giovedì 31 gennaio 2008

Intellettuali per Sion, ospiti d'onore nelle Fiere del Libro europee, da Torino a Parigi:

Volentieri mi faccio carico di ospitare sul nostro blog l'appello-denucia sul boicottaggio della fiera del libro di Torino, scritto da Filippo Fortunato di 'GerusalemmeTerrasanta.org'. Questa manifestazione doveva avere come ospite d'onore l'Egitto, ma su pressioni sioniste, ha proclamato ospite d'onore lo stato razzista e colonialista di Israele, per commemorare i 60 anni della sua trista esistenza, fatta di pulizia etnica, di espropri di terre e di guerra. Invitiamo tutti i lettori a protestare con gli organizzatori della fiera. I più bravi potrebbero inviare le foto del link interno all'appello-denuncia ai membri del comitato direttivo della fiera del libro [le loro e-mails sono sul sito 'Forumpalestina']. Il boicottaggio si sta estendendo e sta creando qualche problema a chi ha fatto la scelta sciagurata di cedere alle pressioni e lusinghe sioniste.

mauro manno

Da:
Filippo Fortunato Pilato,
22 gennaio 2008
www.GerusalemmeTerraSanta.org
www.TerraSantaLibera.org

con preghiera di diffusione di questo appello-denuncia.


La stampa internazionale ci dice che Israele sarà ospite d'onore in varie manifestazioni culturali per festeggiare la nascita dello stato ebraico-sionista. Come se si invitasse la Napoli bassoliniana e mastelliana, come ospite d'onore da imitare, ad una fiera dedicata all'educazione civica ed all'igiene pubblica. Cicciolina a un simposio per novizie di clausura. Dracula come testimonial ad un convegno dell'Avis.

Continuo personalmente a ricevere notizie ed immagini di massacri e crimini di guerra, commessi ai danni della popolazione palestinese. I rapporti fotografici inviatici proprio oggi da Gaza non lasciano dubbi sul fatto che la strategia dello stato sionista sia quella di voler sterminare e ridurre all'impotenza la popolazione araba alla quale sta sistematicamente rubando patria, terra, vita, speranza per il futuro.

Mentre Israele si presenta al mondo ignavo, ben spalleggiata da un esercito di imbonitori e truccatori di mestiere prezzolati, come nazione progredita e civile, che persegue arte e democrazia, fa letteralmente a pezzi una popolazione intera, uomini-donne-vecchi-bambini-sani e malati, per sradicarne l'identità e la volontà.

Quasi tutti cascano nell'inganno, anche i più intelligenti e dotati. Nessuno sa, o vuol sapere, cosa in realtà succeda dietro la cortina di Davide. L'approssimarsi della “giornata della memoria della shoà”, le fiere e manifestazioni culturali dedicate ad Israele, la grancassa che faranno suonare i media asserviti, probabilmente copriranno il fragore degli obici e delle granate sganciate sulle cittadine arabe della Terra Santa. Nessuno sentirà le grida di dolore delle donne e dei bambini, nessuno vedrà il fiume di sangue sparso dagli uomini di Palestina. Nessuno degli uomini di potere leverà una voce o un dito.

Il solito giornalista della RAI, il Pagliara (sembra che in Terra Santa ci sia solo lui a spese dei contribuenti, mentre sciami di giornalisti della mutua si occupano delle idiozie più banali) ci farà vedere qualche razzo qassam conficcato qua e là, ma non ci farà mai vedere lo scempio compiuto dall'esercito di occupazione israeliano.

È veramente una vergogna ed un atto di grande stupidità, dare spazio e onore ad un'entità coloniale che da decenni compie ogni sorta di crimini contro l'umanità, in aperto contrasto con le convenzioni internazionali, con assoluto disprezzo per la vita e la dignità dei popoli sottomessi ed esprorpiati di tutto. Un pugno di teocrati-laici, giudaico-talebani, mandanti di omicidi di massa, subumani senza cuore e dignità, dovrebbe essere riverito, attraverso i suoi intellettualissimi rappresentanti cattedrati in kippa, come “nazione” eccellente, tanto da essere “onorata” e “ospitata” con gran riguardo.

Onta e disonore per quelle organizzazioni, per quelle istituzioni pubbliche e politiche, per quelle autorità nazionali che concederanno questa opportunità di riciclaggio e lavaggio della coscienza sporca sionista. Come è possibile che intelligenze raffinate permettano quest’abominio ed avvallino implicitamente l’obbrobrio perpretrato ai danni di una popolazione intera?

I reclusi dei Territori Occupati, West Bank e Cisgiordania tutta, sono già al limite del collasso psico-fisico, e non sono pochi gli amici cristiani di Betlemme e di Betania che mi lamentano tutti i giorni gravi difficoltà a sopravvivere. Ma dalla Striscia di Gaza fanno fatica anche solo a comunicare. Sono completamente isolati, con poca acqua, pochissimo cibo, niente medicine, elettricità, risorse, e vengono quotidianamente uccisi, dal cielo, dalla terra, dal mare. Topi in gabbia sui quali si fa il tiro al bersaglio. Un facile bersaglio.

Giovani soldati stranieri si stanno coprendo di un infamia che sola potrà essere consegnata come eredità ai propri figli. Non c'è nulla che possa giustificare un’aggressione ed una pianificazione così cinicamente coloniale ai nostri giorni. Un orrore poi è porre sul piedistallo chi è organico alla carneficina in atto sul suolo Palestinese.

Si è ostacolato il Papa, il capo della cattolicità, uomo mite e pacifico, che predica concordia e fratellanza, nel prendere la parola per stimolare gli uomini al bene e al vero, e nessun politico o uomo di cultura si è mosso, sinchè non è scoppiato il caso ed il Santo Padre ha deciso, di sua spontanea volontà, di evitare ulteriori dissidi. Benedetto XVI non ha mai comandato eserciti, non ha mai minacciato di morte nessuno, non ha sulla coscienza migliaia e migliaia di morti innocenti. I capi sionisti sì.

Ed ora i loro lacchè, dall’aria intellettuale ed inoffensiva, vengono chiamati a sedere sul podio della cultura, adulati e riveriti. Non ho parole per esprimere tutto lo sdegno e la nausea che mi dà questo ipocrita e complicemente-criminale atteggiamento dell’intellighentia europea.

Personalmente mi auguro che una grande, civile, determinata, manifestazione di dissenso e di boicottaggio venga messa in atto con successo nei confronti di queste indecenti scelte culturali e politiche. Mi auguro anche che tutti coloro che sono indignati come me, siano essi di colore politico bianco, rosso o nero, sappiano condividere, nel rispetto reciproco, questo momento di ferma, lucida, seria presa di posizione per svergognare l’Israele sionista e far barcollare l’altare, imbrattato del sangue della gente di Terra Santa, sul quale si è assisa.

Se una forte, ma veramente forte, virile opposizione trasversale, dalla destra alla sinistra, riuscirà far sentire l’eco delle voci soffocate dietro i reticolati di filo spinato ed i muri di cemento armato, se tanti uomini e donne onesti e di buona volontà riusciranno a mostrare gli occhi del terrore di bambini testimoni del macello dei propri cari, se tutti insieme riusciremo a dare una voce alla sofferenza di tanti cuori violentati ed infranti, senza colpa, senza ragione, allora forse, più per imbarazzo che per correttezza, più per convenienza che per onestà intellettuale, saranno sempre meno quelli che ambiranno ad avere rappresentanti dell’entità sionista quali “ospiti d’onore” nei loro salotti (pagati dai contribuenti...). Troppe grane: meglio ospitare intellettuali rappresentanti di nazioni vere, con le mani meno sporche di sangue.

Chi pensa che non sia il caso di giungere a tali forme di boicottaggio, che in fin dei conti la situazione non è così grave, che bisogna dialogare, allora si vada a vedere le foto che sono riportate a questo link. Ci sono giunte oggi e sono solo le ultime di una lunga serie, improponibili tanto sono terribili. Se non avete uno stomaco più che forte non accedete a questo link non cliccate su queste righe. Donne incinte, ragazzini e persone molto sensibili se ne stiano alla larga e non clicchino qui. Perché vedranno il vero volto del sionismo: e dai loro frutti li riconoscerete Anche io stesso, benche avvezzo ad esperienze passate particolarmente scioccanti, ho avuto un sussulto alla vista di queste foto. Più che per le carni lacerate, per gli sguardi sgomenti dei bambini e degli adolescenti, traumatizzati a vita. Vi bastino queste raccomandazioni. (Foto massacri di Gaza 21-1-2008).

Stiamo vivendo tempi apocalittici, in cui l’apostasia avanza senza sosta e l’iniquo si fa sempre più altezzoso, spregiatore di Dio e delle Sue creature. Insediarsi nel Tempio e autoproclamare la propria superiorità è obiettivo specifico degli anticristi. Togliamo la poltrona sotto al fondoschiena degli anticristi sionisti.
«...si verificherà la profanazione del Tempio col disprezzo di ogni norma divina e umana...per il sentimento di folle fiducia nell'effimero trionfo...tremendo il castigo...», (Mons. Francesco Spadafora, Dizionario Biblico, Anticristo).

Non è un atto di intolleranza contestare chi offre il suo sostegno ad un'operazione di pulizia etnica, di genocidio. Perchè tutto si può tollerare, fuorchè la crudeltà e la violenza omicida gratuita. E chi tacitamente acconsente, avvallando implicitamente una politica di sterminio sistematico, offrendo la possibilità di rilasciare una patente di civiltà a chi pratica la barbarie, non può essere tollerato allo stesso tavolo delle persone civili.

A tutto c'è un limite e sarebbe ora che tanti presuntuosi e tronfi, quanto insipidi intellettuali, provassero un pò vergogna di se stessi. Mio padre avrebbe detto di costoro: “tutte braccia rubate all’agricoltura”.

Filippo Fortunato Pilato,
22 gennaio 2008
www.GerusalemmeTerraSanta.org
www.TerraSantaLibera.org

(con preghiera di diffusione di questo appello-denuncia)

martedì 29 gennaio 2008

Sono sbarcati in Italia i “cristiani sionisti”?

Versione 1.0

Ne sono adesso quasi certo, anche se non escludo la possibilità dell’errore. Pongo i loro link nella sezione Siti in osservazione: vi darò ogni tanto un’occhiata e riporterò le mie deduzioni in questo stesso post che verrà aggiornato per l’occasione. Avevo posto a loro stessi la domanda se per caso non erano una filiazione italiana dei “cristiani sionisti”, di cui lessi per la prima volta nel libro di Mearsheimer e Walt sulla “Israel lobby e la politica estera americana”. Non mi hanno risposto e trovo eloquente la mancata risposta, mentre è una conferma documentale la seguente Google Alert che mi è oggi giunta e che potete leggere qui oppure potete andare al loro “Chi siamo”, i cui nomi a me non dicono nulla. Non vorrei correre il rischio di prendere abbagli, ma mi regolo secondo un principio riconosciuto come giusto in una frase che trovo in rete e che è del direttore della nuova testata, cioè Salvatore Loria. Egli dice nel contesto , che ognuno può verificare, quanto segue:
«La verifica dei fenomeni religioso-spirituali è un sacrosanto diritto-dovere dei credenti. Per essere credibile, però, deve essere esercitato sempre, ovunque, in maniera non selettiva e senza pregiudiziali, altrimenti si rischia… etc».
La mia verifica ed il mio primo sospetto si basa sulla connessione organica della nuova testata religiosa con «Informazione Corretta», di cui posso dire io a loro cosa è, se per caso non lo avessero ancora capito. Vi è sempre tempo per verificare nuovamente e ricredersi. Possono loro stessi esserci di aiuto chiarendo il loro rapporto con il sionismo. Naturalmente, se i miei sospetti si rivelassero fondati è loro pieno diritto scegliere il campo in cui intendono schierarsi ed io – a differenza dei «Corretti Informatori» – non li criminalizzerò per questo. È pero mio eguale diritto saper e poter distinguere fra amico e nemico (Carl Schmitt) e stare in guardia da loro se ritenessi i loro interessi ed i loro obiettivi politici contrastanti con i miei. I “cristiani sionisti” – come ha lucidamente scritto Maurizio Blondet – hanno trovato un loro emulo italiano in Giuliano Ferrara. Mancava ancora in Italia la vera e propria organizzazione religiosa che esiste in America, strano mondo popolato di strane sette religiose.

Se è come temo, un nuovo tassello di quella che considero una vera e propria “guerra ideologica” si inserisce nello scenario italiano, così vicino, troppo vicino ai campi di guerra del Medio Oriente. Avevamo già dato in precedenza la notizia dell’Italia come campo di addestramento dell’aviazione israeliana. L’iniziativa Pollastrini collegata al tentato bavaglio alla rete ad opera del sottosegretario Levi, i minacciosi proclami napoletani, il tentato progetto Mastella ed altro offrono il quadro di una strategia elaborata a tavolino e con grande dovizia di mezzi materiale e risorse di uomini. Il pericolo e la minaccia per le nostre libertà è evidente. I cittadini consapevoli dovrebbero sapere cosa fare ed organizzare una pronta ed efficace resistenza a difesa del loro sistema di libertà.

lunedì 28 gennaio 2008

Bozza di lettera al ministro Barbara Pollastrini

Versione 1.0

AVVERTENZA

È qui resa pubblica alla totalità dei lettori del Blog una bozza di lettera proposta per la discussione e la redazione finale agli iscritti della Societas “Civium Libertas”, la cui iscrizione è riservata a chi si riconosce nel suo statuto e regolamento.

* * *

Cari Soci,

eccovi una opportunità per dare senso alla nostra Societas. Ho composto rapidamente la lettera che però ho già spedito al ministro. La stessa lettera viene da me pubblica sul Blog. Si tratta di una bozza. Limarla in ogni suo aspetto mi comporterebbe non poche ore di lavoro. Questo lavoro è però meglio che lo facciamo insieme. Pertanto, lavorate un poco voi. Se riusciremo a concordare un testo definitivo da sottoporre ad una raccolta di firme nostre e di non iscritti alla Societas, manderemo poi al ministro il testo definitivo. Il ministro sa della nostra discussione in atto, o meglio il Ministro è stato informato. Il suo cervello sarà probabilmente in tutt’altre faccende affaccendato,

Devo salutarvi. Renderò pubblico tutto questo testo, riservandomi con gradualità le correzioni formali.

Antonio Caracciolo
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ALLEGATO:

Al Ministro Barbara Pollastrini
email: antidiscriminazioni@pariopportunita.gov.it

Oggetto: - Bozza di lettera sottoposta a pubblica discussione. Seguirà un testo definitivo a conclusione del dibattito.

BOZZA

Esprimo grave preoccupazione per una facile delazione di massa patrocinata proprio da un ministro. I primi commenti che raccolgo dai miei lettori sono del seguente tenore: delazione di stato, nuova OVRA e simili.

Esprimo di seguito mie estemporanee perplessità che sottopongo parimenti alla riflessione del Ministro e dei miei Lettori. A dibattito concluso verrà inoltrato al ministro un documento firmato dalla pluralità dei soggetti che avranno partecipato alla discussione.

Perplessità:

– Il Ministro intende suffragare il ruolo della Magistratura?

A seguito di sollecitazione ministeriale possono prospettarsi i seguenti casi:
- chi e come decide sulla fattispecie che può essere interpretata in modo non arbitrario? Sono i funzionari stessi che si trasformano in giudici di un tribunale speciale e segreto?

- il cittadino additato da suoi privati nemici ed avversari politici in quanto presunto razzista, antisemita, propagatore d’odio, e simili, ha diritto di sapere fin dal primo momento delle segnalazioni fatte a suo danno? Nel caso di grave e palese calunnia sarà il Ministro a procedere d’ufficio o viene lasciato al calunniato l’onere di farlo? E se questi decide che è preferibile tenersi la calunnia piuttosto che affrontare i costi della Giustizia? Non si configura allora una DISPARI OPPORTUNITA’ fra un’accusa ed una calunnia che procede di ufficio ed una difesa che è lasciata all’autonomia del privato che può non avere i mezzi o la volontà di procedere a tutela della sua onorabilità?

- Esistono in questo paese ceti privilegiatim i quali che appena vedono toccati determinati argomenti (ad esempio critica al governo israeliano per aver disatteso risoluzioni dell’ONU a tutela del popolo palestinese i cui territori sono stati occupati illegalmente e con la più "razzistica” violenza) fanno piovere – sicuri dell’impunità – l’accusa di antisemitismo agli incauti che pensano di poter dire quella che a loro appare una verità evidente. Cosa fa in questi casi il Ministro? Accoglie la calunnia? E se – bontà sua – si persuade che è vera e propria calunnia cosa dirà al calunniatore? Per questa volta non ti è andata bene, prepara meglio le tue accuse, se vuoi che ti aiutiamo ad eliminare i comuni avversari politici!

- Esiste un uso bellico ed ideologico del termine “terrorista” che viene utilizzato ad arte come forma di repressione terroristica di stato ed anche per mascherare veri e propri genocidi in atto di cui è a mio modesto avviso è responsabile lo stesso governo nella misura in cui partecipa a misure repressive di per se immorali come l’embargo che colpisce intere popolazioni ovvero nella misura in cui ha stipulato accordi addirittura di cooperazione militare con i governi responsabili di gravi atti antiumanitari che a mio avviso sono vere e proprie forme di genocidio. Ma, a parte la fondatezza o meno di questa asserzioni, è cosa di cui si può civilmente e liberamente discutere ex art. 21 costituzione? In questo disgraziato paese allo sbando con ministri e politici che pensano alle cariche pubbliche che rivestono come ad uno status della loro carriera e della loro privata fortuna anziché come un servizio da rendere, in questo infelice paese ormai in coma abbiamo o non abbiamo ancora il diritto di parlare e se vogliamo di lamentarci della inettitudine dei nostri governanti, causa prima di tutti i nostri mali? Tra le tante raffigurazioni che ci sono state tramandate del fascimo vi è quella della impossibilità di poter parlare. Non mi sembra che la nostra situazione differisca di molto.

- L’accusa di antisemitismo è ormai diventata una vera e propria forma di calunnia legalizzata con la quale si intende intimidire la libera manifestazione di manifestazione del pensiero sancita dall’art. 21 della costituzione. Se il Ministro di un Ministero Inutile avesse davvero a cuore i diritti e le pari opportunità dei cittadini dovrebbe orientare la sua attenzione più all”azione disonesta dei Delatori di professione che non alle vittime di una delazione concertata spesso con la complicità dello Stato, come in questo caso sembra essere.

- Non credo che in Italia esista nessun pericolo razzista, ma esistono certamente moltissime persone pronte a dare del razzista, antisemita, negazionista ad ogni lecita e legittima critica ed opinione.

Mi difendo normalmente con un’alzata di spalle a quelle che potrebbero essere delle vere e proprie diffamazioni: se per ognuna di esse volessi adire la via giudiziaria contribuirei ad intasare ulteriormente un apparato giudiziario che è una delle disgrazie d’Italia.

Se mi ritengo diffamato da false accuse di razzismo, antisemitismo, nazismo e simili sarà il Ministro a tutelarmi o invece il Ministro darà lui ulteriore credito ai miei diffamatori?

Se ho qualche opinione da esprimere mi rivolgerò al ministro che dopo averla attentamente vagliata potrà lui garantire che l’opinione espressa è esente da ogni forma di razzismo, antisemitismo, nazismo? Ed ottenuta una simile certificazione doc potrò poi avvalermene per chiedere un risarcimento danni ai miei detrattori?

O non crede il Ministro che i cittadini debbano essere considerati maturi abbastanza per risolvere da soli determinati problemi?

Antonio Caracciolo
Docente alla Sapienza di filosofia del diritto

PS - Sono fra quelli che NON ha impedito e NON poteva in alcun modo impedire al papa di parlare d’autorità nel suo luogo di lavoro, ma che certamente non avrebbe gradito vederlo tenere Lectio magistralis in una università che ritenevo fosse laica e non confessionale. Con estrema liberalità l’Università “La Sapienza” ha edificato al suo interno una cappella cattolica, dove il papa ogni giorno se lo vuole può dir messa a beneficio dei fedeli cattolici: non esistono altri luoghi di culti entro La Sapienza per le confessioni religiose non cattoliche. La religione cattolica gode pertanto alla Sapienza di una condizione di privilegio. Del resto, le opportunità di parola del papa sono di gran lunga maggiori di quelle persone che ogni anno a decine di migliaia vengono arrestate ed imprigionate in Europa per il solo reato di avere opinioni non consentite in temi oggetto di ricerca storica. Non ricordo nessun pubblico discorso del papa a favore di persone perseguitate ed in carcere per le loro opinioni e senza aver fatto male alcuno a terzi.

sabato 26 gennaio 2008

Pubblica risposta a diffamatori anonimi in Crono 911

Versione 1.2

La Rete purtroppo è fatta anche di scontri non sempre civili. Sorge il problema di come regolarsi. Ti diffamano? Cosa fare? Lasciar correre? Querelare? ma chi? Anche a Mauro Manno è toccato di dover rispondere ad un suo diffamatore in Politica Online. Ad un giornale regolarmente registrato si può scrivere e pure far causa. Ritengo la Giustizia già troppo intasata di processi per far causa a degli stupidi che meritano appena una scrollata di spalle. Contrariamente, a quanto ho appena detto ad Andrea Carancini che è uno degli autori di questo blog collettivo e non un mio pseudonimo, così come è un’altra persona Mauro Manno e pure Daniele Scalea, ho deciso di redigere una risposta una tantum. Le diffamazioni, come quelle contenute in Crono 911, entrano nei motori di ricerca e creano un danno oggettivo all’immagine della persona contro cui si rivolgono. Finché si trattasse di una civile critica, sarebbe una cosa positiva perché significherebbe un dibattito di idee, ma quando è diffamazione pura forse non è bene lasciar correre. Ho pertanto deciso, ma una tantum, di affidare agli stessi motori di ricerca questa mia risposta a diffamatori che per me restano anonimi non potendoli identificare con nessuna persona. Proprio a dimostrazione del senso di responsabilità con cui mi offro alla Rete fin dall’inizio ho scelto deliberatamente di non far uso di pseudonimi, ma di usare il mio vero nome e cognome. La Rete crescerà meglio se sarà il luogo della responsabilità volontaria, basato su un libero codice di autoregolamentazione, anziché un luogo di scorribanda per diffamatori e falsificatori anonimi.

*

RISPOSTA PUBBLICA A CRONO 911

Mi ha informato Andrea Carancini delle gentilezze che nel vostro pubblico foro sono state riservate alla mia persona, che è diversa da quella di Carancini: il sospetto che fossimo la stessa persona ci ha fatto ridere e ne abbiamo avuto bisogno dopo la forte divergenza sulla visita del papa nella università di Roma La Sapienza, dove sono appunto un sedicente professore di filosofia del diritto, per fortuna regolarmente stipendiato come corrispettivo di prestazioni di lavoro. Gli insulti, le diffamazioni, le denigrazioni nei miei confronti – credo di per sé illegali e tali da dover essere rimossi dal vostro Amministratore – sono così numerose, che non dovreste avervela a male se reagisco un poco dicendovi che proprio... siete un branco di idioti, con i quali non vale la pena di perder tempo in un civile confronto di idee.

Quanto poi all’accusarmi di negazionismo ho già detto in una lettera a “La Stampa” che non si tratta qui di un concetto scientifico ma di una costruzione polemica a scopo di diffamazione, denigrazione, delazione. Non sono comunque uno specialista in ricerche storiche dette negazioniste, ma come sedicente professore aggregato di filosofia del diritto trovo scandaloso che ogni anno nella sola Germania circa 17.000 persone vengano incriminate per meri reati di opinione. Suppongo che ne siate soddisfatti e contenti e che sia questo la vostra alta concezione della libertà. Se è così, oltre che degli idioti siete anche degli aguzzini con i quali non mi tratterrò oltre il tempo necessario per redigere questo intervento a titolo di legittima difesa. In effetti, la mia curiosità è stata di recente attratta da temi storici inconsueti perché numerose persone finiscono in carcere per il solo fatto di scrivere libri contestabili quanto si vuole e se si vuole, ma in condizioni normali di civiltà non tali da far finire in carcere chi li ha scritti.

Trovo ormai spuntata come arma la consueta accusa di antisemitismo e nazismo, mossa ad ogni piè sospinto, a chiunque si permetta di muovere critiche a governi (israeliano e americano) che in fatto di crimini contro l’umanità hanno di gran lunga superato quegli stessi nazisti la cui demonizzazione serve per fare meglio e di più ciò che ai nazisti viene attribuito. Posso assicurarvi: se fossi un nazista, ve lo direi. Ma se volete farmi nazista a forza, e nel senso che voi intendete, fate ciò che nel codice penale si chiama diffamazione. Da un punto di vista strettamente concettuale ritengo che dopo il 1945 non esistano più né nazisti né fascisti: siamo nel campo del "definitivamente trascorso". Certo, voi poveri idioti, per poter diffamare avete bisogno di questi concetti che nella vostra povera testa vi siete costruiti ad arte. Ma siete appunto dei diffamatori meritevoli del disprezzo che è la giusta mercede per chi si diletta nella diffamazione di un prossimo spesso ignaro del vostro turpiloquio.

Sul piano dialettico la vostra maldicenza vi si ritorce contro perché suffragate una mia ipotesi, e cioè che mettendo voi nello stesso calderone quanti nutrono sospetti su cosa si celi dietro l’11 settembre con l‘antisemitismo e il nazismo dimostrate di essere voi una specie di filiazione del Mossad e della CIA, siete voi che dimostrate da che parte state.

Ebbene, branco di idioti, ho finito e potete sfogare quanto volete i vostri bassi istinti: non starò a sentirvi. Non leggerò i vostri insulti perché – come ben sapete – ho 23 blogs tematici di cui occuparmi. Posso anche aggiungere una cinquantina di Gruppi di discussione da me moderati. Ovviamente non tutti attivi nello stesso tempo, ma a periodi e secondo i miei interessi del momento. Sono purtroppo una persona sola, anche se voi esperti in complotti, mi avete duplicato con Andrea Carancini con il quale ho notevole diversità di vedute su una serie di argomenti.

Addio!

Antonio Caracciolo

Sedicente docente universitario di filosofia del diritto che ha deciso consapevolmente di correre i rischi del caso usando il suo vero nome e cognome a fronte di diffamatori che si nascondono spesso dietro pseudonimi.

Links:
Ho scoperto che esiste un Crono 912 che è l’antitesi di Crono 911. A dire il vero non sono un frequentatore né dell’uno né dell’altro. Nel primo ci sono andato perché mi avevano chiamato. Il secondo sembra molto più interessante ed a me congeniale. Mi riservo di visitarlo. Per adesso nel indico il link:
1. Crono 912.

martedì 22 gennaio 2008

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia

Versione 6.0
Status: 3.6.09

AVVERTENZA EDITORIALE

Sarebbe stato mio desiderio contenere in un unico file di testo le due opere di Jürgen Graf e di Carlo Mattogno che con diversa prospettiva criticano l’opus di Raul Hilberg. Dopo alcuni giorni di lavoro ho dovuto però arrendermi ad uno snervante codice di errore 400. Il soft del blog ha evidenti limiti connessi alla lunghezza del file postato in una stessa pagina secondo miei propri criteri: il papiro anziché il libro. Mi riservo la migliore edizione compatibile con i mezzi e le conoscenze informatiche da me acquisite nel tempo nonché con l’evoluzione del soft in uso. I Lettori possono fruire di questa nuova opera di Mattogno: entro la fatidica ricorrenza annuale del 27 gennaio ho assicurato la leggibilità del file ricevuto esattamente il 20 gennaio alle ore 12.05 e da me messo in rete il 22 gennaio. Miglioramenti grafici, che ne renderanno più gradevole la lettura saranno apportati gradualmente. Ogni minima trasformazione – segnalata dal numero progressivo della versione e dalla data di inserimento – riguarda solo l’editing, la correzione di evidenti refusi, ma non il testo che è e resta di competenza dell’Autore.

Antonio Caracciolo
15 marzo 2008

PS - Per chi trova più agevole la lettera di singoli più brevi, legati l’uno all’altro da rinvii ipertestuali, è ora disponibile un nuovo editing, andando qui. Chi invece preferisce scorrere il testo come un unico lungo papiro può continuare a servirsi di questo post dove è centenuto “tutto” il testo di quest’opera di Mattogno. Probabilmente, per la lunghezza del testo inserita in un singolo file, in un singolo post, ogni minima modifica al testo comporta una lentezza eccessiva dell’operazione. Le nostre competenze tecniche sono limitate, ma conserviamo qui il lavoro fatto e non disperiamo con l’avanzare delle nostre conoscenze o con il potenziamento della piattaforma di poterli risolvere. Il testo che qui segue è il testo integrale come a me pervenuto da Carlo Mattogno. L’editingi, comprese le illustrazioni, sono un mio valore aggiunto che potrà venire meglio aggiunto in post singoli di più piccola dimensione, alle quali rinvio, ma sempre tenendo d’occhio questo file nelle correzioni e miglioramenti editoriali che verranno apportati. Stesso discorso seguirà per il testo di Graf.

Il proposito, in corso di realizzazione, di Antonio Caracciolo di tradurre il libro di Jürgen Graf “Riese auf tönernen Füssen” (Il Gigante dai piedi d'argilla) mi ha fatto nascere l'idea di redigere a mia volta, secondo una prospettiva diversa, un'analisi critica dell'opera di Raul Hilberg “La distruzione degli Ebrei d'Europa”, costantemente invocata con fede cieca, quasi novella “Biblia Sacra iuxta holocausticam versionem”, da tutti i proseliti della “Holocaustica Religio”. Un’indagine approfondita sulle fonti e sui metodi di lavoro di Hilberg mostra invece quanto storicamente inconsistente sia la nuova dogmatica olocaustica e quanto poco possa moralmente arrogarsi il diritto di lanciare scomuniche solenni e anatemi contro gli eretici “negazionisti": per questo non basta travestirsi da Angelo di Luce e chi nega la verità si sa bene chi sia. Affido questo scritto ad Antonio Caracciolo affinché lo renda accessibile nel suo “Civium Libertas” insieme a quello di J. Graf.

