mercoledì 26 luglio 2023

Teodoro Klitsche de la Grange: "Un caso interessante"

Spesso si ripete che l’Italia è un grande laboratorio politico dato che è la prima a sperimentare novità: e, con altrettanta frequenza, questo è vero.

Uno dei casi è proprio Forza Italia. Denominata partito personale, leggero anche per contrapporlo a quelli della I repubblica connotati da apparati assai più ideologizzati, professionalizzati e pervasivi.

Orsono venticinque anni mi capitò di scrivere su Berlusconi e Forza Italia, confrontandone l’allora breve esistenza politica con regole e parametri presi da Machiavelli e da un acuto giurista tedesco, Rudolf Smend. Questi è rimasto nella dottrina costituzionale come colui che ha valorizzato l’integrazione, cioè il rapporto tra vertice e base come “divenire dinamico dell’unità politica”, cioè (anche) come produzione di un idem sentire, che consolidasse e rendesse effettive unità e azione politica. Scrive Rudolf Smend “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali, quelli che più necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a cominciare dai partiti fino allo Stato. Notavo che Forza Italia, data la forte personalità del capo era cospicuamente dotata di integrazione personale (anche se difettava nei dirigenti intermedi).

A distanza di oltre 5 lustri si può confermare che l’integrazione personale (tramite il leader) è stato il principale fattore d’integrazione e probabilmente quella che ha consolidato l’esistenza del partito. Lo dimostrano il numero enorme di preferenze  (nelle elezioni che le consentivano) a Berlusconi, gli assai più modesti risultati nelle elezioni locali, e comunque quando il cavaliere non si candidava, l’evidente ascendente dello stesso sull’elettorato. E perfino il complotto anti-Berlusconi che ne ha portato, tramite legge Severino, alla di esso privatizzazione: la (voluta) privazione del ruolo pubblico del cavaliere dopo la condanna definitiva è stato probabilmente il fatto che ha maggiormente contribuito al sorpasso della Lega su Forza Italia alle elezioni politiche del 2018. Proprio per la preponderanza che aveva l’integrazione personale nella “tenuta” di Forza Italia la tattica preferita dal centrosinistra è stata quella di attaccare il leader avversario sul piano personale (e “privato”).

Anche perché gli altri due mezzi (tipi) d’integrazione individuati da Smend, in Forza Italia di converso erano assai deboli. Nella vita di ogni struttura le procedure di decisione e discussione sono – come scriveva Smend – “prevalentemente indirizzate alla formazione della volontà comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà, indirizzata a scopi comuni”. Ma da quanto risulta tale mezzo è stato sempre poco praticato: i “congressi” di Forza Italia più che un modo per realizzare la volontà comune e selezionare la dirigenza (almeno in parte), sembravano convention aziendali per promuovere i prodotti offerti (in genere sono anche questo, ma era la proporzione prevalente a minare, alla lunga, la solidità dell’insieme).

Tra l’altro i sistemi elettorali per lo più adoperati hanno ridotto la possibilità che la selezione della dirigenza politica, in modo democratico, fosse “compensata” in sede elettorale. Questo perché la collocazione in collegi e listini consente ai vertici dei partiti un potere di designare gli eletti assai superiore alla vecchia legge elettorale proporzionale con preferenza, così che si è parlato – correttamente – per lo più di un parlamento di nominati.

Quanto all’integrazione materiale, cioè attraverso la comune adesione a “tavole di valori” comuni, all’inizio si manifestava per lo più in negativo cioè contrapponendosi al centrosinistra. Presentava il limite di essere in parte nebulosa, in altra stemperata in più rivoli, ma soprattutto non ha retto il confronto con le realizzazioni dei governi Berlusconi. I quali, malgrado maggioranze parlamentari cospicue, realizzavano poco di quanto promesso. Certo meglio di quanto avrebbe fatto il centrosinistra o i governi “tecnici” o “simil-tecnici”, ma comunque modesto rispetto alle promesse ma soprattutto alle aspettative dell’elettorato. Di guisa che circa due terzi del bacino elettorale di Forza Italia si è riversato sulla Lega e Fratelli d’Italia, partiti che quindici anni fa insieme avevano consensi pari a un terzo di quelli del partito di Berlusconi.

