mercoledì 26 giugno 2013

Lettera a “Repubblica” ex art. 8 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, per articolo apparso nella cronaca di Roma in data 14 aprile 2013, riproducente il contenuto di altro articolo del 22 ottobre 2009

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Via Cristoforo Colombo, 98      Roma
Malgrado siano trascorsi tutti i tempi postali sembra non aver avuto alcun esito la seconda raccomandata spedita al quotidiano “La Repubblica”. Ho fatto esperienza di tutte le astuzie legali e paralegali di cui il quotidiano di De Benedetti si serve. Pazienza! Speriamo, ci auguriamo che una nuova forza politica che appare alla ribalta, il Movimento Cinque Stelle, riesca a ridare ai cittadini le libertà di cui hanno bisogno, riformando e disciplinando tutto il settore dei media e facendo cadere l’ambiguità fra una “libertà di stampa” che opprime i cittadini ed una libertà di pensiero che spetta ai cittadini, ai quali è di fatto tolta: i cittadini non hanno il diritto di pensare, essendo il loro pensiero avocato dagli organi di stampa, che se ne arrogano le veci. Ai cittadini viene attribuito ciò che non pensano e viene loro sottratto ciò che effettivamente pensano: questi sono i giornali e le televisioni in Italia. La chiamano “libertà di stampa”!

Quella che pubblichiamo è la seconda raccomandata inviata a Repubblica. In questo quotidiano, per fini che non ci è difficile indovinare, l’arroganza e la sfacciataggine nel reiterare, aumentata, la stessa menzogna di quattro anni prima è di inaudita enormità e sfacciataggine. Di lettere ne seguiranno una terza ed una quarta, e la stessa lettera viene inviata ogni volta a quanti assumono il quotidiano “La Repubblica” come loro «fonte» della “notizia”, ritenendo in questo modo di essere coperti da ogni addebito e contestazione. All’origine di questa storia vi è un nome, che in molti hanno imparato a conoscere ed “apprezzare” per quel che merita: Marco Pasqua, che ora sembra aver spostato i suoi servigi da “La Repubblica” a “Il Messaggero”, da dove ogni tanto esce con articoli e servizi che sembrano tutti scritti con lo stampino: stessi contenuti, stesso stile, stessa demonizzazione, stesse strida ed affettazioni pervasive e ammiccanti, stesse pseudo e fantasiose argomentazioni. Degli “amici” come dei “nemici” non ci si dimentica mai. Ed è bene tenere sempre alta la guardia.

Uscì anni addietro su "Il Messaggero” un articolo, non firmato, che mi tirava in ballo in altra storia totalmente campata in aria. Vi fu da parte mia, nel giro di qualche ora, una tempestiva smentita con tutti i crismi di legge. La diffusione della notizia ad altri organi di informazione – come avvenne e avviene normalmente per “Repubblica” – fu subito sventata, ma non avendo io agenzie investigative a mio servizio mi è sempre rimasto il dubbio di come la panzana sia potuta nascere. Purtroppo, non mi resta che esercitare l’arte del sospetto e della congettura, che però grazie ad Andreotti non è cosa da sottovalutare. Bisogna solo saperla esercitare ed aspettare  che i tempi maturino per avere prove e controprove documentate.

Avviso: a quanti intendono notificare atti legali a Repubblica è consigliato di prestare attenzione ai tre numeri civici, di cui dispone il quotidiano e che come nel gioco delle tre carte sono spesso causa di inganno e di reiterate spedizioni, con eventuale decorrenza di termini prescrittivi.

*
2ª Racc. A.R.


All’Ufficio Legale
del quotidiano “La Repubblica” Gruppo Espresso
Via Cristoforo Colombo, n. 98
00147 ROMA

Comunicazione ai sensi di legge.

