domenica 31 maggio 2009

C. Mattogno: R. Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. – Cap I § 6: Il ”Führerbefehl” (l’ordine di sterminio di Hitler)

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”

6.

Il “Führerbefehl” (l’ordine di sterminio di Hitler)

Dopo questi laboriosi e inani preparativi, finalmente Hilberg giunge al fatidico “ordine di sterminio”:
«Poi, un giorno, verso la fine dell’estate, Eichmann venne convocato nell’ufficio di Heydrich, dove il capo dell’RSHA gli disse: “Esco dalla casa del Reichsführer; il Führer ha ordinato adesso lo sterminio fisico degli Ebrei (Ich komme vom Reichsführer; der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet)» (p. 425).
La fonte, indicata nella nota 30 a p. 851, è: Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. A cura del dott. Rudolf Aschenauer. Druffel-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, pp. 178-179 e 229-230. Nella stessa nota Hilberg precisa:
«Nelle sue memorie, Eichmann situa il colloquio verso la fine dell’anno (zur Jahreswende 1941-1942). Durante l’interrogatorio a opera della Polizia israeliana a Gerusalemme, sostenne, cosa che è più verosimile, che l’ordine di Hitler era arrivato due o tre mesi dopo l’attacco della Germania all’Urss: Jochen von Lang, Eichmann Interrogated, New York 1983, pp. 74-75. Höss, comandante di Auschwitz, si ricorda di essere stato convocato da Himmler d’estate, a proposito dello sterminio degli Ebrei. Höss afferma anche che Eichmann si recò poco dopo ad Auschwitz: Rudolf Höss, Kommandant in Auschwitz. Munich [Monaco] 1963 (trad. it. Comandante ad Auschwitz, Einaudi, Torino 1960) [...]. La cronologia degli eventi e il contesto storico portano a credere che Hitler abbia preso la decisione prima della fine dell’estate del 1942 [recte: 1941]».
È molto singolare che una questione di importanza fondamentale come quella della decisione del presunto sterminio ebraico da parte di Hitler, in un libro di oltre 1300 pagine, venga relegata da Hilberg in una nota. Forse non voleva attrarre troppo l’attenzione su questo punto? Ne avrebbe avuto comunque tutti i motivi.

La fonte da lui citata, alle pagine indicate, dice infatti:
«Verso la fine del 1941-inizio del 1942 il capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza, Heydrich, mi comunicò oralmente che il Führer aveva ordinato lo sterminio fisico del nemico ebreo» [Etwa um die Jahreswende 1941/42 teilte mir der Chef des Sipo und des SD, Heydrich, mündlich mit, daß der Führer die physische Vernichtung des jüdischen Gegners befohlen habe] (68).
Nella pagina seguente viene ribadita la medesima data:
«Nel menzionato periodo tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942 il capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza, Heydrich, mi comunicò, oltre all’ “ordine di sterminio fisico”... » [In der erwähnten Zeit zur Jahreswende 1941/42 teilte mir der Chef des Sipo und des SD, Heydrich, außer dem “physischen Vernichtungsbefehl”...mit...] (69).
Seguono, qualche riga dopo, le parole citate da Hilberg:
«Quando Heydrich mi disse: “Vengo dal Reichsführer; il Führer ha ormai ordinato lo sterminio fisico degli Ebrei...”» [Als Heydrich mir sagte “Ich komme vom Reichsführer; der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet...”] (70).
Nel secondo riferimento a questa fonte Eichmann ribadisce che «l’ordine di sterminio fisico fu dato dalla [dopo la] fine del 1941» (ab Ende 1941 die physische Vernichtung befohlen wurde)
(71).
Nel corso degli interrogatori da parte della Polizia israeliana, Eichmann dichiarò che Heydrich gli aveva trasmesso il presunto ordine di sterminio di Hitler due o tre mesi dopo l’inizio della guerra contro l’Unione Sovietica, comunque nella tarda estate (Spätsommer) del 1941 (72). Ma questa data non può essere considerata «più verosimile» dell’altra, perché è inserita in un contesto storico del tutto anacronistico. Heydrich, infatti, avrebbe ordinato a Eichmann di andare a Lublino da «Globocnigg» [Globocnik], al quale Himmler aveva già impartito «adeguate direttive» (entsprechende Weisungen), per vedere a che punto era col suo compito. Giunto a Lublino, Eichmann visitò un luogo di cui non ricordava il nome, forse Treblinka, in cui gli Ebrei venivano avvelenati (vergiftet) con i gas di scarico di un motore di sottomarino sovietico in una specie di chalet con due o tre stanze. Ciò avvenne nella tarda estate o nell’autunno del 1941 (73). Ma il primo dei «centri di sterminio» di Globocnik, Bełżec, a detta di Hilberg, fu aperto nel marzo 1942 (p. 954), sicché egli sapeva bene che non poteva essere stato visitato da Eichmann nella tarda estate o nell’autunno del 1941.

Dunque nessuna delle due date proposte da Eichmann, considerate nel contesto del suo racconto, è attendibile. Per di più, la datazione di Höss è in ulteriore contraddizione con queste due datazioni contraddittorie. Hilberg ha cercato di superare queste difficoltà confondendo a bella posta «decisione» e «ordine» di sterminio: Hitler avrebbe dunque preso la «decisione» dello sterminio prima della fine dell’estate del 1941, ma avrebbe impartito l’«ordine» relativo nella tarda estate di quell’anno. Tuttavia Höss parlò inequivocabilmente di «ordine».