E adesso? La risposta è tutt’altro che facile e Tajani avrà un bel da fare. Venuto meno il fattore Berlusconi, estremamente difficile a sostituirsi, non resta che puntare sugli altri fattori d’integrazione e su mezzi di selezione del personale politico meno “autocratico”.

Scriveva Michels che la democrazia non è concepibile senza organizzazione. Nel caso di Forza Italia vale anche l’inverso e l’organizzazione non è concepibile senza democrazia. E così anche con la discussione a tutti i livelli dell’organizzazione. Questa serve a selezionare i capi, come ad acquisire e diffondere idee (anche) nuove. Serve sia all’integrazione funzionale che a quella materiale. Così come alla coesione dell’insieme.

Riuscirà l’impresa? È nuova, sicuramente per l’Italia, ma non mi risulta che sia stata realizzata altrove, almeno in Europa. Non resta che fare gli auguri, ricordando che il merito nel riuscirci è pari alle difficoltà da superare.

 

domenica 23 luglio 2023

VK: Indice Sommario. Numerico.

 Premessa.

I Social hanno ormai una grande diffusione che si misura non in milioni, ma in miliardi di utenze. L'unità elementare di comunicazione è il "post" che per essere letto pare non debba superare le 30/40 righe di testo. Può essere una forma di disciplina nella propria scrittura: cercare di dire l'essenziale in non più di un breve messaggio di testo. Facebook, che è tuttora la piattaforma più diffuda, ahimè non solo pratica la censura, ma fa di peggio: attraverso un sistema di "sanzioni" opera una sorta di condizionamento e indottrinamento del pensiero e degli orientamenti e dei comportamente degli Utenti. Un'altra piattaforma concorrente, VK, di origine russa, pare essere più liberale. Avendo scritto in oltre 10 anni parecchi testi in FB, ne faccio una rivisitazione, un eventuale aggiornamento, ed una più accurata edizione che pubblico in VK. Questo lavoro per non essere dispersivo ha però biosgno di una Indicizzazione. Quest post in Civium Libertas assolve a questa funzione. Il blog Civium Libertas continuerà ad assolvere alla funzione per la quale è stato creato e continuerà a pubblicare articoli nel senso tradizionale del termine.

§0. Salve: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1733

§1. È da espellere: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1734

§2. Cose da pazzi: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1737

§3. Interpellata: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1739

§4. Ai vecchi commilitanti: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1740

§5. Se questo: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1742

§6. Idioti al governo: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1746

§7. Sappiamo a chi: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1749

§8. Se di guerra si tratta: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1751

§9. Faccia di Kulebba: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1753

§10. Io da tempo: https://vk.com/id460170407?w=wall460170407_1755

– Io abbonarmi a Repubblica?

 

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lunedì 17 luglio 2023

Teodoro Klitsche de la Grange: "Luigi Marco Bassani, Tolleranza, Liberilibri, Macerata 2023, pp. 93, € 14,00"

Bassani spiega la tolleranza seguendo il “percorso tracciato dal realismo politico”. In effetti l’esigenza di tolleranza può essere sorretta da diverse argomentazioni e punti di vista: il rispetto delle idee e del modo d’essere altrui, in primo luogo, il diritto alla libertà di pensiero, il progresso del sapere e della scienza (cui giova tanto il confronto di comunicazioni che il superamento di quelle già condivise). È raro pensare che la tolleranza è necessaria alla formazione dello Stato moderno, perché funzionale alla neutralizzazione dei conflitti – riducendoli o rendendoli meno pericolosi.

Come scrive l’autore «La tolleranza è certamente una conquista del pensiero europeo moderno, ma è anche un momento fondamentale per la legittimazione del potere, nel suo tentativo di superare la frattura della Riforma. Vi è, infatti, una sorta di “regola aurea”, una vera e propria bussola nella storia del pensiero politico moderno: tutto ciò che va nella direzione del consolidamento della statualità ha successo, mentre tutto quel che vi si oppone, ogni pensiero che crei sacche di resistenza al potere, si sgretola. In questo senso, il principio di tolleranza stravince alla fine le guerre di religione, perché è necessario al consolidamento del potere del Principe».