In data 14 aprile 2013, nella cronaca di Roma, p. 4 (vedi allegato) appariva un articolo dove testualmente si afferma che nel 2009 avrei concesso una intervista a Repubblica («A Repubblica disse il Ricercatore…»). Da me non è stata mai concessa a “La Repubblica” nessuna intervista ed il virgolettato è una manipolazione ed estrapolazione di testi diversi e disparati, sganciati dal loro contesto. Ricordo ancora una volta che la vicenda riportata da “La Repubblica” con articolo del 22 ottobre 2009 diede luogo ad un procedimento disciplinare conclusosi con piena assoluzione, per inesistenza del fatto e del diritto, e quindi con avvio di azione civile risarcitoria contro “La Repubblica”, la cui causa è ancora in corso e l’inesistenza di una siffatta intervista risulta già dagli atti di causa.

Cortesemente invito a pubblicare tale rettifica ai sensi della L. 8/2/1948 n. 47 (art. 8).

Distintamente
In Roma,  17 maggio 2013
(e in secondo invio il 5 giugno 2013)

Antonio Caracciolo

Nota Bene: il primo invio, tempestivo e dopo informale email senza esito, è stato inoltrato al n° civico 90 su informazione ed assicurazione del vostro Centralinista, il quale ha assicurato che trattavasi di civico valido ai fini postali, anche per l’inoltro all’Ufficio legale. Vi prego cortesemente di darmi comunicazione, quando e se pubblicherete la presente.


domenica 16 giugno 2013

L’«idiozia» della democrazia diretta e la scelleratezza criminale della ”rappresentanza politica”. La tirannia del parlamento. L’inganno del “voto”

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Post in elaborazione. Bozza.

Avevo intenzione di scrivere qualcosa, ma un qualcosa scritto sull’acqua, come sempre, alcuni giorni fa, dopo aver assistito ad uno dei soliti talk show di cui ho dimenticato tutto, eccetto alcune affermazioni di Massimo Cacciari, che era nella stessa trasmissione messo in un medaglione gestito dal conduttore e dove era presente, o meglio costretto, anche Paolo Becchi e il il politologo Sartori, di cui ricordo pure una gratificazione, forse pannelliana, di uomo che sa tutto e non capisce nulla. Non ho la registrazione, ma nel suo livore contro il Movimento Cinque Stelle sembra abbia pontificato con delle enormità sul diritto stesso del Movimento di partecipare alla competizione elettorale. Mi riservo di ritornare su questa enormità se ritrova e risento la video registrazione.

Ma era l’«idiozia» di Massimo Cacciari che aveva attratto la mia attenzione. Una «idiozia» che ha fatto scuola se ieri sera il giornalista Feltri (ahimé i nostri sapienti son tutti “giornalisti”, che ci servono a briciole il pane quotidiano della loro saggezza), il quale senza citare la fonte ha ripetuto tal quali le argomentazioni di Cacciari. Cosa diceva dunque? Che la “democrazia diretta” non ha neppure la dignità dell’«utopia», cosa che tutti i filosofi della storia hanno sempre considerato con rispetto, ma che era una assoluta «idiozia» nella complessità del mondo moderno. Alla realizione di questa “idiozia” confligge la “complessità” del nostro mondo, enormemente più articolato di quello antico o medievale o preistorico.

Io avrei intanto qualche perplessità proprio su questa idea di “complessità” applicata alle societù umane. che sono pensate evidentemente come “complesse” se riferite alle nostre società tecnologizzate, dove l’uomo è reso sempre più povero spiritualmente e mentalmente, e forse proprio per questo bisognoso di rimettere tutto il suo essere nelle mani e nelle disponibiltà perfino in quelle dei giornalisti e dei conduttori di talk show, pagati a 500.000 euro l’anno, come nel caso dell’eterno sorridente Floris, un sorriso stampato e mai stanco della tensione muscolare che il sorriso pur comporta. Quanto alla sicurezza con cui Massimo Cacciari pronuncia i suoi giudizi, spesso interessanti e condivisibili, ma affatto comuni e di buon senso, ha smesso di impressionarmi ed influenzarmi da quando tanti anni fa, al tempo della prima guerra del golfo, spacciandosi per esperto di strategia militare il buon Massimo ebbe a fare una dichiarazione che fu smentita dai fatti appena una settimana dopo. Dunque, è meglio di Cacciare l’invito a “pensare con la testa propria” da lui rivolto in un convegno ad un relatore che infarciva il suo discorso con citazioni che chi ascoltava non poteva verificare. Dunque, non con la testa della stesso Cacciari, ma con quello di cui ognuno di noi ha avuto da madre natura, grande o piccola che sia.