Carlo Mattogno.
Gennaio 2008.


CARLO MATTOGNO

RAUL HILBERG
E I «CENTRI DI STERMINIO» NAZIONALSOCIALISTI
FONTI E METODOLOGIA




Indice
di
Carlo Mattogno:
Raul Hilberg ed i «centri di sterminio» nazionalsocialisti.
Fonti e metodologia

Introduzione

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”


CAPITOLO II
Le deportazioni

CAPITOLO III

CAPITOLO IV
La deposizione di Hilberg al processo Zündel del 1985


CAPITOLO V
Hilberg e le conoscenze della storiografia olocaustica sul Führerbefehl all’inizio degli anni Ottanta. Bilancio di due convegni storici.

Conclusione

Appendice

Abbreviazioni

Bibliografia

Note




La distruzione degli Ebrei d’Europa (1), di Raul Hilberg (2), è considerata una delle opere più importanti della storiografia olocaustica, se non addirittura la più importante. Grazie ad un poderoso apparato di riferimenti, essa documenta in modo ineccepibile la persecuzione nazionalsocialista degli Ebrei. Quanto alla loro presunta «distruzione», la documentazione si rivela oltremodo carente. E ciò è stato sottolineato non solo da un ricercatore revisionista come Jürgen Graf (3), ma anche da uno studioso come Gie van den Berghe, autore, tra l’altro, di una critica al «negazionismo» (4). In un articolo dedicato alla sua opera, egli rileva che, riguardo ai presunti campi di sterminio, a causa della mancanza di fonti documentarie, Hilberg dovette ricorrere ai testimoni, e commenta:
«Poiché egli aveva sempre evitato di usare fonti create da essi, non aveva criteri appropriati per separare il buono dal cattivo e non poteva interpretare e analizzare queste fonti più soggettive più o meno correttamente. Dalla scelta da parte di Hilberg di documenti personali (5), risulta chiaro che era stato guidato da criteri piuttosto irrilevanti, come la professione dei testimoni oculari (per Hilberg, solo dottori e laureati) e la disponibilità dei rapporti. Per quanto riguarda i documenti personali, egli usa quasi esclusivamente ciò che era disponibile in inglese. In questo capitolo sui centri di sterminio, Hilberg, per il resto molto accurato e coscienzioso, usa il materiale personale in modo considerevolmente impreciso e acritico. Delle molte migliaia di rapporti di testimoni oculari sui campi nazisti, egli ne ha impiegati soltanto una decina. Egli considera un avvenimento sufficientemente provato se un testimone oculare l’ha menzionato; generalizza in base al rapporto di un testimone oculare e qui omette perfino il condizionale. È sorprendentemente male informato sui testimoni oculari consultati e sui loro scritti. Fa anche una quantità di errori capitali. Si basa su dichiarazioni e interpretazioni di vittime per ricostruire le motivazioni dei loro persecutori. Si affida ad alcune interpretazioni di ispirazione psicanalitica del superstite E. A. Cohen in Het Duitse concentratiekamp (I campi di concentramento tedeschi), Amsterdam, 1952, libro che fu tradotto quasi subito in inglese. Successivamente, Cohen espresse dei dubbi su queste interpretazioni, ma il relativo libro (De negentien treinen naar Sobibór, “I diciannove treni a Sobibór”, Amsterdam-Bruxelles, 1979) non fu consultato da Hilberg, probabilmente perché non era stato tradotto in inglese. Sfortunatamente, questo sconsiderato uso di documenti personali rende il capitolo sui campi di sterminio meno convincente del resto del libro» (6).
Se si considera che questo capitolo rappresenta l’apice e la ragion d’essere dell’opera di Hilberg, di cui le oltre 800 pagine precedenti costituiscono solo una premessa e un preludio, le osservazioni critiche di van den Berghe infliggono già un duro colpo alla sua credibilità. Cosa che, del resto, si intuisce facilmente già dal fatto che il capitolo su «I centri di sterminio», conta 134 pagine su un totale di 1385, ma all’aspetto essenziale delle «operazioni di sterminio» Hilberg dedica appena 15 pagine!

Tuttavia il problema è molto più ampio di quello prospettato dallo storico olandese, perché bisogna esaminare anche la questione fondamentale dell’attendibilità e della coerenza reciproca di queste testimonianze, nonché quella, altrettanto importante, dell’interpretazione dei documenti da parte di Hilberg.

Ciò che mi prefiggo in questo studio è appunto, essenzialmente, una verifica delle sue fonti e della sua metodologia storiografica. Poiché l’opera di Hilberg in generale, ma soprattutto nell’aspetto qui considerato, contiene una moltitudine enorme di dettagli, spesso insignificanti, da cui trae essenzialmente la sua mole e anche le sue pretese probatorie, sarò costretto a scendere ripetutamente anch’io nei particolari. Nella mia analisi seguirò, per quanto possibile, il corso espositivo di Hilberg; in qualche caso tratterò invece questioni simili in un contesto diverso.

I giorni 15-18 gennaio 1985, Hilberg testimoniò come storico esperto in Olocausto al processo Zündel (7). Il resoconto stenografico del processo (8), sul quale mi baso, è riassunto in un’opera curata da Barbara Kulaszka (9). Nel corso del controinterrogatorio da parte dell’avvocato difensore Douglas Christie, furono dibattuti molti temi attinenti la prima edizione della sua opera. Le risposte di Hilberg furono spesso rivelatrici, soprattutto per quanto riguarda la sua metodologia. Per questo, inserisco quelle più significative nella discussione che segue. Tratterò invece le problematiche più importanti nel capitolo IV. È importante tener presente che, all’epoca, Hilberg aveva già elaborato l’ edizione definitiva della sua opera, che prevedeva sarebbe uscita (come avvenne) dopo qualche mese (10).

Il processo Zündel fu celebrato alla fine di un periodo di intenso dibattito da parte della storiografia olocaustica su uno dei suoi temi storici fondamentali: il presunto ordine di sterminio ebraico. Nel 1982 si era infatti tenuto un importante convegno storico internazionale a Parigi, nel 1984 un’altro, non meno importante, a Stoccarda. Hilberg aveva partecipato ad entrambi. Nel capitolo V ripropongo, con le dovute modifiche, un mio resoconto su questi due convegni che apparve nel 1991 (11), per mostrare quale fosse il “clima” storiografico nel quale Hilberg rese le sue dichiarazioni e per poter meglio comprendere il loro significato e il loro valore.

NOTE

(1) Giulio Einaudi editore, Torino,1995. La prima edizione dell’opera apparve a Chicago nel 1961 col titolo The destruction of European Jews. La traduzione italiana è tratta dalla rielaborazione effettuata da Hilberg nel 1985 (The destruction of European Jews. Revised and definitive edition.Holmes & Meier Publishers. Inc., New York-Londra, 1985). In questo studio indico le citazioni tratte dall’edizione italiana soltanto col riferimento al relativo numero di pagina. Torna al testo.
(2) Hilberg, nato a Vienna il 2 giugno 1926, è morto a Parigi il 4 agosto 2007. Torna al testo.
(3) J. Graf, Riese auf tönernen Füßen. Raul Hilberg und sein Standartwerk über den “Holocaust”. Castle Hill Publishers, Hastings, Inghilterra, 1999. L’opera è in corso di traduzione in italiano da parte di Antonio Caracciolo col titolo Il gigante dai piedi d’argilla. Raul Hilberg e la sua opera simbolo sull’“Olocausto”, in:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/09/jrgen-graf-il-gigante-con-i-piedi-di.html. Torna al testo.
(4) De uitbuiting van de holocaust (Lo sfruttamento dell’olocausto), in: http://www.serendib.be/boeken/uitbuiting1.htm. Torna al testo.
(5) «Ego-documents», termine che designa documenti personali e autobiografici come diari, memorie, lettere, ecc. Torna al testo.
(6) G. Van Den Berghe, «The incompleteness of a masterpiece. Raul Hilberg and The Destruction of European Jews», in: Belgisch Tjidschrift voor Nieuwste Geschiedenis, XXI, 1990, 1-2, pp. 121-122; consultabile in:
http://www.flwi.ugent.be/btng-rbhc/pdf/BTNG-RBHC,%2021,%201990,%201-2,%20pp%20110-124.pdf. Torna al testo.
(7) Ernst Zündel fu processato in Canada coll’imputazione di «diffusione di notizie false» per aver distribuito l’opuscolo di Richard Harwood (pseudonimo di Richard Verrall) Did Six Million Really Die? (trad. it. Auschwitz o della soluzione finale. Storia di una leggenda. Le Rune, Milano, 1978, disponibile in:
http://www.vho.org/aaargh/fran/livres5/harwoodit.pdf; Ne sono morti davvero sei milioni? Breve introduzione al revisionismo olocaustico. Effepi, Genova, 2003). Il processo si svolse a Toronto dal 7 gennaio al 25 marzo 1985. Torna al testo.
(8) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury. The Court House, 351 University Ave. Toronto, Ontario. January 7, 1985 et seq. Torna al testo.
(9) B. Kulaszka (a cura di), Did Six Million Really Die? Report of the Evidence in the Canadian “False News” Trial of Ernst Zündel - 1988. Samisdat Publishers Ltd., Toronto, 1992. La deposizione di Hilberg si trova alle pp. 5-80. Torna al testo.
(10) Idem, vol. III, p. 636. Torna al testo.
(11) C. Mattogno, La soluzione finale. Problemi e polemiche. Edizioni di Ar, Padova, 1991, pp. 23-63. Torna al testo.



CAPITOLO I
Indice
Genesi e significato della “soluzione finale”

1.
Il «linguaggio in codice»
Indice


All’inizio del capitolo settimo («Operazioni mobili di massacro»), Hilberg scrive:
«Quando la burocrazia ebbe completato l’insieme dei provvedimenti descritti nei capitoli precedenti, quando ebbe terminato di definire gli Ebrei, di appropriarsi dei loro beni e, infine, di concentrarli nei ghetti, era stato raggiunto un limite oltre il quale ogni nuova tappa significava necessariamente che gli Ebrei, nell’Europa nazista, avrebbero cessato di esistere. Il vocabolario ufficiale tedesco denominò il passaggio all’ultimo stadio “soluzione finale della questione ebraica” (die Endlösung der Judenfrage). Il termine “finale” rivestiva due significati complementari. A un primo livello, faceva capire che il fine ultimo del processo di distruzione era ormai definito con chiarezza. Se la tappa del concentramento aveva rappresentato un periodo di transizione verso un obiettivo non ancora esplicito, la nuova “soluzione” risolveva ogni incertezza, dando una risposta a ogni altro interrogativo; l’obiettivo era fissato in modo definito - ed era la morte.
Ma il termine “soluzione finale” comportava anche un’implicazione più profonda e di maggiore portata. Himmler lo diceva molto chiaramente: in seguito, non ci sarebbe mai più stato un problema ebraico da risolvere. Defizione, espropriazione, concentramento sono provvedimenti dai quali si può recedere; ma la morte è irreversibile, e proprio per questo essa assegnava al processo di distruzione il suo carattere di avvenimento storico irrevocabile» (p. 289).
Ci si aspetterebbe che questa approfondita analisi del termine “Endlösung” riposi su documenti tedeschi, tanto più in quanto, nella sua opera, Hilberg ne cita prodigalmente a centinaia. Invece non solo essa non è avvalorata da alcun documento, ma praticamente tutti i documenti in cui appare la smentiscono clamorosamente. Tale analisi, infatti, altro non è che un caso specifico di quel preteso «linguaggio in codice» tedesco inventato dal giudice Jan Sehn (12) e adottato dagli inquisitori di Norimberga per travisare sistematicamente documenti affatto innocui e creare così prove fittizie a favore della realtà del presunto sterminio ebraico, essendo muti al riguardo gli archivi tedeschi sequestrati. Hilberg elenca diligentemente i termini di questo presunto «linguaggio in codice» (pp. 338-339) e la presenza di uno di essi in un qualunque documento tedesco diventa per lui una “prova” a favore dello sterminio ebraico.

In realtà, adottando questo falso criterio esplicativo, Hilberg travisa sistematicamente il significato dei relativi documenti. Ciò appare particolarmente evidente nella documentazione riguardante la politica di emigrazione-evacuazione ebraica da parte dei Tedeschi che egli delinea nel capitolo ottavo. Ma prima di procedere alla verifica delle fonti da lui addotte, è necessario un breve inquadramento che ne renda comprensibile il contesto storico-documentario.

NOTE

(12) Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato. Edizioni di Ar, 2000, pp. 9-10. Torna al testo.



2.
La politica nazionalsocialista
di emigrazione-evacuazione ebraica

Fino allo scoppio della guerra - e durante la guerra, finché le circostanze lo permisero - l’emigrazione in tutti i paesi disposti ad accogliere gli Ebrei fu il principio ispiratore della politica nazionalsocialista, come conferma il rapporto del ministero degli Esteri intitolato “Die Judenfrage als Faktor der Aussenpolitik im Jahre 1938” (La questione ebraica come fattore della politica estera nel 1938) redatto il 25 gennaio 1939:
«Lo scopo finale della politica tedesca verso gli Ebrei è l’emigrazione di tutti gli Ebrei che vivono nel territorio del Reich» (13).
Il giorno prima, il 24 gennaio, Göring aveva promulgato un decreto che sanciva l’istituzione di un Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica (Reichszentrale für jüdische Auswanderung), la cui direzione fu affidata a Reinhard Heydrich. Göring riassumeva anzitutto lapidariamente il principio ispiratore della politica nazionalsocialista:
«L’emigrazione degli Ebrei dalla Germania dev’essere favorita con ogni mezzo».
Proprio in vista di ciò egli istituiva la suddetta “Reichszentrale”, che aveva il compito di «prendere tutte le misure per la preparazione di una emigrazione intensificata degli Ebrei», di provvedere all’emigrazione preferenziale degli Ebrei poveri e infine di facilitare le pratiche burocratiche per i singoli individui (14).

Il 24 giugno 1940 Heydrich,
che era capo del RSHA (Reichssicherheitshauptamt), chiese al ministro degli Esteri Joachim Ribbentrop di essere informato di eventuali riunioni ministeriali riguardo alla «soluzione finale della questione ebraica» (Endlösung der Judenfrage), motivando la richiesta così:
«Caro camerata Ribbentrop,
nel 1939 il Generalfeldmarschall [Göring], nella sua qualità di incaricato del piano quadriennale, mi ha affidato il compito di attuare l’emigrazione ebraica da tutto il territorio del Reich. Nel periodo successivo, nonostante grandi difficoltà, si riuscì, persino durante la guerra, a portare avanti con successo l’emigrazione ebraica. Dall’assunzione del compito da parte del mio ufficio, il 1° gennaio 1939, fino ad ora, sono emigrati complessivamente dal territorio del Reich oltre 200.000 Ebrei. Ma il problema totale [das Gesamtproblem] – si tratta già di circa 3.250.000 Ebrei nei territori attualmente sotto sovranità tedesca – non può più essere risolto mediante emigrazione [durch Auswanderung]. Si rende perciò necessaria una soluzione finale territoriale [eine territoriale Endlösung]»
(15).
In seguito a questa lettera il ministero degli Esteri elaborò il cosiddetto «Progetto Madagascar» (Madagaskar-Projekt).

Il 3 luglio 1940 Franz Rademacher, capo della sezione ebraica del ministero degli Esteri, redasse un rapporto intitolato «La questione ebraica al trattato di pace», che si apre con la seguente dichiarazione:
«L’imminente vittoria dà alla Germania la possibilità, e a mio avviso anche il dovere, di risolvere la questione ebraica in Europa. La soluzione desiderabile è: tutti gli Ebrei fuori dall’Europa [Alle Juden aus Europa]».
Il progetto fu approvato da Ribbentrop e trasmesso al RSHA, che doveva eseguire i preparativi tecnici per l’evacuazione ebraica nell’isola di Madagascar e sorvegliare gli Ebrei evacuati (16).
Appunto in ciò consisteva la «soluzione finale territoriale» della questione ebraica auspicata da Heydrich.
Il 30 agosto Rademacher stilò la nota Madagascar Projekt il cui paragrafo «Finanziamento» si apre con le seguenti parole:
«L’attuazione della soluzione finale proposta richiede mezzi considerevoli» (17).
La «soluzione finale» della questione ebraica si riferiva dunque semplicemente al trasferimento degli Ebrei europei nel Madagascar.
Nell’ottobre 1940 Alfred Rosenberg scrisse un articolo intitolato «Juden auf Madagaskar» (Ebrei in Madagascar) in cui, ricordando che già al congresso antiebraico di Budapest del 1927
«fu trattata la questione di una futura evacuazione degli Ebrei dall’Europa, e in tale occasione per la prima volta affiorò la proposta di propagandare appunto il Madagascar come futuro domicilio degli Ebrei»,
riaffermava la proposta auspicando che all’istituzione di una «riserva ebraica» (Judenreservat) nel Madagascar, che egli considerava «un problema mondiale», collaborasse perfino «l’alta finanza ebraica» degli Stati Uniti e dell’Inghilterra (18).

Anche Goebbels, secondo la testimonianza di Moritz von Schirmeister, ex funzionario del ministero della propaganda, parlò più volte pubblicamente del progetto Madagascar (19) e Ribbentrop ricordò l’intenzione del Führer di deportare gli Ebrei europei nel Nordafrica o nel Madagascar (20).

La deportazione degli Ebrei europei nel Madagascar non era un piano fittizio, ma un progetto reale e concreto. Parallelamente ad esso, le autorità del Reich continuarono a promuovere con ogni mezzo l’emigrazione ebraica anzitutto dalla Germania.
Il 20 maggio 1941 Heydrich proibì l’emigrazione ebraica da Francia e Belgio «in considerazione della soluzione finale della questione ebraica senza dubbio prossima» (21), cioè in vista dell’attuazione del progetto Madagascar, che si considerava imminente.
In effetti Heydrich ribadiva anzitutto il principio ispiratore della politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei:
«Conformemente ad una comunicazione del Reichsmarschall del Grande Reich tedesco [Göring], l’emigrazione ebraica dal territorio del Reich, compreso il Protettorato di Boemia e Moravia, deve essere attuata in modo intensificato anche durante la guerra nell’ambito delle possibilità esistenti seguendo le direttive fissate per l’emigrazione ebraica».
Indi Heydrich spiegava chiaramente le ragioni della proibizione:
«Poiché per gli Ebrei del territorio del Reich ci sono, ad esempio, solo possibilità di espatrio insufficienti, soprattutto attraverso la Spagna e il Portogallo, un’emigrazione di Ebrei dalla Francia e dal Belgio rappresenterebbe un’ulteriore riduzione di esse» (22).
Due mesi dopo, il 31 luglio, Göring affidò a Heydrich il compito di fare tutti i preparativi necessari per la «soluzione finale», cioè di organizzare l’emigrazione o evacuazione degli Ebrei che si trovavano sotto dominio tedesco nel Madagascar. Questa lettera infatti dichiarava:
«A integrazione del compito già assegnatoLe con decreto del 24 gennaio 1939 di portare la questione ebraica ad una opportuna soluzione in forma di emigrazione o evacuazione [in Form der Auswanderung oder Evakuierung] il più possibile adeguata alle circostanze attuali, con la presente La incarico di curare tutti i preparativi necessari sotto il profilo organizzativo, pratico e materiale per una soluzione totale [Gesamtlösung] della questione ebraica nei territori sotto l’influenza tedesca. Nella misura in cui vengano toccate le competenze di altre autorità centrali, queste devono essere cointeressate. La incarico inoltre di presentarmi quanto prima un progetto complessivo dei provvedimenti preliminari organizzativi, pratici e materiali per l’attuazione dell’auspicata soluzione finale della questione ebraica [Endlösung der Judenfrage]» (23).
Questo documento è pienamente conforme al progetto Madagascar. Le direttive ordinate da Göring «a integrazione» di quelle già impartite a Heydrich con il decreto del 24 gennaio 1939 consistevano infatti nel completamento della soluzione della questione ebraica «in forma di emigrazione o evacuazione» (24) dei soli Ebrei del Reich, con una «soluzione finale» territoriale mediante evacuazione nel Madagascar di tutti gli Ebrei dei territori europei occupati dai Tedeschi. Proprio perché coinvolgeva tutti gli Ebrei europei dei Paesi occupati, questa soluzione veniva chiamata “Gesamtlösung” (soluzione totale), termine che non a caso richiamava il “Gesamtproblem” (problema totale) della lettera di Heydrich del 24 giugno 1940.
Heydrich stesso, scrivendo il 6 novembre 1941 che era incaricato già da anni di preparare la «soluzione finale» in Europa (25), faceva chiaramente risalire questo incarico al decreto del 24 gennaio 1939 e identificava la “Endlösung” con la soluzione «in forma di emigrazione o evacuazione» della lettera di Göring del 31 luglio 1941.
In tale contesto si inserisce anche l’ordine di proibire
«una emigrazione di Ebrei dai territori occupati in considerazione della futura soluzione finale della questione ebraica europea che è già in preparazione»
trasmesso da Eichmann al ministero degli Esteri il 28 agosto 1941 (26).
Nei mesi successivi le difficoltà create dalla guerra e le prospettive territoriali aperte dalla campagna di Russia portarono ad un importante cambiamento di destinazione nella politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei: alla «soluzione finale» mediante trasferimento coatto degli Ebrei europei nel Madagascar subentrò una «soluzione finale territoriale» mediante deportazione degli Ebrei europei nei territori orientali occupati dai Tedeschi.
Questo cambiamento fu proposto il 22 agosto 1941 dall’SS-Sturmbannführer Carltheo Zeitschel, consigliere presso l’ambasciata tedesca a Parigi, in una nota redatta per l’ambasciatore Otto Abetz:
«La crescente conquista e occupazione dei vasti territori orientali potrebbe attualmente portare, in brevissimo tempo, il problema ebraico ad una soluzione definitiva e soddisfacente. Come risulta da un appello di tutta la stampa ebraica della Palestina agli Ebrei americani, nei territori da noi occupati nelle ultime settimane, specialmente in Bessarabia, risiedono oltre 6 milioni di Ebrei (27), cioè un terzo dell’ebraismo mondiale. Nel nuovo ordine dello spazio orientale bisognerebbe radunare in qualche modo questi 6 milioni di Ebrei dopo aver previamente delimitato per loro un territorio speciale. Ciò non dovrebbe costituire un problema troppo grande, anche se vi si aggiungessero gli Ebrei di tutti gli altri Stati europei e vi fossero deportati anche gli Ebrei attualmente rinchiusi nei ghetti di Varsavia, Litzmannstadt, Lublino, ecc. Per quanto riguarda i territori occupati, come Olanda, Belgio, Lussemburgo, Norvegia, Jugoslavia, Grecia, gli Ebrei potrebbero essere trasferiti nel nuovo territorio in trasporti di massa semplicemente con ordini militari; agli altri Stati si potrebbe raccomandare di seguire l’esempio e di mandare i loro Ebrei in questo territorio. Allora potremmo avere in brevissimo tempo un’Europa libera da Ebrei [judenfrei]» (28).
Nel diario del governatore generale Hans Frank,
in data 17 luglio 1941 si legge:
«Il signor governatore generale non desidera più una ulteriore creazione di ghetti, perché, secondo una esplicita dichiarazione del Führer del 19 giugno c.a. gli Ebrei in un tempo non troppo lontano saranno allontanati dal Governatorato generale e il Governatorato generale dovrà essere, per così dire, soltanto un campo di transito» (29).
Il 20 agosto 1941, dopo una visita al quartiere generale del Führer, Goebbels annotò nel suo diario:
«Inoltre il Führer mi ha promesso che potrò espellere all’Est gli Ebrei di Berlino appena finita la campagna orientale» (30).
La proposta di Zeitschel fu dunque accolta qualche mese dopo da Hitler stesso, il quale decise di abbandonare provvisoriamente il progetto Madagascar e di deportare all’Est tutti gli Ebrei che si trovavano nei territori occupati. La decisione del Führer risale sicuramente al settembre 1941. Il 23 ottobre Himmler proibì con effetto immediato l’emigrazione ebraica (31) e il giorno dopo fu ordinata l’evacuazione all’Est di 50.000 Ebrei occidentali. Il 24 ottobre Kurt Daluege, capo della Polizia d’ordine (Ordnungspolizei), promulgò un decreto con oggetto «Evakuierungen von Juden aus dem Altreich und dem Protektorat» (Evacuazioni di Ebrei dal Vecchio Reich e dal Protettorato) che ordinava:
«Nel periodo dal 1° novembre al 4 dicembre 1941 da parte della Polizia di Sicurezza 50.000 Ebrei saranno espulsi all’Est, nella zona intorno a Riga e a Minsk, dal Vecchio Reich, dall’Ostmark (32) e dal Protettorato di Boemia e Moravia. I trasferimenti avverranno in treni passeggeri delle ferrovie tedesche di 1.000 persone ciascuno. I treni passeggeri saranno formati a Berlino, Amburgo, Hannover, Dortmund, Münster, Düsseldorf, Colonia, Francoforte sul Meno, Kassel, Stoccarda, Norimberga, Monaco, Vienna, Breslavia, Praga e Brünn» (33).
Il nuovo orientamento della politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei fu comunicato ufficialmente alle alte gerarchie del Partito alla conferenza di Wannsee, la quale fu convocata a questo scopo precipuo.
La conferenza, già programmata per il 9 dicembre 1941 (34), si svolse a Berlino, am Grossen Wannsee 56/58, il 20 gennaio 1942. Il relatore fu Heydrich. Il relativo protocollo si apre con un ampio riassunto della politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei attuata fino ad allora, in conseguenza della quale, fino al 31 ottobre 1941, nonostante varie difficoltà, erano emigrati circa 537.000 Ebrei, di cui:
circa 360.000 dal Vecchio Reich a partire dal 30 gennaio 1933
circa 147.000 dall’ Ostmark a partire dal 15 marzo 1938
circa 30.000 dal Protettorato di Boemia e Moravia a partire dal 15 marzo 1939.
«Frattanto – prosegue il protocollo – il Reichsführer-SS e capo della Polizia tedesca in considerazione dei pericoli di una emigrazione durante la guerra e in considerazione delle possibilità dell’Est, ha proibito l’emigrazione degli Ebrei.
All’emigrazione, come ulteriore possibilità di soluzione, previa autorizzazione del Führer, è ormai subentrata l’evacuazione degli Ebrei all’Est [Anstelle der Auswanderung ist nunmehr als weitere Lösungsmöglichkeit nach entsprechender vorheriger Genehmigung durch den Führer die Evakuierung der Juden nach dem Osten getreten].
Queste operazioni vanno tuttavia considerate unicamente delle soluzioni di ripiego, in cui vengono raccolte quelle esperienze pratiche che assumono grande importanza per la futura soluzione finale del problema ebraico [Diese Aktionen sind jedoch lediglich als Ausweichmöglichkeiten anzusprechen, doch werden hier bereits jene praktischen Erfahrungen gesammelt, die im Hinblick auf die kommende Endlösung der Judenfrage von wichtiger Bedeutung sind]»
(35).
Per ordine di Hitler, dunque, la «soluzione finale della questione ebraica» mediante emigrazione volontaria o coatta di tutti gli Ebrei europei nel Madagascar, era sostituita dall’evacuazione nei territori orientali occupati, ma soltanto come «possibilità di ripiego», in attesa di riprendere la questione dopo la fine della guerra.
La conferenza di Wannsee fu dunque convocata per comunicare alle autorità interessate l’abbandono della politica di emigrazione o di evacuazione nel Madagascar e l’inizio su vasta scala di quella della deportazione all’Est, e per discutere i problemi connessi.
Il progetto Madagascar fu abbandonato ufficialmente all’inizio di febbraio 1942. Una lettera informativa di Rademacher al delegato Harald Bielfeld del ministero degli Esteri in data 10 febbraio 1942 ne spiega le ragioni:
«Nell’agosto del 1940 Le consegnai per i Suoi atti il piano della soluzione finale della questione ebraica [Plan zur Endlösung der Judenfrage] elaborato dal mio ufficio, secondo il quale, al trattato di pace, si doveva esigere dalla Francia l’isola di Madagascar, ma l’esecuzione pratica del compito doveva essere affidata al Reichsicherheitshauptamt. Conformemente a questo piano [gemäss diesem Plane], il Gruppenführer Heydrich è stato incaricato dal Führer di attuare la soluzione della questione ebraica in Europa. La guerra contro l’Unione Sovietica ha frattanto offerto la possibilità di mettere a disposizione altri territori per la soluzione finale [andere Territorien für die Endlösung zur Verfügung zu stellen]. Di conseguenza il Führer ha deciso che gli Ebrei non devono essere espulsi in Madagascar, ma all’Est [demgemäss hat der Führer entschieden, dass die Juden nicht nach Madagaskar, sondern nach dem Osten abgeschoben werden sollen]. Perciò il Madagascar non deve più essere previsto per la soluzione finale [Madagaskar braucht mithin nicht mehr für die Endlösung vorgesehen zu werden]» (36).
Dunque la «soluzione finale della questione ebraica» era una soluzione territoriale e consisteva nella deportazione degli Ebrei europei nei territori orientali occupati dai Tedeschi.
Hilberg invece, contro ogni evidenza documentaria, pretende che
«la “soluzione territoriale” - o come la si nominò in seguito, la “soluzione finale” della questione ebraica in Europa - prevedeva molto semplicemente la morte di tutti gli Ebrei europei» (p. 6).
Egli non menziona affatto questa lettera, il cui contenuto è del resto pienamente confermato da un altro importante documento, il memorandum di Martin Luther (un funzionario del Ministero degli Esteri) del 21 agosto 1942.
In questo documento, Luther ricapitola anzitutto i punti essenziali della politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei:
«Il principio della politica tedesca nei confronti degli Ebrei, dopo la presa del potere, consistette nel promuovere con ogni mezzo l’emigrazione ebraica. A tale scopo nel 1939 fu istituita dal Generalfeldmarschall Göring, nella sua qualità di incaricato del piano quadriennale, una Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica, la cui direzione fu affidata al Gruppenführer Heydrich quale capo della Polizia di Sicurezza».
Dopo aver esposto la genesi e lo sviluppo del progetto Madagascar, che ormai era stato superato dagli eventi, Luther prosegue rilevando che la lettera di Göring del 31 luglio 1941 faceva seguito alla lettera di Heydrich del 24 giugno 1940 secondo la quale la questione ebraica non si poteva più risolvere per mezzo dell’emigrazione, ma richiedeva «una soluzione finale territoriale».
«Riconoscendo ciò – continua Luther – il Reichsmarschall Göring il 31 luglio 1941 incaricò il Gruppenführer Heydrich di curare, in collaborazione con le autorità centrali tedesche interessate, tutti i preparativi necessari per una soluzione totale della questione ebraica nella sfera d’influenza tedesca in Europa [für eine Gesamtlösung der Judenfrage im deutschen Einflussgebiet in Europa]. (Cfr. DIII 709 g). In base a quest’ordine il Gruppenführer Heydrich, il 20 gennaio 1942, convocò una conferenza di tutti gli organi tedeschi interessati, cui parteciparono per gli altri ministeri i sottosegretari, per il ministero degli Esteri io stesso. Alla conferenza il Gruppenführer Heydrich spiegò che l’incarico del Reichsmarschall Göring gli era stato affidato per ordine del Führer e che il Führer al posto dell’emigrazione aveva ormai autorizzato come soluzione l’evacuazione degli Ebrei all’Est [und dass der Führer anstelle der Auswanderung nunmehr die Evakuierung der Juden nach dem Osten als Lösung genehmigt habe]».
In base a quest’ordine, continua Luther, fu intrapresa l’evacuazione degli Ebrei dalla Germania. La destinazione era costituita dai territori orientali via Governatorato Generale:
«L’evacuazione nel Governatorato generale è un provvedimento provvisorio. Gli Ebrei saranno trasferiti ulteriormente nei territori orientali occupati appena ce ne saranno i presupposti tecnici [Der Abtransport nach dem Generalgouvernement ist eine vorläufige Massnahme. Die Juden werden nach den besetzten Ostgebieten weiterbefördert, sobald die technischen Voraussetzungen dazu gegeben sind]» (37).
Una circolare del 9 ottobre 1942 intitolata «Misure preparatorie per una soluzione del problema ebraico in Europa. Voci a proposito della situazione degli Ebrei all’Est» contenente «Informazioni confidenziali» (Vertrauliche Informationen) destinate ai funzionari del Partito, prendendo spunto dalle voci relative a «provvedimenti molto duri» nei territori orientali occupati che cominciavano a diffondersi in Germania e che avevano spesso un «carattere intenzionalmente tendenzioso», riassumeva le tappe e spiegava chiaramente il significato della «soluzione finale della questione ebraica»:
«[...]. L’intenzione di respingere completamente il nemico fuori del territorio del Reich. In considerazione dello spazio vitale molto limitato a disposizione del popolo tedesco, si sperava di risolvere principalmente questo problema affrettando l’emigrazione degli Ebrei.
Dall’inizio della guerra, nel 1939, queste possibilità di emigrazione sono diminuite sempre di più; d’altra parte, oltre allo spazio vitale del popolo tedesco è cresciuto continuamente anche il suo spazio economico, tanto che ora, considerato il gran numero di Ebrei residenti in questi territori, una espulsione totale mediante emigrazione non è più possibile. Poiché già la prossima generazione non vedrà più questa questione in modo realistico né, alla luce delle esperienze passate, così chiaramente, poiché inoltre tale questione, una volta posta, richiede una sistemazione, il problema generale deve essere risolto dalla generazione attuale. L’espulsione o la rimozione totale dei milioni di Ebrei residenti nello spazio economico europeo costituisce perciò un imperativo urgente nella lotta per la sicurezza dell’esistenza del popolo tedesco.
A cominciare dal territorio del Reich e passando poi agli altri territori europei compresi nella soluzione finale [in die Endlösung], gli Ebrei saranno progressivamente trasportati all’Est in grandi campi, in parte già esistenti, in parte ancora da costruire, da dove essi saranno impiegati per il lavoro oppure saranno portati ancora più a est [oder noch weiter nach dem Osten verbracht werden]»
(38).
Riguardo a questo documento, Hilberg
non sa dire altro che si trattava di «una spiegazione ufficiale delle deportazioni» (p. 488) o che rientrava in un preteso «processo di rimozione» da parte delle autorità tedesche (p. 1094).
In una relazione datata 14 dicembre 1942 e intitolata «Finanzierung der Massnahmen zur Lösung der Judenfrage» (Finanziamento dei provvedimenti per la soluzione della questione ebraica), il consigliere ministeriale Walter Maedel riassunse a sua volta nei seguenti termini la politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei:
«Il Reichsmarschall ha incaricato molto tempo fa il Reichsführer-SS e capo della Polizia tedesca di preparare i provvedimenti che serviranno per la soluzione finale della questione ebraica in Europa [Endlösung der europäischen Judenfrage]. Il Reichsführer-SS ha affidato l’attuazione del compito al capo della Polizia di Sicurezza e del Servizio di Sicurezza [Heydrich]. Questi, mediante provvedimenti speciali, ha favorito anzitutto l’emigrazione legale degli Ebrei nell’oltremare. Quando, allo scoppio della guerra, l’emigrazione nell’oltremare non è stata più possibile, egli ha intrapreso una graduale evacuazione degli Ebrei del territorio del Reich con la loro espulsione all’Est. Inoltre negli ultimi tempi all’interno del territorio del Reich sono stati istituiti ospizi per anziani (ghetti per anziani) per accogliere gli Ebrei, ad esempio a Theresienstadt. Per i particolari si rimanda alla nota del 21 agosto 1942. È imminente l’istituzione di altri ospizi per anziani nei territori orientali» (39).
Nell’aprile 1943 Richard Korherr, ispettore di statistica presso il Reichsführer-SS, redasse un rapporto intitolato «Die Endlösung der europäischen Judenfrage» (La soluzione finale della questione ebraica europea) (40) nel quale sono riportati i seguenti dati:

