mercoledì 23 dicembre 2009

Il Natale di Gaza ad un anno da “Piombo Fuso”


Non ricordo di aver mai sofferto tanto, come lo scorso anno, durante le feste di Natale e di Capodanno. Non riuscivo, e non riesco, a capacitarmi come si potessero uccidere, massacrare tante persone inermi, chiuse in un “recinto” dal quale non potevano fuggire da nessuna parte, per tentare di mettersi in salvo. Ucciderle e massacrarle, come non si consente più di fare neppure con le bestie, giacché scattano subito le associazioni animaliste per dirci che, in fondo, gli animali non sono da meno degli esseri umani, anche quando di animali e di altre forme viventi noi ci dobbiamo cibare per poter vivere: ‘Mors tua vita mea!’. Poco importa che non si debba inutilmente seviziare un bovino: sempre nel nostro piatto deve finire! Non sono un grande conoscitore del mondo animale, ma mi sembra che gli animali, ognuno nel contesto della sua specie, abbiano più rispetto e pietà dei loro simili di quanto noi uomini non riusciamo ad averne per i nostri. L’uomo è probabilmente la più feroce di tutte le belve che siano mai esistite. E vale anche qui la relazione hobbesiana della pericolosità dell’uomo, la quale recita che l’uomo è molto più pericoloso (e crudele) di quanto le sue armi non siano più letali degli strumenti di offesa e difesa di cui dispongono gli animali: artigli, zanne, veleno… a fronte di fucili, cannoni, bombe al fosforo e tante altre armi sofisticate che ci restano segrete.

Intendiamoci, ciò che forse mi ha fatto più soffrire è l’ottusità morale e/o la cecità intellettuale che ha accompagnato e continua ad accompagnare una mattanza di uomini che non è affatto cessata da quando il rimbombo bellico dell’operazione “Piombo fuso” è ufficialmente terminato. Per chi, da allora, non si è distratto dall’evento, magari “cambiando canale”, gli annunci di morte non sono mai venuti meno. In ultimo, si apprende che la contaminazione dell’ambiente carcerario di Gaza pone a rischio la vita dei superstiti. Sto parlando, cioè, di quei “sopravvissuti” al genocidio – poiché di questo si tratta! – ed, in pratica, di coloro che non sono morti immediatamente, ma semplicemente ritardano la loro morte. Una morte che darà senz’altro meno nell’occhio, nel sistema dell’ipocrisia occidentale.

Già! Purtroppo, di ipocrisia… ne ho vista e continuo a vederne molta. Ma è un’ipocrisia più grave di quella alla quale siamo normalmente abituati. L’ipocrita in generale, in un certo senso, rende omaggio alla virtù poiché, in fondo, la riconosce, anche se tende ad eluderla ed a non rispettarla. Nel nostro tempo, invece, attraverso il “filtro” soggettivo e perverso dei media e del sistema dell’informazione, nonché dei politici che vi stanno dietro, ci vogliono persuadere – o almeno credono di poterci convincere – che l’omicidio, è autodifesa; che il carnefice, è la vittima; che la guerra, è pace; e così via…, con un completo rovesciamento di ogni codice morale al quale qualsiasi coscienza non irretita, non trattata dai “media”, era abituata. Si direbbe che la nostra epoca si caratterizza per un alto codice di moralità formale, ben definito sulla carta e stigmatizzato da solenni dichiarazioni, che si auto-sconfessa platealmente, ogni volta che dovrebbe essere applicato alla realtà di tutti i giorni.

L’oggettività del fatto – quella che rende liberi ed è una faticosa conquista della coscienza – è sempre più sostituita dalla propaganda, dalla falsa informazione, dal condizionamento ideologico. Un modo di fare che tende a reprimere e mettere a tacere il libero pensiero. Sono abbastanza relativista per non essere dogmatico e per non avere la presunzione di possedere in tasca la “verità”, la mia “verità”. Ma sono anche capace di non cadere nello scetticismo, sapendo che il fatto, anche quando non ha un suo alto grado di evidenza, può essere attinto dal dibattito, dal contraddittorio, perfino dallo scontro e dalla polemica aspra, ma non violenta. Il problema, però, è che l’altra voce (in questo caso, la nostra), viene messa sistematicamente a tacere. I dissidenti vengono perseguitati, imprigionati ed emarginati. Non occorre che fornisca esempi. Ognuno può andarseli a cercare da solo. Che fare dunque?