Nella dichiarazione del 14 marzo 1946, egli (adottando il linguaggio dei suoi interrogatori), aveva affermato:
«Nel giugno 1941 mi fu ordinato di presentarmi da Himmler a Berlino ed egli mi disse, a senso, approssimativamente, quanto segue: “Il Führer ha ordinato la soluzione della questione ebraica in Europa” ».[Ich wurde nach Berlin im Juni 1941 zu Himmler befohlen, wo er dem Sinne nach ungefähr folgendes sagte: Der Führer hat die Lösung der Judenfrage in Europa befohlen] (74).
E nel suo affidavit del 5 aprile 1946, che Hilberg cita ripetutamente nel capitolo nono, Höss ribadì esplicitamente:
«Nel giugno 1941 ricevetti l’ordine di creare ad Auschwitz facilitazioni di sterminio» [Ich hatte den Befehl, Ausrottungserleichterungen in Auschwitz im Juni 1941 zu schaffen] (75).
Hilberg stesso lo dichiara esplicitamente a p. 1078:
«Gli ordini verbali vennero dati a tutti i gradi. Höss si vide assegnare la costruzione del suo campo di sterminio di Auschwitz, durante una conversazione con Himmler».
Per completare l’opera, Hilberg tace la dichiarazione dell’ex SS-Hauptsturmführer Dieter Wisliceny, che era stato rappresentante di Eichmann in Slovacchia, relativa a un ordine di sterminio scritto di Himmler risalente alla primavera del 1942, che Eichmann gli avrebbe mostrato in agosto (76). Già nell’udienza pomeridiana del 3 gennaio 1946 del processo di Norimberga, Wisliceny aveva precisato che questo presunto ordine di sterminio risaliva all’aprile 1942 (77). Nell’interrogatorio da parte del procuratore del Tribunale nazionale slovacco del 6 e 7 maggio 1946, Wisliceny confermò:
«Quest’ordine [di sterminio ebraico] era datato aprile 1942 e recava la firma di Himmler di proprio pugno, che conoscevo bene. Nell’ordine si diceva che gli Ebrei abili al lavoro dovevano essere provvisoriamente risparmiati dallo sterminio per essere impiegati per il lavoro nelle attività dei campi di concentramento. Questo era il contenuto dell’ordine» (78).
Nella nota 539 a p. 1074 Hilberg invoca l’ «Affidavit di Wisliceny del 29 novembre 1945. [Nazi] Conspiracy and Aggression cit., vol. VIII, p. 610». Wisliceny vi dichiarò di aver incontrato nel suo ufficio a Berlino nel luglio o agosto del 1942 Eichmann, il quale gli disse che, per ordine di Himmler, tutti gli Ebrei dovevano essere sterminati.
«Chiesi di vedere l’ordine - continua Wisliceny. Egli prese un raccoglitore dalla cassaforte e mi mostrò un documento segretissimo bordato di rosso che disponeva l’esecuzione immedita. Era indirizzato sia al Capo della Polizia di Sicurezza e del SD sia all’Ispettore dei campi di concentramento. La lettera diceva sostanzialmente quanto segue:
“Il Führer ha deciso che la soluzione finale della questione ebraica debba cominciare immediatamente. Designo il Capo della Polizia di Sicurezza e del SD e l’Ispettore dei campi di concentramento come responsabili dell’esecuzione di quest’ordine. I particolari del programma devono essere concordati dal Capo della Polizia di Sicurezza e del SD e dall’Ispettore dei campi di concentramento. Devo essere tenuto al corrente dell’esecuzione di quest’ordine”. L’ordine era firmato da Himmler e aveva la data di qualche giorno dell’aprile 1942»
(79).
Dunque Hilberg conosceva bene questa dichiarazione e la sua omissione era intenzionale.

Riassumendo, il presunto ordine di sterminio sarebbe stato promulgato in un lasso di tempo che va dal giugno 1941 all’aprile 1942!

Queste dichiarazioni contraddittorie, nell’esposizione di Hilberg, rivestono un’importanza considerevole, perché da esse egli trae e insinua surrettiziamente come un dato di fatto l’arbitraria congettura della presunta decisione di sterminio da parte di Hitler prima della fine dell’estate del 1941, e di un presunto ordine di sterminio nella tarda estate, che gli permette poi di interpretare tutti i documenti successivi in funzione dello sterminio. In ciò, come direbbe van Pelt, egli realizza una “convergenza di prove” puramente fittizia tra i documenti travisati in base al «linguaggio in codice» e quelli travisati in base alla presunta decisione di sterminio.

NOTE

(68) Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. A cura del dott. Rudolf Aschenauer. Druffel-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, p. 177. Torna al testo.
(69) Idem, p. 178. Torna al testo.
(70) Idem. Torna al testo.
(71) Idem, p. 230. Torna al testo.
(72) State of Israel. Ministry of Justice. The Trial of Adolf Eichmann. Record of Proceedings in the District Court of Jerusalem. Gerusalemme, 1993, vol. VII, p. 169. Hilberg cita il libro Eichmann Interrogated, a cura di Jochen von Lang, New York, 1983, pp. 74-75, di cui esiste una traduzione italiana: Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, a cura di Jochen von Lang. Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1982, p. 83. Torna al testo.
(73) Idem, pp. 171-174. Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, op. cit., pp. 84-85. Torna al testo.
(74) NO-1210. Torna al testo.
(75) PS-3868. Torna al testo.
(76) Dichiarazione di D. Wisliceny del 18 novembre 1946, in: L. Poliakov, J. Wulf (a cura di), Das dritte Reich und die Juden. Dokumente uns Aufsätze. Arani Verlag, Berlino-Grunewald, 1955, p. 94. Torna al testo.
(77) IMG, vol, IV, pp. 397-398. Torna al testo.
(78) LST, 36/48, p. 142. Torna al testo.
(79) L’affidavit è disponibile in: http://www.ess.uwe.ac.uk/genocide/Wisliceny.htm. Torna al testo.

C. Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio». – Cap I § 5: La politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione ebraica secondo Hilberg.

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”

5.

La politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione ebraica secondo Hilberg

Hilberg riassume poi come segue la politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica:
«Com’era facile prevedere, i primi piani di emigrazione forzata vennero elaborati nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria. Quando Hitler arrivò al potere, la Germania contava circa 520.000 Ebrei. Cinque anni dopo, l’emigrazione e la morte li avevano ridotti a 350.000. Tuttavia, nel marzo 1938, quando i Tedeschi si impadronirono dell’Austria, ai 350.000 Ebrei se ne aggiunsero altri 190.000, portando il loro numero a 540.000, cioè, oltre 15.000 in più del dato di partenza. Era chiaro che non si poteva procedere. S’imponevano provvedimenti che andassero oltre l’ordinaria amministrazione.
È per questo che, soprattutto verso la fine del 1938, vediamo Shacht, Wohlthat e molti altri responsabili discutere con le democrazie occidentali dei mezzi per accelerare l’emigrazione ebraica» (p. 418).
In tale contesto Hilberg descrive tra l’altro gli sforzi del segretario di Stato agli Esteri Ernst von Weizsäcker per «convincere l’ambasciatore polacco Lipski a riprendersi i 40.000 o 50.000 Ebrei polacchi che vivevano nel Reich»(p. 419) e menziona l’incontro di Ribbentrop con il ministro francese degli Esteri Georges Bonnet sull’emigrazione ebraica, riguardo al quale il ministro degli Esteri tedesco disse:«Al signor Bonnet risposi che anche noi volevamo sbarazzarci dei nostri Ebrei, ma la difficoltà stava nel fatto che nessun Paese desiderava accoglierli» (p. 419).