Territorio Periodo di tempo da… al 31.12.1942 Emigrazione Eccedenza della mortalità
Vecchio Reich (con i Sudeti) 31.11.33
(29.9.38)
- 382.534 - 61.193
Ostmark 13.3.38 - 149.124 - 14.509
Boemia e Moravia 13.3.39 - 25.699 - 7.074
Territori orientali (con Bialystok) settembre 1939
(giugno 1940)
- 34.673
Governatorato generale (con Lemberg) settembre 1939
(giugno 1940)
- 427.920
totale - 1.102.726

Dunque dal Vecchio Reich, dall’Austria e dalla Boemia-Moravia emigrarono 557.357 Ebrei, inoltre più della metà dei 762.593 Ebrei del Governatorato generale e dei territori orientali (41) indicati cumulativamente da Korherr nelle rubriche «emigrazione» e «eccedenza della mortalità». Perciò il regime nazionalsocialista, dal 1933 al 1942, favorì o impose l’emigrazione di circa un milione di Ebrei dai territori sotto il suo controllo.

NOTE

(13) PS-3358. Torna al testo.
(14) NG-2586-A. Torna al testo.
(15) T-173. Torna al testo.
(16) NG-2586-J. Torna al testo.
(17) NG-2586-D. Torna al testo.
(18) CDJC, CXLVI-51, p. 4, 7, 9. Torna al testo.
(19) Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem internationalen Militärgerichtshof. Norimberga, 1947-1949 (d’ora in avanti IMG), vol. XVII, pp. 275-276. Torna al testo.
(20) IMG, vol. X, p. 449. Torna al testo.
(21) NG-3104. La lettera era firmata da Walter Schellenberg in rappresentanza di Heydrich. Torna al testo.
(22) Idem. Torna al testo.
(23) NG-2586-E, PS-710. Torna al testo.
(24) L’emigrazione legale negli altri Stati o la deportazione all’Est (Polonia: ottobre 1939 - marzo 1940) o all’Ovest (Francia non occupata: ottobre 1940). Torna al testo.
(25) PS-1624. Torna al testo.
(26) PA, Inland II A/B, AZ 83-85 Sdh. 4, Bd. 59/3. Torna al testo.
(27) La cifra era enormemente esagerata. Torna al testo.
(28) CDJC, V-15. Torna al testo.
(29) Citato da: Martin Broszat, «Hitler und die Genesis der “Endlösung”. Aus Anlass der Thesen von David Irving», in: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, n. 25/4, 1977, p. 748-749. Torna al testo.
(30) Idem, p. 750. Torna al testo.
(31) T-394: «Il Reichsführer-SS e capo della Polizia tedesca ha ordinato che l’emigrazione di Ebrei dev’essere impedita con effetto immediato» (Reichsführer-SS und Chef der Deutschen Polizei hat angeordnet, dass die Auswanderung von Juden mit sofortiger Wirkung zu verhindern ist). Torna al testo.
(32) La vecchia Austria. Torna al testo.
(33) PS-3921. Torna al testo.
(34) PS-709; NG-2586-F. Torna al testo.
(35) NG-2586-G. Torna al testo.
(36) NG-5770. Torna al testo.
(37) NG-2586-J. Torna al testo.
(38) PS-3244; Dokument politische Leiter-49, IMG, vol. XLII, pp. 328-330. Torna al testo.
(39)NG-4583. Torna al testo.
(40) NO-5193. Torna al testo.
(41) Dalla sola Polonia, negli anni 1939-1941, emigrarono circa 300.000 Ebrei. G. Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli Ebrei d’Europa 1939-1945. Casa Editrice Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 608. Torna al testo.



3.
Distruzione o emigrazione?
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Hilberg apre il capitolo ottavo («Le deportazioni») della sua opera con queste considerazioni:
«Le operazioni mobili di massacro nella Russia occupata erano il preludio di un’impresa più ampia che avrebbe coinvolto il resto dell’Europa e dell’Asse. In tutti i territori controllati dai Tedeschi stava per essere scatenata una “soluzione finale”.
L’idea di sterminare gli Ebrei aveva preso corpo in un lontano passato. Se ne può rintracciare un’allusione ancora molto velata nella lunga omelia di Martin Lutero contro gli Ebrei. [...].

Infine, nel 1939, Adolf Hitler affermò la possibilità di uno sterminio totale in modo infinitamente più esplicito rispetto ai suoi predecessori. Ecco quanto dichiarava nel suo discorso del gennaio 1939: “[...]. Oggi sarò di nuovo profeta: se la finanza ebraica internazionale dell’Europa e fuori d’Europa dovesse arrivare, ancora una volta, a far precipitare i popoli in una guerra mondiale, allora il risultato non sarà la bolscevizzazione del mondo, e dunque la vittoria del giudaismo, ma al contrario, la distruzione (Vernichtung) della razza giudea in Europa”.
Queste parole di Hitler vanno assai oltre le insinuazioni e le allusioni degli autori e degli oratori tedeschi dei periodi precedenti. Innanzitutto, la nozione di “distruzione” appariva ormai nel contesto di un’attesa ben definita: un’altra guerra mondiale. Non vi era ancora un progetto preciso, ma quelle parole ne lasciavano prevedere l’imminenza. Inoltre, Hitler non era solo un politicante: governava uno Stato. Aveva a sua disposizione parole e frasi, ma anche un apparato amministrativo. Era in grado non solo di parlare, ma di agire. E infine, Hitler era un uomo animato da un bisogno imperioso - si potrebbe parlare di compulsione: rendere esecutive le sue minacce. “Profetizzava”. Attraverso le parole, si preparava a passare all’azione. Sarebbero trascorsi solo sette mesi prima dell’inizio delle ostilità. La guerra fornì il contesto materiale e psicologico necessario per intraprendere un’azione radicale contro le comunità ebraiche che cadevano nelle mani dei Tedeschi.
Tuttavia, proprio mentre il regime intensificava la sua politica antisemita, venne intrapreso uno sforzo insolito e di un’ampiezza non comune, per diminuire la popolazione ebraica dell’Europa attraverso l’emigrazione di massa. Il progetto di espulsione più ambizioso di ogni altro, il “Piano Madagascar”, era allo studio soltanto un anno prima.
Gli Ebrei furono eliminati non appena si esaurirono le possibilità della politica di emigrazione» (p. 417).
Sulla pretesa - quantomeno discutibile - che «l’idea di sterminare gli Ebrei» risalisse in Germania, sia pure in una «allusione ancora molto velata», addirittura a Lutero mi soffermerò nel capitolo V.

Prima di esaminare il signignicato effettivo della “profezia” di Hitler, è bene rivolgere l’attenzione ai commenti di Hilberg.

Egli afferma che «in tutti i territori controllati dai Tedeschi stava per essere scatenata una “soluzione finale”», cioè, secondo la sua interpretazione, lo sterminio ebraico, che non «era ancora un progetto preciso», ma le parole di Hitler «ne lasciavano prevedere l’imminenza»: ma come poteva essere imminente uno sterminio per il quale non esisteva ancora un progetto preciso, dunque neppure una decisione?

Questa interpretazione sconclusionata riflette la contraddizione che lacerava Hilberg: lui, considerato il maggior esponente della corrente funzionalista, era in realtà un cripto-intenzionalista.

Sulla definizione di questi termini e sulla posizione di Hilberg ritornerò nel capitolo V.

Ancora più contraddittoria è la pretesa che, «mentre il regime intensificava la sua politica antisemita», vale a dire, mentre preparava la politica di sterminio, Hitler faceva intraprendere «uno sforzo insolito e di un’ampiezza non comune, per diminuire (42) la popolazione ebraica dell’Europa attraverso l’emigrazione di massa»: in altri termini, Hitler tramava lo sterminio degli Ebrei, ma faceva nel contempo attuare una politica di emigrazione forzata di massa, e il presunto sterminio fu realizzato solo quando «si esaurirono le possibilità della politica di emigrazione»! Perciò se tali possibilità non si fossero esaurite, per Hilberg non ci sarebbe stato alcuno sterminio ebraico, ossia, in altri termini: Hitler non voleva affatto lo sterminio degli Ebrei per il semplice fatto di essere Ebrei.

NOTE

(42) Hilberg usa questo verbo per attenuare in qualche modo lo scopo effettivo della politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica, che, fin dal 1938, come abbiamo visto sopra, era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich. Torna al testo.





4
.
La «profezia» di Hitler del discorso del 30 gennaio 1939


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Nel discorso del 30 gennaio 1939 al Reichstag menzionato da Hilberg, Hitler dichiarò:
«Oggi voglio essere di nuovo un profeta: Se l’ebraismo finanziario internazionale dentro e fuori l’Europa dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e con ciò la vittoria dell’ebraismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa (sondern die Vernichtung der jüdischen Rasse in Europa)» (43).
Rilevo anzitutto che la traduzione del termine «Vernichtung» con «distruzione» è quantomeno inappropriata, perché questo termine allude univocamente ad uno sterminio biologico.

In secondo luogo, Hilberg cita le frasi che precedono, ma non il seguito del discorso, che spiega perfettamente i termini della minaccia di Hitler:
«Poiché il tempo in cui i popoli non ebrei erano indifesi di fronte alla propaganda volge alla fine. La Germania nazionalsocialista e l’Italia fascista posseggono quelle istituzioni che permettono, se necessario, di spiegare al mondo l’essenza di una questione che molti popoli conoscono istintivamente e che non è chiara loro solo scientificamente» (44).
Dunque l’«annientamento della razza ebraica in Europa» consisteva semplicemente nell’additare agli altri popoli le istituzioni tedesche e fasciste che promovevano la conoscenza scientifica della «questione ebraica».

Nel discorso del 30 gennaio 1941 al Reichstag Hitler ribadì:
«E non vorrei dimenticare il monito che ho già fatto una volta, il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939], al Reichstag tedesco. Il monito, cioè, che, se il resto del mondo sarebbe stato precipitato dall’ebraismo in una guerra generale, l’intero ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa! (das gesamte Judentum seine Rolle in Europa ausgespielt haben wird!)» (45).
Se dunque l’ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa, la “Vernichtung” del 1939 non era una era «distruzione» fisica, ma un “annientamento” puramente politico.

Ciò è confermato dalle parole di Hitler nel discorso che tenne allo Sportpalast il 30 gennaio 1942:
«Ci rendiamo conto che questa guerra potrebbe terminare soltanto così, o i popoli ariani saranno sterminati (ausgerottet werden), o l’Ebraismo scomparirà dall’Europa (das Judentum aus Europa verschwindet). Il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939], al Reichstag tedesco, ho già detto - ed io mi guardo dalle profezie avventate - che questa guerra non si concluderà come immaginano gli Ebrei, cioè che i popoli ariani europei saranno sterminati (ausgerottet werden), ma che il risultato di questa guerra sarà l’annientamento dell’Ebraismo (die Vernichtung des Judentums). [...]. E verrà l’ora in cui il peggiore nemico mondiale di tutti i tempi avrà di nuovo cessato il suo ruolo almeno, forse, per un millennio» (46).
Questa citazione conferma che la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso del 30 gennaio 1939 non era uno sterminio biologico, perché qui si parla, in caso di vittoria, di scomparsa ebraica «dall’Europa», che, insieme alla cessazione del ruolo politico dell’ebraismo in Europa, si spiega soltanto con i piani di deportazione degli Ebrei nei territori orientali occupati, che erano considerati extra-europei.

Il 24 febbraio 1942 il Führer ritornò sull’argomento. Dopo aver affermato che la «cospirazione» del mondo plutocratico e del Cremlino miravano ad un solo e identico fine – «lo sterminio (die Ausrottung) dei popoli e delle razze ariani» - precisò:
«Oggigiorno le idee della nostra rivoluzione nazionalsocialista e di quella fascista hanno conquistato grandi e potenti Stati, e si adempirà la mia profezia che con questa guerra non verrà annientata l’umanità ariana, ma sarà sterminato l’Ebreo (nicht die arische Menschheit vernichtet, sondern der Jude ausgerottet wird)»(47).
Nelle sue annotazioni Henry Picker, il 21 luglio 1942 (48), registrò:
«Infatti – poiché egli [Hitler] con la fine di questa guerra avrà buttato fuori dall’Europa [aus Europa hinausgeworfen] anche l’ultimo Ebreo – il pericolo comunista sarà estirpato totalmente [mit Stumpf und Stiel ausgerottet (49)] dall’Oriente».
Questo significato figurato del verbo “ausrotten” appare – coll’uso del corrispondente sostantivo – anche nel discorso del 30 settembre 1942, in cui Hitler disse:
«Il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939] a quella seduta del Reichstag ho detto due cose. In primo luogo…
e, in secondo luogo, che, se l’ebraismo avesse mai provocato una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) forse dei popoli ariani d’Europa, non sarebbero stati sterminati (ausgerottet werden) i popoli ariani, ma l’ebraismo»
(50).
Nel discorso dell’8 novembre 1942 Hitler parafrasò così la sua “profezia” del 30 gennaio 1939:
«Vi ricorderete ancora della seduta del Reichstag nella quale dichiarai: se l’ebraismo si illude di poter provocare una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) delle razze europee, il risultato non sarà lo sterminio (die Ausrottung) delle razze europee, ma lo sterminio (die Ausrottung) dell’ebraismo in Europa!» (51).
Hitler spiegò poi di nuovo il senso di questa “Ausrottung”: il riconoscimento del pericolo ebraico da parte dei popoli europei e l’introduzione da parte di essi di una legislazione antiebraica simile a quella tedesca:
«In Europa questo pericolo è stato riconosciuto e gli Stati aderiscono uno dopo l’altro alla nostra legislazione» (52).
Infine, nel discorso del 24 febbraio 1943 Hitler ribadì:
«Questa lotta perciò non finirà, come si immagina, coll’annientamento (mit der Vernichtung) dell’umanità ariana, ma con lo sterminio (mit der Ausrottung) dell’ebraismo in Europa» (53).
Con ciò abbiamo anche la perfetta equivalenza dei termini “Vernichtung” e “Ausrottung”, entrambi applicati ai popoli europei.

Ricapitalondo, Hitler usava i termini «Vernichtung» e «Ausrottung» in senso figurato sia nei confronti dei popoli europei, sia nei confronti dell’ebraismo, il che è pienamente confermato dalle varie citazioni e dal loro contesto.

E che questa sia l’interpretazione corretta – se ci fosse bisogno di una ulteriore conferma (54) – è dichiarato esplicitamente da uno storico insospettabile come Joseph Billig, già ricercatore preso il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Parigi:
«Il termine “Vernichtung” (annientamento, distruzione) indicava la volontà assolutamente negativa riguardo alla presenza ebraica nel Reich. In quanto assoluta, questa volontà si annunciava come pronta, se fosse stato necessario, a tutti gli estremi. Il termine in questione non significava che si era già arrivati allo sterminio e neppure l’intenzione deliberata di arrivarvi. Alcuni giorni prima del discorso citato [il discorso del 30 gennaio 1939], Hitler riceveva il ministro degli Esteri della Cecoslovacchia. Egli rimproverava al suo ospite la mancanza di energia del governo di Praga nei suoi sforzi di intesa con il Reich e gli raccomandava, in particolare, un’azione energica contro gli Ebrei. A questo proposito, egli dichiarò a titolo di esempio: “Presso di noi, vengono sterminati” (bei uns werden vernichtet). Bisogna credere che Hitler, nel corso di una conversazione diplomatica messa per iscritto negli archivi del Ministero degli affari esteri abbia fatto la confidenza di un massacro nel III Reich, il che, per di più, non era esatto a quell’epoca? Due anni dopo, il 30 gennaio 1941, Hitler rievocò la sua “profezia” del 1939. Ma, questa volta, ne precisò il senso come segue:“ ... e non voglio dimenticare l’indicazione che ho già data una volta davanti al Reichstag, cioè che se il resto del mondo (andere Welt) sarà precipitato in una guerra, il Giudaismo avrà terminato completamente il suo ruolo in Europa...”. Nella sua conversazione con il Ministro cecoslovacco, Hitler evocò l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che, secondo lui, potevano offrire delle regioni di insediamento agli Ebrei. Nel gennaio 1941 egli indica che il ruolo degli Ebrei in Europa sarà liquidato e aggiunge che questa prospettiva si realizzerà, perché gli altri popoli ne comprenderanno la necessità presso di loro. In quest’epoca si credeva alla creazione di una riserva ebraica. Ma essa per Hitler era ammissibile soltanto fuori d’Europa. Abbiamo appena rilevato che il 30 gennaio 1941 Hitler annunciò semplicemente la liquidazione del ruolo degli Ebrei in Europa» (55).
Hilberg, dunque, mettendo la «profezia» di Hitler del 30 gennaio 1939 in relazione con «la possibilità di uno sterminio totale», ne stravolge completamente il significato.

NOTE

(43) Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwit – Wiesbaden, 1973, vol. II, Erster Halbband, p. 1058. Torna al testo.
(44) Idem. Torna al testo.
(45) Idem,vol. II – Zweiter Halbband, p. 1663. Torna al testo.
(46) Idem, pp. 1828-1829. Torna al testo.
(47) Idem, p. 1844. Torna al testo.
(48) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, Wilhelm Goldmann Verlag, Monaco, 1981, p. 449. Torna al testo.
(49) Questa locuzione significa «sradicare», «estirpare totalmente». Torna al testo.
(50) M. Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945, op. cit., vol. II, Zweiter Halbband, p. 1920. Torna al testo.
(51) Idem, p. 1937. Torna al testo.
(52) Idem. Torna al testo.
(53) Idem, p. 1992. Torna al testo.
(54) Ulteriori conferme sono esposte nella capitolo V. Torna al testo.
(55) J. Billig, La solution finale de la question juive. Edité par Serge et Beate Klarsfeld, Parigi, 1977, p. 51. Torna al testo.






5.
La politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione ebraica secondo Hilberg


Indice

Hilberg riassume poi come segue la politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica:
«Com’era facile prevedere, i primi piani di emigrazione forzata vennero elaborati nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria. Quando Hitler arrivò al potere, la Germania contava circa 520.000 Ebrei. Cinque anni dopo, l’emigrazione e la morte li avevano ridotti a 350.000. Tuttavia, nel marzo 1938, quando i Tedeschi si impadronirono dell’Austria, ai 350.000 Ebrei se ne aggiunsero altri 190.000, portando il loro numero a 540.000, cioè, oltre 15.000 in più del dato di partenza. Era chiaro che non si poteva procedere. S’imponevano provvedimenti che andassero oltre l’ordinaria amministrazione.
È per questo che, soprattutto verso la fine del 1938, vediamo Shacht, Wohlthat e molti altri responsabili discutere con le democrazie occidentali dei mezzi per accelerare l’emigrazione ebraica» (p. 418).
In tale contesto Hilberg descrive tra l’altro gli sforzi del segretario di Stato agli Esteri Ernst von Weizsäcker per «convincere l’ambasciatore polacco Lipski a riprendersi i 40.000 o 50.000 Ebrei polacchi che vivevano nel Reich»(p. 419) e menziona l’incontro di Ribbentrop con il ministro francese degli Esteri Georges Bonnet sull’emigrazione ebraica, riguardo al quale il ministro degli Esteri tedesco disse:«Al signor Bonnet risposi che anche noi volevamo sbarazzarci dei nostri Ebrei, ma la difficoltà stava nel fatto che nessun Paese desiderava accoglierli» (p. 419).

Hitler, nel discorso del 30 gennaio 1939, commentò:
«È uno spettacolo vergognoso vedere come oggi il mondo democratico per intero pianga lacrime di pietà, ma poi, malgrado la sua manifesta promessa di aiuto, chiuda il cuore allo sventurato popolo ebreo torturato» (p. 420).
Hitler pensava ai risultati fallimentari della conferenza di Evian, che si era svolta dal 6 al 15 luglio 1938 nella nota località termale francese. La conferenza era stata organizzata per iniziativa del presidente Roosevelt al fine di aiutare le vittime delle persecuzioni nazionalsocialiste, in primo luogo degli Ebrei. Ma le buone intenzioni del Presidente statunitense apparvero dubbie fin dall’inizio:
«Alla sua conferenza stampa di Warm Springs, il presidente Roosevelt limitò già le possibilità di Evian dicendo che come sua conseguenza non erano previste revisioni né aumenti delle quote di immigrazione negli Stati Uniti. Nel suo invito a questa conferenza rivolto ai 33 Paesi, Roosevelt sottolineava che non ci si attendeva da nessun Paese che acconsentisse a ricevere un numero di immigrati superiore alle norme della sua legislazione in vigore».
Con tali premesse, la conferenza di Evian era destinata al fallimento già in partenza. Il suo risultato fu in effetti che «il mondo libero abbandonava gli Ebrei di Germania e d’Austria alla loro sorte spietata» (56).

Ecco invece l’incredibile commento di Hilberg:
«L’accusa [di Hitler] non era priva di fondamento: era un tentativo per coinvolgere le potenze alleate nel processo di distruzione, in qualità di complici passivi, ma consenzienti».
Così, all’inizio del 1939, quando lo scopo finale della politica tedesca verso gli Ebrei era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich, quando dunque il presunto sterminio non era stato né deciso né pianificato, il rifiuto delle future potenze alleate di accogliere gli emigranti ebrei diventa un tentativo di coinvolgimento in un «processo di distruzione» al quale nessuno aveva mai pensato!

Indi Hilberg riassume le misure adottate dal governo del Reich per favorire l’emigrazione ebraica, che culminarono nell’istituzione della Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica) a Vienna il 26 agosto 1938 e della Reichszentrale für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica) il 24 gennaio 1939(p. 420), ai quali si aggiunse una Zentralstelle für jüdische Auswanderung istituita a Praga il 15 luglio 1939 (57). Poi continua così:
«La politica dell’emigrazione rimase all’ordine del giorno finché non venne dichiarata la guerra. In seguito, la prima reazione alle vittorie riportate, in Polonia e in Francia, fu di punire questi due Paesi per l’atteggiamento adottato nei riguardi dell’emigrazione ebraica, inviando loro una parte di Ebrei a cui, in precedenza, era stato impedito di varcare i confini» (pp. 420-421).
Perciò Hitler - secondo l’interpretazione di Hilberg - dopo aver affermato «la possibilità di uno sterminio totale» nel discorso del 30 gennaio 1939 nel caso in cui l’ebraismo internazionale avesse precipitato i popoli in un’altra guerra mondiale, dopo che ciò (dal suo punto di vista) avvenne, invece di attuare la sua presunta minaccia, “punì” la Francia e la Polonia sconfitte inviando loro una parte degli Ebrei che avrebbe dovuto sterminare totalmente!

Dopo aver delineato correttamente il progetto Madagascar, Hilberg commenta:
«Il piano Madagscar fu l’ultimo importante tentativo destinato a “risolvere il problema ebraico” con l’emigrazione. Gli uffici della Polizia di sicurezza, il Ministero degli Esteri e il Governatorato generale nutrivano molte speranze e aspettative da questo progetto. Una volta sfumato, il piano sarebbe stato rimesso sul tappeto, ancora una volta, all’inizio di febbraio del 1941, nel quartier generale di Hitler. [...].
All’inizio, Hitler aveva pensato, viste le circostanze, essenzialmente agli Ebrei della Germania, ma ora l’obiettivo doveva essere l’eliminazione dell’influenza ebraica su tutta la sfera di potere dell’Asse» (p. 422) (corsivo mio).
Appunto questo, come ho spiegato sopra, significava la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso di Hitler del 30 gennaio 1939. Ma se Hilberg ne era consapevole, perché ha interpretato fallacemente quel termine come «possibilità di uno sterminio totale»?