Resistere, resistere, resistere! Non so quanti Natali mi resteranno da vivere. Ma ormai, so con certezza che, ogni Natale che verrà, non vedrò davanti ai miei occhi nient’altro che l’inferno di Gaza. Non vi ho mai messo piede in quei luoghi e credo che mai vi andrò. Poco e nulla potrei fare per quei miei simili, per quell’umanità sofferente, per la quale molto spesso ci sentiamo sgravati, al prezzo di qualche lacrima e di qualche parola di circostanza. Insomma, un colpo al cerchio ed uno alla botte, senza essere obbligati a distinguere fra la vittima ed il carnefice. Ma so, ormai, che a Natale non vedrò più il Presepe, con tutta la retorica consumistica che accompagna questo genere di giornate. Vedrò sempre e soltanto l’inferno di Gaza.

lunedì 7 dicembre 2009

Freschi di stampa: 32. «Un parroco all’Inferno» genocidario di Gaza

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In una libreria romana ha avuto luogo la presentazione di un libro di un rimarchevole prete palestinese: Abuna Manuel Musallam, parroco a Gaza, che ha vissuto in quella regione per quattordici anni, fino ai giorni della tristemente celebre operazione militare israeliana denominata “Piombo Fuso”. Il libro in questione, sotto forma di intervista, è stato curato da don Nandino Capovilla, referente per l’Italia dell’organizzazione ‘Pax Christi International’. In pagine sofferte che lasciano il segno in chi legge, il sacerdote Musallam risponde alle articolate domande del suo intervistatore Capovilla. Nel corso della serata, il suddetto libro è stato altresì presentato da Paola Caridi che si è rivolta ad un piccolo gruppo di giornalisti e di blogger, fra i quali ero presente anch’io. E come altri, sono intervenuto al dibattito, quando mi è stato concesso di potermi esprimere. Ho naturalmente acquistato il libro, edito dalle edizioni Paoline, che era messo in vendita al prezzo di 13 euro. Ne parlo adesso, dopo averlo finito di leggere. Va da sé che, in questa sede, non voglio in nessun modo riassumere i contenuti del libro, né tanto meno farne la rituale recensione. Voglio, al contrario, cercare di rifletterci sopra, raccogliendo spunti dalle mie private esperienze di quest’anno. Un anno che volge alla fine, a quasi dodici mesi da “Piombo Fuso”, di cui mi rendo conto, oggi, del ruolo di vero e proprio spartiacque che ha giocato nella mia comprensione della contemporaneità.

Non vi è dubbio di sorta che in Gaza si consuma, sotto i nostri occhi, un vero e proprio genocidio. Il periodo denominato “Piombo Fuso”, compreso fra il 27 dicembre 2009 ed il 18 gennaio 2009, è solo una fase, particolarmente cruenta, di un “genocidio” che dura da almeno 61 anni. L’operazione “Piombo Fuso” si concluse ufficialmente pochi giorni prima che in Italia venisse celebrata, soprattutto nelle scuole, la ricorrenza del «Giorno della Memoria». Già, la ‘Memoria’! Ma quale Memoria? A quali onorevoli lobbisti dobbiamo la fissazione, per legge, di ‘Una Memoria’? Quasi che ognuno di noi fosse sprovvisto della sua propria ‘Memoria’ ed avesse bisogno del Governo che gli dica quale Memoria gli è consentita avere, in quale forma e con quali contenuti, e quale, invece, non gli è consentita. Per giunta, una ‘Memoria’ che quasi nessuno, ormai, può riscontrare per sua esperienza diretta, e per la quale, in parecchi paesi d’Europa, non è permessa la libera ricerca ed analisi storica. In Germania, ad esempio, ogni anno, all’incirca 15.000 persone vengono perseguite penalmente per meri reati di opinione. Laddove la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ed altre carte simili, riconoscono, come diritto fondamentale, la libertà di pensiero, il cui concreto contenuto viene in realtà sempre più ristretto ed eluso da leggi liberticide e cervellotiche prassi giurisprudenziali.