Hitler, nel discorso del 30 gennaio 1939, commentò:
«È uno spettacolo vergognoso vedere come oggi il mondo democratico per intero pianga lacrime di pietà, ma poi, malgrado la sua manifesta promessa di aiuto, chiuda il cuore allo sventurato popolo ebreo torturato» (p. 420).
Hitler pensava ai risultati fallimentari della conferenza di Evian, che si era svolta dal 6 al 15 luglio 1938 nella nota località termale francese. La conferenza era stata organizzata per iniziativa del presidente Roosevelt al fine di aiutare le vittime delle persecuzioni nazionalsocialiste, in primo luogo degli Ebrei. Ma le buone intenzioni del Presidente statunitense apparvero dubbie fin dall’inizio:
«Alla sua conferenza stampa di Warm Springs, il presidente Roosevelt limitò già le possibilità di Evian dicendo che come sua conseguenza non erano previste revisioni né aumenti delle quote di immigrazione negli Stati Uniti. Nel suo invito a questa conferenza rivolto ai 33 Paesi, Roosevelt sottolineava che non ci si attendeva da nessun Paese che acconsentisse a ricevere un numero di immigrati superiore alle norme della sua legislazione in vigore».
Con tali premesse, la conferenza di Evian era destinata al fallimento già in partenza. Il suo risultato fu in effetti che «il mondo libero abbandonava gli Ebrei di Germania e d’Austria alla loro sorte spietata» (56).

Ecco invece l’incredibile commento di Hilberg:
«L’accusa [di Hitler] non era priva di fondamento: era un tentativo per coinvolgere le potenze alleate nel processo di distruzione, in qualità di complici passivi, ma consenzienti».
Così, all’inizio del 1939, quando lo scopo finale della politica tedesca verso gli Ebrei era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich, quando dunque il presunto sterminio non era stato né deciso né pianificato, il rifiuto delle future potenze alleate di accogliere gli emigranti ebrei diventa un tentativo di coinvolgimento in un «processo di distruzione» al quale nessuno aveva mai pensato!

Indi Hilberg riassume le misure adottate dal governo del Reich per favorire l’emigrazione ebraica, che culminarono nell’istituzione della Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica) a Vienna il 26 agosto 1938 e della Reichszentrale für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica) il 24 gennaio 1939(p. 420), ai quali si aggiunse una Zentralstelle für jüdische Auswanderung istituita a Praga il 15 luglio 1939 (57). Poi continua così:
«La politica dell’emigrazione rimase all’ordine del giorno finché non venne dichiarata la guerra. In seguito, la prima reazione alle vittorie riportate, in Polonia e in Francia, fu di punire questi due Paesi per l’atteggiamento adottato nei riguardi dell’emigrazione ebraica, inviando loro una parte di Ebrei a cui, in precedenza, era stato impedito di varcare i confini» (pp. 420-421).
Perciò Hitler - secondo l’interpretazione di Hilberg - dopo aver affermato «la possibilità di uno sterminio totale» nel discorso del 30 gennaio 1939 nel caso in cui l’ebraismo internazionale avesse precipitato i popoli in un’altra guerra mondiale, dopo che ciò (dal suo punto di vista) avvenne, invece di attuare la sua presunta minaccia, “punì” la Francia e la Polonia sconfitte inviando loro una parte degli Ebrei che avrebbe dovuto sterminare totalmente!

Dopo aver delineato correttamente il progetto Madagascar, Hilberg commenta:
«Il piano Madagscar fu l’ultimo importante tentativo destinato a “risolvere il problema ebraico” con l’emigrazione. Gli uffici della Polizia di sicurezza, il Ministero degli Esteri e il Governatorato generale nutrivano molte speranze e aspettative da questo progetto. Una volta sfumato, il piano sarebbe stato rimesso sul tappeto, ancora una volta, all’inizio di febbraio del 1941, nel quartier generale di Hitler. [...].
All’inizio, Hitler aveva pensato, viste le circostanze, essenzialmente agli Ebrei della Germania, ma ora l’obiettivo doveva essere l’eliminazione dell’influenza ebraica su tutta la sfera di potere dell’Asse» (p. 422) (corsivo mio).
Appunto questo, come ho spiegato sopra, significava la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso di Hitler del 30 gennaio 1939. Ma se Hilberg ne era consapevole, perché ha interpretato fallacemente quel termine come «possibilità di uno sterminio totale»?

Hitler - riferisce Hilberg - aveva preso il progetto Madagascar molto sul serio.
«Quando Borman gli chiese come avrebbe fatto, in piena guerra, a trasportare gli Ebrei sull’isola, Hitler replicò che bisognava studiare la questione. Era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa, ma rifiutava di esporre i suoi equipaggi ai siluri dei sottomarini nemici. Ora pensava a ogni cosa, da un punto di vista diverso, e non certo con maggior simpatia (Er dachte über manches jetzt anders, nicht gerade freundlicher).
Mentre Hitler meditava, un sentimento di incertezza velava il meccanismo della distruzione» (p. 422).
Mentre Hitler era intento a meditare sul progetto Madagascar, per la realizzazione del quale era addirittura «pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca», esisteva tuttavia un «meccanismo della distruzione» che nessuno aveva deciso e nessuno aveva pianificato: una sorta di entità metafisica dotata di esistenza propria che procedeva autonomamente verso il fine dello sterminio, indipendentemente dalla politica di emigrazione adottata dal governo del Reich!

Per rendere meno incerto il «sentimento di incertezza» che «velava il meccanismo della distruzione», Hilberg riporta poi senza commento citazioni di documenti che contengono i presunti termini «in codice» di «Evakuierung» (evacuazione), «Lösung der Judenfrage» (soluzione della questione ebraica) e «judenfrei» (sgombro di Ebrei). Con ciò, come ho già spiegato, egli insinua che tali documenti si riferissero al «meccanismo della distruzione»; nello stesso tempo, si esime dal dovere di spiegarli nel loro contesto storico. Esaminerò successivamente i casi più eclatanti di questo travisamento sistematico dei documenti. Qui rilevo soltanto che il termine «judenfrei» poteva sì essere usato in senso ingannevole, ma non come credeva Hilberg. Ad esempio, il Lemberger Zeitung del 17 ottobre 1942 riportò la seguente notizia:
«Lublino è la prima città del Governatorato generale che sia divenuta judenfrei ed ora ci si accinge a liberare anche i territori dei singoli distretti degli Ebrei, che hanno gettato nella confusione la vita economica di questo paese. Il primo distretto che non ha più Ebrei è Biala Podlaska. La procedura si svolge così: i capi del distretto fissano un luogo come zona di residenza (Wohngebiet) per tutti gli Ebrei del distretto. In questa sistemazione i due distretti di Biala Podlaska e Radzin hanno scelto di comune accordo una città come zona di residenza ebraica, cioè Miendzyrzec. Ma poiché questa località si trova nel territorio del distretto di Radzin, Biala Podlaska non ha più Ebrei» (58).
Secondo Y. Arad, gli Ebrei di Biała Podlaska erano stati deportati a Sobibór il 10 giugno 1942 e Treblinka tra il 26 settembre e il 6 ottobre; quelli di Radzyń Podlaski a Treblinka il 1° ottobre e quelli di Międzyrzec Podlaski nel medesimo campo il 25-26 agosto (59), perciò il 17 ottobre 1942 in queste tre località non avrebbero dovuto esserci più Ebrei.