Alla fine del XVI secolo Bodin e i politiques francesi collegarono sovranità e tolleranza «Sarà proprio il concetto di sovranità il miglior alleato di quello di tolleranza nel corso dell’età moderna. Molti critiani avranno la loro vita risparmiata in virtù della bramosia del Principe di creare un unico soggetto del suo dominio». Le guerre di religione in Francia si concludono con l’editto di Nantes che è «il capolavoro e la vera eredità permanente dei politiques». Con la fine delle guerre di religione, la tolleranza diviene pratica osservata dai sovrani assoluti. Federico II di Prussia, “tipo ideale” del sovrano assoluto del 700 rivendica la propria neutralità “tra Roma e Ginevra”, nel di esso amico Voltaire c’è «la fusione dei temi cari ad Erasmo e del movimento dottrinario statuale che parte da Bodin…Voltaire reinterpreta tutto il precedente dibattito politico e teologico, e pone la riflessione sul concetto di tolleranza come fulcro di una concezione moderna della politica, intesa a dirimere tutti i rapporti fra lo Stato e la Chiesa dal punto di vista teorico».

Con le costituzioni moderne la tolleranza è codificata nelle dichiarazioni tra i diritti fondamentali, a partire da quella francese e americana (col primo emendamento). Nel secolo passato i totalitarismi sono stati tutt’altro che propizi alla tolleranza; anche se, nella seconda metà è stato riconosciuta in dichiarazioni internazionali dei diritti. Ma adesso  si vede un nuovo pericolo: è quello del politically correct, definito da Bassani un autodafé il quale «nasce e germoglia nel cuore di quello che è ormai l’Occidente tout court, ossia gli Stati Uniti, ma sta già minando la libertà di manifestazione del pensiero del Pacifico agli Urali. Se la nascita della tolleranza investe un’unica cultura, anche la fine della tolleranza parte da noi, ma ha a questo punto risvolti planetari». Tale intolleranza «è la conseguenza di un lungo processo di addomesticamento degli intellettuali ed è il risvolto, nel campo delle idee, dell’inesorabile marcia dello Stato nelle vite dei cittadini… vi è bisogno di un gruppo di intellettuali di professione diuturnamente impegnati a diffondere il verbo di Stato e la scienza di Stato… E se il tutto avviene senza alcun tipo di coercizione palese è proprio grazie alla vittoria straripante del politicamente corretto, di una polizia di pensiero, che colpisce pochi, spaventa molti ed è, almeno in apparenza, avversaria di tutti». E di fatto è un declino della cultura dell’occidente la quale da espansiva com’è stata per secoli (v. Toynbee) è divenuta inclusiva e soprattutto, autocolpevolizzata.

Riconosce l’altro, distruggendo se stessa. Ma per il primo risultato non è necessario il secondo. L’autore conclude «Solo quando il riconoscimento dell’altro smetterà di implicare necessariamente la distruzione di sé saremo finalmente sul punto di imboccare la strada che porta a una società libera e certamente assai disordinata nelle opinioni. E allora questa guerra alle fobie cadrà nel più assurdo dei ricordi».

 

martedì 11 luglio 2023

Teodoro Klitsche de la Grange: "Daniel Halévy, Appunti sulla lunga rivoluzione francese, introduzione di F. Ingravalle, Oaks Editrice 2023, pp. 201, € 18,00"

Scritto da Halévy nel 1939, questo saggio è dedicato alla “Storia” (nel senso della percezione) della rivoluzione, in particolare, ma non soltanto; nei pensatori francesi che si sono succeduto nel successivo secolo e mezzo (1789-1939).