Hitler - riferisce Hilberg - aveva preso il progetto Madagascar molto sul serio.
«Quando Borman gli chiese come avrebbe fatto, in piena guerra, a trasportare gli Ebrei sull’isola, Hitler replicò che bisognava studiare la questione. Era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa, ma rifiutava di esporre i suoi equipaggi ai siluri dei sottomarini nemici. Ora pensava a ogni cosa, da un punto di vista diverso, e non certo con maggior simpatia (Er dachte über manches jetzt anders, nicht gerade freundlicher).
Mentre Hitler meditava, un sentimento di incertezza velava il meccanismo della distruzione» (p. 422).
Mentre Hitler era intento a meditare sul progetto Madagascar, per la realizzazione del quale era addirittura «pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca», esisteva tuttavia un «meccanismo della distruzione» che nessuno aveva deciso e nessuno aveva pianificato: una sorta di entità metafisica dotata di esistenza propria che procedeva autonomamente verso il fine dello sterminio, indipendentemente dalla politica di emigrazione adottata dal governo del Reich!

Per rendere meno incerto il «sentimento di incertezza» che «velava il meccanismo della distruzione», Hilberg riporta poi senza commento citazioni di documenti che contengono i presunti termini «in codice» di «Evakuierung» (evacuazione), «Lösung der Judenfrage» (soluzione della questione ebraica) e «judenfrei» (sgombro di Ebrei). Con ciò, come ho già spiegato, egli insinua che tali documenti si riferissero al «meccanismo della distruzione»; nello stesso tempo, si esime dal dovere di spiegarli nel loro contesto storico. Esaminerò successivamente i casi più eclatanti di questo travisamento sistematico dei documenti. Qui rilevo soltanto che il termine «judenfrei» poteva sì essere usato in senso ingannevole, ma non come credeva Hilberg. Ad esempio, il Lemberger Zeitung del 17 ottobre 1942 riportò la seguente notizia:
«Lublino è la prima città del Governatorato generale che sia divenuta judenfrei ed ora ci si accinge a liberare anche i territori dei singoli distretti degli Ebrei, che hanno gettato nella confusione la vita economica di questo paese. Il primo distretto che non ha più Ebrei è Biala Podlaska. La procedura si svolge così: i capi del distretto fissano un luogo come zona di residenza (Wohngebiet) per tutti gli Ebrei del distretto. In questa sistemazione i due distretti di Biala Podlaska e Radzin hanno scelto di comune accordo una città come zona di residenza ebraica, cioè Miendzyrzec. Ma poiché questa località si trova nel territorio del distretto di Radzin, Biala Podlaska non ha più Ebrei» (58).
Secondo Y. Arad, gli Ebrei di Biała Podlaska erano stati deportati a Sobibór il 10 giugno 1942 e Treblinka tra il 26 settembre e il 6 ottobre; quelli di Radzyń Podlaski a Treblinka il 1° ottobre e quelli di Międzyrzec Podlaski nel medesimo campo il 25-26 agosto (59), perciò il 17 ottobre 1942 in queste tre località non avrebbero dovuto esserci più Ebrei.

Continuando la sua esposizione, Hilberg scrive:
«Nel vicino Wartheland, prese corpo un movimento popolare che chiedeva l’eliminazione degli Ebrei».
Egli menziona poi la lettera dell’SS-Sturmbannführer Rolf-Heinz Höppner a Eichmann del 16 luglio 1941, secondo il quale «bisognava creare un campo capace di contenere 300000 individui [ebrei], con baracche per i laboratori di sartoria, fabbriche di scarpe, ecc.». Hilberg cita inoltre questo passo, cui allega anche il testo tedesco:
«Quest’inverno, diceva Höppner, rischiamo di non poter più nutrire tutti gli Ebrei. Dobbiamo dunque soppesare coscienziosamente il pro e il contro, e chiederci se la soluzione più umana non sia quella di farla finita con gli Ebrei che non possono essere utilizzati mediante un sistema rapido. Ad ogni modo, sarà certamente più accettabile che non lasciarli morire di fame (Es besteht in diesem Winter die Gefahr, dass die Juden nicht mehr sämtlich ernährt werden können. Es ist ernsthaft zu erwägen, ob es nicht die humanste Lösung ist, die Juden, soweit sie nicht arbeitseinsatzfähig sind, durch irgendein schnellwirkendes Mittel zu erledigen. Auf jeden Fall wäre diese angenehmer, als sie verhungern lassen) » (p. 423).
Per l’esattezza, «nicht arbeitseinsatzfähig» significa «inabili all’impiego lavorativo», «durch irgendein schnellwirkendes Mittel» significa invece «con qualche mezzo di rapido effetto».

Questa nota per gli atti (Aktenvermerk), che verteva sulla «Soluzione della questione ebraica» (Lösung der Judenfrage), comincia con queste parole:
«Nei colloqui [tenutisi] al governo provinciale del Reich, da varie parti è stata affrontata la soluzione della questione ebraica nel territorio della Warta. Viene proposta la seguente soluzione:».
[«Bei den Besprechungen in der Reichsstatthalterei wurde von verschiedenen Seiten die Lösung der Judenfrage im Wartheland angeschnitten. Man schlägt dort folgende Lösung vor:»]
(60).
La presentazione di Hilberg è dunque inesatta, perché qui non si tratta né di un «movimento popolare» (ma di proposte di SS locali), né di «eliminazione degli Ebrei», ma di eventuale uccisione di Ebrei inabili al lavoro come «soluzione più umana» rispetto ad una eventuale morte di fame.

Hilberg commenta:
«Se si dà ascolto alle parole di Höppner, il Reichsstatthalter non aveva ancora optato per una particolare soluzione, ma alla fine dell’anno, a Kulmhof, un campo della morte situato nella provincia (Gau), si sterminavano già gli Ebrei del Wartheland» (p. 423).
In tal modo egli cerca di inverare la presunta «eliminazione degli Ebrei» che attribuisce illecitamente al documento con un riferimento apodittico al presunto campo di sterminio di Kulmhof, sul quale ritornerò nel capitolo III,1.

Hilberg continua poi così il suo gioco degli equivoci:
«Il 7 giugno 1941, il Capo della Cancelleria del Reich, Lammers, indirizzava due lettere identiche ai Ministri dell’Interno e della Giustizia; in esse si limitava a dichiarare che Hitler non giudicava necessario quel provvedimento. Lammers, in seguito, indirizzò una terza lettera al suo omologo di Partito, Bormann, nella quale ripeteva il messaggio, aggiungendo una spiegazione confidenziale:
“Il Führer, scriveva, non ha accettato il provvedimento proposto dal ministro dell’Interno del Reich, essenzialmente perché ritiene che comunque, dopo la guerra, in Germania non ci saranno più Ebrei (Der Führer hat der vom Reichsminister des Innern vorgeschlagenen Regelung vor allem deshalb nicht zugestimmt, weil er der Meinung ist, dass es nach dem Krieg in Deutschland ohnedies keine Juden mehr geben werde)”.
Non serviva a niente, dunque, emanare un decreto di difficile applicazione, che avrebbe occupato molto personale, e che in linea di principio non avrebbe comunque fornito una soluzione al problema» (p. 424).
In tale contesto, il lettore è portato ad interpretare una tale scomparsa come risultato dello sterminio, anche perché, con la sua inutile citazione del testo tedesco, Hilberg sembra attribuire grande importanza al documento, ma egli non fa nulla per dissuaderlo da questa falsa interpretazione, spiegando che «dopo la guerra», secondo Hitler, gli Ebrei sarebbero stati altrove, vivi.

Già nell’agosto 1940 il Führer aveva manifestato l’intenzione di evacuare tutti gli Ebrei dall’Europa dopo la guerra (61). Secondo una nota della Cancelleria del Reich del marzo-aprile 1942, egli aveva dichiarato ripetutamente a Lammers «che voleva sapere rinviata a dopo la guerra la soluzione della questione ebraica» (62). Il 24 luglio 1942 Hitler, sia pure con linguaggio colorito, espresse di nuovo questa intenzione:
«Dopo la fine della guerra egli terrà un comportamento tanto rigoroso che abbatterà città dopo città se gli Ebrei non ne usciranno e non emigreranno in Madagascar o in un altro Stato nazionale ebraico» (63).
Lo stesso punto di vista, come vedremo successivamente, viene espresso nella cosiddetta «Braune Mappe».

Qui Hilberg, sempre attento a riferire tutte le fonti favorevoli alla sua tesi, trascura le dichiarazioni di Hans Lammers all’udienza dell’8 aprile 1946 del processo di Norimberga.

Nel 1943 sorsero voci secondo le quali gli Ebrei venivano uccisi. Lammers cercò di risalire alla fonte di tali voci, ma senza esito positivo, perché esse risultavano sempre fondate su altre voci, per cui giunse alla conclusione che si trattasse di propaganda radiofonica nemica.

Tuttavia, per chiarire la faccenda, egli si rivolse a Himmler, il quale negò che gli Ebrei venissero uccisi legalmente: essi venivano semplicemente evacuati all’Est e questo era l’incarico affidatogli dal Führer. Durante tali evacuazioni potevano certo verificarsi casi di morte tra persone vecchie o malate, potevano accadere disgrazie, attacchi aerei e rivolte, che Himmler era costretto a reprimere nel sangue a mo’ d’esempio, ma questo era tutto.

Allora Lammers andò da Hitler, che gli diede la stessa risposta di Himmler:
«Egli mi disse: “Deciderò successivamente dove andranno gli Ebrei; per il momento sono sistemati là”».
A questo punto il dott. Alfred Thoma, avvocato di Rosenberg, gli chiese:
«Himmler Le ha mai detto che la soluzione finale degli Ebrei dovesse aver luogo con il loro sterminio?
Lammers - Di ciò non si è mai fatto parola. Egli ha parlato soltanto di evacuazioni.
Thoma - Ha parlato soltanto di evacuazioni?
Lammers - Soltanto di evacuazioni.
Thoma - Quando ha sentito di questi cinque milioni di Ebrei che sono stati sterminati?
Lammers - L’ho sentito qui qualche tempo fa»
(64).
Il capo della Cancelleria del Führer dichiarò dunque di aver saputo solo a Norimberga del presunto sterminio ebraico. Questa dichiarazione può essere discutibile, ma non può essere semplicemente omessa in un’opera come quella di Hilberg.

Come vedremo successivamente, una omissione simile si riscontra anche nella esposizione da parte di Hilberg della testimonianza di Hans Frank a Norimberga.

Hilberg adduce poi un altro documento:
«Verso la fine della primavera del 1941, gli uffici tedeschi della Francia occupata ricevevano ancora le domande di Ebrei che tentavano di emigrare. Il 20 maggio 1941, un responsabile della Gestapo di stanza presso l’Ufficio centrale della sicurezza del Reich, il Reichssischerheitshauptamt (RSHA), Walter Schellenberg, informò il comandante militare della Francia, che l’emigrazione degli Ebrei dalla zona posta sotto la sua responsabilità doveva essere vietata: i mezzi di trasporto erano pochi e la “soluzione finale della questione ebraica”, adesso, era molto vicina» (p. 424).
Anche qui, in virtù del significato da lui attribuito a “Endlösung” a p. 289, egli lascia intendere che lo sterminio ebraico era molto vicino.

La fonte da lui citata è il documento NG-3104 (nota 27 a p. 851). In realtà, come ho spiegato sopra, l’espressione «in considerazione della soluzione finale della questione ebraica senza dubbio prossima» (im Hinblick auf die zweifellos kommende Endlösung der Judenfrage) (65), non si riferiva ad fantomatico sterminio, ma al progetto Madagascar, la cui attuazione si considerava imminente.

Nella sua immaginaria ricostruzione della genesi del presunto sterminio, Hilberg introduce a questo punto la lettera di Göring a Heydrich che ho citato nel suo contesto storico nel paragrafo 2°, e commenta:
«Con questa lettera, Heydrich prendeva in mano le redini del processo di sterminio» (p. 425).
Ma quale «processo di sterminio»? La lettera si riferiva al progetto Madagascar, come Hilberg sapeva bene, dal momento che, come abbiamo visto sopra, ha scritto che esso fu rimesso in duscussione all’inizio di febbraio del 1941 nel quartier generale di Hitler, che questi «era pronto a mobilitare tutta la flotta tedesca per questa impresa».

Al processo Zündel, Hilberg affermò che la risposta di Hitler a Bormann menzionata sopra implicava che il capitolo del progetto Madagascar era ormai chiuso (66), mentre, come ho documentato sopra, esso fu abbandonato ufficialmente solo all’inizio di febbraio 1942 (67).

NOTE

(56) Michael Mazor, «Il y a trente ans: La Conference d’Evian», in: Le Monde Juif, n. 50, aprile-giugno 1968, p. 23 e 25. Torna al testo.
(57) A.G. Adler, Der Kampf gegen die “Endlösung der Judenfrage”. A cura della Bundeszentrale für Heimatdienst, Bonn, 1958, p. 8. Torna al testo.
(58) «Der erste judenfreie Stadt im GG», in: Lemberger Zeitung, 17 ottobre 1942, p. 5. Torna al testo.
(59) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987, p. 391, 395. Torna al testo.
(60) Fac-simile del documento originale in: Julian Leszczyński, «Od formuły zagłady - Höppner-Chełmno n/Nerem - do “Endlösung”» (Dalla formula dello sterminio - Höppner-Chełmno sul Ner - alla “Soluzione finale”), in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historicznego w Polsce, Varsavia, n. 1/101, 1977, pp. 60-61. Torna al testo.
(61) Memorandum di Luther per Rademacher del 15 agosto 1940, in: Documents on German Foreign Policy 1918-1945. Londra, Her Majesty’s Stationery Office, 1957, Series D, Volume X, p. 484. Torna al testo.
(62) PS-4025. Torna al testo.
(63) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, op. cit., p. 456. Torna al testo.
(64) IMG, vol. XI, pp. 61-63. Torna al testo.
(65) NG-3104. Torna al testo.
(66) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, op. cit., vol. VI, p. 1232. Torna al testo.
(67) Su ciò vedi anche il capitolo V,1.2. Torna al testo.

6.
Il “Führerbefehl” (l’ordine di sterminio di Hitler)


Indice

Dopo questi laboriosi e inani preparativi, finalmente Hilberg giunge al fatidico “ordine di sterminio”:
«Poi, un giorno, verso la fine dell’estate, Eichmann venne convocato nell’ufficio di Heydrich, dove il capo dell’RSHA gli disse: “Esco dalla casa del Reichsführer; il Führer ha ordinato adesso lo sterminio fisico degli Ebrei (Ich komme vom Reichsführer; der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet)» (p. 425).
La fonte, indicata nella nota 30 a p. 851, è: Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. A cura del dott. Rudolf Aschenauer. Druffel-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, pp. 178-179 e 229-230. Nella stessa nota Hilberg precisa:
«Nelle sue memorie, Eichmann situa il colloquio verso la fine dell’anno (zur Jahreswende 1941-1942). Durante l’interrogatorio a opera della Polizia israeliana a Gerusalemme, sostenne, cosa che è più verosimile, che l’ordine di Hitler era arrivato due o tre mesi dopo l’attacco della Germania all’Urss: Jochen von Lang, Eichmann Interrogated, New York 1983, pp. 74-75. Höss, comandante di Auschwitz, si ricorda di essere stato convocato da Himmler d’estate, a proposito dello sterminio degli Ebrei. Höss afferma anche che Eichmann si recò poco dopo ad Auschwitz: Rudolf Höss, Kommandant in Auschwitz. Munich [Monaco] 1963 (trad. it. Comandante ad Auschwitz, Einaudi, Torino 1960) [...]. La cronologia degli eventi e il contesto storico portano a credere che Hitler abbia preso la decisione prima della fine dell’estate del 1942 [recte: 1941]».
È molto singolare che una questione di importanza fondamentale come quella della decisione del presunto sterminio ebraico da parte di Hitler, in un libro di oltre 1300 pagine, venga relegata da Hilberg in una nota. Forse non voleva attrarre troppo l’attenzione su questo punto? Ne avrebbe avuto comunque tutti i motivi.

La fonte da lui citata, alle pagine indicate, dice infatti:
«Verso la fine del 1941-inizio del 1942 il capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza, Heydrich, mi comunicò oralmente che il Führer aveva ordinato lo sterminio fisico del nemico ebreo» [Etwa um die Jahreswende 1941/42 teilte mir der Chef des Sipo und des SD, Heydrich, mündlich mit, daß der Führer die physische Vernichtung des jüdischen Gegners befohlen habe] (68).
Nella pagina seguente viene ribadita la medesima data:
«Nel menzionato periodo tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942 il capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza, Heydrich, mi comunicò, oltre all’ “ordine di sterminio fisico”... » [In der erwähnten Zeit zur Jahreswende 1941/42 teilte mir der Chef des Sipo und des SD, Heydrich, außer dem “physischen Vernichtungsbefehl”...mit...] (69).
Seguono, qualche riga dopo, le parole citate da Hilberg:
«Quando Heydrich mi disse: “Vengo dal Reichsführer; il Führer ha ormai ordinato lo sterminio fisico degli Ebrei...”» [Als Heydrich mir sagte “Ich komme vom Reichsführer; der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet...”] (70).
Nel secondo riferimento a questa fonte Eichmann ribadisce che «l’ordine di sterminio fisico fu dato dalla [dopo la] fine del 1941» (ab Ende 1941 die physische Vernichtung befohlen wurde)
(71).
Nel corso degli interrogatori da parte della Polizia israeliana, Eichmann dichiarò che Heydrich gli aveva trasmesso il presunto ordine di sterminio di Hitler due o tre mesi dopo l’inizio della guerra contro l’Unione Sovietica, comunque nella tarda estate (Spätsommer) del 1941 (72). Ma questa data non può essere considerata «più verosimile» dell’altra, perché è inserita in un contesto storico del tutto anacronistico. Heydrich, infatti, avrebbe ordinato a Eichmann di andare a Lublino da «Globocnigg» [Globocnik], al quale Himmler aveva già impartito «adeguate direttive» (entsprechende Weisungen), per vedere a che punto era col suo compito. Giunto a Lublino, Eichmann visitò un luogo di cui non ricordava il nome, forse Treblinka, in cui gli Ebrei venivano avvelenati (vergiftet) con i gas di scarico di un motore di sottomarino sovietico in una specie di chalet con due o tre stanze. Ciò avvenne nella tarda estate o nell’autunno del 1941 (73). Ma il primo dei «centri di sterminio» di Globocnik, Bełżec, a detta di Hilberg, fu aperto nel marzo 1942 (p. 954), sicché egli sapeva bene che non poteva essere stato visitato da Eichmann nella tarda estate o nell’autunno del 1941.

Dunque nessuna delle due date proposte da Eichmann, considerate nel contesto del suo racconto, è attendibile. Per di più, la datazione di Höss è in ulteriore contraddizione con queste due datazioni contraddittorie. Hilberg ha cercato di superare queste difficoltà confondendo a bella posta «decisione» e «ordine» di sterminio: Hitler avrebbe dunque preso la «decisione» dello sterminio prima della fine dell’estate del 1941, ma avrebbe impartito l’«ordine» relativo nella tarda estate di quell’anno. Tuttavia Höss parlò inequivocabilmente di «ordine».

Nella dichiarazione del 14 marzo 1946, egli (adottando il linguaggio dei suoi interrogatori), aveva affermato:
«Nel giugno 1941 mi fu ordinato di presentarmi da Himmler a Berlino ed egli mi disse, a senso, approssimativamente, quanto segue: “Il Führer ha ordinato la soluzione della questione ebraica in Europa” ».[Ich wurde nach Berlin im Juni 1941 zu Himmler befohlen, wo er dem Sinne nach ungefähr folgendes sagte: Der Führer hat die Lösung der Judenfrage in Europa befohlen] (74).
E nel suo affidavit del 5 aprile 1946, che Hilberg cita ripetutamente nel capitolo nono, Höss ribadì esplicitamente:
«Nel giugno 1941 ricevetti l’ordine di creare ad Auschwitz facilitazioni di sterminio» [Ich hatte den Befehl, Ausrottungserleichterungen in Auschwitz im Juni 1941 zu schaffen] (75).
Hilberg stesso lo dichiara esplicitamente a p. 1078:
«Gli ordini verbali vennero dati a tutti i gradi. Höss si vide assegnare la costruzione del suo campo di sterminio di Auschwitz, durante una conversazione con Himmler».
Per completare l’opera, Hilberg tace la dichiarazione dell’ex SS-Hauptsturmführer Dieter Wisliceny, che era stato rappresentante di Eichmann in Slovacchia, relativa a un ordine di sterminio scritto di Himmler risalente alla primavera del 1942, che Eichmann gli avrebbe mostrato in agosto (76). Già nell’udienza pomeridiana del 3 gennaio 1946 del processo di Norimberga, Wisliceny aveva precisato che questo presunto ordine di sterminio risaliva all’aprile 1942 (77). Nell’interrogatorio da parte del procuratore del Tribunale nazionale slovacco del 6 e 7 maggio 1946, Wisliceny confermò:
«Quest’ordine [di sterminio ebraico] era datato aprile 1942 e recava la firma di Himmler di proprio pugno, che conoscevo bene. Nell’ordine si diceva che gli Ebrei abili al lavoro dovevano essere provvisoriamente risparmiati dallo sterminio per essere impiegati per il lavoro nelle attività dei campi di concentramento. Questo era il contenuto dell’ordine» (78).
Nella nota 539 a p. 1074 Hilberg invoca l’ «Affidavit di Wisliceny del 29 novembre 1945. [Nazi] Conspiracy and Aggression cit., vol. VIII, p. 610». Wisliceny vi dichiarò di aver incontrato nel suo ufficio a Berlino nel luglio o agosto del 1942 Eichmann, il quale gli disse che, per ordine di Himmler, tutti gli Ebrei dovevano essere sterminati.
«Chiesi di vedere l’ordine - continua Wisliceny. Egli prese un raccoglitore dalla cassaforte e mi mostrò un documento segretissimo bordato di rosso che disponeva l’esecuzione immedita. Era indirizzato sia al Capo della Polizia di Sicurezza e del SD sia all’Ispettore dei campi di concentramento. La lettera diceva sostanzialmente quanto segue:
“Il Führer ha deciso che la soluzione finale della questione ebraica debba cominciare immediatamente. Designo il Capo della Polizia di Sicurezza e del SD e l’Ispettore dei campi di concentramento come responsabili dell’esecuzione di quest’ordine. I particolari del programma devono essere concordati dal Capo della Polizia di Sicurezza e del SD e dall’Ispettore dei campi di concentramento. Devo essere tenuto al corrente dell’esecuzione di quest’ordine”. L’ordine era firmato da Himmler e aveva la data di qualche giorno dell’aprile 1942»
(79).
Dunque Hilberg conosceva bene questa dichiarazione e la sua omissione era intenzionale.

Riassumendo, il presunto ordine di sterminio sarebbe stato promulgato in un lasso di tempo che va dal giugno 1941 all’aprile 1942!

Queste dichiarazioni contraddittorie, nell’esposizione di Hilberg, rivestono un’importanza considerevole, perché da esse egli trae e insinua surrettiziamente come un dato di fatto l’arbitraria congettura della presunta decisione di sterminio da parte di Hitler prima della fine dell’estate del 1941, e di un presunto ordine di sterminio nella tarda estate, che gli permette poi di interpretare tutti i documenti successivi in funzione dello sterminio. In ciò, come direbbe van Pelt, egli realizza una “convergenza di prove” puramente fittizia tra i documenti travisati in base al «linguaggio in codice» e quelli travisati in base alla presunta decisione di sterminio.

NOTE

(68) Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. A cura del dott. Rudolf Aschenauer. Druffel-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, p. 177. Torna al testo.
(69) Idem, p. 178. Torna al testo.
(70) Idem. Torna al testo.
(71) Idem, p. 230. Torna al testo.
(72) State of Israel. Ministry of Justice. The Trial of Adolf Eichmann. Record of Proceedings in the District Court of Jerusalem. Gerusalemme, 1993, vol. VII, p. 169. Hilberg cita il libro Eichmann Interrogated, a cura di Jochen von Lang, New York, 1983, pp. 74-75, di cui esiste una traduzione italiana: Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, a cura di Jochen von Lang. Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1982, p. 83. Torna al testo.
(73) Idem, pp. 171-174. Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, op. cit., pp. 84-85. Torna al testo.
(74) NO-1210. Torna al testo.
(75) PS-3868. Torna al testo.
(76) Dichiarazione di D. Wisliceny del 18 novembre 1946, in: L. Poliakov, J. Wulf (a cura di), Das dritte Reich und die Juden. Dokumente uns Aufsätze. Arani Verlag, Berlino-Grunewald, 1955, p. 94. Torna al testo.
(77) IMG, vol, IV, pp. 397-398. Torna al testo.
(78) LST, 36/48, p. 142. Torna al testo.
(79) L’affidavit è disponibile in: http://www.ess.uwe.ac.uk/genocide/Wisliceny.htm. Torna al testo.







7.
L’obiettivo finale dell’emigrazione ebraica


Indice

In tale contesto rientrano anzitutto i documenti relativi alle prime deportazioni ebraiche, che per Hilberg miravano evidentemente allo sterminio:
«Adesso le deportazioni erano assai vicine. Il 28 settembre 1941, Himmler scrisse a Greiser per informarlo del desiderio di Hitler di epurare i territori del Reich-Protettorato e suggerì Łódź come luogo di destinazione di circa 60.000 deportati» (pp. 425-426).
La trattazione di questo documento da parte di Hilberg è alquanto sbrigativa. La lettera in questione dice:
«Il Führer desidera che il Vecchio Reich e il Protettorato vengano svuotati e liberati il più presto possibile di Ebrei da Ovest verso Est. Io mi sono perciò impegnato a fondo per trasportare, possibilmente ancora quest’anno, gli Ebrei del Vecchio Reich e del Protettorato anzitutto come prima fase nei nuovi territori orientali passati due anni fa al Reich, per espellerli ancora più a est la prossima primavera.
Io mi propongo di ricoverare per l’inverno circa 60.000 Ebrei del Vecchio Reich e del Protettorato nel ghetto di Litzmannstadt, che, come sento, ha lo spazio per accoglierli.
La prego non solo di comprendere questo provvedimento, che comporterà sicuramente delle difficoltà per il Suo Gau, ma di appoggiarlo con tutte le forze nell’interesse generale del Reich. L’ SS-Gruppenführer Heydrich, che deve attuare questa emigrazione ebraica, si rivolgerà a Lei a tempo debito direttamente o attraverso l’ SS-Gruppenführer Koppe».
Der Führer wünscht, daß möglichst bald das Altreich und das Protektorat vom Westen nach dem Osten von Juden geleert und befreit werden. Ich bin daher bestrebt, möglichst noch in diesem Jahr die Juden des Altreichs und des Protektorats zunächst einmal als erste Stufe in die vor zwei Jahren neu zum Reich gekommenen Ostgebiete zu transportieren, um sie im nächsten Frühjahr noch weiter nach dem Osten abzuschieben.
Ich beabsichtige, in das Litzmannstätter Ghetto, das, wie ich höre, an Raum aufnahmefähig ist, rund 60.000 Juden des Altreichs und des Protektorats für den Winter zu verbringen. Ich bitte Sie, diese Maßnahme, die sicherlich für Ihren Gau Schwierigkeiten mit sich bringt, nicht nur zu verstehen, sondern im Interesse des Gesamtreiches mit allen Kräften zu unterstützen.
SS-Gruppenführer Heydrich, der diese Judenwanderung vorzunehmen hat, wird sich rechtzeitig unmittelbar oder über SS-Gruppenführer Koppe an Sie wenden»] (80)
Questo documento, che attesta la nuova politica nazionalsocialista di trasferimento ebraico nei territori orientali occupati, smentisce tra l’altro le insinuazioni di Hilberg circa la lettera di Höppner a Eichmann del 16 luglio 1941.

Hilberg passa poi a un altro documento:
«Il 10 ottobre, durante una riunione sulla “soluzione finale”, che si svolse nella sede del RSHA, Heydrich ipotizzò un’eventuale deportazione di 50.000 Ebrei a Riga e a Minsk, e di altri ancora nei campi istituiti per i comunisti dagli Einsatzgruppen B e C, nelle zone militari dei territori sovietici occupati» (p. 426).
A p. 951 Hilberg riassume di nuovo questo documento («Polizia israeliana 1193»: nota 31 a p. 851 e 23 a p. 1050) nei seguenti termini:
«Il 10 ottobre 1941, durante una riunione sulla “soluzione finale” dell’RSHA, Heydrich dichiarò che Hitler desiderava liberare il Reich dagli Ebrei, in tutti i modi possibili, entro la fine dell’anno. Dopo di che il capo dell’RSHA discusse delle deportazioni imminenti in direzione di Łódź e nominò Riga e Minsk. Considerò anche la possibilità di spedire gli Ebrei nei campi di concentramento creati per i comunisti dall’Einsatzgruppen B e C nelle zone d’operazione».
La fonte è il documento d’accusa T/37 (299) presentato dalla Polizia israeliana al processo Eichmann di Gerusalemme e accolto dalla Corte come documento 1193.

Rilevo anzitutto che la riunione in questione non riguardò la “soluzione finale”, ma la «soluzione di questioni ebraiche» (Lösung von Judenfragen). Il documento è infatti intitolato «Notizen aus der Besprechung am 10.10.41 über die Lösung von Judenfragen» (Annotazioni tratte dalla riunione del 10 ottobre 1941 sulla soluzione di questioni ebraiche) e anche la seconda riga conferma che la riunione era stata indetta per discutere le misure «für Lösung der Judenfragen» (per la soluzione di questioni ebraiche) nel Protettorato e in parte nel Vecchio Reich.

Poiché, secondo la sua fallace interpretazione, la “Endlösung” (soluzione finale) era sinonimo di sterminio ebraico, Hilberg lascia intendere al lettore che appunto questo fosse l’oggetto della riunione.