Se appena si tenta di solidarizzare con le vittime di una capillare ed occulta censura, si è immediatamente accomunati a queste ultime, e presi nel vortice di una moderna “caccia alla streghe” o di un redivivo “dagli all’untore!” Sembra incredibile. È incredibile. Purtroppo, però, è storia dei nostri giorni. E’ cronaca di una quotidianità che, attraverso un diabolico apparato mediatico, di cui ci si vuol togliere la possibilità di qualsiasi comprensione. La totale mancanza di pietà, la ferocia, la volontà di sterminio, è quanto emerge agli occhi e alla mente di chi appena voglia porsi lo scrupolo o la curiosità di andarsi a documentare su quanto sia, o possa essere, realmente successo. Anche se il governo israeliano ha fatto di tutto per tenere nascosta al mondo la mattanza di esseri umani in Palestina, la verità non può essere a lungo nascosta: è il parere di Paola Caridi. Hanno concorso all’occultamento della verità la stragrande maggioranza dei main stream occidentali. Come ben ricordiamo, infatti, i giornalisti occidentali, accreditati, non facevano altro che leggere… i comunicati ufficiali del dipartimento ‘pubbliche relazioni’ dell’esercito israeliano. Insomma: mai – come in quell’occasione - menzogna è stata più capillare.

Davanti alle parole del parroco cattolico Abuna Manuel, che ognuno dovrebbe senz’altro andare a leggere, non vi è menzogna che possa reggere. Poco dopo aver posto unilateralmente termine alla mattanza sul campo, il 18 gennaio del 2009, la macchina propagandista israeliana ha creato una serie diversivi, per allontanare l’attenzione dalla scena del crimine. Tra questi, è stato tirato fuori, come un proverbiale coniglio dal cilindro del mago, il vescovo Williamson, la cui colpa fu – se ben ricordo – quella di avere esternato opinioni di cui non aveva inteso far mistero. Che volete... In nome di un «Olocausto» remoto nel tempo, si è preteso, e si pretende, di legittimare un assimilabile e, forse, ben più grave «Olocausto», per durata, intensità ed assenza di ogni umana pietà. Non sono pochi i rabbini “nazionali” che giustificano tanta ferocia, un vero e proprio genocidio, in nome ed alla luce delle loro dottrine religiose. Nessuno chiede loro conto di simili enormità. Dopo il rapporto ONU di Richard Goldstone – un “ebreo”, per giunta “sionista” – che nel settembre scorso ha rivelato l’esistenza di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi non solo dal governo israeliano, ma moralmente imputabili anche a quanti, in Italia e in Occidente, hanno dato “copertura” ai criminali, è in atto una nuova campagna diversiva delle pubbliche opinioni. Mi considero una vittima di una simile campagna, avendo, io, inteso denunciare, fin dall’inizio, il genocidio in atto, ed al tempo stesso, rivendicare la piena libertà di pensiero di quanti osano criticare le “verità” mediatiche.

* * *

Un dato interessante che emerge dall’intervista al parroco cattolico palestinese è la piena legittimazione del governo di Hamas, laddove noi siamo ogni giorno tempestati da un’immagine demonizzata di un governo che mai ha avuto elezione più regolare e democratica: terroristi, terroristi, terroristi! Come a dire che un parola coniata in una stanza del potere fra pochi personaggi debba valere come Verbo di Verità per tutto il resto del mondo. Anche pochi giorni fa, in un’intervista alla televisione danese, si è potuto vedere l’ennesimo spot di un ministro israeliano che inveisce all’infinito contro Hamas come ostacolo alla pace. Norman G. Finkelstein ha avuto facile a rispondere all’intervistatore danese che Hamas esiste da pochi anni, e che Israele aveva avuto tutto il tempo per cercare la pace, se la pace davvero voleva. In realtà, sappiamo che Israele non ha mai voluto la pace. Ha sempre soltanto voluto il completamento della pulizia etnica avviata nel 1948, secondo un progetto che risale agli inizi dell’impresa sionista.

A capire una verità alquanto semplice è di ostacolo solo una propaganda martellante che si avvale di una rete capillare di redazioni e televisioni d’Europa e d’America. Le parole del parroco squarciano le tenebre della menzogna mediatica. Peraltro, il parroco si dice appartenente ad al Fatah, non ad Hamas, ma riconosce piena legittimità ad Hamas. La figura morale del parroco appare a prova di fango, cioè su di lui non è possibile gettare del fango: chi ci provasse appena, si ritroverebbe lo stesso fango di ritorno, cresciuto di interessi. Non voglio qui riportare i brani del libro riguardanti Hamas. Ne consiglio vivamente la lettura. Tornano qui di attualità le critiche al sionismo condotta da un certo giudaismo che si richiama ad una più stretta ortodossia religiosa. Vale a dire la violenza immane di “Piombo Fuso” non può trovare nessuna giustificazione ed un macigno, un crimine orrendo che ricade su tutto il mondo ebraico, che non ha saputo dissociarsi nella sua interezza.