Continuando la sua esposizione, Hilberg scrive:
«Nel vicino Wartheland, prese corpo un movimento popolare che chiedeva l’eliminazione degli Ebrei».
Egli menziona poi la lettera dell’SS-Sturmbannführer Rolf-Heinz Höppner a Eichmann del 16 luglio 1941, secondo il quale «bisognava creare un campo capace di contenere 300000 individui [ebrei], con baracche per i laboratori di sartoria, fabbriche di scarpe, ecc.». Hilberg cita inoltre questo passo, cui allega anche il testo tedesco:
«Quest’inverno, diceva Höppner, rischiamo di non poter più nutrire tutti gli Ebrei. Dobbiamo dunque soppesare coscienziosamente il pro e il contro, e chiederci se la soluzione più umana non sia quella di farla finita con gli Ebrei che non possono essere utilizzati mediante un sistema rapido. Ad ogni modo, sarà certamente più accettabile che non lasciarli morire di fame (Es besteht in diesem Winter die Gefahr, dass die Juden nicht mehr sämtlich ernährt werden können. Es ist ernsthaft zu erwägen, ob es nicht die humanste Lösung ist, die Juden, soweit sie nicht arbeitseinsatzfähig sind, durch irgendein schnellwirkendes Mittel zu erledigen. Auf jeden Fall wäre diese angenehmer, als sie verhungern lassen) » (p. 423).
Per l’esattezza, «nicht arbeitseinsatzfähig» significa «inabili all’impiego lavorativo», «durch irgendein schnellwirkendes Mittel» significa invece «con qualche mezzo di rapido effetto».

Questa nota per gli atti (Aktenvermerk), che verteva sulla «Soluzione della questione ebraica» (Lösung der Judenfrage), comincia con queste parole:
«Nei colloqui [tenutisi] al governo provinciale del Reich, da varie parti è stata affrontata la soluzione della questione ebraica nel territorio della Warta. Viene proposta la seguente soluzione:».
[«Bei den Besprechungen in der Reichsstatthalterei wurde von verschiedenen Seiten die Lösung der Judenfrage im Wartheland angeschnitten. Man schlägt dort folgende Lösung vor:»]
(60).
La presentazione di Hilberg è dunque inesatta, perché qui non si tratta né di un «movimento popolare» (ma di proposte di SS locali), né di «eliminazione degli Ebrei», ma di eventuale uccisione di Ebrei inabili al lavoro come «soluzione più umana» rispetto ad una eventuale morte di fame.

Hilberg commenta:
«Se si dà ascolto alle parole di Höppner, il Reichsstatthalter non aveva ancora optato per una particolare soluzione, ma alla fine dell’anno, a Kulmhof, un campo della morte situato nella provincia (Gau), si sterminavano già gli Ebrei del Wartheland» (p. 423).
In tal modo egli cerca di inverare la presunta «eliminazione degli Ebrei» che attribuisce illecitamente al documento con un riferimento apodittico al presunto campo di sterminio di Kulmhof, sul quale ritornerò nel capitolo III,1.

Hilberg continua poi così il suo gioco degli equivoci:
«Il 7 giugno 1941, il Capo della Cancelleria del Reich, Lammers, indirizzava due lettere identiche ai Ministri dell’Interno e della Giustizia; in esse si limitava a dichiarare che Hitler non giudicava necessario quel provvedimento. Lammers, in seguito, indirizzò una terza lettera al suo omologo di Partito, Bormann, nella quale ripeteva il messaggio, aggiungendo una spiegazione confidenziale:
“Il Führer, scriveva, non ha accettato il provvedimento proposto dal ministro dell’Interno del Reich, essenzialmente perché ritiene che comunque, dopo la guerra, in Germania non ci saranno più Ebrei (Der Führer hat der vom Reichsminister des Innern vorgeschlagenen Regelung vor allem deshalb nicht zugestimmt, weil er der Meinung ist, dass es nach dem Krieg in Deutschland ohnedies keine Juden mehr geben werde)”.
Non serviva a niente, dunque, emanare un decreto di difficile applicazione, che avrebbe occupato molto personale, e che in linea di principio non avrebbe comunque fornito una soluzione al problema» (p. 424).
In tale contesto, il lettore è portato ad interpretare una tale scomparsa come risultato dello sterminio, anche perché, con la sua inutile citazione del testo tedesco, Hilberg sembra attribuire grande importanza al documento, ma egli non fa nulla per dissuaderlo da questa falsa interpretazione, spiegando che «dopo la guerra», secondo Hitler, gli Ebrei sarebbero stati altrove, vivi.

Già nell’agosto 1940 il Führer aveva manifestato l’intenzione di evacuare tutti gli Ebrei dall’Europa dopo la guerra (61). Secondo una nota della Cancelleria del Reich del marzo-aprile 1942, egli aveva dichiarato ripetutamente a Lammers «che voleva sapere rinviata a dopo la guerra la soluzione della questione ebraica» (62). Il 24 luglio 1942 Hitler, sia pure con linguaggio colorito, espresse di nuovo questa intenzione:
«Dopo la fine della guerra egli terrà un comportamento tanto rigoroso che abbatterà città dopo città se gli Ebrei non ne usciranno e non emigreranno in Madagascar o in un altro Stato nazionale ebraico» (63).
Lo stesso punto di vista, come vedremo successivamente, viene espresso nella cosiddetta «Braune Mappe».

Qui Hilberg, sempre attento a riferire tutte le fonti favorevoli alla sua tesi, trascura le dichiarazioni di Hans Lammers all’udienza dell’8 aprile 1946 del processo di Norimberga.

Nel 1943 sorsero voci secondo le quali gli Ebrei venivano uccisi. Lammers cercò di risalire alla fonte di tali voci, ma senza esito positivo, perché esse risultavano sempre fondate su altre voci, per cui giunse alla conclusione che si trattasse di propaganda radiofonica nemica.

Tuttavia, per chiarire la faccenda, egli si rivolse a Himmler, il quale negò che gli Ebrei venissero uccisi legalmente: essi venivano semplicemente evacuati all’Est e questo era l’incarico affidatogli dal Führer. Durante tali evacuazioni potevano certo verificarsi casi di morte tra persone vecchie o malate, potevano accadere disgrazie, attacchi aerei e rivolte, che Himmler era costretto a reprimere nel sangue a mo’ d’esempio, ma questo era tutto.