Anche la frase «Hitler desiderava liberare il Reich dagli Ebrei, in tutti i modi possibili, entro la fine dell’anno» è equivoca, perché il documento dice:
«Poiché il Führer desidera che ancora alla [entro la] fine dell’anno gli Ebrei siano portati fuori il più possibile dallo spazio tedesco,... ».[«Da der Führer wünscht, dass noch Ende d. J. möglichst die Juden aus dem deutschen Raum herausgebracht sind,... »].
Dunque non «in tutti i modi possibili», ma «il più possibile», cioè il maggior numero possibile di Ebrei. Questo piccolo errore serve a confermare la falsa idea già insinuata nel lettore con il travisamento dell’espressione “soluzione finale” summenzionato; in connessione con questa, infatti, l’espressione «in tutti i modi possibili» non può significare che: incluso il mezzo dello sterminio.

Parimenti fuorviante è la frase seguente: «Dopo di che il capo dell’RSHA discusse delle deportazioni imminenti in direzione di Łódź e nominò Riga e Minsk». A questo riguardo il documento dice:
«A causa dell’evacuazione sorsero delle difficoltà. Si prevedeva di cominciare il 15 ottobre, per far circolare i trasporti a poco a poco fino al 15 novembre, sino a 5.000 Ebrei - solo da Praga. Per il momento bisogna anche avere molto riguardo per le autorità di Litzmannstadt. Minsk e Riga devono ricevere 50.000 [Ebrei]. [...]. Nelle prossime settimane devono essere evacuati 5.000 Ebrei da Praga. Gli SS-Brigadeführer Nebe e Rasch potrebbero accogliere gli Ebrei nei campi per detenuti comunisti nella zona operativa. A ciò, secondo comunicazione dell’SS-Sturmbannführer Eichmann, si è già dato inizio». [«Wegen der Evakuierung entstanden Schwierigkeiten. Es war vorgesehen, damit am 15. Oktober 1941 etwa zu beginnen [sic], um die Transporte nach und nach bis zum 15. November abrollen zu lassen bis zur Höhe von etwa 5000 Juden – nur aus Prag. Vorläufig muss noch viel Rücksicht auf die Litzmannstädter Behörden genommen werden. Minsk und Riga sollen 50.000 bekommen. [...]. In den nächsten Wochen sollen die 5000 Juden aus Prag nun evakuiert werden. SS-Brif. Nebe und Rasch können in die Lager für kommunistische Häftlinge im Operationsgebiet Juden mit hineinnehmen».
Heydrich menziona poi Theresienstadt, che definisce un «campo di raccolta provvisorio» (vorübergehenden Sammelager), sia pure con un’alta mortalità, dal quale l’evacuazione doveva poi proseguire «nei territori orientali» (in die östlichen Gebiete).

Il documento presenta la pianificazione delle future deportazioni ebraiche nei territori orientali dal Protettorato di Boemia e Moravia e in parte dal Vecchio Reich e non ha assolutamente nulla a che vedere con presunte intenzioni sterminatrici. Col suo oculato gioco degli equivoci, invece, Hilberg insinua che il documento sia la prova di tali presunte intenzioni.


NOTE

(80) Lettera di Himmler a Greiser del 18 settembre 1941. BAK, NS 19/2655, S. 3. Fac-simile del documento in Peter Witte, «Zwei Entscheidungen in der “Endlösung der Judenfrage”: Deportationen nach Lodz und Vernichtung in Chelmno», in: Theresienstädter Studien und Dokumente, Verlag Academia, Praga, 1995, p. 50. Torna al testo.





8.
La conferenza di Wannsee


Indice

La conferenza di Wannsee

Hilberg afferma che la Conferenza di Wannsee fu convocata per risolvere
«problemi spinosi come quello dei matrimoni misti, degli Ebrei che lavoravano nell’industria degli armamenti, e degli Ebrei stranieri» (p. 426).
Egli riporta poi il secondo capoverso (che contiene il termine “Endlösung”) della lettera di invito di Heydrich agli uffici interessati, datata 29 novembre 1941, ma non il primo, che fa riferimento all’incarico affidatogli da Göring il 31 luglio 1941:
«Il 31 luglio 1941 il Maresciallo del Reich della Grande Germania mi incaricò, coinvolgendo le autorità centrali interessate, di fare tutti i preparativi necessari sotto il profilo organizzativo, pratico e materiale per una soluzione totale [für eine Gesamtlösung] della questione ebraica in Europa e di presentargli in breve tempo un progetto complessivo al riguardo» (81).
Esiste dunque uno stretto nesso tra l’incarico di Göring e la conferenza di Wannsee, la quale, come ho già sottolineato, fu infatti convocata per informare le alte gerarchie del Partito del nuovo orientamento di tale politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei, cioè del fatto che all’emigrazione era ormai subentrata l’evacuazione degli Ebrei all’Est, e per discutere i problemi connessi.

Nell’esposizione che dedica alla conferenza di Wannsee, Hilberg inserisce come un inciso il memorandum intitolato «Domande e idee del Ministero degli Esteri, relative alla soluzione finale della questione ebraica in Europa», spiegando che
«il memorandum era una sorta di calendario della deportazione, organizzato per ordine di priorità e che precisava quali paesi dovessero essere ripuliti per primi dagli Ebrei» (p. 427).
La fonte è: «Memorandum dell’Abteilung Deutschland sottoposto all’Unterstaatssekretär Luther (capo della divisione), 8 dicembre 1941, NG-2586-F»(nota 35 a p. 852).

Hilberg lo cita soltanto per l’espressione “soluzione finale”, che però non vi appare affatto. Il titolo del documento è infatti «Wünsche und Ideen des Auswärtigen Amts zu der vorgesehenen Gesamtlösung der Judenfrage in Europa». «Soluzione totale» (Gesamtlösung), dunque, non «soluzione finale» (Endlösung).

Incredibilmente, Hilberg menziona questo documento irrilevante del Ministero degli Esteri ma tace completamente il fondamentale memorandum di Luther del 21 agosto 1942. Al processo Zündel, interrogato su questo documento, Hilberg dichiarò:
«Ci fu una fase in cui gli Ebrei furono deportati dalla Germania nel cosiddetto Governatorato Generale, nei ghetti, prima dell’istituzione dei centri di uccisione, prima dell’istituzione dei campi di morte. Ora, quando egli [Lammers] scrive questo memorandum, questi campi di morte hanno già cominciato l’attività, nel caso di uno di essi un mese prima, nel caso di altri due, parecchi mesi prima; ma egli scrive un memorandum - noi non conosciamo la data esatta di ciò che fu redatto - in cui egli riassume la storia [della politica nazionalsocilaista dal 1939 al 1942]. Un aspetto di questa storia fu il temporaneo trasferimento di Ebrei dalla Germania in ghetti della Polonia fino al momento in cui furono costruite camere a gas per ricerverli a scopo di gasazione».
L’avvocato Christie gli fece notare che il memorandum recava la data del 21 agosto 1942 e che esprimeva intenzioni future, al che Hilberg replicò che Luther era indietro rispetto alle informazioni che possedevano le SS, ossia non era al corrente degli ultimi sviluppi della politica ebraica nazionalsocialista (82).

La pretestuosità di queste spiegazioni risulta indubitabilmente dal fatto che Hilberg, nell’edizione definitiva della sua opera, non ha discusso gli aspetti fondamentali di questo importante documento, riconoscendo implicitamente in tal modo che esso è irriducibilmente contrario alla sua tesi (83).

Hilberg ritorna poi alla conferenza di Wannsee, che riassume così:
«Heydrich aprì la riunione annunciando che aveva pieni poteri per la preparazione della “soluzione finale del problema ebraico” in Europa; i suoi uffici avevano la responsabilità della direzione centrale della “soluzione finale”, indipendentemente dalle frontiere. Poi, Heydrich delineò un panorama della politica d’emigrazione e citò delle statistiche sul numero degli Ebrei emigrati. Al posto dell’emigrazione, proseguì, il Führer aveva dato il consenso (Genehmigung) in vista del trasferimento degli Ebrei all’est come prossima (84) “possibilità di soluzione” (Lösungmöglichkeit)» (pp. 427-428).
Anche qui, egli si limita a riferire i passi che contengono la parola magica “Endlösung”.

Egli non menziona invece le cifre di queste «statistiche sul numero degli Ebrei emigrati»: 537.000 persone non è certo una cifra irrisoria. Egli tace anche il passo immediatamente successivo, che non si presta affatto alla sua interpretazione della “Endlösung”:
«Tuttavia queste azioni devono essere considerate unicamente delle possibilità di ripiego (Ausweichmöglichkeiten), qui però vengono già raccolte quelle esperienze pratiche che sono di grande importanza in relazione alla futura soluzione finale della questione ebraica (die im Hinblick auf die kommende Endlösung der Judenfrage von wichtiger Bedeutung sind(85).
Se dunque le azioni di evacuazione all’Est dovevano essere considerate delle «possibilità di ripiego» in vista della «futura soluzione finale della questione ebraica», come potevano essere azioni volte allo sterminio? Il significato di questa frase risulta chiaro dal confronto col seguente passo della cosiddetta «Braune Mappe» (Cartella Bruna), redatta da Rosenberg il 20 giugno 1941 e successivamente incorporata nella cosiddetta “Grüne Mappe” (Cartella Verde) del settembre 1942, paragrafo «Richtlinien für die Behandlung der Judenfrage» (Direttive per la trattazione della questione ebraica):
«Tutte le misure riguardanti la questione ebraica nei territori orientali occupati saranno prese in base al presupposto che la questione ebraica dopo la guerra troverà una soluzione generale per tutta l’Europa [die Judenfrage nach dem Kriege für ganz Europa generell gelöst werden wird]. Esse devono essere pertanto considerate misure parziali preparatorie e devono essere in accordo con le decisioni già prese in questo campo. D’altra parte le esperienze fatte nella trattazione della questione ebraica nei territori orientali occupati saranno orientative per la soluzione del problema complessivo, perché gli Ebrei di questi territori, insieme agli Ebrei del Governatorato generale, costituiscono il contingente più numeroso dell’ebraismo europeo. Sono comunque da evitare misure vessatorie come indegne di un Tedesco» (86).
Ed ecco come Hilberg descrive il destino degli Ebrei deportati secondo il documento:
«Heydrich spiegò che cosa si sarebbe fatto degli evacuati: sarebbero stati organizzati in enormi colonne di lavoro; con l’utilizzo di questa manodopera, gran parte di essa, senza dubbio, «si eliminerà da sé per il suo stato di insufficienza fisica»(wobei zweifellos ein Grossteil durch natürliche Verminderung ausfallen wird). I restanti (Restbestand) di questo processo di “selezione naturale” - cioè il nucleo più resistente degli Ebrei - dovrà essere “trattato di conseguenza” (wird entsprechend behandelt werden müssen), poiché la storia aveva mostrato come questi Ebrei portassero in sé i germi di una nuova rinascita giudea. Heydrich non si attardò su questo trattamento “di conseguenza”, ma noi sappiamo, in base al linguaggio dei rapporti degli Einsatzgruppen, che alludeva alla loro condanna a morte» (p. 428).
Riporto anzitutto il relativo passo:
«Sotto adeguata direzione, nel quadro della soluzione finale, gli Ebrei devono andare in modo appropriato all’impiego lavorativo all’Est. In grandi colonne di lavoro, con separazione dei sessi, gli Ebrei abili al lavoro vengono condotti in questi territori per costruire strade (87); ciò facendo, senza dubbio una gran parte verrà meno per diminuzione naturale.
Coloro che eventualmente resteranno alla fine, poiché saranno senza dubbio la parte più resistente, devono essere trattati di conseguenza, perché questi, rappresentando una selezione naturale, in caso di liberazione, devono essere considerati la cellula germinale di una rinascita ebraica. (Vedi l’esperienza della storia)».
Unter entsprechender Leitung sollen nun im Zuge der Endlösung die Juden in geeigneter Weise im Osten zum Arbeitseinsatz kommen. In großen Arbeitskolonnen, unter Trennung der Geschlechter, werden die arbeitsfähigen Juden straßenbauend in diese Gebiete geführt, wobei zweifellos ein Großteil durch natürliche Verminderung ausfallen wird. Der allfällig endlich verbleibende Restbestand wird, da es sich bei diesem zweifellos um den widerstandsfähigsten Teil handelt, entsprechend behandelt werden müssen, da dieser, eine natürliche Auslese darstellend, bei Freilassung als Keimzelle eines neuen jüdischen Aufbaues anzusprechen ist. (Siehe die Erfahrung der Geschichte)»]
(88).
Il resonto di Hilberg presenta un errore e un’omissione. Anzitutto «durch natürliche Verminderung» non significa «per il suo stato di insufficienza fisica», ma «per diminuzione naturale», cioè per mortalità naturale. In secondo luogo, l’espressione omessa «in caso di liberazione» (bei Freilassung) esclude categoricamente la «condanna a morte» prospettata da Hilberg, rendendo palese che «entsprechend behandelt» significa semplicemente che questi Ebrei non dovevano essere liberati (89), e proprio questa è la ragione dell’omissione di Hilberg.

Egli riassume poi sommariamente il resto del documento menzionando accuratamente i passi in cui appare il termine “Endlösung” e aggiunge:
«Poco a poco, l’annuncio della “soluzione finale” filtrò tra i ranghi della burocrazia. Non tutti i funzionari vennero informati così in fretta. Il livello di conoscenza di un singolo individuo dipendeva dalla sua vicinanza con le operazioni di distruzione e dalla sua capacità di intuizione circa la natura del processo di sterminio. Questa comprensione, tuttavia, compariva raramente nei testi. Quando dovevano trattare di deportazione, i burocrati facevano ostinatamente allusione a una “migrazione” ebraica. Nella corrispondenza ufficiale, gli Ebrei rimanevano “senza fissa dimora”. Essi erano “evacuati” (evakuiert) e “reinsediati” (umgesiedelt, ausgesiedelt). Si “spostavano con destinazione sconosciuta” (wanderten ab) e “scomparivano” (verschwanden)» (p. 429).
Questa terminologia è estrapolata da documenti che Hilberg non indica. Per l’esattezza, «ausgesiedelt» significa «trasferiti, evacuati» e «wanderten ab» corrisponde a «emigrarono». “Abwanderung” è infatti sinonimo di “Auswanderung”, emigrazione.

Giocando sulla abusiva identificazione tra “soluzione finale” e “processo di sterminio”, Hilberg tenta di spiegare con questa teoria della conoscenza graduale il fatto che i documenti successivi continuano a parlare di deportazione all’Est. Ma ciò che deve spiegare è ben altro. Egli ammette che, alla conferenza di Wannsee, Heydrich annunciò che «al posto dell’emigrazione, il Führer aveva dato il consenso (Genehmigung) in vista del trasferimento degli Ebrei all’est come ulteriore “possibilità di soluzione” (Lösungmöglichkeit)» e riconosce che gli Ebrei, secondo il documento, dovevano essere realmente trasferiti all’Est per essere impiegati in colonne di lavoro; insinua soltanto (illecitamente, omettendo l’espressione «in caso di liberazione») che i sopravvissuti alla «diminuzione naturale» sarebbero stati uccisi.

Questo nuovo orientamento della politica nazionalsocialista, subentrato all’emigrazione, fu comunicato alle autorità competenti - ed era dunque pienamente in vigore - il 20 gennaio 1942: ma allora come può Hilberg pretendere che Hitler avesse già preso la decisione dello sterminio prima della fine dell’estate del 1941, e che alla fine del 1941 «a Kulmhof, un campo della morte situato nella provincia (Gau), si sterminavano già gli Ebrei del Wartheland»? Perché questi Ebrei non avrebbero dovuto rientrare in un progetto generale di trasferimento di tutti gli Ebrei europei all’Est?

Con tale nuovo orientamento contrastano anche le dichiarazioni di Frank, che Hilberg adduce a favore della sua tesi della «distruzione». Egli anticipa la questione con questa breve annotazione:
«Nel Governatorato generale, l’annuncio della riunione, anche se non se ne parlava, occupava i pensieri di tutti. Bruciante d’impazienza, Frank spedì a Berlino il segretario di Stato Bühler per sondare Heydrich. Dopo un colloquio personale con il capo dell’ RSHA, Bühler venne a conoscenza di tutto ciò che si doveva sapere» (p. 426).
Nella nota 33 a p. 851, Hilberg, rimandando allla testimonianza di Bühler al processo di Norimberga, spiega che essa
«è incompleta e costituisce una fonte d’errore quanto al problema cruciale: fino a che punto venne messo al corrente della decisione? Il fatto che Bühler sia stato informato con precisione che bisognava “liquidare” gli Ebrei, viene sottolineato da Frank nel suo discorso ai principali responsabili di divisione, nel corso della riunione tenuta nel Governatorato generale il 16 dicembre 1941. Diario di Frank, PS-2233. Il discorso di Frank viene riportato testualmente».
Successivamente Hilberg fornisce un ampio riassunto del discorso di Frank in questione e ne cita i passi che dimostrerebbero che Bühler era stato «informato con precisione che bisognava “liquidare” gli Ebrei».

La prima citazione comincia così:
«Per ciò che concerne gli Ebrei, vi dirò con tutta franchezza che essi, in un modo o in un altro, devono essere liquidati» (p. 499).
Ma il testo tedesco dice:
«Mit den Juden - das will ich Ihnen auch ganz offen sagen - muß so oder so Schluß gamacht werden», cioè:
«Con gli Ebrei - voglio dirvelo molto apertamente - bisogna farla finita in un modo o nell’altro»
(90).
La seconda citazione è questa:
«In ogni caso, dichiarò Frank, sta per cominciare una grande migrazione ebraica. Ma cosa farne degli Ebrei? Credete che verranno inviati nei villaggi dell’Ostland? Ecco cosa ci hanno detto a Berlino:“Perché tutte queste complicazioni (Scherereien)? Non abbiamo bisogno degli Ebrei, nell’Ostland o nel Reichskommissariat. Allora, liquidateli voi stessi. Devo chiedervi di sbarazzarvi di ogni sentimento di pietà. Dobbiamo sterminare gli Ebrei ovunque ne troveremo, e ovunque ce ne sarà la possibilità» (p. 500).
La terza e ultima citazione dice:
«Gli Ebrei per noi rappresentano anche bocche inutili da sfamare e molto insaziabili. Nel Governatorato generale, ci sono circa (la stima era decisamente esagerata) 2500000 Ebrei e - sommati ai Mischlinge danno un totale che si avvicina a 3500000 persone. Non possiamo certo fucilare o avvelenare questi 3500000 Ebrei, ma potremmo, tuttavia, adottare provvedimenti che, in un modo o nell’altro, portino al loro sterminio. Questi provvedimenti giganteschi saranno messi a punto da decisioni che verranno prese nel Reich. Il Governatorato generale, come il Reich, devono essere Judenfrei [sic]. Dove e come saranno realizzati questi progetti, sarà compito dei servizi che dobbiamo designare e istituire sul posto. In seguito, verrà stilato un rapporto sulle attività di questi servizi» (p. 500).
Hilberg pretende che Bühler si fosse recato a Berlino e avesse avuto un abboccamento con Heydrich prima della conferenza di Wannsee (per l’esattezza, prima del 16 dicembre 1941), perché a suo dire Frank bruciava d’impazienza di conoscerne qualche anticipazione. In realtà Bühler non fece affatto questo viaggio preliminare, ma presenziò esclusivamente alla conferenza. Hilberg lo sapeva perfettamente, giacché la relativa testimonianza a Norimberga di Bühler, che egli giudicava «incompleta» e «fonte d’errore», prese avvio proprio dal discorso di Frank summenzionato. Nell’udienza del 23 aprile 1946, il dottor Alfred Seidl, difensore di Rudolf Hess e di Frank, chiese a Bühler:
«Il rappresentante dell’accusa ha presentato come elemento di prova un estratto del diario di Frank sotto il numero US-281 (91). È un discorso su questioni ebraiche. L’imputato dott. Frank tra l’altro vi ha dichiarato:
“Perciò riguardo agli Ebrei in linea di principio mi baserò soltanto sull’aspettativa che essi scompaiano. Essi devono andarsene. Ho intrapreso trattative allo scopo di espellerli all’Est”».
Qui apro una parentesi. Hilberg stesso menziona tali trattative, scrivendo:
«Il 13 ottobre 1941, Frank si intrattenne con il ministro dei territori dell’est occupati, Rosenberg. In questa occasione, sollevò la questione del trasferimento degli Ebrei dal Governatorato generale in direzione dei nuovi territori di competenza di Rosenberg. Questi rispose che per il momento un reinsediamento di quel genere non era prevedibile».
Questo resoconto non è proprio ineccepibile. Il relativo documento dice:
«Il governatore generale passò poi a parlare della possibilità dell’espulsione della popolazione ebraica del Governatorato generale nei territori orientali occupati. Il Reichsminister Rosenberg osservò che tali aspettative gli erano già state espresse dall’amministrazione militare di Parigi (92). Al momento però egli non vede ancora alcuna possibilità per l’attuazione di tali piani di trasferimento. Tuttavia per il futuro egli si è dichiarato pronto a favorire l’emigrazione ebraica all’Est, tanto più in quanto c’è già l’intenzione di mandare nei territori orientali scarsamente popolati soprattutto gli elementi asociali che ci sono all’interno del territorio del Reich» (93).
Torniamo alla testimonianza di Bühler, che continua così:
«In gennaio [1942] avrà luogo a Berlino un grande convegno su tale questione, alla quale manderò il signor segretario di Stato dott. Bühler. Questo convegno si dovrà tenere al Reichsicherheitshauptamt presso l’SS-Gruppenführer Heydrich. Comunque comincerà una grossa emigrazione ebraica (eine große jüdische Wanderung)”».
Questa anticipazione dei temi della conferenza è strettamente conforme alla realtà. Indi l’avvocato Seidl chiese a Bühler:
«Ora Le chiedo: fu inviato dal governatore generale a questo convegno? Ed eventualmente quale fu l’argomento di questo convegno? ».
Bühler rispose:
«Sono stato inviato a questo convegno e l’argomento di questo convegno erano questioni ebraiche. Devo premettere che le questioni ebraiche nel Governatorato generale fin dall’inizio furono trattate e gestite come campo di competenza dello Höherer SS- und Polizeiführer. Per quanto l’amministrazione statale si occupava di questioni ebraiche, lo faceva soltanto con la tolleranza e sotto il controllo della Polizia. Nel corso degli anni 1940-1941 furono portate nel Governatorato generale masse enormi di persone, soprattutto Ebrei, nonostante le obiezioni e le proteste del governatore generale e della sua amministrazione. Questo inatteso, impreparato e indesiderato trasporto della popolazione ebraica di altri territori mise l’amministrazione del Governatorato generale in una situazione estremamente difficile. L’alloggiamento di queste masse umane, il loro vettovagliamento e la loro assistenza sanitaria eccedevano quasi, o si può ben dire, certamente, le capacità del territorio. Particolarmente minacciosa era la diffusione della febbre petecchiale, non solo nei ghetti, ma anche tra la popolazione polacca e anche tra i Tedeschi del Governatorato generale. Sembrava che l’epidemia, partendo dal Governatorato generale, volesse diffondersi anche nel Reich e all’Est fino al fronte.
In tale situazione venne questo invito di Heydrich al governatore generale. Il convegno doveva svolgersi originariamente già a novembre, ma poi fu più volte rinviato e si dovrebbe essere svolto nel febbraio 1942.
Pregai Heydrich di concerdermi un colloquio privato a causa dei problemi particolari del Governatorato generale, ed egli mi ricevette. Gli descrissi nel corso di esso, tra molte altre cose, la situazione catastrofica che si era creata nel Governatorato generale in conseguenza del trasporto arbitrario di popolazione ebraica. Egli mi disse allora che proprio per questo aveva invitato a questo convegno il governatore generale. Il Reichsführer-SS aveva ricevuto dal Führer l’incarico di radunare tutti gli Ebrei d’Europa e di trasferirli nell’Europa nord-orientale, in Russia. Gli chiesi se ciò significava che sarebbe cessato l’ulteriore trasporto di popolazione ebraica nel Governatorato generale e se le molte decine di migliaia di Ebrei che vi erano stati portati senza il permesso del governatore generale sarebbero stati riportati via. Heydrich mi fece sperare entrambe le cose. Heydrich dichiarò inoltre che il Führer gli aveva impartito l’ordine di istituire come riserva [ebraica] la città del Protettorato di Theresienstadt, nella quale dovevano poi essere alloggiati gli Ebrei vecchi e malati e gli Ebrei deboli, che non potevano sopportare le fatiche di un trasferimento. Da questa comunicazione mi feci la convinzione certa che il trasferimento degli Ebrei, anche se non per amore degli Ebrei, ma piuttosto per la reputazione e la considerazione del popolo tedesco, si sarebbe svolta in modo umano. Il trasferimento degli Ebrei nel Governatorato generale fu successivamente attuato solo dalla Polizia»
(94).
Le dichiarazioni di Bühler corrispondono pienamente al protocollo di Wannsee e ciò è tanto più importante in quanto, all’epoca della sua testimonianza, questo documento era ancora ignoto: esso fu esibito solo l’anno dopo, al processo della Wilhelmstraße.

Perciò non bisogna giudicare le dichiarazioni di Bühler alla luce di quelle di Frank, come fa Hilberg, ma le dichiarazioni di Frank alla luce di quelle di Bühler. E che le dichiarazioni di Frank fossero vane minacce personali e non reali intendimenti di Berlino, risulta dal fatto che, dopo la conferenza di Wannsee, quando fu informato da Bühler sul suo contenuto, egli non fece alcun commento minaccioso.

In contraddizione con la sua affermazione che «Frank spedì a Berlino il segretario di Stato Bühler per sondare Heydrich», Hilberg, nella nota 25 a p. 1051, scrive:
«Quando il governatore generale Frank era a Berlino (metà dicembre 1941), gli si disse che “non si poteva fare nulla con gli Ebrei nell’Ostland”».
Il riferimento è sempre al protocollo della seduta governativa del 16 dicembre 1941. Così da questo documento (il PS-2233) Hilberg desume la visita a Berlino una volta di Bühler, un’altra volta di Frank, ma entrambe le visite sono fittizie!

Quanto Frank si sentisse accusato dal suo diario, risulta da questo fatto riferito da David Irving:
«L’11 gennaio 1946 Alfred Seidl, avvocato di Hans Frank, si rivolse alla Corte affinché all’ex governatore generale della Polonia fosse permesso di usare i suoi diari, di cui aveva consegnato volontariamente oltre quaranta volumi alla Settima Armata. Questi volumi si trovavano allora nella sala dei documenti del tribunale, ma gli fu permesso di usare solo gli estratti che erano stati selezionati dall’accusa. Il permesso gli fu rifiutato» (95).
Questa selezione, che costituisce il documento PS-2233 (96), contiene tutti gli elementi di accusa più importanti, nessun importante elemento di difesa.


NOTE

(81) PS-709. Torna al testo.
(82) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. VI, pp. 1168-1171. Torna al testo.
(83) Hilberg cita più volte il documento in questione, ma solo per aspetti marginali: ad es. a p. 893, nota 806, a p. 914, nota 1225 e a p. 921, nota 1408. Torna al testo.
(84) Ma il testo tedesco dice «weitere», «ulteriore». Torna al testo.
(85) NG-2586-G, p. 5. Torna al testo.
(86) Richtlinien für die Führung der Wirtschaft in den neubesetzten Ostgebieten (Grüne Mappe), Berlin September 1942. EC-347. IMG, Bd. XXXVI, p. 348. Torna al testo.
(87) Letteralmente: costruendo strade. Torna al testo.
(88) NG-2586-G, p. 8 dell’originale. Torna al testo.
(89) Come nel progetto Madagascar, anche negli insediamenti orientali gli Ebrei deportati sarebbero stati sotto il controllo delle SS. Torna al testo.
(90) PS-2233. IMG, vol. XXIX, p. 502. Torna al testo.
(91) Vedi nota 94. Torna al testo.
(92) Una chiara allusione alla proposta dell’SS-Sturmbannführer Zeitschel del 22 agosto 1941 – poi approvata dal Führer – di risolvere la «questione ebraica» deportando gli Ebrei sotto giurisdizione tedesca nei territori orientali occupati. Vedi paragrafo 2. Torna al testo.
(93) Faschismus – Getto – Massenmord, Röderberg-Verlag, Francoforte sul Meno, 1960, p. 252. Torna al testo.
(94) IMG, vol. XI, pp. 78-79. Torna al testo.
(95) D. Irving, Nuremberg. The Last Battle. Focal Point Publications, Londra, 1996, p. 174. Torna al testo.
(96) L’accusa selezionò passi da 38 volumi. Le singole estrapolazioni furono poi presentate come elementi di prova (Beweisstücke). L’elemento di prova US-281 era tratto dal volume 17 e conteneva stralci dei verbali delle sedute tenute nel periodo ottobre-dicembre 1941 dal governo del Governatorato generale. IMG, vol. XXIX, p. 725. Torna al testo.




9.
Goebbels e il presunto sterminio ebraico


Indice


A dimostrazione di questa pretesa conoscenza graduale nelle gerarchie nazionalsocialiste del presunto «processo di sterminio», Hilberg cita l’esempio di Goebbels:
«Quando scroprì che il capo delle SS e della Polizia di Lublino, Globocnik, costruiva dei centri della morte, Goebbels scrisse:
“Non rimarrà granché degli Ebrei...Un giudizio sta per abbattersi sull’Ebreo [che è] barbaro. La profezia che su di loro ha emesso il Führer, perché hanno causato la nuova guerra mondiale, inizia a compiersi nel modo più terribile”» (p. 429).
Il riferimento è ad un’annotazione del 27 marzo 1942 (nota 39 a p. 852).

