, già a metà degli anni ‘80, a pochi mesi dalla morte del giurista di Plettemberg, Maschke poteva indicare nel saggio in memoriam pubblicato su Der Staat l’Italia, tra i paesi europei, come quello in cui il pensiero (e la figura) del giurista renano era all’epoca il più studiato.

La differenza dalla situazione attuale, rispetto agli anni ‘80 è che il crollo del comunismo ha modificato la situazione politica. Onde la fecondità delle idee di Schmitt è confermata dalla loro applicabilità all’evoluzione avvenuta: non è solo la sensibilità e l’interesse degli studiosi a sancirla, ma il contesto politico globale.

Faccio quale esempio:

1) Si legge spesso che l’antitesi tra destra e sinistra sia tramontata: è sicuramente vero, anche se, ad esser più precisi, l’antitesi andrebbe precisata in quella borghese-proletario, che ha dominato nel “secolo breve”, anzi da qualche decennio prima.

Schmitt ritiene che (nell’occidente moderno) il campo centrale dello scontro politico (amico-nemico) sia quello decisivo per l’epoca. Così dai primi del ‘500 agli ultimi decenni del ‘600, questo era la teologia, con relativo diffondersi delle guerre di religione; neutralizzato questo Zentralgebiet, poi subentrò quello “etico” per approdare, circa due secoli dopo, a quello economico.

Ogni progredire è dovuto alla neutralizzazione dell’opposizione precedente e nella politicizzazione della successiva.

Quindi essendosi ormai neutralizzato – o meglio depotenziato – il conflitto borghese/proletario, subentra un nuovo “campo di battaglia”. All’inizio sembrava quello religioso (v. 11 settembre), ma poi più che altro la nuova antitesi globalisti/sovranisti la quale ha come campo di conflitto centrale l’identità dei popoli e la relativa decisione sul loro destino.

2) Allo scoppio della guerra russo-ucraina è stato indicato come nuovo satanasso (e non solo) Putin, il quale oltre a personificare il male, era un po’ tonto, gravemente malato, ecc. ecc. Invece Putin non faceva (e fa) che rivendicare parte del Grossraum russo, conquistato in quattro secoli dai suoi predecessori. E il Grossraum, lo spazio vitale degli imperi è idea di Schmitt esposta in molti scritti, e soprattutto nel Nomos della terra.

3) Al tempo del COVID, (quasi) l’intera Italia cascò dal pero, notando che il governo, coi decreti del Presidente del Consiglio, limitava i diritti garantiti dalla Costituzione “più bella del mondo”. In questo caso, qualcuno si ricordò del pensiero di Schmitt sullo stato d’eccezione, il quale nello Stato moderno si realizza con la sospensione, la modifica o la deroga della legislazione normale, sostituita da normativa (e non solo, anche con organi straordinari) d’emergenza. La quale arriva (anche nel caso COVID) a limitare o sospendere diritti garantiti dalla Costituzione. La parte politica più zelante nella difesa della normativa eccezionale fu proprio quella che dell’oblio dello stato d’eccezione e – ma a un tempo - della limitazione dei diritti aveva fatto una “dottrina”.

Questi sono solo alcuni dei punti in cui le idee di Schmitt mostrano un’attualità sorprendente, ma solo per coloro che le valutano sotto il profilo ideologico; mentre connotato di Schmitt è che le sue idee seguono sempre la massima di Machiavelli di considerare la realtà delle cose e non la loro immaginazione; e meno ancora di valutarle in base alle convinzioni ideologiche.

Il saggio di Gnerre considera altri aspetti vitali ed attuali delle concezioni di Schmitt: dal pensiero di Ernst Kapp sulla civiltà talassica del mediterraneo al colonialismo europeo in Africa; dalle migrazioni umane alla teologia economica.

Proprio su quest’ultimo argomento, basantesi sul confronto del pensiero di Max Weber e Carl Schmitt, Gnerre parte dalla considerazione che “esiste un rapporto tra religione ed economia, e ciò è tanto più evidente in quanto l’economia, secondo l’insegnamento di Weber, non può essere separata dalle sue risultanti nell’organizzazione sociale”. Il capitalismo è stato favorito dalla teologia protestante, calvinista soprattutto. Diverso è con la teologia (e soprattutto la Chiesa) cattolica perché “il cattolicesimo saprà adattarsi a ogni ordine sociale e politico, anche in quello in cui dominano gli imprenditori capitalistici […]. Ma questo adattarsi gli è possibile solo se il potere basato su una situazione economica sarà divenuto politico, cioè se i capitalisti[…] si assumeranno la responsabilità, in tutte le forme della rappresentazione statale”. Ma il capitalismo ha una natura privatistica e non “pubblica”. Quanto al liberalismo, “controparte ideologica dell’economia capitalista” l’autore riprende le considerazioni di Donoso Cortes, molto simili a quelle precedenti di de Bonald, per cui “ogni teologia ha un fondamento radicale, ma solo il liberalismo era riuscito a costruire una teologia politica nella negazione di ogni punto di riferimento essenziale, allontanando Dio dal mondo”. Il deismo che è la teologia sottesa al liberalismo, concepisce un Dio creatore, ma non interveniente nel mondo. Come scriveva Bonald se il teismo era la teologia cattolica e l’ateismo quella delle correnti democratiche (giacobini), il deismo era quello dei costituzionali dell’89, i quali avevano inventato una forma politica con un Re il quale, come il Dio deista, non agisce e non interviene nella politica (regna ma non governa).

Gnerre ritiene che se la dottrina della predestinazione e “l’ascesi intramondana” ha favorito il capitalismo e addirittura ha giudicato la miseria segno di colpa, ciò non è avvenuto con la teologia cattolica.

Anche se in correnti cristiane, di converso, la ricchezza era considerata elemento negativo “la visione cattolica della religione cristiana concilia invece le dimensioni della materia e dello spirito, cercando di non frustrare il primo, ma sottomettendolo formalmente al secondo”.

Scrive l’autore che “E’ lo stesso Carl Schmitt a ribadire come sia nel deismo che vada rintracciata la teologia fondamentale che sostanzia il liberalismo. Tuttavia, ciò crea un paradosso di portata incommensurabile per cui il deismo, che è una teologia senza grande interesse per la religione, produce una teologia politica che non è affatto teologica”.

A questo punto il recensore rivolge una domanda all’autore, contando che scriverà una congrua risposta, in tema di teologia politica (di attualità). De Bonald (per i democratici giacobini) e Donoso Cortes (per i socialisti) indicavano il carattere panteista della teologia loro sottesa, ritenendo la società umana come prodotta spontaneamente, senza un’autorità, un ordine, senza che fosse necessario un sovrano.

La società comunista (dopo la dittatura del proletariato), la cuoca di Lenin (in grado di “governare” la società) sono esempi (estremi) di un ordine spontaneo, in cui l’autorità è superflua.

Ma non è che certe idee tecnocratiche nostre contemporanee, che derivano (deviandola) dalla mano invisibile di Adam Smith, non sono affini a quella socialista nelle radici panteiste, nell’illusione di poter realizzare un ordine senza un principio e un potere ordinatore? Insomma l’amministrazione delle cose, destinate a sostituire il governo degli uomini, ha anch’essa una teologia politica, confermandosi così la concezione di Hauriou che ogni ordine giuridico è l’involucro (couche) di un fondo (fond) teologico?

Nel complesso un libro che merita di essere letto per capire il nostro presente, onde se ne consiglia la lettura.


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