domenica 31 maggio 2009

C. Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio». – Cap I § 5: La politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione ebraica secondo Hilberg.

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”

5.

La politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione ebraica secondo Hilberg

Hilberg riassume poi come segue la politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica:
«Com’era facile prevedere, i primi piani di emigrazione forzata vennero elaborati nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria. Quando Hitler arrivò al potere, la Germania contava circa 520.000 Ebrei. Cinque anni dopo, l’emigrazione e la morte li avevano ridotti a 350.000. Tuttavia, nel marzo 1938, quando i Tedeschi si impadronirono dell’Austria, ai 350.000 Ebrei se ne aggiunsero altri 190.000, portando il loro numero a 540.000, cioè, oltre 15.000 in più del dato di partenza. Era chiaro che non si poteva procedere. S’imponevano provvedimenti che andassero oltre l’ordinaria amministrazione.
È per questo che, soprattutto verso la fine del 1938, vediamo Shacht, Wohlthat e molti altri responsabili discutere con le democrazie occidentali dei mezzi per accelerare l’emigrazione ebraica» (p. 418).
In tale contesto Hilberg descrive tra l’altro gli sforzi del segretario di Stato agli Esteri Ernst von Weizsäcker per «convincere l’ambasciatore polacco Lipski a riprendersi i 40.000 o 50.000 Ebrei polacchi che vivevano nel Reich»(p. 419) e menziona l’incontro di Ribbentrop con il ministro francese degli Esteri Georges Bonnet sull’emigrazione ebraica, riguardo al quale il ministro degli Esteri tedesco disse:«Al signor Bonnet risposi che anche noi volevamo sbarazzarci dei nostri Ebrei, ma la difficoltà stava nel fatto che nessun Paese desiderava accoglierli» (p. 419).

Hitler, nel discorso del 30 gennaio 1939, commentò:
«È uno spettacolo vergognoso vedere come oggi il mondo democratico per intero pianga lacrime di pietà, ma poi, malgrado la sua manifesta promessa di aiuto, chiuda il cuore allo sventurato popolo ebreo torturato» (p. 420).
Hitler pensava ai risultati fallimentari della conferenza di Evian, che si era svolta dal 6 al 15 luglio 1938 nella nota località termale francese. La conferenza era stata organizzata per iniziativa del presidente Roosevelt al fine di aiutare le vittime delle persecuzioni nazionalsocialiste, in primo luogo degli Ebrei. Ma le buone intenzioni del Presidente statunitense apparvero dubbie fin dall’inizio:
«Alla sua conferenza stampa di Warm Springs, il presidente Roosevelt limitò già le possibilità di Evian dicendo che come sua conseguenza non erano previste revisioni né aumenti delle quote di immigrazione negli Stati Uniti. Nel suo invito a questa conferenza rivolto ai 33 Paesi, Roosevelt sottolineava che non ci si attendeva da nessun Paese che acconsentisse a ricevere un numero di immigrati superiore alle norme della sua legislazione in vigore».
Con tali premesse, la conferenza di Evian era destinata al fallimento già in partenza. Il suo risultato fu in effetti che «il mondo libero abbandonava gli Ebrei di Germania e d’Austria alla loro sorte spietata» (56).

Ecco invece l’incredibile commento di Hilberg:
«L’accusa [di Hitler] non era priva di fondamento: era un tentativo per coinvolgere le potenze alleate nel processo di distruzione, in qualità di complici passivi, ma consenzienti».
Così, all’inizio del 1939, quando lo scopo finale della politica tedesca verso gli Ebrei era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich, quando dunque il presunto sterminio non era stato né deciso né pianificato, il rifiuto delle future potenze alleate di accogliere gli emigranti ebrei diventa un tentativo di coinvolgimento in un «processo di distruzione» al quale nessuno aveva mai pensato!