Ebbene, la prima obiezione a Massimo è che lui è sempre stato un uomo di partito ed è stato parlamentare e sindaco. È stato un “rappresentante politico” e dunque in qualche modo non è libero nel suo giudizio quando dice che la “democrazia diretta” è impossibile in quanto è una “idiozia”. Se prendiamo l’accezione che il termine “idiozia” aveva in Grecia nel IV secolo avanti scritto “idiozia” è invece, forse proprio la “rappresentanza politica”, a cui il cittadino privato, l’idiotes, si consegna quando abbandona la vita politica, quando non esce più in piazza per decidere insieme ad altri cittadini il destino della polis e della sua stessa vita privata, ormai amministrata da altri, e certamente non per il suo interesse, ma nell’interesse prevalente di chi il potere lo gestisce.

Io vorrei chiedere ad ogni italiano se crede veramente che ogni singolo parlamentare stia in Montecitorio non per quei 20.000 euro mensili assicurati, come base minima della carriera politica, ma per assicurare le condizioni di vita e di esistenza di ognuno dei 60 milioni di italiani. Vorrei anche chiedere se crede che i Mille siano davvero quanto di meglio si trovi in mezzo a 60 milioni di cittadini. Io vorrei chiedergli come si sente quando mette un segno di croce su una scheda per non poter fare null’altro. Se non credo che per effetto di questo chiamata in recinti chiusi, a mo di bestiame, non si siano innalzati sopra di sé, in dignità ricchezza e potere, persone di cui spesso (quando se ne può avere una conoscenza non mediatica, ma personale) si ha sommo disprezzo. Ed è questa appunto la “rappresentanza politica”, una formula criminale al cui confronto l’organizzazione mafiosa impallidisce.

No, caro Massimo, ad essere una “idiozia”, per giunta criminale, è proprio la “rappresentanza politica”, da cui in questi 70 anni di “antifascismo fascista” abbiamo potuto avere tutte le prove documentali che ci servivano. E resta il fatto che quando non sono “ladri” o “collusi” noi abbiamo sempre sollevato sopra noi stessi individui il cui “onore” non è maggiore del nostro, ma passano per gli Onorevoli per antonomasia. Viene da rimpiangere l’ancien règime, i cui ordini (Clero, Nobiltà e Terzo Stato) hanno ceduto il passo ed il potere a qualcosa di peggio e certamente più subdolo e ipocrita.

E veniamo alla “complessità” che renderebbe impossibile la “democrazia diretta” e quindi perché “impossibile” anche “idiota”. Ricordo a proposito di possibilità una distinzione che avevo trovato in un articolo di Lelio Basso, non so se sua propria o risalente ad altri. Egli distingueva fra una possibilità “astratta” in quanto priva di mezzi, ed una possibilità “concreta”, in quanto fornita di mezzi e quindi idonea a raggiungere i suoi scopi. Ebbene, se la “rappresentanza politica” è lo “strumento” con cui i cittadini realizzano i loro fini, ogni giorno che passa dimostra financo ai ciechi che questo strumento produce per un verso il fine della macelleria sociale, il fine del “genocidio” di quel popolo che si dice di rappresentare: ho detto “genocidio” che può avere tante forme, di cui quella vigente è sempre la meno sospetta e riconoscibile: quale peggiore genocidio di quello che ti toglie ad intere generazioni il futuro, la speranza, la dignità?