Questo discorso dev’essere inquadrato nel suo contesto storico. Il 7 marzo, Goebbels scrisse:
«La questione ebraica deve essere ora risolta nel quadro di tutta l’Europa. In Europa ci sono ancora 11 milioni di Ebrei. Essi devono essere anzitutto concentrati all’Est. Eventualmente, dopo la guerra (nach dem Kriege), deve essere assegnata loro un’isola, forse il Madagascar. Comunque non ci sarà pace in Europa se gli Ebrei non saranno completamente estromessi (ausgeschaltet) dal territorio europeo…» (97).
La concentrazione all’Est di questi 11 milioni di Ebrei non implicava ovviamente il loro sterminio biologico, dato che, dopo la guerra, doveva essere assegnata loro un’isola. Non meno importante è il fatto che la cifra di 11 milioni è tratta dalla statistica che appare a p. 6 del protocollo di Wannsee. Goebbels infatti, come riferisce Hilberg, «aveva ricevuto una copia del verbale della riunione del 20 gennaio» (p. 442), dunque era bene al corrente dell’inizio della nuova politica di deportazione ebraica nei territori orientali comunicata da Heydrich nel corso della conferenza e sapeva anche che non costituiva un «programma di sterminio».

Improvvisamente, il 27 marzo 1942, nel diario di Goebbels appare la seguente annotazione:
«Cominciando da Lublino, gli Ebrei dal Governatorato generale vengono ora espulsi verso l’Est. Qui viene impiegata una procedura piuttosto barbara e che non si può descrivere più dettagliatamente e non rimarrà granché degli Ebrei. Nel complesso, si può stabilire che il 60% di essi devono essere liquidati, mentre solo il 40% possono essere impiegati nel lavoro. L’ex Gauleiter di Vienna, che conduce quest’azione, lo fa con sufficiente circospezione e anche con una procedura che non è troppo appariscente» (98).
Gli storici meno avveduti citano il brano per intero; Hilberg, invece, che è più sottile, evita l’imbarazzante riferimento al 40% di abili al lavoro (percentuale superiore perfino a quella di Auschwitz). Secondo la storiografia olocaustica, infatti, i tre campi di Globocnik (Bełżec, Sobibór e Treblinka) erano campi di sterminio totale, senza alcuna “selezione” di detenuti per il lavoro e senza alcuna speranza di sopravvivenza per il 40% di Ebrei abili al lavoro.

Che cos’era accaduto dal 7 al 27 marzo 1942? Certo, il 17 marzo era entrato in funzione il presunto campo di sterminio di Bełżec, ma chi e quando aveva deciso di trasformare la politica di trasferimento degli Ebrei europei all’Est, per risolvere la questione ebraica «dopo la guerra», assegnando loro un’isola, in un programma di sterminio totale?

Le decisioni comunicate dall’SS-Hauptsturmführer Höfle il 16 marzo 1942 (99) non contengono alcun riferimento al presunto programma di sterminio: Bełżec vi era considerato un campo di transito per gli Ebrei inabili, che sarebbero stati deportati «oltre il confine» nei territori orientali. La loro “liquidazione” annunciata da Goebbels può essere interpretata solo in questo senso.

I documenti sulla deportazione ebraica nell’area dei presunti campi di sterminio smentiscono inoltre che fosse stata attuata una «procedura piuttosto barbara». Ecco qualche esempio (100). Le direttive dell’ufficio governativo incaricato del trasferimento, trasmesse in allegato alle autorità locali dal consigliere amministrativo superiore distrettuale Weirauch, prescrivevano:
«L’Ufficio del distretto di Lublino, Sezione amministrazione interna e Sezione affari relativi alla popolazione e previdenza, è responsabile di fronte a me che gli Ebrei da trasferire ricevano in assegnamento nella misura del possibile alloggi sufficienti. Agli Ebrei da trasferire si deve permettere di poter portare con sé lenzuola e coperte. Si possono inoltre portare 25 kg a persona di altri bagagli e suppellettili domestiche. Gli Ebrei, dopo l’arrivo nei loro nuovi territori di insediamento (Siedlungsgebieten) devono essere sottoposti ad osservazione medica per tre settimane. Ogni caso di malattia sospetto di febbre petecchiale dev’essere comunicato immediatamente al competente medico distrettuale» (101).
Il 22 marzo fu eseguito un trasferimento di Ebrei da Bilgoraj a Tarnogrod, un paesino situato a 20 km a sud di questa città. Il relativo rapporto informa:
«Il 22 marzo è avvenuta una evacuazione di 57 famiglie ebraiche con complessive 221 persone da Bilgoraj a Tarnogrod. Ogni famiglia ha ricevuto un veicolo per portare con sé il mobilio necessario e i letti. Il controllo e la sorveglianza sono stati assicurati dalla Polizia polacca e dal commando del Servizio speciale. L’azione si è svolta secondo i piani senza infortuni. Gli evacuati sono stati alloggiati il giorno stesso a Tarnogrod» (102).
Il passo del diario di Goebbels riportato da Hilberg contiene un riferimento alla «profezia» di Hitler. Per corroborare le sue congetture arbitrarie, Hilberg ricorre a un altro espediente: la citazione del brano del discorso di Hitler del 30 settembre 1942 (p. 430) che ho riportato sopra e che attribuisce il termine «Ausrottung» (sterminio) anche ai popoli ariani d’Europa! Così realizza un’altra finta “convergenza di prove” sul presunto sterminio ebraico.
(seguito)

NOTE

(97) R. Manvell-H.Fraenkel, Goebbels eine Biographie. Verlag Kiepenheuer & Witsch, Colonia-Berlino, 1960, p.256 (trad. it.: Vita e morte del dottor Goebbels. Milano 1961, p. 240). Torna al testo.
(98) Idem, p. 257; l’edizione italiana (idem, p. 240) contiene qualche errore di traduzione. Torna al testo.
(99) Vedi capitolo III,2. Torna al testo.
(100) Vedi il mio studio Negare la storia? Olocausto: la falsa “convergenza delle prove”. Effedieffe Edizioni, 2006, pp. 96-102. Torna al testo.
(101) Idem, p. 15. Torna al testo.
(102) Józef Kermisz (a cura di), Dokumenty i materiały do dziejów okupacij niemieckiej w Polsce (Documenti e materiali per la storia dell’occupazione tedesca in Polonia), tomo II, “Akcje” i “Wysiedlenia” (“Azioni” ed “evacuazioni”). Varsavia -Łódź-Cracovia, 1946, p. 46. Torna al testo.






CAPITOLO II
Le deportazioni


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1.
Hilberg e gli Einsatzgruppen


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1.1.
L’ordine di sterminio


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Prima di affrontare la questione delle deportazioni nei presunti «centri di sterminio», è necessario soffermarsi sulle dichiarazioni di Hilberg riguardo all’attività degli Einsatzgruppen. Egli infatti riassume così la sua tesi sul «processo di distruzione» degli Ebrei europei:
«La fase dello sterminio si realizzò attraverso due grandi operazioni. La prima cominciò con l’invasione dell’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941. Piccole unità di SS e di Polizia avanzarono nei territori occupati, con il compito di uccidere sul posto tutta la popolazione ebraica. Trascorse poco tempo tra la messa in opera di questi massacri itineranti e l’avvio della seconda grande operazione, che sfociò nel trasferimento degli Ebrei dell’Europa centrale, occidentale e sudoccidentale nei campi muniti di camere a gas» (p. 289).

Il presupposto storiografico di questa tesi, per quanto riguarda la «prima grande operazione», è un presunto ordine di Hitler riguardo al quale, però, Hilberg non adduce alcuna prova.
Al processo Zündel l’avvocato Christie rilevò che, nella prima edizione della sua opera, a p. 177, Hilberg aveva scritto:
«Come scaturì la fase di uccisione? Fondamentalmente, abbiamo a che fare con due decisioni di Hitler. Un ordine fu dato nella primavera del 1941... Subito dopo l’inizio delle operazioni mobili nei territori sovietici occupati, Hitler impartì il suo secondo ordine» (103).

L’uno avrebbe riguardato gli Einsatzgruppen, l’altro i «centri di sterminio».
Riguardo al primo ordine, il dibattimento si svolse così:
«Christie - C’è una nota per indicare dov’è quest’ordine?
Hilberg - No. Questo è un passo introduttivo a un capitolo.
Christie - A p. 177?
Hilberg - Sì. Questo è un passo introduttivo a un capitolo di ottanta pagine.
Christie - Non vi ho chiesto che cos’è. Vi ho chiesto se c’è una nota.
Hilberg - No, qui non c’è una nota.
Christie - A quale ordine vi riferite?
Hilberg - In questo caso particolare[l’] ho elaborato, nella seconda edizione, poiché ci sono molte discussioni e controversie sulla natura di quest’ordine. Così potrei dirvi a che cosa mi riferisco non solo sulla base di ciò che fu pubblicato qui nel 1961, se voi desiderate ascoltare, ma sulla base della mia conoscenza fino ad oggi.
Christie - Quale fu l’ordine?
Hilberg - All’interno dell’alto comando dell’esercito fu elaborato un piano per il “trattamento di popolazioni” nei territori che sarebbero stati occupati in conseguenza dell’invasione dell’URSS. L’ordine fu sottoposto attraverso canali ad Adolf Hitler per l’approvazione. Egli indicò che desiderava che in questa direttiva si facessero certi tagli e cambiamenti. Noi abbiamo, e io l’ho citata qui, la direttiva datata marzo 1941. Scusate, parlo di una direttiva, non di un ordine di Hitler.
Christie - A me interessa ciò che si dice qui, un ordine fu dato da Hitler. [...].
Hilberg - La questione riguarda l’ordine di Hitler. Ci fu una direttiva abbozzata. Hitler desiderava che fosse cambiata. I cambiamenti furono fatti successivamente in aprile e vennero poi sottoposti di nuovo a Hitler per l’approvazione.
Christie - Bene. Così ci fu un ordine di Hitler, voi dite, che fu approvato da Adolf Hitler nell’aprile 1941.
Hilberg - Entro l’aprile 1941, sì.
Christie - Entro l’aprile o in aprile?
Hilberg - Ora volete la data esatta.
Christie - No, voglio sapere se fu in aprile.
Hilberg - Parliamo di qualche settimana alla fine di marzo quando queste discussioni ebbero luogo» (104).

Hilberg precisò subito dopo che si riferiva all’origine del cosiddetto “Kommissarbefehl” relativo ai commissari sovietici:
«Adolf Hitler disse che desiderava che i commissari fossero liquidati.
Christie - Questo è l’ordine al quale vi riferite.
Hilberg - Bene, fu la prima parte di esso.
Christie - Chiedo scusa, vi ho interrotto. Proseguite.
Hilberg - Egli disse che desiderava che organi delle SS e della polizia fossero direttamente coinvolti e responsabili di questo compito. Egli poi sottolineò che, a questo scopo, le Forze Armate dovevano discutere i dettagli con le SS e la polizia. Ora, il contenuto dell’ordine descritto da Jodl fu questo.
Christie - Così non abbiamo l’ordine?
Hilberg - L’ordine fu orale e tutto ciò che abbiamo sono le riflessioni delle parole di Adolf Hitler descritte da Jodl. Abbiamo però anche le parole più dirette e più specifiche di altre persone che parlarono con Adolf Hitler, ma queste parole ricorrono in contesti diversi, come le parole di Heinrich Himmler, e parole dette da altre persone. Comunque, l’ordine fu orale.
Christie - L’ordine fu orale, e voi non conoscete le parole esatte, suppongo.
Hilberg - Avete pienamente ragione. Nessuno conosce le parole.
Christie - No. Così voi dite che ci fu un ordine di sterminare gli Ebrei da parte di Adolf Hitler che fu orale, di cui non conoscete il contenuto, e a quanto pare nessuno lo conosce, e fu in primavera, di fatto nel mese di aprile.
Hilberg - Quando dico che non conosciamo le parole, non intendo il contenuto generale. Intendo le parole specifiche.
Christie - Ora, voi dite che si riferiva ai commissari. Esatto?
Hilberg - Commissari giudeo trattino bolscevichi.
Christie - Commissari giudeo-bolschevichi. C’è un trattino lì?
Hilberg - Sì, perché c’era un documento e io cito Jodl» (105).

Hilberg precisò che il documento in questione era venuto alla luce nel 1971 e che si trovava nell’archivio nazionale della Germania occidentale.
L’avvocato Christie riassunse poi i dati emersi dal dibattimento:
«Così in realtà non abbiamo un ordine esistente in forma scritta. Abbiamo un’interpretazione da parte vostra di ciò che si suppone Jodl abbia detto di ciò che Adolf Hitler avrebbe detto, che, voi dite, si trovava nell’archivio della Germania occidentale e che, voi dite, ha un trattino tra giudeo e bolscevico.
Hilberg - Questo è il mio migliore ricordo.
Christie - Il vostro migliore ricordo.
Hilberg - Sì.
Christie - Così c’è un trattino in...
Hilberg - Certo, è una trattino d’unione.
Christie - Così non erano solo i commissari giudeo-bolscevichi che dovevano essere uccisi. Era anche il popolo ebraico, giusto?
Hilberg - Bene, questo particolare problema è uno di quelli che ha suscitato molte discussioni. Non c’è nessuna precisa, chiara risposta a quali furono le parole esatte. Possiamo solo dedure da spiegazioni successive di individui di basso rango che passarono questo particolare comando, specialmente agli Einsatzgruppen, che cosa fosse ciò che era stato ordinato.
Christie - Oh, questo fu l’ordine dei commissari agli Einsatzgruppen, giusto?
Hilberg - In definitiva, l’ordine non era solo agli Einsatzgruppen, era anche alle Forze Armate.
Christie - Allora voglio capire meglio. Quest’ordine dice “Annientate i commissari giudeo-bolscevichi”. Esatto?
Hilberg - Mm-hmmm.
Christie - E voi interpretate che significa “Annientate la popolazione ebraica e i commissari bolscevichi”. Esatto?
Hilberg - Corretto» (106).

Nella’edizione definitiva della sua opera, che, ricordo, all’epoca del processo era già pronta, Hilberg scrive riguardo a questa discussione:
«La prima traccia scritta della loro missione [degli Einsatzgruppen] appare in data 3 marzo 1941, nel diario di guerra del Wehrmachtführungsstab (WFSt) dell’OKW (107), ossia in un’epoca in cui la preparazione dei piani era in stato già molto avanzato. La nota riguarda un’ipotesi di direttiva da inviare ai comandanti delle unità, predisposta dall’Ufficio per la difesa del territorio (Landesverteidigung) diretto da Warlimont in seno al WFSt, e che il capo dello stato maggiore Jodl aveva proposto a Hitler. Il diario riporta il commento di Hitler, trascritto da Jodl: oltre a un’asserzione filosofica secondo la quale la battaglia a venire sarebbe stata il confronto tra due concezioni del mondo, il Führer aveva fatto diverse considerazioni specifiche, tra le quali una precisava che «l’intellighenzia (Intelligenz) giudeo-bolscevica» avrebbe dovuto essere «eliminata» (beseitigt); ma si trattava di compiti così difficili che non potevano venire affidati all’esercito. Il testo del diario, poi, contiene istruzioni rivolte a Warlimont, perché il progetto sia revisionato secondo le «indicazioni» di Hitler. Si sarebbe dovuta studiare con il Reichsführer-SS, diceva Jodl, la questione dell’invio, nelle zone dove operava l’esercito, di effettivi delle SS e della Polizia. Il provvedimento si rendeva indispensabile se si voleva essere certi di «rendere inoffensivi», nel più breve tempo possibile, i capi e i commissari bolscevichi. In conclusione, Warlimont era informato che poteva prendere contatto con l’OKW per rivedere la direttiva, e che avrebbe dovuto sottoporne la nuova versione alla firma di Keitel, al più tardi il 13 marzo 1941. E fu quello che accadde» (p. 297).

Come fonte, Hilberg adduce: «Kriegstagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht (Wehrmachtführungsstab), Percy Schramm e Hans Adolf Jacobsen (a cura di), Frankfurt 1965, vol. I, pp. 340-342»(nota 8 a p. 393).
In quest’opera, nelle «indicazioni» di Hitler summenzionate si legge quanto segue:
«Questa campagna futura è più di una battaglia delle armi; essa porta anche al confronto tra due visioni del mondo. Per portare a termine questa guerra, non basta sconfiggere l’esercito nemico nell’estensione dello spazio. L’intero territorio dev’essere diviso in Stati con governi propri con i quali possiamo concludere la pace. [...].
La Russia odierna non è più pensabile senza l’idea socialista. Essa può essere solo la base della politica interna per la formazione di nuovi Stati e governi. Il ceto intellettuale giudeo-bolscevico (die jüdisch-bolschewistische Intelligenz), in quanto “oppressore” finora del popolo, dev’essere eliminato (als bisheriger “Unterdrücker” des Volkes, muß beseitigt werden). L’ ex ceto intellettuale borghese-aristocratico, per quanto ancora esiste tra gli emigrati, non è parimenti da prendere in considerazione».

Il documento continua così:
«Conformemente a queste direttive del Führer, l’ordine dev’essere cambiato come segue: [...]. Se sia necessario impiegarvi già organi del Reichsführer SS oltre alla Geheime Feldpolizei, dev’essere esaminato col Reichsführer SS. La necessità di rendere immediatamente inoffensivi tutti i capi bolscevichi e i commissari va a favore di ciò» (108).

Risulta dunque chiaro che, secondo le direttive di Hitler, il ceto intellettuale giudeo-bolscevico doveva essere «eliminato», nel quadro di un profondo rimaneggiamento politico del territorio dell’Unione Sovietica, più per il fatto di essere bolscevico che per quello di essere ebraico; e infatti le istruzioni di Jodl, conformi a tali direttive di Hitler, ponevano l’accento l’accento sui «capi bolscevichi e i commissari», non sui capi giudeo-bolscevichi.

Hilberg continua la sua narrazione così:
«Il paragrafo decisivo del testo corretto informava i comandanti delle varie unità che il Führer aveva incaricato il Reichsführer-SS di certi compiti speciali nelle zone operative dell’esercito. Nel quadro di queste incombenze, che imponevano una lotta alla morte tra due sistemi politici opposti, il Reichsführer avrebbe agito d’autorità propria e sotto la sua personale responsabilità. Nel compimento della sua missione, avrebbe dovuto vigilare per non costituire turbativa delle azioni militari. I dettagli sarebbero stati definiti direttamente tra l’OKH (109) e il Reichsführer-SS. Dall’inizio della campagna, la frontiera sovietica sarebbe stata chiusa a ogni forma di circolazione non militare, eccezion fatta per gli organismi di Polizia inviati dal Reichsführer-SS, in applicazione della direttiva del Führer. L’OKH GenQu (l’alto comando dell’esercito, Generalquartiermeister) Wagner, si sarebbe fatto carico dei problemi logistici e di approvvigionamento» (p. 297).

Qui Hilberg rimanda a una «Direttiva dell’OKW/L firmata da Keitel, 13 marzo 1941, NOKW-2302» (nota 9 a p. 393).
Tuttavia questa direttiva parla sì di «compiti speciali»(Sonderaufgaben) affidati a Himmler da Hitler, ma non menziona affatto né «il ceto intellettuale giudeo-bolscevico» (indicazioni di Hitler), né i «capi bolscevichi e i commissari» (istruzioni di Jodl), tantomeno la popolazione ebraica. In pratica, in questo percorso da Hitler a Keitel scomparve qualunque accenno al giudeo-bolscevismo. Ma allora come poteva Hilberg interpretare seriamente e onestamente le indicazioni originarie di Hitler come se prescrivessero: «Annientate la popolazione ebraica e i commissari bolscevichi»?
Poiché nel dibattimento processuale Hilberg si richiamò esplicitamente alla discussione che aveva esposto nell’ edizione definitiva della sua opera, che smentisce la sua affermazione relativa al significato di tali indicazioni, egli commise uno spergiuro.

Hilberg si appella inoltre alla dichiarazione giurata di Otto Ohlendorf del 5 novembre 1945, PS-2620 (nota 26 a p. 394):
«Secondo Ohlendorf, Himmler convocò i comandanti degli Einsatzgruppen per dar loro personalmente le istruzioni, e li informò che l’eliminazione (Beseitigung) degli Ebrei – uomini, donne o bambini – e dei responsabili comunisti costituiva una parte importante della loro missione» (p. 306).

Tuttavia a questo riguardo Alfred Streim ha scritto:
«Le dichiarazioni e le risposte difensive di Ohlendorf sulla comunicazione dell’ “ordine del Führer” da parte di Streckenbach alcuni giorni prima dell’inizio dell’operazione “Barbarossa” in occasione di un colloquio di lavoro a Pretzsch sono false. Al processo degli Einsatzgruppen l’ex capo dell’Einsatzgruppe D riuscì a indurre i suoi coimputati ad assumere la linea difensiva da lui indicata facendo presente che, se le azioni di sterminio contro gli Ebrei erano state eseguite fin dall’inizio per “ordine del Führer”, si poteva contare su una sentenza più mite» (110).

Nel capitolo V vedremo che, riguardo a questo presunto ordine, la storiografia olocaustica brancola completamente nelle tenebre.

L’ordine operativo (Einsatzbefehl) n. 14 promulgato da Heydrich il 29 ottobre 1941 imponeva le seguenti direttive:
«Gli Einsatzgruppen formano immediatamente, a seconda della grandezza dei campi che si trovano nel loro ambito operativo, Sonderkommandos con sufficienti effettivi sotto il comando di un ufficiale SS».

Questi Sonderkommandos dovevano scoprire (ausfindig zu machen) nei campi per prigionieri di guerra e civili sovietici varie categorie di persone, tra cui:
«Gli intellettuali (Intelligenzler) e gli Ebrei sovietici russi, per quanto si tratti di rivoluzionari di professione o politici, scrittori, redattori, impiegati del Comintern ecc. » (111).

Neppure nei campi, dunque, i Sonderkommandos degli Einsatzgruppen avevano l’ordine di assassinare gli Ebrei in quanto Ebrei.
Del resto, una politica di sterminio ebraico in massa da parte degli Einsatzgruppen è in contrasto anche con alcuni rapporti degli Einsatzgruppen stessi, come le già menzionate “Meldungen aus den besetzten Ostgebieten” n. 9 del 26 giugno 1942. L’“Ereignismeldung” n. 52 dell’Einsatzgruppe C del 14 agosto 1941 proponeva di impiegare le grandi masse ebraiche nella

«coltivazione delle vaste paludi del Pripjet e delle paludi del Dnjepr settentrionale e del Volga» (112).

Nell’“Ereignismeldung” n. 81 del 12 settembre 1941, secondo la citazione di Hilberg stesso, si rilevava:
«In questo si può riscontrare un successo indiretto della Polizia di sicurezza, poiché il trasferimento (Abscheidung [recte: Abschiebung]), per noi gratuito, di centinaia di migliaia di Ebrei - la maggior parte dei quali sembra che vada al di là degli Urali - rappresenta un contributo notevole alla soluzione della questione ebraica in Europa» (p. 352)(corsivo mio).


NOTE


(103) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury. vol. IV, p. 829 e p. 851.

(104) Idem, pp. 829-831.

(105) Idem, pp. 832-834.

(106) Idem, vol. IV, pp. 835-837.

(107) Oberkommando Wehrmacht: comando supremo delle Forze Armate.

(108) Percy E. Schramm (a cura di), Kriegstagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht 1940-1941. Zusammengestellt und erläutert von Hans-Adolf Jacobsen. Mandred Pawlak Verlagsgesellschaft, Herrsching, 1982, Teilband I, p. 341.

(109) Oberkommando des Heeres: comando supremo dell’Esercito.

(110) A. Streim, «Zur Eröffnung des allgemeinen Judenvernichtungsbefehls gegenüber den Einsatzgruppen», in: Ebehard Jäckel, Jürgen Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg. Entschlußbildung und Verwirklichung. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1985, pp. 107-108.

(111) NO-3422.

(112) Helmut Krausnick, Hans-Heinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges. Die Einsatzgruppen der Sicherheitspolizei und des SD 1938-1942. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1981, p. 628.







1.2.
Le due ondate


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Hilberg distingue due «ondate di massacri»:
«La prima serie di massacri venne interrotta alla fine del 1941, sebbene nelle retrovie dell’esercito, che continuava la sua avanzata in Crimea e in direzione del Caucaso, si protraesse fino alla primavera del 1942. La seconda ondata cominciò, nella zona del Baltico, sin dall’autunno del 1941, per dilagare l’anno dopo in tutti i territori occupati. Così, mentre la prima era ancora in corso al sud, la seconda si scatenava al nord» (p. 374).

Tra queste due «ondate», Hilberg trova il modo di inserire, non si sa come, uno «stadio intermedio»: ma «intermedio» a che cosa, se la fine della prima si sovrappose cronologicamente all’inizio della seconda? Questo stadio era la ghettizzazione, riguardo alla quale, in ulteriore contraddizione con sé stesso, Hilberg scrive:
«Quando nel luglio-agosto 1941, l’amministrazione civile assunse la responsabilità di una parte del territorio occupato, le unità mobili avevano già dato un grosso contributo al processo di ghettizzazione» (p. 354).

Ciò è vero, ma contraddice, appunto, la tesi di un ordine generale di sterminio di tutti gli Ebrei russi. Ad esempio, le «Direttive provvisorie per il trattamento degli Ebrei nel territorio del Reichskommissariat Ostland» stilate da Lohse a Riga il 13 agosto 1941 prescrivevano la ghettizzazione e il lavoro forzato degli Ebrei abili al lavoro, non la loro fucilazione (113).
A questo riguardo A. Streim ha rilevato:
«Del resto, l’assunzione della comunicazione dell’ “ordine del Führer” nel periodo fine luglio-fine agosto 1941 non è in armonia col fatto che gli Einsatzgruppen, proprio in quel periodo, annunciarono l’istituzione di ghetti e la registrazione degli Ebrei “secondo gli ordini”, perché ghettizzazione e registrazione non depongono a favore dello sterminio, ma della conservazione».

Questa contraddizione, osserva A. Streim, potrebbe spiegarsi con una preparazione allo sterminio (114), ed appunto così la spiega Hilberg, affermando che gli «almeno due milioni» di Ebrei che gli Einsatzgruppen «si erano lasciati alle spalle, rappresentavano un immenso lavoro ancora da compiere» (p. 352). Ma questa spiegazione non elude la contraddizione, perché – come ha rilevato J. Graf (115) – il presunto sterminio in massa e la ghettizzazione furono fasi contemporanee, sicché se gli Einsatzgruppen avevano l’ordine di ghettizzare gli Ebrei, non potevano avere nel contempo l’ordine di fucilarli in massa, e viceversa. D’altra parte, se, come credeva Hilberg, gli Einsatzgruppen avevano ricevuto l’ordine di sterminare in massa gli Ebrei della Russia, la ghettizzazione, con tutti i problemi che comportava, non poteva rappresentare che una deroga - sia pure temporanea - a quest’ordine, che avrebbe pertanto richiesto un altro ordine, di cui non c’è traccia. Hilberg, invece, non si pone neppure il problema. Egli scrive semplicemente che «così il ghetto, del tipo polacco, fece la sua comparsa nei territori sovietici occupati»(p. 354).

NOTE


(113) PS-1138. IMG, vol. XXVII, pp. 18-25.

(114) A. Streim, «Zur Eröffnung des allgemeinen Judenvernichtungsbefehls gegenüber den Einsatzgruppen», in: E. Jäckel, J. Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg, op. cit., p. 114.

(115) J. Graf, Riese auf tönernen Füßen. Raul Hilberg und sein Standardwerk über den "Holocaust", op. cit., pp. 55-57.






1.3.
La genesi dei “Gaswagen”


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Alle pp. 342-343 Hilberg si dilunga sul ben noto aneddotto della visita di Himmler a Minsk «verso il 15 agosto 1941», nel corso della quale avrebbe assistito ad una fucilazione di Ebrei. Turbato dallo spettacolo, Himmler ordinò a Nebe «di “spremersi il cervello” per trovare altri metodi di esecuzione più umani delle armi da fuoco».
Hilberg rimanda alle seguenti fonti: «Il racconto dell’ispezione di Himmler redatto da von dem Bach è stato pubblicato in “Aufbau”, New York, 23 agosto 1946, pp. 1-2. Si vedano anche le dichiarazioni di altri testimoni dell’affare Wolff, 10a Js 39/60, in particolare Z Prot II/vol II. Si può stabilire la data approssimativa a partire dal vol. I del Diario di von dem Bach, in Zentralestelle der Landesjustizverwaltungen, Ludwigsburg. Questo vol. I, versione ridotta del testo originale, era stato donato da von dem Bach agli archivi federali della RFA nel 1953. Archivi (firmati Kinder) a Zentrale Stelle, accompagnati dal testo, 18 novembre 1966» (nota 210 a p. 403).
L’SS-Obergruppenführer Erich von dem Bach-Zelewski era stato Höherer SS- und Polizeiführer presso il Gruppo di Armate del centro in Russia fino alla fine del 1942, quando divenne capo della lotta antipartigiana. Reitlinger scrive che
«i servizi resi come testimone a Norimberga e a Varsavia salvarono von dem Bach-Zelewski dall’estradizione in Russia» (116),

con la prospettiva di una condanna a morte sicura. Tra questi «servizi» c’era evidentemente anche l’aneddo sulla visita di Himmler. Dal «Diario di von dem Bach», infatti, Hilberg può trarre soltanto la «data approssimativa» della visita di Himmler, non il relativo aneddoto. Quanto agli «altri testimoni dell’affare Wolff», essi, nel 1960, conoscevano ormai perfettamente l’aneddoto, che, tra l’altro, era già stato raccontato da Reitlinger, con riferimento alla medesima fonte addotta da Hilberg! (117)

Hilberg spiega poi:
«All’inizio, la soluzione del problema posto da Himmler fu il ricorso al camion a gas. Un veicolo apposito era già servito nel 1940 a “gassare” dei matti nella Prussia orientale e nella Pomerania, nel campo di Soldau, situato nell’ex “corridoio polacco”» (p. 343).