Indi Hilberg riassume le misure adottate dal governo del Reich per favorire l’emigrazione ebraica, che culminarono nell’istituzione della Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica) a Vienna il 26 agosto 1938 e della Reichszentrale für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica) il 24 gennaio 1939(p. 420), ai quali si aggiunse una Zentralstelle für jüdische Auswanderung istituita a Praga il 15 luglio 1939 (57). Poi continua così:
«La politica dell’emigrazione rimase all’ordine del giorno finché non venne dichiarata la guerra. In seguito, la prima reazione alle vittorie riportate, in Polonia e in Francia, fu di punire questi due Paesi per l’atteggiamento adottato nei riguardi dell’emigrazione ebraica, inviando loro una parte di Ebrei a cui, in precedenza, era stato impedito di varcare i confini» (pp. 420-421).
Perciò Hitler - secondo l’interpretazione di Hilberg - dopo aver affermato «la possibilità di uno sterminio totale» nel discorso del 30 gennaio 1939 nel caso in cui l’ebraismo internazionale avesse precipitato i popoli in un’altra guerra mondiale, dopo che ciò (dal suo punto di vista) avvenne, invece di attuare la sua presunta minaccia, “punì” la Francia e la Polonia sconfitte inviando loro una parte degli Ebrei che avrebbe dovuto sterminare totalmente!

Dopo aver delineato correttamente il progetto Madagascar, Hilberg commenta:
«Il piano Madagscar fu l’ultimo importante tentativo destinato a “risolvere il problema ebraico” con l’emigrazione. Gli uffici della Polizia di sicurezza, il Ministero degli Esteri e il Governatorato generale nutrivano molte speranze e aspettative da questo progetto. Una volta sfumato, il piano sarebbe stato rimesso sul tappeto, ancora una volta, all’inizio di febbraio del 1941, nel quartier generale di Hitler. [...].
All’inizio, Hitler aveva pensato, viste le circostanze, essenzialmente agli Ebrei della Germania, ma ora l’obiettivo doveva essere l’eliminazione dell’influenza ebraica su tutta la sfera di potere dell’Asse» (p. 422) (corsivo mio).
Appunto questo, come ho spiegato sopra, significava la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso di Hitler del 30 gennaio 1939. Ma se Hilberg ne era consapevole, perché ha interpretato fallacemente quel termine come «possibilità di uno sterminio totale»?

Hitler - riferisce Hilberg - aveva preso il progetto Madagascar molto sul serio.
«Quando Borman gli chiese come avrebbe fatto, in piena guerra, a trasportare gli Ebrei sull’isola, Hitler replicò che bisognava studiare la questione. Era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa, ma rifiutava di esporre i suoi equipaggi ai siluri dei sottomarini nemici. Ora pensava a ogni cosa, da un punto di vista diverso, e non certo con maggior simpatia (Er dachte über manches jetzt anders, nicht gerade freundlicher).
Mentre Hitler meditava, un sentimento di incertezza velava il meccanismo della distruzione» (p. 422).
Mentre Hitler era intento a meditare sul progetto Madagascar, per la realizzazione del quale era addirittura «pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca», esisteva tuttavia un «meccanismo della distruzione» che nessuno aveva deciso e nessuno aveva pianificato: una sorta di entità metafisica dotata di esistenza propria che procedeva autonomamente verso il fine dello sterminio, indipendentemente dalla politica di emigrazione adottata dal governo del Reich!