In un loro libro, Beppe e Casaleggio, parlano di “intelligenza collettiva”, resa oggi possibile proprio dalla forma di comunicazione della rete, appena agli esordi ed ancora assai perfettibile. Io stesso in una piazza di Brindisi a chi mi chiedeva cosa fare per uscire dall’inazione, dall’impotenza, dalla frustrazione, non ho certo detto di votare per questo o per quel partito, per questo o l’altro personaggio. Eravamo su un palco dicendo che non ci presentavamo alle elezioni e non chiedevamo il voto di nessuno. Ma ogni cittadino che insieme ad altri nove cittadini si fosse organizzato in gruppo su un progetto, anche di studio, diventava una forza notevole. Se poi in dieci si sapevano coordinare con gruppi analoghi, allora il rivolo diventava un fiume, anzi un torrente inarrestabile.

Ahimé, ho scritto più di quel che non volessi, ma concludo rapidamente e bruscamente, dicendo che proprio la “complessità” della società odierna consente di creare, sperimentare e attuare quegli istituti di cui la ‘democrazia diretta” ha bisogno. Che io sappia il filosofo Cacciari non ha mai spremuto le sue meningi filosofiche per pensare le forme della democrazia diretta. Se è stato anche lui parlamentare, la sua eredità è quella che ci troviamo oggi. E dunque non possiamo ritenere credibile la critica di Cacciari alla “democrazia diretta”, anche perché ci è preclusa la formula hobbesiana della relazione di protezione / obbedienza. I nostri “rappresentanti politici” agitano continuamente gli spauracchi pre-1945 per dirci che sono loro hanno il sovrano diritto di tiranneggiarci in un mondo che per definizione autoreferenziale è oggi migliore di quello distrutto e soggiogato nel 1945.

Se il criterio per verificare nel tempo e nello spazio la legittimità di ogni forma di potere costituito è la relazione protezione / obbedienza,  cioè ubbidisco ad una autorità che ritengo legittima solo e in quanto mi protegge nell’accezione più ampia del termine, includendo protezione fisica della vita ma anche della libertà e della dignità, allora non pare esservi dubbio che la forma attuale di potere rappresentativo (oggi Letta/Alfano) è il più “illegittimo’ del dopoguerra. Questi signori ubbidscono all’«Europa» o meglio alla Finanza, ai Mercati, allo Spead, non al popolo italiano, e del popolo italiano preparano la macelleria sociale e la repressione: devono lasciarsi scannare senza resistenze “eversive” e devono lasciarsi scannare dal governo delle larghe intese, promosse e benedette da Napolitano. Essendo precluso il ritorno a forme di governo precedenti il 1945, non resta altra via che la “democrazia diretta”, l’unica possibile e praticabile, anche se assai impervia e piena di insidie.

domenica 2 giugno 2013

Analisi del voto elettorale alle amministrative del maggio 2013 nella città di Roma: affermazione del Movimento Cinque Stelle.

A leggere i consueti giornali della carta stampata o a seguire i ludibri dei canali televisivi, in particolare quegli spettacoli immondi che sono i talk show, sembrerebbe ormai assodato che il Movimento Cinque Stelle sia scomparso, non esista più. Anche questa volta io mi sono offerto di fare il rappresentante di lista per il Movimento Cinque Stelle e non ho nascosto la mia adesione al Movimento. L’ho anzi resa pubblica e ciò ha immediatamente prodotto un ennesimo attacco da parte del quotidiano La Repubblica, di cui ho già detto in precedente post e di cui dirò nel successivo.

Qui mi soffermo brevemente sull’analisi del voto elettorale, per il quale rinvio alla discussione in atto da me avviata nel Forum romano del Movimento Cinque Stelle. Per un più ampio pubblico di lettori, anche non aderenti al Movimento Cinque Stelle, riassumo invece i termini essenziali della discussione in atto e che io mi auguro non venga abbandonata fino alla prossima scadenza elettorale delle comunali del 2018, per la quale già incominciamo a prepararci, per non ripetere gli errori fatti (se ve ne sono stati) e soprattutto per superare i limiti materiali ed umani, che già ben conosciamo.