Allora Lammers andò da Hitler, che gli diede la stessa risposta di Himmler:
«Egli mi disse: “Deciderò successivamente dove andranno gli Ebrei; per il momento sono sistemati là”».
A questo punto il dott. Alfred Thoma, avvocato di Rosenberg, gli chiese:
«Himmler Le ha mai detto che la soluzione finale degli Ebrei dovesse aver luogo con il loro sterminio?
Lammers - Di ciò non si è mai fatto parola. Egli ha parlato soltanto di evacuazioni.
Thoma - Ha parlato soltanto di evacuazioni?
Lammers - Soltanto di evacuazioni.
Thoma - Quando ha sentito di questi cinque milioni di Ebrei che sono stati sterminati?
Lammers - L’ho sentito qui qualche tempo fa»
(64).
Il capo della Cancelleria del Führer dichiarò dunque di aver saputo solo a Norimberga del presunto sterminio ebraico. Questa dichiarazione può essere discutibile, ma non può essere semplicemente omessa in un’opera come quella di Hilberg.

Come vedremo successivamente, una omissione simile si riscontra anche nella esposizione da parte di Hilberg della testimonianza di Hans Frank a Norimberga.

Hilberg adduce poi un altro documento:
«Verso la fine della primavera del 1941, gli uffici tedeschi della Francia occupata ricevevano ancora le domande di Ebrei che tentavano di emigrare. Il 20 maggio 1941, un responsabile della Gestapo di stanza presso l’Ufficio centrale della sicurezza del Reich, il Reichssischerheitshauptamt (RSHA), Walter Schellenberg, informò il comandante militare della Francia, che l’emigrazione degli Ebrei dalla zona posta sotto la sua responsabilità doveva essere vietata: i mezzi di trasporto erano pochi e la “soluzione finale della questione ebraica”, adesso, era molto vicina» (p. 424).
Anche qui, in virtù del significato da lui attribuito a “Endlösung” a p. 289, egli lascia intendere che lo sterminio ebraico era molto vicino.

La fonte da lui citata è il documento NG-3104 (nota 27 a p. 851). In realtà, come ho spiegato sopra, l’espressione «in considerazione della soluzione finale della questione ebraica senza dubbio prossima» (im Hinblick auf die zweifellos kommende Endlösung der Judenfrage) (65), non si riferiva ad fantomatico sterminio, ma al progetto Madagascar, la cui attuazione si considerava imminente.

Nella sua immaginaria ricostruzione della genesi del presunto sterminio, Hilberg introduce a questo punto la lettera di Göring a Heydrich che ho citato nel suo contesto storico nel paragrafo 2°, e commenta:
«Con questa lettera, Heydrich prendeva in mano le redini del processo di sterminio» (p. 425).
Ma quale «processo di sterminio»? La lettera si riferiva al progetto Madagascar, come Hilberg sapeva bene, dal momento che, come abbiamo visto sopra, ha scritto che esso fu rimesso in duscussione all’inizio di febbraio del 1941 nel quartier generale di Hitler, che questi «era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa».

Al processo Zündel, Hilberg affermò che la risposta di Hitler a Bormann menzionata sopra implicava che il capitolo del progetto Madagascar era ormai chiuso (66), mentre, come ho documentato sopra, esso fu abbandonato ufficialmente solo all’inizio di febbraio 1942 (67).

NOTE

(56) Michael Mazor, «Il y a trente ans: La Conference d’Evian», in: Le Monde Juif, n. 50, aprile-giugno 1968, p. 23 e 25. Torna al testo.
(57) A.G. Adler, Der Kampf gegen die “Endlösung der Judenfrage”. A cura della Bundeszentrale für Heimatdienst, Bonn, 1958, p. 8. Torna al testo.
(58) «Der erste judenfreie Stadt im GG», in: Lemberger Zeitung, 17 ottobre 1942, p. 5. Torna al testo.
(59) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987, p. 391, 395. Torna al testo.
(60) Fac-simile del documento originale in: Julian Leszczyński, «Od formuły zagłady - Höppner-Chełmno n/Nerem - do “Endlösung”» (Dalla formula dello sterminio - Höppner-Chełmno sul Ner - alla “Soluzione finale”), in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historicznego w Polsce, Varsavia, n. 1/101, 1977, pp. 60-61. Torna al testo.
(61) Memorandum di Luther per Rademacher del 15 agosto 1940, in: Documents on German Foreign Policy 1918-1945. Londra, Her Majesty’s Stationery Office, 1957, Series D, Volume X, p. 484. Torna al testo.
(62) PS-4025. Torna al testo.
(63) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, op. cit., p. 456. Torna al testo.
(64) IMG, vol. XI, pp. 61-63. Torna al testo.
(65) NG-3104. Torna al testo.
(66) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, op. cit., vol. VI, p. 1232. Torna al testo.
(67) Su ciò vedi anche il capitolo V,1.2. Torna al testo.

C. Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. – Cap I § 4: La «profezia» di Hitler del discorso del 30 gennaio 1939.

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”

4.

La «profezia» di Hitler del 30 gennaio 1939

Nel discorso del 30 gennaio 1939 al Reichstag menzionato da Hilberg, Hitler dichiarò:
«Oggi voglio essere di nuovo un profeta: Se l’ebraismo finanziario internazionale dentro e fuori l’Europa dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e con ciò la vittoria dell’ebraismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa (sondern die Vernichtung der jüdischen Rasse in Europa)» (43).
Rilevo anzitutto che la traduzione del termine «Vernichtung» con «distruzione» è quantomeno inappropriata, perché questo termine allude univocamente ad uno sterminio biologico.

In secondo luogo, Hilberg cita le frasi che precedono, ma non il seguito del discorso, che spiega perfettamente i termini della minaccia di Hitler:
«Poiché il tempo in cui i popoli non ebrei erano indifesi di fronte alla propaganda volge alla fine. La Germania nazionalsocialista e l’Italia fascista posseggono quelle istituzioni che permettono, se necessario, di spiegare al mondo l’essenza di una questione che molti popoli conoscono istintivamente e che non è chiara loro solo scientificamente» (44).
Dunque l’«annientamento della razza ebraica in Europa» consisteva semplicemente nell’additare agli altri popoli le istituzioni tedesche e fasciste che promovevano la conoscenza scientifica della «questione ebraica».

Nel discorso del 30 gennaio 1941 al Reichstag Hitler ribadì:
«E non vorrei dimenticare il monito che ho già fatto una volta, il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939], al Reichstag tedesco. Il monito, cioè, che, se il resto del mondo sarebbe stato precipitato dall’ebraismo in una guerra generale, l’intero ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa! (das gesamte Judentum seine Rolle in Europa ausgespielt haben wird!)» (45).
Se dunque l’ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa, la “Vernichtung” del 1939 non era una era «distruzione» fisica, ma un “annientamento” puramente politico.