Per rendere meno incerto il «sentimento di incertezza» che «velava il meccanismo della distruzione», Hilberg riporta poi senza commento citazioni di documenti che contengono i presunti termini «in codice» di «Evakuierung» (evacuazione), «Lösung der Judenfrage» (soluzione della questione ebraica) e «judenfrei» (sgombro di Ebrei). Con ciò, come ho già spiegato, egli insinua che tali documenti si riferissero al «meccanismo della distruzione»; nello stesso tempo, si esime dal dovere di spiegarli nel loro contesto storico. Esaminerò successivamente i casi più eclatanti di questo travisamento sistematico dei documenti. Qui rilevo soltanto che il termine «judenfrei» poteva sì essere usato in senso ingannevole, ma non come credeva Hilberg. Ad esempio, il Lemberger Zeitung del 17 ottobre 1942 riportò la seguente notizia:
«Lublino è la prima città del Governatorato generale che sia divenuta judenfrei ed ora ci si accinge a liberare anche i territori dei singoli distretti degli Ebrei, che hanno gettato nella confusione la vita economica di questo paese. Il primo distretto che non ha più Ebrei è Biala Podlaska. La procedura si svolge così: i capi del distretto fissano un luogo come zona di residenza (Wohngebiet) per tutti gli Ebrei del distretto. In questa sistemazione i due distretti di Biala Podlaska e Radzin hanno scelto di comune accordo una città come zona di residenza ebraica, cioè Miendzyrzec. Ma poiché questa località si trova nel territorio del distretto di Radzin, Biala Podlaska non ha più Ebrei» (58).
Secondo Y. Arad, gli Ebrei di Biała Podlaska erano stati deportati a Sobibór il 10 giugno 1942 e Treblinka tra il 26 settembre e il 6 ottobre; quelli di Radzyń Podlaski a Treblinka il 1° ottobre e quelli di Międzyrzec Podlaski nel medesimo campo il 25-26 agosto (59), perciò il 17 ottobre 1942 in queste tre località non avrebbero dovuto esserci più Ebrei.

Continuando la sua esposizione, Hilberg scrive:
«Nel vicino Wartheland, prese corpo un movimento popolare che chiedeva l’eliminazione degli Ebrei».
Egli menziona poi la lettera dell’SS-Sturmbannführer Rolf-Heinz Höppner a Eichmann del 16 luglio 1941, secondo il quale «bisognava creare un campo capace di contenere 300000 individui [ebrei], con baracche per i laboratori di sartoria, fabbriche di scarpe, ecc.». Hilberg cita inoltre questo passo, cui allega anche il testo tedesco:
«Quest’inverno, diceva Höppner, rischiamo di non poter più nutrire tutti gli Ebrei. Dobbiamo dunque soppesare coscienziosamente il pro e il contro, e chiederci se la soluzione più umana non sia quella di farla finita con gli Ebrei che non possono essere utilizzati mediante un sistema rapido. Ad ogni modo, sarà certamente più accettabile che non lasciarli morire di fame (Es besteht in diesem Winter die Gefahr, dass die Juden nicht mehr sämtlich ernährt werden können. Es ist ernsthaft zu erwägen, ob es nicht die humanste Lösung ist, die Juden, soweit sie nicht arbeitseinsatzfähig sind, durch irgendein schnellwirkendes Mittel zu erledigen. Auf jeden Fall wäre diese angenehmer, als sie verhungern lassen) » (p. 423).
Per l’esattezza, «nicht arbeitseinsatzfähig» significa «inabili all’impiego lavorativo», «durch irgendein schnellwirkendes Mittel» significa invece «con qualche mezzo di rapido effetto».

Questa nota per gli atti (Aktenvermerk), che verteva sulla «Soluzione della questione ebraica» (Lösung der Judenfrage), comincia con queste parole:
«Nei colloqui [tenutisi] al governo provinciale del Reich, da varie parti è stata affrontata la soluzione della questione ebraica nel territorio della Warta. Viene proposta la seguente soluzione:».
[«Bei den Besprechungen in der Reichsstatthalterei wurde von verschiedenen Seiten die Lösung der Judenfrage im Wartheland angeschnitten. Man schlägt dort folgende Lösung vor:»]
(60).
La presentazione di Hilberg è dunque inesatta, perché qui non si tratta né di un «movimento popolare» (ma di proposte di SS locali), né di «eliminazione degli Ebrei», ma di eventuale uccisione di Ebrei inabili al lavoro come «soluzione più umana» rispetto ad una eventuale morte di fame.

Hilberg commenta:
«Se si dà ascolto alle parole di Höppner, il Reichsstatthalter non aveva ancora optato per una particolare soluzione, ma alla fine dell’anno, a Kulmhof, un campo della morte situato nella provincia (Gau), si sterminavano già gli Ebrei del Wartheland» (p. 423).
In tal modo egli cerca di inverare la presunta «eliminazione degli Ebrei» che attribuisce illecitamente al documento con un riferimento apodittico al presunto campo di sterminio di Kulmhof, sul quale ritornerò nel capitolo III,1.