Qui egli rimanda come fonte non già a documenti, bensì ad opere olocaustiche: «Wilhelm, Die Truppe, cit., pp. 543-51. Requisitoria contro Wilhelm Koppe del procuratore di Bonn, 8 Js 52/60, 1964, pp. 174-89. Si veda anche Adalbert Rückerl, NS-Vernichtungslager, München 1977, pp. 258-59» (nota 211 a p. 403).
Tuttavia la prima opera citata rinvia a sua volta al racconto di Bach-Zelewski e ad altre opere olocaustiche (118) e presenta un lungo estratto dell’interrogatorio dello Höherer SS- und Polizeifüher Jeckeln dell’11 dicembre 1945 (119). Rückerl invece si limita a riferire:
«Nell’istruttoria relativa agli eventi nel campo di transito di Soldau fu reso noto da testimoni che il Sonderkommando Lange utilizzava già allora Gaswagen per l’uccisione» (120).

Hilberg dunque non adduce alcuna prova documentaria dell’impiego del presunto «camion a gas».

Egli continua così:

«Questo prototipo, realizzato secondo le direttive del servizio tecnico RSHA (II-D), e precisamente dal suo capo l’Obersturmbannführer Rauch, utilizzava bottiglie [sic] di ossido di carbonio. Nei fatti era una camera a gas viaggiante, camuffata sotto la scritta commerciale “Kaisers-Kaffee”. Ma nei territori sovietici occupati, le bottiglie si rivelarono troppo ingombranti e costose» (pp. 343-344).

Di nuovo, Hilberg rimanda ad opere olocaustiche, per l’esattezza tre, una delle quali è Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas, pp. 80-86. Ma qui, all’inizio del capitolo intitolato «Uccisioni in Gaswagen dietro il fronte», si asserisce, senza alcuna prova documentaria:

«Il procedimento impiegato nell’estate del 1941 nell’azione “eutanasia” non si adattava però ai territori occupati dell’Unione Sovietica, poiché il gas in bombole metalliche era difficilmente trasportabile a grandi distanze» (121).

Seguono alcune pagine sulla «preparazione dei camion a gas», come dice Hilberg (nota 212 a p. 403), in cui le fonti sono costituite da semplici testimonianze del dopoguerra: di Widmann, di Rauff, di Pradel, di Leidig (122).

Hilberg afferma che

«l’invenzione dell’ RSHA servì dapprima in Polonia e in Serbia, e a operazioni talmente lontane che sfuggirono al controllo; poi, a partire dal dicembre 1941, vennero inviati due o tre camion a ogni Einsatzgruppe» (p. 344).

Tuttavia, secondo i rapporti degli Einsatzgruppen, che Hilberg cita a profusione, le vittime furono tutte fucilate: egli non ne adduce nessuno che menzioni uccisioni in “Gaswagen”.
Eppure, secondo l’aneddoto summenzionato, per ordine di Himmler, dopo l’agosto 1941, le esecuzioni avrebbero dovuto svolgersi con «altri metodi di esecuzione più umani delle armi da fuoco», cioè, appunto, con i “Gaswagen”.

NOTE


(116) G. Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., nota 42 a p. 256.

(117) Idem, p. 250.

(118) Helmut Krausnik e Hans Heinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges. Die Einsaztgruppen der Sicherheitspolizei und des SD 1938-1942. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1981, nota 26 a p. 543 e seguenti.

(119) Idem, pp. 548-552.

(120) A.Rückerl, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse. Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1979, p. 259.

(121) Eugon Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl e altri (a cura di), Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftas. Eine Dokumentation. S. Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1983, p. 81.

(122) Idem, pp. 81-84.







1.4.
I ghetti


Indice


Per le «unità di massacro», afferma Hilberg, «il concentramento degli Ebrei» costituiva semplicemente la «preparazione di una seconda ondata di uccisioni»(p. 364) e aggiunge:

«Poi, durante l’estate 1942, la seconda ondata di massacri si scatenò in tutta la sua potenza» (p. 383).

Egli descrive le modalità di sterminio di questa «seconda ondata» in poco più di due pagine (pp. 383-385) in cui, curiosamente, le note - tranne un documento esibito dai Sovietici a Norimberga, l’URSS-119(a) - rimandano agli affidavit:
- di Alfred Metzner, 15 ottobre 1947 (nota 402 a p. 413)
- di Hermann Friedrich Graebe, 10 novembre 1945 (nota 403 a p. 413)
- di Alfred Metzner, 18 settembre 1947 (nota 404 a p. 413)
- di Hermann Friedrich Graebe, 10 novembre 1945 (nota 406 a p. 413)
- di Alfred Metzner, 18 settembre 1947 (nota 408 a p. 413)
- di Hermann Friedrich Graebe, 10 novembre 1945 (nota 409 a p. 413)
- di Alfred Metzner, 18 settembre 1947 (nota 410 a p. 413)
- di Hermann Friedrich Graebe, 10 novembre 1945 (nota 411 a p. 413)
- di Alfred Metzner, 18 settembre 1947 (note 412, 413 e 414 a p. 413).
Hilberg riprende la testimonianza di Graebe anche successivamente, alle pagine 1123-1124.
Nel 1965 su Der Spiegel apparve un articolo sul testimone Graebe, che prima di trasferirsi negli Stati Uniti e di ottenerne la cittadinanza (1954) si chiamava Gräbe. Il suo affidavit del 10 novembre 1945 era stato ammesso dal Tribunale di Norimberga come documento PS-2992 (123). Il 23 marzo 1965 egli fu dichiarato Righteous Among the Nations presso lo Jad Washem a Gerusalemme.

«Tuttavia - rilevava Der Spiegel - questo rinomato testimone del passato tedesco evita il presente tedesco. Egli, che seppe dire tanto sui crimini violenti nazionalsocialisti, oggi non vuole più comparire dinanzi ai tribunali tedeschi senza la garanzia del salvacondotto. Ed egli ha motivo di evitare la Repubblica Federale: Il pubblico ministero Stade indaga su di lui per il sospetto di false dichiarazioni. Infatti, nel bilancio finale del passato nazionalsocialista, sono emersi gravi dubbi sull’attendibilità del testimone a carico Graebe. La Corte d’Assise di Norimberga-Fürth lo accusò nel 1963 di “false dichiarazioni” e lo ritenne sospetto di spergiuro e la Corte d’Appello regionale di Celle riconobbe parimenti lo stesso anno che Graebe era “almeno sospetto di falso giuramento colposo”» (124).

Gräbe non ritornò in Germania per chiarire la sua posizione davanti ai tribunali tedeschi.

Per essere una «preparazione di una seconda ondata di uccisioni», i ghetti russi ebbero una durata alquanto lunga. Ad esempio, riguardo a quello di Vilnius, Hilberg scrive:

«Il ghetto di Vilnius scomparve nei mesi di agosto e settembre 1943. I tedeschi inviarono la maggior parte degli abitanti in Estonia o in Lituania, dove in molti vennero ammazzati, o morirono per lo sfinimento; i sopravvissuti si ritrovarono nel campo di concentramento di Stutthof. Dei restanti, molti furono ammassati e fucilati sul posto; migliaia d’altri spediti nel campo di sterminio di Sobibór» (p. 388).

L’ultima affermazione è stupefacente: i Tedeschi, che avrebbero fucilato in Lituania 136.421 Ebrei (p. 392), invece di fucilare sul posto anche le «altre migliaia» di Ebrei del ghetto di Vilnius, li avrebbero mandati a morire a Sobibór dopo un viaggio di oltre 400 chilometri! Hilberg non adduce alcuna fonte, ma Y.Arad scrive al riguardo:
«La liquidazione del ghetto di Vilna [Vilnius] ebbe luogo il 23-24 settembre 1943. [...]. Durante la liquidazione finale, tutti gli Ebrei furono portati fuori dal ghetto in via Rossa; lì gli uomini furono separati dalle donne e dai bambini. Gli uomini e le donne che erano abili al lavoro furono selezionati e inviati in campi di concentramento, gli uomini in Estonia, le donne in Lettonia. Da 4.300 a 5.000 donne anziane e bambini furono mandate a Sobibór gli ultimi giorni del settembre 1943» (125).

Egli però non rimanda ad un documento, bensì ad un’altra sua opera del 1982 (126).
Secondo il censimento effettuato alla fine di maggio del 1942, nel ghetto di Vilnius c’erano 14.545 Ebrei, i cui nomi (insieme alla data di nascita, alla professione e all’indirizzo) sono stati pubblicati dal Museo Ebraico di Vilnius. Da quest’opera risulta che, dei 14.545 Ebrei censiti, ben 3.693 (il 25,4 % del totale) erano bambini da 15 anni in giù (127). Il numero dei bambini in funzione dell’età risulta dalla seguente tabella:

Anno di nascita EtàNumero dei bambini
192715 anni567
192814346
1929 13265
193012291
1931 11279
193210216
1933 9226
19348195
19357227
19366229
19375182
19384 188
19393181
19402 117
19411172
1942pochi mesi12
Totale3.693


Tra gli Ebrei censiti c’erano inoltre 59 Ebrei da 65 anni in su. Il più vecchio era Chana Stamleriene, che era nata nel 1852 e aveva 90 anni (128).
I bambini vivevano nel ghetto con le loro famiglie. Ad esempio, la famiglia Michalowski, che abitava in Dysnos g.5-10, era composta da Nachman, nato nel 1905, Fruma, nata nel 1907, Pesia, nata nel 1928, Niusia, nata nel 1932, Sonia, nata nel 1935, Mane, nato nel 1904, Sonia, nata nel 1903, Motel, nato nel 1930 e Chana, nata nel 1933 (129). La famiglia Kacew, che abitava in Ligonines g. 11-8, era costituita da Chaim, nato nel 1909, Chava, nata nel 1921 e Sloma, nato nel 1941 (130). La famiglia Schimelevitsch, che abitava in Rudninku g. 7-2, comprendeva Abram, nato nel 1896, Chawa, nata nel 1909, Sora, nata nel 1938 e Riva, nata nel 1941 (131). La famiglia Cukerman, che abitava in Strasuno g. 12, aveva i seguenti membri: Josel, nato nel 1916, Sima, nata nel 1912, Kusia, nata nel 1932, Malka, nata nel 1934, Abram, nato nel 1904, Syfra, nata nel 1909 e Bluma, nata nel 1930 (132).
Poiché i 3.693 bambini vivevano nelle loro famiglie, è chiaro che il numero degli inabili al lavoro e dei non impiegabili (le madri che dovevano accudire i figli) era ancora più alto.
Quanto poco su questi bambini incombesse la minaccia dello sterminio, risulta dal seguente quadro relativo al ghetto di Vilnius di Abraham Foxman:
«Pochi giorni dopo la creazione del ghetto nel settembre 1941, un gruppo di insegnanti formò un “farein” (133) che poi organizzò il sistema educativo del ghetto. Nella registrazione iniziale per la scuola furono iscritti 3.000 bambini. All’inizio la frequenza scolastica era volontaria; nell’aprile 1943 divenne obbligatoria:
“La direttiva n. 3 emanata dai rappresentanti del ghetto il 28 aprile 1943 rende obbligatoria la frequenza alle scuole del ghetto. Tutti i bambini da cinque a tredici anni di età devono frequentare le scuole del ghetto che hanno un insegnamento libero… Il capoblocco sarà responsabile che tutti i bambini in età scolare frequentino la scuola”.
Durante il primo anno del ghetto furono istituite più di venti unità educative che racchiudevano più dell’80% dei bambini in età scolare del ghetto. Delle scuole furono aperte anche negli stabilimenti di Keilis e H.K.P. Nel 1942 le scuole proposero un programma estivo. Gens (134) ricevette dai Tedeschi il permesso di recintare un’area della foresta fuori del ghetto. Gli insegnanti vi andavano quattro volte alla settimana con gruppi di 100-150 bambini. A causa di un’epidemia di scarlattina, nel 1942 le scuole aprirono tardi. In ottobre, quando riaprirono, le frequentarono 1.500-1.800 bambini. C’erano una sessantina di insegnanti che lavoravano 42 ore alla settimana; le 18 ore restanti erano dedicate al lavoro in cucina, a visitare gli studenti e i familiari nelle loro case, a riparare libri e quaderni e a tenere varie riunioni» (135).


Con riferimento allo scioglimento dei campi baltici, Hilberg afferma:

«A partire dall’agosto 1944 e fino al febbraio 1945, molte migliaia di Ebrei furono trasferiti nei campi di concentramento all’interno del Reich, e altre migliaia fucilati sul posto, alla vigilia dell’arrivo delle truppe sovietiche»(p. 391).

La fonte è il libro di Josef Tenenbaum Underground, the Story of a People, pubblicato a New York nel 1952 (nota 447 a p. 416). Circa la fucilazione sul posto di «altre migliaia» di Ebrei, egli non adduce dunque alcun documento. Quanto ai trasferiti, si sa con certezza che, dal 12 luglio al 14 ottobre 1944, giunsero a Stutthof 16 trasporti ebraici con 25.043 persone, provenienti dai campi di concentramento baltici, e precisamente 10.458 da Kowno (Kaunas) e 14.585 da Riga, come appare nella tabella che segue (136):




Totale
dataprovenienzanumero dei deportati
12.07.1944Sipo Kowno282
13.07.1944Sipo Kowno3.098
13.07.1944 Sipo Kowno233
16.07.1944Sipo Kowno1.172
17.07.1944Sipo Kowno1.208
19.07.1944Sipo Kowno 1.097
19.07.1944Sipo Kowno1.072
25.07.1944Sipo Kowno182
25.07.1944 Sipo Kowno1.321
4.08.1944Sipo Kowno 793
9.08.1944Sipo Riga6.382
9.08.1944Sipo Riga450
23.08.1944 Sipo Riga2.079
23.08.1944Sipo Riga2.329
1.10.1944Sipo Riga3.155
14.10.1944Sipo Riga190
25.043


In questi trasporti, di cui si conservano liste nominative frammentarie, c’erano parecchi Ebrei lituani (ma non solo lituani) fino all’età di 15 anni che vengono indicati nelle liste suddette con la denominazione di “Knabe” (ragazzo) e di “Mädchen” (ragazza). Nel trasporto da Kaunas del 13 luglio 1944, che comprendeva 3.098 deportati, di 510 dei quali si conoscono i nomi, c’erano 80 bambini appartenenti a questa categoria. Nella lista del trasporto del 19 luglio, anch’esso proveniente da Kaunas, su 1.097 deportati – di 1.095 dei quali si conoscono i nomi – i bambini erano 88. Nella tabella che segue indico il numero dei bambini in funzione dell’età:


Età anniTrasporto del 13.7.1944Trasporto del 19.7.1944
153/
147 4
13428
12813
1126
1049
9 102
846
75 7
698
57/
483
382
2 1/
Totale8088


Il 26 luglio 1944 da Stutthof furono trasferiti ad Auschwitz 1.893 detenuti, in massima parte lituani, tra cui 546 “Mädchen”, 546 “Knaben” e 801 “Frauen” (donne) (137), che erano le madri dei bambini. Buona parte della lista nominativa di questo trasporto si è conservata. Sui 1.488 detenuti di cui si conoscono i dati anagrafici c’erano 850 bambini ripartiti secondo le seguenti fasce di età (138):



Anno di nascitaEtàNumero dei bambini
192915 anni31
1930 14 anni117
193113 anni146
193212 anni94
193311 anni 36
193410 anni61
1935 9 anni26
19368 anni58
19377 anni44
19386 anni 61
19395 anni54
1940 4 anni60
19413 anni52
19422 anni8
19431 anno 2
Totale850


In tale lista erano compresi 24 degli 80 bambini presenti nel trasporto del 13 luglio e 84 degli 88 bambini del trasporto del 19 luglio elencati sopra.
Nel trasporto inviato il 10 settembre da Stutthof ad Auschwitz, la cui lista nominativa è stata in parte ricostruita in base al relativo “Einlieferungsbuch” (registro delle immatricolazioni) (139), erano presenti almeno 345 bambini e ragazzi in massima parte lituani tra i 12 e i 17 anni così ripartiti:

Anno di nascitaEtàNumero dei bambini
192717 anni(140)56
1928 16 anni136
192915 anni119
193014 anni26
193113 anni 6
193212 anni2
Totale345


Poiché le liste dei trasporti sono frammentarie, il numero di “Knaben” e “Mädchen” trasferiti nel 1944 da Kowno e Riga è senza dubbio maggiore dei circa 1.250 documentabili.

NOTE


(123) IMG, vol. XXXI, pp. 441-450.

(124) «Bewegtes Leben», in: der Spiegel, n. 53, 29 dicembre 1965, p. 26.

(125) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., p. 137.

(126) Idem, nota 13 del cap. 18 a p. 413.

(127) Spiegherò sotto perché ho assunto questo limite di età .

(128) Žydų muziejus, Vilniaus getas: kalinių sąrašai, 1 tomas (Vilnius Ghetto: List of Prisoners, Volume 1), Vilnius 1996, p. 212, Nr. 163. (Testi in lituamo, russo e inglese).

(129) Idem, p. 85.

(130) Idem, p. 150.

(131) Idem, p. 213.

(132) Idem, p. 329.

(133) «Unione», «associazione» (tedesco: Verein): termine jiddisch.

(134) Jacob Gens, capo del Consiglio ebraico di Wilna.

(135) Abraham Foxman, «Vilna – Story of a Ghetto», in: Antology of Holocaust Literature. Edited by Jacob Glatstein, Israel Knox and Samuel Margoshes. Atheneum, New York 1968, pp. 90-91.

(136) AMS, I-IIB-8, p. 1.

(137) Telescritto del comandante del campo di Stutthof SS-Sturmannführer Hoppe al comandante del campo di Auschwitz del 26.7.1944. AMS, I-IIC-4, S. 94. “Übernahmeverhandlung” del trasporto in data 26 e 27 luglio 1944. AMS, I-IIC-3, S. 43.

(138) AMS, I-IIC-3, lista nominativa del trasporto del 26.7.1944.

(139) AMS, Transportliste, microfilm 262.

(140) I ragazzi di 17 anni, quando l’Einsatzgruppe A entrò in Lituania, avevano 14 anni.







1.5.
Bilancio delle vittime


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Il bilancio delle vittime degli Einsatzgruppen, come viene prospettato da Hilberg, suscita quantomeno delle perplessità. Egli scrive:
«Nel momento in cui gli Einsatzgruppen attraversarono la frontiera, in Unione Sovietica vivevano cinque milioni di Ebrei, di cui una parte nelle regioni occidentali, e quattro milioni circa nei territori che stavano per subire l’invasione» (pp. 306-307).

Questi Ebrei erano così ripartiti: 1.910.000 nei «territori annessi recentemente» e 2.160.000 nei «vecchi territori, precedenti al 1939» (p. 307), in totale 4.070.000.
Per quanto riguarda i massacri, Hilberg afferma anzitutto, in riferimento alla «prima ondata», che «in totale, queste differenti unità di massacro uccisero in cinque mesi 500000 Ebrei» (p. 315). Poi precisa:

«Dei quattro milioni di Ebrei che avevano abitato le regioni conquistate, circa un milione e mezzo si erano dati alla fuga; cinquecentomila erano stati uccisi; ne conseguiva che ne restavano ancora almeno due milioni» (p. 352),

i quali furono destinati allo sterminio nella «seconda ondata». Però, nella statistica finale che appare nelle pagine 392-393, egli asserisce:

«Questi dati parziali danno già un totale di oltre 900000 morti. Questa cifra, tuttavia, rappresenta solo i due terzi degli Ebrei vittime delle operazioni mobili di massacro. Gli altri morirono in occasione di esecuzioni supplementari che furono opera degli stessi Einsatzgruppen, delle stesse unità speciali dipendenti dai capi supremi delle SS e della Polizia, dei Bandenkampfverbände e dell’esercito tedesco; cioè, nel corso delle azioni condotte dai Rumeni a Odessa e a Dalnik, poi nei campi della regione del Golta; o ancora, a causa delle privazioni subite nei ghetti, nei centri di internamento d’ogni specie, nelle campagne e nelle foreste».

A p. 1318, sotto la rubrica «esecuzioni all’aperto» Hilberg fornisce la cifra di 1.300.000, che include di tutto:

«Einsatzgruppen, alti capi delle SS e della Polizia, eserciti rumeno e tedesco nelle operazioni mobili; fucilazioni in Galizia durante le deportazioni; esecuzioni dei prigionieri di guerra e fucilazioni in Serbia e altrove».

Ma se alla fine della «prima ondata» erano stati uccisi 500.000 Ebrei e ne restavano 2.000.000 e alla fine delle operazioni erano stati sterminati complessivamente 1.300.000 Ebrei, le vittime della «seconda ondata» furono (1.300.000 - 500.000 =) 800.000, ma allora che fine fecero i restanti (2.000.000 - 800.000 =) 1.200.000 Ebrei?






1.6.
Compiti e struttura degli Einsatzgruppen


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Perplessità ancora maggiori suscitano le affermazioni di Hilberg sui compiti degli Einsatzgruppen.
Secondo le direttive emanate dal generale Walther von Brauchitsch il 28 aprile 1941, gli Einsatzgruppen dovevano da un lato sequestrare, prima delle operazioni, materiali, archivi, cartoteche di organizzazioni, formazioni o gruppi ostili alla Germania e arrestare singole persone particolarmente importanti (emigrati, sabotatori, terroristi di primo piano), dall’altro individuare e combattere le attività antitedesche e informare i comandanti dell’esercito sulla situazione politica nelle retrovie (141). Nel suo ordine agli Alti Capi delle SS e della Polizia del 2 luglio 1941, Heydrich precisò che gli Einsatzgruppen dovevano giustiziare i funzionari del Komintern, i funzionari di alto e medio livello dell’apparato del partito comunista sovietico, i commissari del popolo, gli Ebrei che avessero delle cariche nel partito comunista o nello Stato sovietico, gli altri elementi radicali (142).
Le attività antiebraiche degli Einsatzgruppen erano del resto soltanto uno dei numerosi compiti che dovevano svolgere. Ad esempio, il rapporto del capo dell’Einsatzgruppe A del 15 ottobre 1941, che conta almeno 143 pagine, più vari allegati, riferisce, tra l’altro, su: istituzione di polizia ausiliaria e personale di protezione, ristrutturazione del sistema carcerario, epurazione e messa in sicurezza dell’area operativa, lotta contro il comunismo, messa in sicurezza dei materiali, ricerca e arresto di comunisti e lotta contro il lavoro illegale comunista, lotta contro l’ebraismo, lotta antipartigiana, altri lavori di polizia di sicurezza, controspionaggio, identificazione e schedatura di persone, lavoro di polizia criminale (143).
All’epoca, l’Einsatzgruppe A, il più importante numericamente, aveva una forza di 990 persone, di cui Hilberg indica la ripartizione in base alle funzioni (p. 305), ma in data 1° febbraio 1942 essa era scesa a 909 (144). Nella tabella che seguo riporto la relativa ripartizione del personale:



Einsatzgruppe A15 ottobre 19411° febbraio 1942
Waffen-SS [attivi]340 151
Waffen-SS [riservisti]/126
Motociclisti172/
Autisti [Kraftfahrer]/185
Amministrativi 1826
Servizio di Sicurezza (SD)35 37
Polizia criminale (Kripo)4155
Polizia di Stato (Stapo)8985
Polizia ausiliaria87/
Polizia d’ordine 133134
Personale femminile1322
Interpreti51 /
Operatori telegrafici39
Operatori radio823
Incaricati speciali /3
Impegnati in servizi indispensabili
53
Totale990909


All’inizio il personale operativo era il 73% del totale, poi questa percentuale si abbassò ulteriormente. Tra l’altro, il «personale femminile»(!) salì da 13 a 22 donne. Una tale struttura, sia per la varietà delle funzioni, sia per l’esiguo numero degli effettivi operativi, non si concilia troppo con gli immani massacri che sarebbero stati perpetrati da questo Einsatzgruppe: 249.421 Ebrei fucilati nel solo inverno 1941-1942 (p. 392).
Circa l’attendibilità dei dati numerici che appaiono nei rapporti degli Einsatzgruppen, rimando a quanto ho rilevato altrove (145). Qui adduco una sola smentita, esemplare:
Il Generalfeldmarschall Erich von Manstein fu comandante della 11a Armata e combatté nella regione del Mar Nero e in Crimea. Nel 1949 egli fu processato dal tribunale militare britannico di Amburgo per complicità nei massacri eseguiti dall’Einsatzgruppe D. Von Manstein fu difeso da Reginald T. Paget, che nel 1951 pubblicò sul processo un libro nel quale riferì quanto segue riguardo alle attività dell’Einsatzgruppe D (146) in Crimea:
«Le cifre addotte dal Servizio di Sicurezza mi sembrarono assolutamente impossibili. Singole compagnie di circa 100 uomini con circa 8 automezzi pretendevano di aver assassinato in due o tre giorni 10.000 o 12.000 Ebrei. Poiché, come si ricorderà, gli Ebrei credevano di essere trasferiti e conseguentemente portavano con sé i loro averi, sarebbe stato impossibile per il Servizio di Sicurezza caricare su un autocarro più di venti o trenta Ebrei alla volta. Per ogni automezzo, per il caricamento, il tragitto di 10 chilometri, lo scarico e il ritorno ci volevano all’incirca due ore. D’invero i giorni sono brevi e di notte non si viaggiava. Per uccidere 10.000 Ebrei sarebbero state necessarie perlomeno delle settimane.
In un caso potemmo verificare le cifre. Il Servizio di Sicurezza affermava di aver ucciso a Simferopol in novembre [1941] 10.000 Ebrei e in dicembre dichiarò la città libera da Ebrei. Grazie a una serie di controprove riuscimmo a dimostrare che a Simferopol c’era stata una sola fucilazione di Ebrei un unico giorno, il 16 novembre. A Simferopol c’era una sola compagnia del Servizio di Sicurezza. Il luogo dell’esecuzione si trovava a 15 chilometri dalla città. Il numero delle vittime non può essere stato superiore a 300, e questi 300, secondo ogni probabilità, non erano solo Ebrei, ma una congerie di elementi vari sospettati di appartenere al movimento di resistenza. Al tempo del processo l’affare Simferopol ebbe grande risonanza, perché fu menzionato dall’unico testimone vivente dell’accusa, un caporale austriaco di nome Gaffal. Egli affermò di aver sentito parlare dell’azione ad una mensa di genieri, dove era portaordini, e di essere passato davanti al luogo dell’esecuzione a Simferopol. Dopo questa dichiarazione ricevemmo una grande quantità di lettere e potemmo addurre parecchi testimoni che si trovavano presso famiglie ebraiche nel quartiere i quali riferirono di funzioni religiose nella sinagoga nonché di un mercato ebraico dove si compravano icone e roba vecchia fino alla partenza di von Manstein dalla Crimea e dopo. Non c’era dubbio che la comunità ebraica a Simferopol aveva continuato ad esistere alla luce del sole e sebbene alcuni dei nostri testimoni avessero udito voci di soprusi del Servizio di Sicurezza contro gli Ebrei, risultò che la comunità ebraica non era consapevole di un particolare pericolo» (147).


L’attività di massacro ebraico da parte degli Einsatzgruppen, contrariamente a quanto asserito da Hilberg, non era diretta contro tutti gli Ebrei orientali in modo indiscriminato, né contro gli Ebrei in quanto Ebrei.
La “Braune Mappe”, nel paragrafo «Stato della popolazione», distingueva due categorie di Ebrei orientali:
«L’ebraismo nei singoli commissariati del Reich, e all’interno di questi nei commissariati generali, rappresenta una parte molto numerosa della popolazione totale, ma con grosse differenze. Ad esempio, in Rutenia Bianca e in Ucraina vivono milioni di Ebrei che vi risiedono da generazioni. Nei territori centrali dell’Unione Sovietica, invece, gli Ebrei sono immigrati in massima parte nell’epoca bolscevica. Un gruppo speciale è costituito dagli Ebrei sovietici (Sowjetjuden) penetrati in Polonia orientale, in Ucraina occidentale, in Rutenia Bianca occidentale, nei Paesi baltici, in Bessarabia e in Bucovina nel 1939-1940 al segueguito dell’Armata Rossa. Nei confronti di questi vari gruppi è in atto un trattamento parzialmente diverso.
Anzitutto bisogna eliminare (auszuscheiden) con duri provvedimenti – per quanto non siano fuggiti - gli Ebrei immigrati negli ultimi due anni nei nuovi territori occupati dai Sovietici. Poiché questo gruppo, col suo terrore verso la popolazione, ha attirato su di sé un odio intensissimo, alla loro eliminazione ha provveduto im massima parte la popolazione stessa già all’apparire delle truppe tedesche. Tali misure di rappresaglia non devono essere impedite. La restante popolazione ebraica residente dev’essere anzitutto registrata coll’introduzione del dovere di iscrizione. Tutti gli Ebrei vengono contraddistinti con segni distintivi visibili (stelle ebraiche gialle)» (148).