Ciò è confermato dalle parole di Hitler nel discorso che tenne allo Sportpalast il 30 gennaio 1942:
«Ci rendiamo conto che questa guerra potrebbe terminare soltanto così, o i popoli ariani saranno sterminati (ausgerottet werden), o l’Ebraismo scomparirà dall’Europa (das Judentum aus Europa verschwindet). Il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939], al Reichstag tedesco, ho già detto - ed io mi guardo dalle profezie avventate - che questa guerra non si concluderà come immaginano gli Ebrei, cioè che i popoli ariani europei saranno sterminati (ausgerottet werden), ma che il risultato di questa guerra sarà l’annientamento dell’Ebraismo (die Vernichtung des Judentums). [...]. E verrà l’ora in cui il peggiore nemico mondiale di tutti i tempi avrà di nuovo cessato il suo ruolo almeno, forse, per un millennio» (46).
Questa citazione conferma che la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso del 30 gennaio 1939 non era uno sterminio biologico, perché qui si parla, in caso di vittoria, di scomparsa ebraica «dall’Europa», che, insieme alla cessazione del ruolo politico dell’ebraismo in Europa, si spiega soltanto con i piani di deportazione degli Ebrei nei territori orientali occupati, che erano considerati extra-europei.

Il 24 febbraio 1942 il Führer ritornò sull’argomento. Dopo aver affermato che la «cospirazione» del mondo plutocratico e del Cremlino miravano ad un solo e identico fine – «lo sterminio (die Ausrottung) dei popoli e delle razze ariani» - precisò:
«Oggigiorno le idee della nostra rivoluzione nazionalsocialista e di quella fascista hanno conquistato grandi e potenti Stati, e si adempirà la mia profezia che con questa guerra non verrà annientata l’umanità ariana, ma sarà sterminato l’Ebreo (nicht die arische Menschheit vernichtet, sondern der Jude ausgerottet wird)»(47).
Nelle sue annotazioni Henry Picker, il 21 luglio 1942 (48), registrò:
«Infatti – poiché egli [Hitler] con la fine di questa guerra avrà buttato fuori dall’Europa [aus Europa hinausgeworfen] anche l’ultimo Ebreo – il pericolo comunista sarà estirpato totalmente [mit Stumpf und Stiel ausgerottet (49)] dall’Oriente».
Questo significato figurato del verbo “ausrotten” appare – coll’uso del corrispondente sostantivo – anche nel discorso del 30 settembre 1942, in cui Hitler disse:
«Il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939] a quella seduta del Reichstag ho detto due cose. In primo luogo…
e, in secondo luogo, che, se l’ebraismo avesse mai provocato una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) forse dei popoli ariani d’Europa, non sarebbero stati sterminati (ausgerottet werden) i popoli ariani, ma l’ebraismo»
(50).
Nel discorso dell’8 novembre 1942 Hitler parafrasò così la sua “profezia” del 30 gennaio 1939:
«Vi ricorderete ancora della seduta del Reichstag nella quale dichiarai: se l’ebraismo si illude di poter provocare una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) delle razze europee, il risultato non sarà lo sterminio (die Ausrottung) delle razze europee, ma lo sterminio (die Ausrottung) dell’ebraismo in Europa!» (51).
Hitler spiegò poi di nuovo il senso di questa “Ausrottung”: il riconoscimento del pericolo ebraico da parte dei popoli europei e l’introduzione da parte di essi di una legislazione antiebraica simile a quella tedesca:
«In Europa questo pericolo è stato riconosciuto e gli Stati aderiscono uno dopo l’altro alla nostra legislazione» (52).
Infine, nel discorso del 24 febbraio 1943 Hitler ribadì:
«Questa lotta perciò non finirà, come si immagina, coll’annientamento (mit der Vernichtung) dell’umanità ariana, ma con lo sterminio (mit der Ausrottung) dell’ebraismo in Europa» (53).
Con ciò abbiamo anche la perfetta equivalenza dei termini “Vernichtung” e “Ausrottung”, entrambi applicati ai popoli europei.

Ricapitalondo, Hitler usava i termini «Vernichtung» e «Ausrottung» in senso figurato sia nei confronti dei popoli europei, sia nei confronti dell’ebraismo, il che è pienamente confermato dalle varie citazioni e dal loro contesto.

E che questa sia l’interpretazione corretta – se ci fosse bisogno di una ulteriore conferma (54) – è dichiarato esplicitamente da uno storico insospettabile come Joseph Billig, già ricercatore preso il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Parigi:
«Il termine “Vernichtung” (annientamento, distruzione) indicava la volontà assolutamente negativa riguardo alla presenza ebraica nel Reich. In quanto assoluta, questa volontà si annunciava come pronta, se fosse stato necessario, a tutti gli estremi. Il termine in questione non significava che si era già arrivati allo sterminio e neppure l’intenzione deliberata di arrivarvi. Alcuni giorni prima del discorso citato [il discorso del 30 gennaio 1939], Hitler riceveva il ministro degli Esteri della Cecoslovacchia. Egli rimproverava al suo ospite la mancanza di energia del governo di Praga nei suoi sforzi di intesa con il Reich e gli raccomandava, in particolare, un’azione energica contro gli Ebrei. A questo proposito, egli dichiarò a titolo di esempio: “Presso di noi, vengono sterminati” (bei uns werden vernichtet). Bisogna credere che Hitler, nel corso di una conversazione diplomatica messa per iscritto negli archivi del Ministero degli affari esteri abbia fatto la confidenza di un massacro nel III Reich, il che, per di più, non era esatto a quell’epoca? Due anni dopo, il 30 gennaio 1941, Hitler rievocò la sua “profezia” del 1939. Ma, questa volta, ne precisò il senso come segue:“ ... e non voglio dimenticare l’indicazione che ho già data una volta davanti al Reichstag, cioè che se il resto del mondo (andere Welt) sarà precipitato in una guerra, il Giudaismo avrà terminato completamente il suo ruolo in Europa...”. Nella sua conversazione con il Ministro cecoslovacco, Hitler evocò l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che, secondo lui, potevano offrire delle regioni di insediamento agli Ebrei. Nel gennaio 1941 egli indica che il ruolo degli Ebrei in Europa sarà liquidato e aggiunge che questa prospettiva si realizzerà, perché gli altri popoli ne comprenderanno la necessità presso di loro. In quest’epoca si credeva alla creazione di una riserva ebraica. Ma essa per Hitler era ammissibile soltanto fuori d’Europa. Abbiamo appena rilevato che il 30 gennaio 1941 Hitler annunciò semplicemente la liquidazione del ruolo degli Ebrei in Europa» (55).
Hilberg, dunque, mettendo la «profezia» di Hitler del 30 gennaio 1939 in relazione con «la possibilità di uno sterminio totale», ne stravolge completamente il significato.