Hilberg continua poi così il suo gioco degli equivoci:
«Il 7 giugno 1941, il Capo della Cancelleria del Reich, Lammers, indirizzava due lettere identiche ai Ministri dell’Interno e della Giustizia; in esse si limitava a dichiarare che Hitler non giudicava necessario quel provvedimento. Lammers, in seguito, indirizzò una terza lettera al suo omologo di Partito, Bormann, nella quale ripeteva il messaggio, aggiungendo una spiegazione confidenziale:
“Il Führer, scriveva, non ha accettato il provvedimento proposto dal ministro dell’Interno del Reich, essenzialmente perché ritiene che comunque, dopo la guerra, in Germania non ci saranno più Ebrei (Der Führer hat der vom Reichsminister des Innern vorgeschlagenen Regelung vor allem deshalb nicht zugestimmt, weil er der Meinung ist, dass es nach dem Krieg in Deutschland ohnedies keine Juden mehr geben werde)”.
Non serviva a niente, dunque, emanare un decreto di difficile applicazione, che avrebbe occupato molto personale, e che in linea di principio non avrebbe comunque fornito una soluzione al problema» (p. 424).
In tale contesto, il lettore è portato ad interpretare una tale scomparsa come risultato dello sterminio, anche perché, con la sua inutile citazione del testo tedesco, Hilberg sembra attribuire grande importanza al documento, ma egli non fa nulla per dissuaderlo da questa falsa interpretazione, spiegando che «dopo la guerra», secondo Hitler, gli Ebrei sarebbero stati altrove, vivi.

Già nell’agosto 1940 il Führer aveva manifestato l’intenzione di evacuare tutti gli Ebrei dall’Europa dopo la guerra (61). Secondo una nota della Cancelleria del Reich del marzo-aprile 1942, egli aveva dichiarato ripetutamente a Lammers «che voleva sapere rinviata a dopo la guerra la soluzione della questione ebraica» (62). Il 24 luglio 1942 Hitler, sia pure con linguaggio colorito, espresse di nuovo questa intenzione:
«Dopo la fine della guerra egli terrà un comportamento tanto rigoroso che abbatterà città dopo città se gli Ebrei non ne usciranno e non emigreranno in Madagascar o in un altro Stato nazionale ebraico» (63).
Lo stesso punto di vista, come vedremo successivamente, viene espresso nella cosiddetta «Braune Mappe».

Qui Hilberg, sempre attento a riferire tutte le fonti favorevoli alla sua tesi, trascura le dichiarazioni di Hans Lammers all’udienza dell’8 aprile 1946 del processo di Norimberga.

Nel 1943 sorsero voci secondo le quali gli Ebrei venivano uccisi. Lammers cercò di risalire alla fonte di tali voci, ma senza esito positivo, perché esse risultavano sempre fondate su altre voci, per cui giunse alla conclusione che si trattasse di propaganda radiofonica nemica.

Tuttavia, per chiarire la faccenda, egli si rivolse a Himmler, il quale negò che gli Ebrei venissero uccisi legalmente: essi venivano semplicemente evacuati all’Est e questo era l’incarico affidatogli dal Führer. Durante tali evacuazioni potevano certo verificarsi casi di morte tra persone vecchie o malate, potevano accadere disgrazie, attacchi aerei e rivolte, che Himmler era costretto a reprimere nel sangue a mo’ d’esempio, ma questo era tutto.

Allora Lammers andò da Hitler, che gli diede la stessa risposta di Himmler:
«Egli mi disse: “Deciderò successivamente dove andranno gli Ebrei; per il momento sono sistemati là”».
A questo punto il dott. Alfred Thoma, avvocato di Rosenberg, gli chiese:
«Himmler Le ha mai detto che la soluzione finale degli Ebrei dovesse aver luogo con il loro sterminio?
Lammers - Di ciò non si è mai fatto parola. Egli ha parlato soltanto di evacuazioni.
Thoma - Ha parlato soltanto di evacuazioni?
Lammers - Soltanto di evacuazioni.
Thoma - Quando ha sentito di questi cinque milioni di Ebrei che sono stati sterminati?
Lammers - L’ho sentito qui qualche tempo fa»
(64).
Il capo della Cancelleria del Führer dichiarò dunque di aver saputo solo a Norimberga del presunto sterminio ebraico. Questa dichiarazione può essere discutibile, ma non può essere semplicemente omessa in un’opera come quella di Hilberg.