Ne esce, tra l’altro, una distinzione fondamentale, condivisa da molti storici e filosofi, non solo quelli citati da Halévy: che in quella francese vi siano due rivoluzioni: la liberale del 1789 e l’altra, giacobina, del 1792. La rapida successione degli eventi storici ha così fuso insieme due catene di eventi assai differenti, il cui “nocciolo duro” era per la prima la costruzione dello Stato borghese, con i suoi principi di tutela dei diritti fondamentali e di distinzione dei poteri; per la seconda il carattere democratico dello Stato con relativa uguaglianza di partecipazione, cioè (anche) di voto degli individui, ossia dei cittadini. Determinando così l’ingresso delle masse nell’età contemporanea. Tale secondo aspetto avrebbe influenzato la modernità in senso divergente dal primo: il totalitarismo del XX secolo, con le rivoluzioni bolscevica e nazi-fasciste sarebbe (anche) la conseguenza del giacobinismo. Come scrive Ingravalle nell’attenta introduzione: “Halévy resta, comunque, attaccato alla fase liberale della Rivoluzione (1789-1791), nettamente distinta dalla fase giacobina”; e così nel rifiuto del comunismo o del fascismo. La rivoluzione francese, sostiene Halévy “è una passione da vincere, non una questione intellettuale da affrontare con l’analisi razionale. Si tratta di mostrare con quali deviazioni, passionali, psicologiche, nel XIX secolo, sia stata interpretata la crisi rivoluzionaria nel suo complesso costruendo un dogma e una leggenda che sono andati a sostituirsi alla realtà storica”. Leggenda divenuta “superstizione” nazionale. E anche conformismo “l’Illuminismo rivoluzionario adottato e acclimatatosi grazie a una burocrazia di docenti è divenuto conformismo… l’Università, figlia ella Rivoluzione, insegna la Rivoluzione. A tutti i livelli, questo insegnamento esiste” confermando il giudizio di Max Weber sul carisma, la leggenda è diventata “pratica quotidiana”. Halévy nota che la rivoluzione ha avuto (anche) effetti tutt’altro che positivi sulla Francia. A tacer d’altro ciò ricorda quanto scriveva De Gaulle nelle Memoires: che quando ri-prese il potere (nel 1958) erano 169 anni che la Francia non era governata (cioè dal 1789). Che poi siamo ancora nell’influenza della rivoluzione e del di esso culto (e dei modi per celebrarlo), Halévy lo sostiene e ne descrive dogmi e liturgie a lui contemporanee, che somigliano tanto alle attuali: per i sostenitori del culto rivoluzionario “per meritare di vivere, una società deve mettere fine al duplice scandalo delle patrie separate nell’insieme dell’umanità e delle condizioni differenti all’interno di ogni patria… Quanto ai disastri causati da una avventura rivoluzionaria, un millenarista non ne è turbato: sicuro di aver fatto il proprio dovere, accusa la malvagità degli uomini e delle cose”. Che ci ricorda questo mix di umanità e uguaglianza? E Halévy prosegue citando un altro predicatore della rivoluzione “Se gli avvenimenti infirmano troppo brutalmente le nostre predizioni e puniscono la nostra orgogliosa avventura, ci consoleremo eventualmente, pensando che gli avvenimenti hanno avuto torto” Cioè le intenzioni (buone) contano più dei risultati.

In conclusione e consigliando di leggere un saggio che merita, per concisione ed efficacia, una recensione più lunga, una breve considerazione del recensore. È un fatto che le due rivoluzioni, al di là delle conseguenze negative - allorquando l’una soffoca l’altra, fin quando si tengono in equilibrio, hanno costituito il modello di forma politica del periodo successivo. Lo Stato democratico liberale nasce dalla compresenza e dall’equilibrio di un principio di forma politica, la democrazia con i principi dello stato borghese. Anche uno tra i più decisi sostenitori della libertà borghese e avversario del giacobinismo, come Constant, aveva capito benissimo che per difendere questi era necessaria la forma politica della democrazia rappresentativa. Così per avere la democrazia reale è necessario un congruo tasso di Stato di diritto. È un mélange di principi diversi, ma una fusione di successo. L’importante è tenerli in equilibrio.