NOTE

(43) Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwit – Wiesbaden, 1973, vol. II, Erster Halbband, p. 1058. Torna al testo.
(44) Idem. Torna al testo.
(45) Idem,vol. II – Zweiter Halbband, p. 1663. Torna al testo.
(46) Idem, pp. 1828-1829. Torna al testo.
(47) Idem, p. 1844. Torna al testo.
(48) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, Wilhelm Goldmann Verlag, Monaco, 1981, p. 449. Torna al testo.
(49) Questa locuzione significa «sradicare», «estirpare totalmente». Torna al testo.
(50) M. Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945, op. cit., vol. II, Zweiter Halbband, p. 1920. Torna al testo.
(51) Idem, p. 1937. Torna al testo.
(52) Idem. Torna al testo.
(53) Idem, p. 1992. Torna al testo.
(54) Ulteriori conferme sono esposte nella capitolo V. Torna al testo.
(55) J. Billig, La solution finale de la question juive. Edité par Serge et Beate Klarsfeld, Parigi, 1977, p. 51. Torna al testo.

Jürgen Graf: «Il gigante dai piedi di argilla. Raul Hilberg e la sua opera simbolo sull’ “Olocausto”». - III: Osservazioni sul primo volume.

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I. Introduzione. - II. Osservazioni di carattere generale: 1 - 2 - 3. – III. Osservazioni sul primo volume. – IV. La mancanza di documenti su una politica di annientamento degli ebrei e sue conseguenze per gli storici ortodossi: 1 - 2 - 3: a. b. c. d. e. f. – V. I massacri sul fronte orientale: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8. – VI. Le deportazioni: 1 - 2 - 3 - 4 - 5. – VII. I centri di annientamento: 1 - 2 - 3: a. b. c. d. – 4: a. b. 5: a. b. c. d. e. – VIII. Statistica delle vittime in Hilberg: anatomia di una truffa. 1 - 2 - 3 - 4 - 5. – IX. Sconfitta di Hilberg nel processo Zündel. – X. Conclusioni.

Rinvii: Mattogno -

Osservazioni sul primo volume.

Hilberg introduce il primo capitolo (I precedenti) della sua opera con le seguenti parole (7):
«La distruzione degli Ebrei d’Europa da parte della Germania fu un tour de force, e la disfatta degli Ebrei di fronte all’aggressione tedesca, la chiara dimostrazione di un fallimento. Sotto questo aspetto, l’evento fu il risultato di pratiche molto antiche. Le politiche e le azioni antiebraiche non fecero la loro improvvisa comparsa nel 1933. Per molti secoli e in diversi Paesi, gli Ebrei erano state vittime di azioni distruttrici» (p. 3 ed. it. cit.).
Seguono osservazioni sull’antigiudaismo nella storia d’Europa. Hilberg considera il «processo di distruzione operato dai nazisti» come «il punto di arrivo di un’evoluzione ciclica». Al suo inizio vi erano stati tentativi di conversione degli Ebrei. Dal momento che questi per la massima parte non avevano voluto lasciarsi convertire, si era passati alla loro espulsione e come terzo, più radicale metodo è poi seguita l’eliminazione fisica degli ebrei (p. 6 s.). L’autore riassume la sua teoria come segue:
«I missionari del cristianesimo, in sostanza avevano finito con il dire: “Se rimanete Ebrei, non avete il diritto di vivere tra noi”. Dopo di loro, i capi secolari della Chiesa avevano sentenziato: “Voi non avete il diritto di vivere tra noi”. Infine, i nazisti tedeschi decretarono: “Non avete il diritto di vivere”» (p. 6, ed. it. cit.)
Il fatto che l’inimicizia verso gli ebrei proprio in Germania abbia toccato il suo punto estremo di arrivo non sia stato un fatto casuale, vuol dire che essa con i tedeschi ha potuto risalire ad una lunga tradizione. Già Martin Lutero, sarebbe stato un nemico accanito degli ebrei, come dimostrerebbe il suo scritto Degli Ebrei e delle loro menzogne (p. 13 ss.). Da Lutero Hilberg passa agli antisemiti tedeschi del XIX secolo e conclusivamente all’ideologia del nazionalsocialismo ostile agli ebrei. Acclude infine considerazioni sulla reazione ebraica alle persecuzioni continuamente sofferte nel corso della storia: a queste gli ebrei avrebbero reagito «per lungo tempo attraverso tentativi di attenuazione o di sottomissione» (p. 24). Ciò sarebbe stato loro fatale nel Terzo Reich:
«Nel 1933, di fronte ai nazisti, le reazioni tradizionali prevalsero, ma questa volta con risultati catastrofici. Le suppliche degli Ebrei non frenarono la macchina amministrativa, non più di quanto lo potè la considerazione delle loro attività ritenute indispensabili. Senza preoccuparsi dei costi dell’operazione, la burocrazia tedesca si dedicò all’annientamento degli Ebrei con crescente velocità e su scala sempre più ampia. Incapace di mutare i propri atteggiamenti per cominciare a resistere, la comunità ebraica accentuò la cooperazione fino ad accelerare l’azione nazista. In tal modo, essa stessa affrettò la propria distruzione. Dunque, possiamo notare che, nel loro rapporto reciproco, tanto le vittime che gli assassini utilizzarono un’esperienza secolare. Ciò condusse i Tedeschi al successo, gli Ebrei al disastro» (p. 25).

Come vediamo, Hilberg pone all’inizio della sua opera storica considerazioni psicologiche e filosofiche sulla preistoria dello sterminio degli ebrei – per il quale egli fino a questo momento non ha fornito la traccia di una prova, ma la presuppone assiomaticamente come nota. Egli mette dunque certamente la carrozza davanti al cavallo. Al metodo scientifico dovrebbe corrispondere l’accertamento dei fatti e solo dopo il filosofare sui motivi che hanno condotto ad essi. Dopo il secondo capitolo (Gli antecedenti), in cui sono esposte le misure antiebraiche adottate dopo la presa del potere del NSDAP, l’autore si dedica alle «Strutture della distruzione» (p. 51 s.). Di questa «distruzione» fanno parte per lui:

– la definizione del concetto di “ebreo” da parte dei nazionalsocialisti (p. 61-80) ed il divieto di matrimoni misti fra ariani ed ebrei;
– le espropriazioni degli ebrei (p. 81-162);
– la concentrazione degli ebrei in determinati quartieri residenziali, concretamente e soprattutto in ghetti, dove dapprima erano stati racchiusi gli ebrei che vivevano nel vecchio Reich e nel protettorato di Boemia e poi anche quelli nei territori polacchi conquistati nel 1939.