Come vedremo successivamente, una omissione simile si riscontra anche nella esposizione da parte di Hilberg della testimonianza di Hans Frank a Norimberga.

Hilberg adduce poi un altro documento:
«Verso la fine della primavera del 1941, gli uffici tedeschi della Francia occupata ricevevano ancora le domande di Ebrei che tentavano di emigrare. Il 20 maggio 1941, un responsabile della Gestapo di stanza presso l’Ufficio centrale della sicurezza del Reich, il Reichssischerheitshauptamt (RSHA), Walter Schellenberg, informò il comandante militare della Francia, che l’emigrazione degli Ebrei dalla zona posta sotto la sua responsabilità doveva essere vietata: i mezzi di trasporto erano pochi e la “soluzione finale della questione ebraica”, adesso, era molto vicina» (p. 424).
Anche qui, in virtù del significato da lui attribuito a “Endlösung” a p. 289, egli lascia intendere che lo sterminio ebraico era molto vicino.

La fonte da lui citata è il documento NG-3104 (nota 27 a p. 851). In realtà, come ho spiegato sopra, l’espressione «in considerazione della soluzione finale della questione ebraica senza dubbio prossima» (im Hinblick auf die zweifellos kommende Endlösung der Judenfrage) (65), non si riferiva ad fantomatico sterminio, ma al progetto Madagascar, la cui attuazione si considerava imminente.

Nella sua immaginaria ricostruzione della genesi del presunto sterminio, Hilberg introduce a questo punto la lettera di Göring a Heydrich che ho citato nel suo contesto storico nel paragrafo 2°, e commenta:
«Con questa lettera, Heydrich prendeva in mano le redini del processo di sterminio» (p. 425).
Ma quale «processo di sterminio»? La lettera si riferiva al progetto Madagascar, come Hilberg sapeva bene, dal momento che, come abbiamo visto sopra, ha scritto che esso fu rimesso in duscussione all’inizio di febbraio del 1941 nel quartier generale di Hitler, che questi «era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa».

Al processo Zündel, Hilberg affermò che la risposta di Hitler a Bormann menzionata sopra implicava che il capitolo del progetto Madagascar era ormai chiuso (66), mentre, come ho documentato sopra, esso fu abbandonato ufficialmente solo all’inizio di febbraio 1942 (67).

NOTE

(56) Michael Mazor, «Il y a trente ans: La Conference d’Evian», in: Le Monde Juif, n. 50, aprile-giugno 1968, p. 23 e 25. Torna al testo.
(57) A.G. Adler, Der Kampf gegen die “Endlösung der Judenfrage”. A cura della Bundeszentrale für Heimatdienst, Bonn, 1958, p. 8. Torna al testo.
(58) «Der erste judenfreie Stadt im GG», in: Lemberger Zeitung, 17 ottobre 1942, p. 5. Torna al testo.
(59) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987, p. 391, 395. Torna al testo.
(60) Fac-simile del documento originale in: Julian Leszczyński, «Od formuły zagłady - Höppner-Chełmno n/Nerem - do “Endlösung”» (Dalla formula dello sterminio - Höppner-Chełmno sul Ner - alla “Soluzione finale”), in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historicznego w Polsce, Varsavia, n. 1/101, 1977, pp. 60-61. Torna al testo.
(61) Memorandum di Luther per Rademacher del 15 agosto 1940, in: Documents on German Foreign Policy 1918-1945. Londra, Her Majesty’s Stationery Office, 1957, Series D, Volume X, p. 484. Torna al testo.
(62) PS-4025. Torna al testo.
(63) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, op. cit., p. 456. Torna al testo.
(64) IMG, vol. XI, pp. 61-63. Torna al testo.
(65) NG-3104. Torna al testo.
(66) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, op. cit., vol. VI, p. 1232. Torna al testo.
(67) Su ciò vedi anche il capitolo V,1.2. Torna al testo.

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