È curioso come tutte le fonti di informazioni abbiano notato un forte incremento dell’astensione,  soprattutto a Roma, dove già nel primo turno metà dei cittadini romani ha scelto di non votare, con un incremento del 21 % rispetto al 2008, ma poi i raffronti per il Movimento Cinque Stelle vengono fatti con le politiche del febbraio scorso e non invece con le amministrative del 2008, quando il Movimento Cinque Stelle non era neppure stato fondato. Rispetto ad allora, stando a calcoli da ragioniere, il Movimento è passato da zero ad oltre il 12 per cento, un risultato certamente magro rispetto alle politiche di due mesi prima, ma più che lusinghiero rispetto allo zero di partenza.

Per maggiori dettagli e più minute argomentazioni rinvio alla discussione interna già citata. Qui ne riporto le conclusioni provvisorie. È da considerare soddisfacente il risultato che vede in Campidoglio e ai singoli Municipi la presenza di consiglieri del Movimento Cinque Stelle che porteranno all’esterno le informazioni di cui il Movimento ha bisogno per crescere.  In effetti, se in Movimento Cinque Stelle avesse conquistato di colpo l’amministrazione del più grande comune d’Italia io temo che non saremmo stati capaci di tanto onere e di tanto onore. Personalmente, mi ritengo particolarmente soddisfatto per aver mandato a casa (non ho dubbi sul ballottaggio) il signor Gianni Alemanno, con il quale ho un conto personale da quando nell’ottobre 2009 Repubblica, su commissione di terzi e con firma Marco Pasqua, scatenò una attacco mediatico contro di me. Alemanno – che disgraziatamente avevo pure votato nel 2008! – fu tra quelli che mi si avventarono contro e contro i quali la giustizia del Cielo non tardò a manifestarsi, come nel caso di Marrazzo, che oggi lamenta una campagna di stampa contro lui, dimentico che lui stesso aveva fatto parte pochi giorni prima di una campagna di stampa contro me, rilasciando dichiarazioni del tutto gratuite e prendendo come oro colato ciò che Repubblica metteva in circolazione.

Enzo Tortora, una vittima dei media
Chiedo scusa ai miei lettori se tiro fuori sempre la mia vicenda personale, ma lo faccio soltanto nella persuasione del suo valore esemplare: io stesso come Tortora, anche se per fortuna senza gli stessi connotati tragici. E non mi stancherò di ricordare la mia vicenda ogni volta che sarà pertinente al discorso corrente... E quale è qui ora il nostro discorso? Presto detto: il Movimento Cinque Stelle, al quale ho aderito convintamente e fattivamente dopo aver definitivamente sciolto qualsiasi mio vincolo con il PDL,  non è affatto finito, ma è appena al suo inizio. Molto lavoro vi è ancora da fare, perché la crisi e lo sfascio sociale aumenta di giorno in giorno. Questi partiti che ne sono la causa non ne sono e non ne saranno il rimedio. Il castello di menzogne che con il concorso dei media ogni giorno edificano con notizie date al mattino già crolla con le notizie delle sera, se appena appena i teledipendenti del regime riescono a manifestare un lieve sussulto di spirito critico.

Il Movimento romano non ha sofferto per il risultato elettorale. Le sue riunioni organizzative continuano come prima, il lavoro non si è interrotto, anzi si svolge meglio senza l’impaccio della campagna elettorale, e aumentano le adesioni e l’entusiasmo dei suoi militanti. La storia non è solo uno sguardo al passato, ahimé uno sguardo non libero ma spesso costretto e ingabbiato da ricostruzioni di regime e dal suo occhio televisivo, dove - ad esempio - in occasione di una trasmissione “educativa” sul referendum istituzionale (repubblica o monarchia) mi capitò di veder salutato come una “benedetta truffa” il risultato elettorale che ancora oggi si celebra il 2 di giugno. La storia è anche il presente nel suo farsi,  dove ognuno è protagonista, lo voglia o no, anche restando del tutto inerte davanti al fluire degli eventi.