In questo capitolo Hilberg si appoggia quasi esclusivamente su fonti solide ed esaminabili, cosicché i fatti da lui esposti non sono contestabili nella loro interezza. A tale riguardo questa parte espone una documentazione utile sulla progressiva privazione dei diritti degli ebrei sotto il regime nazionalsocialista. Discriminazione, espropriazione e ghettizzazione di una minoranza non sono un elemento di una «politica di sterminio». I negri del Sudafrica non avevano diritti politici nel sistema dell’apartheid e vivevano per lo più in distretti separati, ma nessun uomo ragionevole sosterrà che essi siano stati sterminati dalla minoranza dei bianchi al governo. I palestinesi in Israele e giusto adesso nei territori da questo occupati sono tiranneggiati e vessati in tutti i modi immaginabili – non vengono però affatto sterminati. Hilberg opera quindi consapevolmente con una confusione concettuale.

Non è questo il solo caso di disonestà, nel quale ci imbattiamo nel primo volume. A pag. 216 l’Autore scrive nel contesto dell’espulsione degli ebrei tedeschi verso Oriente:
«Il mese di ottobre 1941 segnò l’inizio delle deportazioni di massa dal territorio del Reich; esse non si sarebbero concluse se non al termine del processo di distruzione. Questa volta, l’espulsione non aveva più come obiettivo finale l’emigrazione degli Ebrei, ma il loro sterminio. Tuttavia, siccome i campi di sterminio, finalizzati all’assassinio mediante camere a gas, non erano ancora costruiti, venne deciso che, in attesa della messa in funzione dei campi della morte, si sarebbero fatti transitare gli Ebrei nei ghetti, situati nei territori incorporati o, più a Est, nelle zone sovietiche occupate. Primo fra tutti, il ghetto di Lódz sarebbe stato un grande centro di raccolta» (p. 216).

Les principaux camps de concentration et leur année d’ouverture: Auschwitz (1940), Bergen Belsen (1944), Buchenwald (1937), Dachau (1933), Flossenbürg (1938), Gross Rosen (1941), Lublin-Maïdanek (1943), Mauthausen (1938), Dora-Mittelbau (1943), Natzweiler-Struthof (1941), Neuengamme (1940), Oranienburg (1933), Ravensbrück (1939), Sachsenhausen (1936), Stutthof (1941).Les principaux camps d’extermination : Auschwitz-Birkenau (1942), Belzec (1942), Chelmno (1941), Sobibor, Treblinka (1942). [Didascalia tratta dalla stessa fonte indicata per la cartina].

Hilberg resta in debito con i suoi lettori di una pezza di appoggio per questa affermazione. Mentre tutto il processo di espulsione degli ebrei tedeschi verso Oriente può essere incontestabilmente dimostrato sul piano documentale ed Hilberg nelle sue innumerevoli note a piè di pagina si basa per lo più su documenti originali tedeschi, egli non adduce nessun documento come fonte per la suddetta affermazione, nemmeno una dichiarazione testimoniale.

Il passo sopra citato è uno dei primi chiari esempi di una tattica, di cui Hilberg si servirà spesso nel secondo volume: egli inserisce affermazioni non documentate (o basate solo su discutibili dichiarazioni testimoniali) riguardo stermini di Ebrei in affermazioni limpidamente documentate su persecuzioni di Ebrei o deportazioni di Ebrei e spera che il lettore non si accorga di questo trucco. Nel caso summenzionato la mancanza di logica della sua asserzione la si può toccare con mano, specialmente se la si considera nel suo contesto. Hilberg descrive dettagliatamente alle pagine 215-225 [ed. ted.] quali difficoltà logistiche e organizzative portasse con sé l’espulsione improvvisata di masse di ebrei tedeschi nei territori polacchi occidentali annessi al Reich nel 1939 come pure nel governatorato, e quanto furiosamente i responsabili nazionalsocialisti locali resistessero contro questi spostamenti. Ad esempio, Werner Ventzki, borgomastro della città di Lódz il cui nome fu cambiato in Litzmannstadt, si oppose assai energicamente al piano ben esaminato del capo delle SS Heinrich Himmler del settembre 1941 di deportare 20.000 ebrei e 5.000 zingari nel ghetto di Lódz, da dove nell’anno seguente dovevano essere ulteriormente trasportati verso Oriente. Ventzki metteva in evidenza che la densità di occupazione nel ghetto, già comunque sovraffollato in modo eccessivo, sarebbe stata elevata di 7 uomini per spazio con l’arrivo di queste 25.000 persone; che i nuovi arrivati dovrebbero venir sistemati in fabbriche, cosa che avrebbe avuto per conseguenza un’interruzione della produzione; che sarebbe cresciuta la fame e si sarebbe giunti inevitabilmente allo scoppio di epidemie (p. 222 s.) [ed. ted.]. L’azione di spostamento ebbe ciononostante luogo.

Se, come sostiene Hilberg, lo scopo delle deportazioni «non aveva più come obiettivo finale l’emigrazione degli Ebrei, ma il loro sterminio», perde ogni significato la politica nazionalsocialista di spostamento degli ebrei verso Oriente a fronte del completamento dei “campi della morte”. Secondo il libro di Hilberg i primi due “campi della morte”, Chelmo e Belzec furono messi in funzione nel dicembre 1941 e rispettivamente nel marzo 1942 (p. 956) [ed. ted.]. Perché mai allora a decorrere dall’ottobre 1941 i tedeschi spedirono in massa gli ebrei nei ghetti che servivano come stazione di attesa fino alla messa in funzione dei “campi della morte” anziché aspettare con le deportazioni ancora un po’ da due a quattro mesi e risparmiarsi tutti i fastidi organizzativi e il caos nei ghetti? A domande ovvie di questo genere Hilberg non offre nessuna risposta.

Il primo volume della Distruzione degli Ebrei d’Europa tutto sommato espone una documentazione assai ben ricercata sul destino degli ebrei nel Terzo Reich dal 1933 al 1941. Sull'interpretazione dei fatti si può essere di diverso avviso – ci interessano in questo contesto solo i fatti stessi, e ci asteniamo, in contrasto con Hilberg, da ogni filosofare. È arbitraria in Hilberg la classificazione come “politica di sterminio” dei provvedimenti antiebraici discriminatori adottati dal governo nazista durante questo periodo – con una simile politica essi non avevano nulla a che fare.

NOTE

(7) Per ridurre il numero delle note, diamo sempre di nuovo, quando citiamo Hilberg, il numero delle pagine fra parentesi in aggiunta alla citazione corrispondente. [Le citazioni sono sono qui sostituite dalla corrispondente traduzione italiana in un solo grosso e costoso volume rilegato di Frediano Sessi e Giuliana Guastalla: Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa. Nuova edizione riveduta e ampliata, Torino, Einaudi, 1995. Le pagine si riferiscono a questa edizione italiana. Della stessa edizione appena citata è stata fatta una ristampa anastatica economica in due volumi nella collana “Einaudi tascabili. Storia, n° 602”. La numerazione delle pagine è identica e le citazioni qui fatte corrispondono perfettamente a seconda che si usi l’una o l’altra edizione. N.d.T.]. Torna al testo.