In via di principio, i “Sowjetjuden” venivano fucilati o abbandonati alla furia della popolazione, mentre la «restante popolazione ebraica residente», nel complesso, veniva ghettizzata. Tuttavia moltissimi altri Ebrei orientali furono trattati in modo brutale e fucilati, per sabotaggio, per attività antitedesche, come portatori di malattie infettive e soprattutto per rappresaglia.
Ciò risulta esplicitamente fin dai primi rapporti degli Einsatzgruppen. Ecco qualche esempio.
«[Rutenia Bianca] A Gorodnia sono stati liquidati 165 terroristi ebrei e a Tschernigow 19 comunisti ebrei; altri 8 comunisti ebrei sono stati fucilati a Beresna.
Spesso si è sperimentato che le donne ebree manifestano un comportamento particolarmente ostile. Per questo motivo a Krugloje sono state fucilate 28 Ebree e 337 a Mogilew.
A Borissow sono stati giustiziati 331 sabotatori ebrei e 118 saccheggiatori ebrei. A Bobruisk sono stati fucilati 380 Ebrei che avevano svolto fin dall’inizio propaganda di odio e di atrocità contro le truppe di occupazione tedesche. A Tatarsk gli Ebrei hanno lasciato arbitrariamente il ghetto e sono ritornati nei vecchi quartieri, tentando di cacciare i Russi che nel frattempo vi erano stati trasferiti. Tutti gli Ebrei maschi e tre donne ebree sono stati fucilati. Nel corso dell’ istituzione di un ghetto a Sandrudubs gli Ebrei hanno opposto una parziale resistenza, perciò si dovettero fucilare 272 Ebrei ed Ebree. Tra di essi c’era un commissario politico. Anche a Mogilew gli Ebrei hanno tentato di sabotare il loro trasferimento nel ghetto. 113 Ebrei sono stati liquidati. Inoltre sono stati fucilati 4 Ebrei per renitenza al lavoro e 2 perché avevano maltrattato dei soldati tedeschi feriti e avevano loro messo addosso il segno distintivo prescritto. A Talka sono stati fucilati 222 Ebrei per propaganda antitedesca e 996 a Marina Gorka perché avevano sabotato le disposizioni emanate dalle autorità di occupazione tedesche. Altri 627 Ebrei sono stati fucilati a Schklow [sic] perché avevano partecipato ad atti di sabotaggio. A causa di un altissimo pericolo di epidemie, si è cominciata la liquidazione degli Ebrei alloggiati nel ghetto di Witebsk. Si tratta di circa 3.000 Ebrei» (149).

Per dar conto di queste motivazioni specifiche, che sono in evidente contrasto con un ordine generale di sterminio di tutti gli Ebrei in quanto Ebrei, Hilberg ricorre alle solite, inconcludenti spiegazioni freudiane: si sarebbe trattato di semplici «tentativi di razionalizzazione», autogiustificazioni, «legittimazioni psicologiche» (pp. 339-340).
Perfino la fucilazione ufficialmente più spaventosa, quella di Babi Jar, ebbe una sua motivazione specifica:

«L’esasperazione della popolazione ebraica verso gli Ebrei è straordinariamente grande, poiché li si ritiene colpevoli delle esplosioni a Kiew. Si vede anche in loro i delatori e gli agenti del NKWD, che hanno provocato il terrore contro il popolo ucraino. Come misura di rappresaglia per gli incendi dolosi a Kiew furono arrestati tutti gli Ebrei e il 29 e 30 settembre fucilati complessivamente 33.771 Ebrei» (150).

Questa, secondo Victoria Khiterer, fu «una giustificazione burocratica per le uccisioni» (151): ma se l’ Einsatzgruppe C aveva bisogno di una «giustificazione burocratica» per uccidere Ebrei, non aveva evidentemente ricevuto un ordine di sterminio di tutti gli Ebrei in quanto Ebrei.






1.7.
L’“Azione 1005”


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A p. 393 Hilberg accenna alla cosiddetta “Azione 1005”:
«Dal giugno 1942, [Himmler] aveva dato ordine allo Standartenführer-SS Paul Blobel, capo del Sonderkommando 4a, di “cancellare le tracce delle esecuzioni degli Einsatzgruppen all’Est”. Blobel, a tal proposito, formò un Kommando speciale, designato in codice “1005”, che aveva il compito di riaprire le fosse e di bruciare i cadaveri. Blobel ripercorse tutto il territorio, ricercò i luoghi delle esecuzioni e conferì, sul posto, con i responsabili della Polizia di sicurezza. Un giorno, invitò uno dei suoi interlocutori dell’RSHA, chiamato Hartl, a una escursione nei dintorni di Kiev, e gli mostrò, con lo stile di una guida ai monumenti storici, le fosse comuni dove lui e i suoi uomini avevano fucilato e sotterrato 34000 Ebrei».

La fonte del presunto incarico di Himmler è l’affidavit di Blobel del 18 giugno 1947, NO-3947 (nota 449 a p. 416, dove, per un errore, appare NO-5384); per la presunta escursione, invece, Hilberg rimanda all’affidavit di Albert Hartl, 9 ottobre 1947, NO-5384 (nota 450 a p. 416).
Ma la storia dell’ «Azione 1005» è completamente infondata, come ho documentato in uno studio specifico, al quale rimando (152). Sulla questione ritorno tuttavia nel capitolo III,8.5. e 8.7. per altri aspetti discussi da Hilberg.

Egli continua:
«Tuttavia, fin dall’inizio, Blobel incontrò delle difficoltà. Il BdS dell’Ucraina, Thomas, si mostrava completamente indifferente alla cosa. La benzina scarseggiava. Nelle fosse i membri dei Kommando ritrovarono oggetti di valore (153) e si dispensarono dal consegnarli ai loro superiori, come disposto dal regolamento; diversi di loro, del resto, dovevano comparire davanti al tribunale di Vienna per furto di beni appartenenti al Reich. Alla fine, quando i Sovietici riconquistarono i territori occupati, Blobel aveva compiuto solo una parte del suo compito. In tal modo, le SS e la Polizia si lasciarono alle spalle molte fosse comuni, ma assai pochi Ebrei vivi»(p. 392).

Qui si impongono due osservazioni.
La prima riguarda le fosse comuni. Come è noto, il 13 aprile 1943, nella foresta di Katyn i Tedeschi, su indicazione della popolazione locale, scoprirono sette fosse comuni che contenevano complessivamente 4.143 cadaveri. Da aprile a giugno i cadaveri furono esaminati da una commissione composta da medici di 12 paesi europei, da una commissione della Croce Rossa Polacca e da ufficiali americani, inglesi e canadesi prigionieri di guerra. I Tedeschi pubblicarono poi un dossier ufficiale molto documentato che contiene tutte le risultanze medico-legali dell’inchiesta, 80 fotografie e i nomi delle vittime identificate (154).
I massacri di Winniza furono scoperti dai Tedeschi all’inizio di giugno del 1943. In tre diversi luoghi furono trovati in 97 fosse comuni i cadaveri di 9.432 Ucraini assassinati dai Sovietici. Dal 24 giugno al 25 agosto ben 14 commissioni, di cui 6 straniere, visitarono le fosse comuni. Anche in questo caso i Tedeschi raccolsero le risultanze delle indagini in una pubblicazione documentatissima di 282 pagine, con 151 fotografie, rapporti medico-legali, nomi delle vittime (155).
Quando i Sovietici riconquistarono il territorio di Smolensk, esumarono di nuovo i cadaveri di Katyn e istituirono una commissione di indagine composta soltanto da cittadini sovietici (la commissione Burdenko), per scaricare la responsabilità del massacro sui Tedeschi. Il 15 gennaio 1944 essa invitò anche un gruppo di giornalisti occidentali.
Questo grande sforzo propagandistico di falsificazione storica è ancora testimoniato dai 38 fascicoli sul caso Katyn che si trovano tuttora all’Archivio di Stato della Federazione Russa (156). A Norimberga il massacro di Katyn, spudoratamente attribuito dai Sovietici ai Tedeschi, fu dibattuto a più riprese in varie udienze (157), mentre il massacro di Winniza fu menzionato una sola volta e in modo del tutto marginale dal medico legale bulgaro dott. Marko Antonow Markov, che aveva fatto parte della commissione medica internazionale che aveva lavorato a Katyn (158).
Per far dimenticare o mettere il secondo piano i massacri di Katyn e di Winniza, i Sovietici effettuarono una ricerca a tappeto dei crimini veri o presunti dei Tedeschi sul territorio sovietico istituendo commissioni di inchiesta in ogni località da essi liberata dall’occupazione tedesca. Avendo appreso da Katyn l’enorme potenza propagandistica delle immagini, ogni volta che le varie commissioni scoprirono delle fosse comuni o dei cadaveri li fotografarono. Tuttavia essi non poterono mai esibire nulla di sia pure lontanamente paragonabile alle fosse comuni di Katyn e di Winniza.
La seconda osservazione che si impone, è che i Tedeschi, dopo aver disseminato decine di migliaia di pagine di documenti sulle fucilazioni eseguite dagli Einsatzgruppen, improvvisamente si resero conto dell’importanza fondamentale della “segretezza” riguardo all’esumazione e alla cremazione dei cadaveri, ma nel contempo non si curarono minimamente di distruggere i documenti sulle fucilazioni delle vittime! E si tratta anche di una documentazione cospicua.
Le “Ereignismeldungen UdSSR” ammontano a «oltre 2.900 pagine dattiloscritte» (159), e ognuna fu distribuita in un minimo di 30 copie, il che ci porta già ad almeno 87.000 pagine. Questi documenti sono 195 rapporti numerati che vanno dal 23 giugno 1941 al 24 aprile 1942; in questa serie un solo rapporto è mancante (il n. 158) e uno solo è incompleto (il n. 58)(160).
Nell’intestazione essi recano l’indicazione del numero delle copie (Ausfertigungen) eseguite e il numero della copia corrente, ad esempio: «32 Ausfertigungen 21. Ausfertigung»,«32 copie, 21a copia».
Le “Meldungen aus den besetzten Ostgebieten” sono 55 rapporti settimanali numerati che vanno dal 1° maggio 1942 al 23 maggio 1943 (161).
Ci sono infine 11 “Tätigkeits- und Lageberichte der Einsatzgruppen der Sicherheitspolizei und des SD in der UdSRR” numerati che vanno dal 31 luglio 1941 al 31 marzo 1942 (162). Anche questi sono redatti in più copie. Ad esempio, il rapporto n. 3 (15-31 agosto 1941) fu redatto in 80 copie, quello esistente è il 42a (163).
PerfinoReitlinger non ha potuto fare a meno di rilevare:
«Non è facile capire perché mai gli assassini lasciassero dietro di sé così abbondanti tracce… » (164).

Hilberg invece, che disserta a lungo sul «segreto» in relazione ai «centri di sterminio», al riguardo non ha nulla da dire.

Fermo restando il legittimo dubbio sulle cifre, le motivazioni più ragionevoli dei massacri degli Einsatzgruppen sono quelle esposte dallo storico ebreo Arno Mayer, che ha scritto:
«Tuttavia, e nonostante le dimensioni senza precedenti delle sofferenze inflitte agli ebrei, lo sterminio dell’ebraismo orientale non divenne mai l’obiettivo principale dell’Operazione Barbarossa. La lotta per il Lebensraum e contro il bolscevismo non fu un pretesto né un espediente per il massacro, né una cortina di fumo per mascherare tali massacri come rappresaglie contro i partigiani. Fin dall’inizio l’attacco contro gli ebrei si intrecciò senza dubbio con l’attacco contro il bolscevismo, ma ciò non significa che sia stato l’elemento dominante dell’ibrido “giudebolscevismo” che l’operazione stessa mirava a distruggere. In effetti, la guerra contro gli ebrei si innestò o scaturì dalla campagna orientale che ne fu sempre l’asse portante, anche e soprattutto quando questa si impantanò profondamente in Russia.
Quando erano partiti per la loro missione, agli Einsatzgruppen e all’RSHA non era stato assegnato come compito principale, e tanto meno unico, quello di sterminare gli ebrei» (165).

Secondo Mayer, gli Ebrei orientali non subirono massacri nel quadro di un piano generale di sterminio in massa, bensì in conseguenza della feroce radicalizzazione della guerra all’Est e perché erano considerati dalle SS portatori del bolscevismo.
Ciò premesso, passiamo alle deportazioni ebraiche nei presunti «centri di sterminio».






2.
Lo scopo delle deportazioni


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Hilberg pretende che le deportazioni di Ebrei occidentali all’Est mirassero alla loro distruzione, addirittura prima ancora che entrassero in funzione i «centri di sterminio».
Già a p. 215 egli anticipa categoricamente questa asserzione come un fatto accertato:

«Il mese di ottobre del 1941 segnò l’inizio delle deportazioni di massa dal territorio del Reich; esse non si sarebbero concluse se non al termine del processo di distruzione. Questa volta, l’espulsione non aveva più come obiettivo finale l’emigrazione degli Ebrei, ma il loro sterminio».

Successivamente egli afferma che il ghetto di Łódź era destinato «ad accogliere decine di migliaia di Ebrei trasferiti a est per esservi poi sterminati in qualche modo» e aggiunge:

«Questo fine anno 1941 era un periodo di transizione: le deportazioni erano cominciate, ma i centri della morte non erano ancora pronti» (p. 361).

A sostegno di questa presunta intenzione omicida, quasi 600 pagine dopo, Hilberg afferma:
«Alla fine del mese [di ottobre 1941], l’esperto in materia di politica razziale (Sonderdezernent für Rassenpolitik) dell’ufficio di Bräutigam al Ministero dell’Est, l’Amtsgerichtsrat Wetzel, scrisse in una bozza di lettera che Brack era pronto a esportare all’Est le sue tecniche di utilizzo del gas. Brack aveva proposto di inviare il suo specialista in chimica, il dottor Kallmeyer, a Riga, e Eichmann ne aveva fatto rapporto a Riga e a Minsk, approvando questa idea.
“Stando così le cose, scriveva Wetzel, non si devono avere esistazioni sul fatto che bisogna finirla con questi Ebrei, che sono incapaci di lavorare, utilizzando i metodi brackiani (Nach Sachlage, bestehen keine Bedenken wenn diejenigen Juden, die nicht arbeitsfähig sind, mit den Brackschen Hilfsmitteln beseitigt werden)”.
Si esitò, tuttavia, a inviare un flusso continuo di trasporti verso le regioni glaciali dell’Unione Sovietica occupata. Il dottor Kallmeyer, al quale venne chiesto di aspettare a Berlino, a causa del freddo che attanagliava l’Est, trascorse il Natale a casa sua. Si era già deciso che l’operazione si sarebbe svolta sotto le direttive del Governatorato generale» (p. 951).

Nella nota 24 a p. 1051 Hilberg rimanda alla seguente fonte: «Progetto di memorandum di Wetzel all’attenzione di Lohse e di Rosenberg del 25 ottobre 1941. NO-365», ma subito dopo aggiunge: «A Gerusalemme, Eichmann dichiarò che non aveva discusso delle camere a gas con Wetzel»(corsivo di Hilberg).
Questo documento si presenta come una «bozza» (Entwurf) di una lettera che, per quel che è noto, non fu mai inviata, e che reca alla fine un’ unica notazione manoscritta, che gli analisti dello Staff Evidence Analisys dell’Office of US Chief Counsel interpretarono come «Wet 25/10». Al di sopra di essa dovrebbe apparire, scritto leggermente a matita, «N.d.H.M.» che significherebbe «Nachschrift dem Herrn Minister»,«copy fot the Minister» (166), ma «Nachschrift» non significa «copia», bensì «poscritto». Nel documento originale reperibile in rete questa scritta non si vede (167).
Il chimico Kallmeyer è menzionato da Hilberg soltanto in questa occasione. Nella nota 31 a p. 1051 egli scrive: «Kallmeyer a Stahmer, 18 giugno 1960, processo Bełżec, vol. V, pp. 974-75. Nella sua lettera, Kallmeyer afferma che non c’era bisogno di lui».
Su Wetzel, Hilberg dice che fu «fatto prigioniero dai Sovietici. Liberato nel 1955. Ministerialrat in Bassa Sassonia. È andato in pensione nel 1958. Le inchieste della Germania Ovest terminarono senza dar luogo a un processo»(p. 1194), il che non è poco, considerato il contenuto della bozza di lettera che gli veniva attribuita. Comunque, a quanto pare, nessuno gli chiese conferma della sua autenticità.
Questo scritto, che è diretto al Reichskommissar für den Ostland Lohse e verte sulla Lösung der Judenfrage, comincia così:
«Con riferimento alla mia lettera del 18 ottobre 1941, Le comunico che l’Oberdienstleiter Brack, della Cancelleria del Führer, si è già dichiarato pronto a collaborare alla produzione dei necessari alloggiamenti (Unterkünfte) nonché degli apparati di gasazione (Vergasungsapparate). Attualmente gli apparati (Apparate) in discussione non esistono in numero sufficiente, devono soltanto essere prodotti. Poiché secondo il parere di Brack la produzione degli apparati nel Reich presenta difficoltà molto maggiori di una sul posto, Brack considera più opportuno inviare immediatamente a Riga il suo personale, specialmente il suo chimico dott. Kallmeyer» (168).

Poiché, per Hilberg, «i metodi brackiani» consistevano nell’utilizzazione a scopo omicida di «monossido di carbonio puro in bottiglia» (p. 950), ci si può chiedere che cosa fossero questi «apparati di gasazione»: delle semplici bombole di monossido di carbonio? In tal caso la produzione sarebbe stata senza dubbio più facile nel Reich, contrariamente a quanto asserisce la lettera. Il passo che precede quello citato da Hilberg contrasta del resto col presunto piano omicida:
«Secondo comunicazione dello Sturmbannführer Eichmann, a Riga e a Minsk devono essere creati campi per Ebrei, nei quali eventualmente andranno anche Ebrei del territorio del Reich. Attualmente dal Vecchio Reich vengono evacuati Ebrei che devono andare a Litzmannstadt [Łódź], ma anche in altri campi, per poi andare all’impiego lavorativo all’Est, per quanto abili al lavoro».

Ma, col presunto piano omicida, contrasta anche ciò che Hilberg scrive a p. 361:
«A Riga, l’11 ottobre 1941, il commissario generale della Lettonia, dottor Drechsler, ricevette nei suoi appartamenti la visita inattesa del Brigadeführer-SS dottor Stahlecker, comandante dell’Einsatzgruppe A. Con grande sorpresa del suo ospite, questi gli annunciò che per un “desiderio” espresso dal Führer, si sarebbe creato, nei pressi di Riga, un “grande campo di concentramento” destinato agli Ebrei del Reich e del Protettorato. Drechsler poteva fornire i materiali?».

Riprenderò la questione successivamente.

La pretesa di Hilberg che gli Ebrei non furono più inviati «verso le regioni glaciali dell’Unione Sovietica occupata» per esservi presuntamente gasati con i fantomatici «apparati di gasazione» perché «si era già deciso che l’operazione si sarebbe svolta sotto le direttive del Governatorato generale» è azzardata e anacronistica, perché la conferenza di Wannsee fu programmata solo per il 9 dicembre 1941; inoltre l’ordine di Himmler che proibiva l’emigrazione ebraica risaliva al 23 ottobre, mentre già il giorno dopo Kurt Daluege promulgava il decreto sulle «Evacuazioni di Ebrei dal Vecchio Reich e dal Protettorato».

Riguardo all’inizio delle deportazioni, Hilberg asserisce:
«L’8 novembre [1941], Lange scrisse a Lohse che 50000 Ebrei erano in viaggio, metà diretti a Riga, e metà a Minsk, e che si costruiva un campo a Salaspils, non lontano da Riga. Poiché il commissario del Reich si trovava ancora a Berlino, il suo consigliere politico, il Regierungsrat Trampedach, chiese per lettera al Ministero dell’Est il blocco di tutti i trasferimenti. Il dottor Leibbrandt, capo della Divisione politica del Ministero, gli rispose che non c’era ragione di inquietarsi, poiché gli Ebrei, in ogni modo, sarebbero stati trasferiti “più lontano all’Est” - vale a dire ammazzati»(p. 361).

Questa interpretazione è infondata e semplicistica, come risulta dal contesto storico (169).
L’annuncio relativo al campo di concentramento ebraico nei pressi di Riga risaliva già al 1° ottobre 1941, quando Stahlecker scrisse una nota con oggetto, appunto, «Errichtung eines Konzentrationslager in Lettland» (costruzione di un campo di concentramento in Lettonia) che dice tra l’altro:
«Un’altra considerazione che gioca a favore della costruzione di un campo di concentramento nei pressi di Riga è il fatto che a Riga ci sono ancora circa 23.000 Ebrei. L’ammassamento degli Ebrei in un ghetto può essere solo una soluzione transitoria. Entro breve tempo sorgerà la necessità di liberare per altri scopi gli alloggi occupati dagli Ebrei. Inoltre bisogna mirare a portare al lavoro, possibilmente al 100%, gli Ebrei, sia uomini, sia donne, che finora sono impiegati solo in parte nel lavoro negli uffici della Wehrmacht ecc. Infine il ghetto non offre alcuna possibilità di impedire l’ulteriore accrescimento degli Ebrei. [...]. Già ora si può dire che lo spazio previsto offre molte possibilità, a tal punto, che tutti gli Ebrei rimasti a Riga e in generale in Lettonia vi possano essere radunati. Qui gli Ebrei devono essere alloggiati fin dall’inizio separataratamente dalle Ebree, per impedire un ulteriore accrescimento. I bambini al di sotto dei 14 anni devono restare con le madri» (170).

Il 20 ottobre 1941 il Generalkommissar in Riga inviò al Reichskommissar für den Ostland (Lohse) (il destinatario della bozza del 25 ottobre attribuita a Wetzel) una lettera che trattava di «Istituzione di ghetti, campi di lavoro ebraici e impiego lavorativo degli Ebrei. Dovere di registrazione e di consegna del patrimonio ebraico»(Einrichtung von Ghettos, jüdischen Arbeitslägern und Arbeitseinsatz der Juden. Anmelde- und Ablieferungspflicht des jüdischen Vermögens) (171).
Il 9 novembre 1941 Lohse inviò a Rosenberg un telegramma segreto, nel quale gli riferì quanto segue:
«La Polizia di Sicurezza annuncia l’attuazione del trasporto di 50.000 Ebrei in Ostland. Arrivo del primo trasporto a Minsk il 10 novembre, a Riga il 19 novembre. Prego urgentemente di impedire i trasporti, perché i campi ebraici devono essere spostati molto più a est [da Judenlager erheblich weiter nach Osten verlegt werden müssen]» (172).

Lo stesso giorno il dott. Leibbrandt inviò il seguente telegramma al Reichskommissar für das Ostland Lohse:
«Oggetto: trasporti ebraici in Ostland.
Scritto preciso in arrivo. Gli Ebrei vanno ancora più a est. I campi di Riga e Minsk sono solo misure provvosorie, perciò qui non ci sono obiezioni [Juden kommen weiter nach Osten. Lager in Riga und Minsk nur vorlaeufige Massanahme, daher hier keine Bedenken]» (173).

Le autorità locali non erano entusiaste dell’afflusso di questi Ebrei occidentali e spesso protestarono.
Il 20 novembre 1941 il Wehrmachtbefehlshaber Ostland (comandante delle Forze Armate dell’Ostland) scrisse a Lohse una lettera con oggetto «Beförderung von Juden aus Deutschland nach Weissruthenien» (Trasporto di Ebrei dalla Germania alla Rutenia Bianca) nella quale diceva:

«Secondo una comunicazione della 707a divisione, 25.000 Ebrei devono essere trasportati dalla Germania in Rutenia Bianca, di cui 3.000 sarebbero previsti per Minsk e 1.500 sono già arrivati da Amburgo. L’afflusso di Ebrei tedeschi, che per intelligenza sono di gran lunga superiori alla popolazione [ebraica] della Rutenia Bianca, significa un grosso pericolo per la pacificazione della Rutenia Bianca».

La popolazione ebraica di questa regione – proseguiva la lettera – era «capace di attività bolscevica e di qualunque comportamento antitedesco» e attiva nella resistenza, perciò gli Ebrei tedeschi nuovi arrivati sarebbero entrati in contatto con le organizzazioni comuniste. Per questa ragione il Wehrmachtbefehlshaber pregava di ordinare che nessun Ebreo venisse dalla Germania in Rutenia Bianca, anche perché le deportazioni avrebbero ostacolato i trasporti della Wehrmacht (174).
Le proteste rimasero però sempre inascoltate.
Il 20 novembre 1941, Stahlecker comunicò a Lohse:
«I trasporti ebraici arrivano regolarmente a Minsk nel modo previsto. Dei 25 trasporti che originariamente erano destinati a Minsk, i primi 5 vengono dirottati a Kauen [Kaunas]» (175).

Una nota degli uffici di Lohse del 13 gennaio 1942 ribadiva:
«Presentata al signor Reichskommissar [Lohse] con preghiera di prendere conoscenza del rapporto dello Stadskommissar (commissario della città) di Minsk riguardo all’evacuazione presuntamente di 50.000 Ebrei dalla Germania a Minsk. Se dal signor Reichskommissar non viene ordinato diversamente, resta in vigore la disposizione del 28 novembre, secondo la quale non bisogna più sollevare obiezioni contro qualunque trasporto dal Reich» (176).

Lo Stadtkommissar di Minsk, Wilhelm Janetzke, che si opponeva alle deportazioni nella città, il 5 gennaio 1942 si rivolse direttamente al Reichsminister Rosenberg con una lettera che aveva come oggetto l’«Evacuazione di Ebrei dalla Germania a Minsk». Egli dichiarava di aver appreso che le autorità centrali di Berlino intendevano
«trasportare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi altri 50.000 Ebrei circa dalla Germania a Minsk».

Nella città, che era letteralmente in rovine, abitavano già circa 100.000 civili e vi erano inoltre detenuti «circa 7.000 Ebrei provenienti dalla Germania» e «a occhio e croce altri 15.000-18.000 Ebrei russi», perciò non c’erano possibilità di alloggio per altre persone. A queste difficoltà si aggiungevano «i serissimi problemi di vettovagliamento della popolazione (inclusi gli Ebrei)», perciò Janetzke chiedeva la sospensione delle deportazioni ebraiche a Minsk (177).
Wetzel rispose per incarico di Rosenberg con una lettera datata 16 gennaio 1942 indirizzata al Reichskommissar Lohse:
«Oggetto: Evacuazione di Ebrei dalla Germania a Minsk.
Dal signor Stadtkommissar di Minsk mi è giunta la lettera allegata in copia del 5 gennaio 1942, di cui La prego di prendere conoscenza.
Secondo una comunicazione del Reichssicherheitshauptamt che ho ricevuto, per Minsk erano previsti 25.000 Ebrei in provenienza dal Reich, che inizialmente dovevano essere alloggiati nel locale ghetto. A Minsk ne sono arrivati 7.000-8.000. I restanti, a causa delle difficoltà dei trasporti esistenti, per il momento non possono essere trasferiti a Minsk. Tuttavia, non appena queste difficoltà saranno superate, si può prevedere che questi Ebrei giungeranno a Minsk. Prego di impartire disposizioni in tal senso allo Stadkommissar di Minsk e di sollecitarlo inoltre a mettersi in contatto con il locale Alto Capo della Polizia per la questione dell’alloggiamento e del sostentamento degli Ebrei. Prego inoltre di fargli presente di attenersi per il futuro alla via gerarchica» (178).

Ma il 6 febbraio il Generalkommissar für Weissruthenien (commissario generale per la Rutenia Bianca) Wilhelm Kube appoggiò la richiesta di Janetzke con un lettera a Lohse in cui ribadiva l’impossibilità di alloggiare a Minsk, una città per l’80% in macerie, altri 25.000 Ebrei (179).
Le “Meldungen aus den besetzten Ostgebieten” n. 9 del 26 giugno 1942 dopo aver descritto le misure di ghettizzazione e di impiego lavorativo adottate dalla Polizia di Sicurezza e dal Servizio di Sicurezza nei confronti degli Ebrei ruteni, concludono:
«I provvedimenti presi dalla Polizia di Sicurezza e dal Servizio di Sicurezza hanno creato anche nella Rutenia Bianca un cambiamento radicale anche nell’ambito della questione ebraica. Per mettere gli Ebrei anzitutto sotto un controllo effettivo indipendentemente da provvedimenti ancora da prendere in futuro, sono stati impiegati consigli degli anziani ebraici [Juden-Ältestenräte] che sono responsabili di fronte alla Polizia di Sicurezza e al Servizio di Sicurezza del comportamento dei loro congeneri. Inoltre si è cominciata la registrazione degli Ebrei e la loro chiusura in ghetti. Infine gli Ebrei sono stati contrassegnati con un segno distintivo giallo da portare sul petto e sulla schiena sul modello della stella ebraica introdotta nel territorio del Reich. Per sfruttare il potenziale lavorativo degli Ebrei, essi vengono generalmente adibiti all’impiego lavorativo chiuso e a lavori di rimozione.
Con questi provvedimenti, anche per il territorio della Rutenia Bianca, sono state gettate le basi della soluzione finale della questione ebraica europea prevista in seguito [Mit diesen Massnahmen sind die Grundlagen für die später beabsichtigte Endlösung der europäischen Judenfrage auch für das weissruthenische Gebiet geschaffen worden]» (180).

Queste direttive, concretamente applicate, erano pienamente conformi a quelle della “Braune Mappe” menzionata sopra, di cui richiamano la soluzione futura della questione ebraica «dopo la guerra per tutta l’Europa» (nach dem Kriege für ganz Europa).
Concludendo, il documento NO-365 è una «bozza» di lettera mai spedita di cui Weztel non ha mai riconosciuto l’autenticità e il cui contenuto criminale fu messo in discussione o non confermato da due personaggi chiamati in causa: Eichmann e Kallmeyer. Per quanto riguarda il contenuto, il progetto degli «apparati di gasazione», che del resto non potevano essere le bombole di monossido di carbonio del presunto metodo barckiano, è in aperta contraddizione con i documenti dello stesso periodo. Ma a Hilberg tutte queste gravi anomalie non interessano affatto.

A sostegno della sua tesi, Hilberg menziona due sole azioni di sterminio di Ebrei occidentali, che per di più avrebbero coinvolto meno del 10% dei deportati. Egli afferma:

«Altri convogli scaricarono i loro passeggeri a Kaunas e a Minsk. Nella prima di queste città, l’efficiente personale dell’Einsatzkommando 3, il 25 e 29 novembre [1941], uccise 5000 Ebrei del Reich e del Protettorato» (p. 362).

Egli rimanda come fonte al rapporto dell’SS-Standartenführer Karl Jäger del 1° dicembre 1941 (181) (nota 286 a p. 407), che riporta le esecuzioni nel «Forte IX» di 2.934 «evacuati» (Umsiedler) ebrei provenienti da Berlino, Monaco e Francoforte sul Meno in data 25 novembre 1941 e di 2.000 provenienti da Vienna e Breslavia il 29 novembre (182), in totale 4.934 persone, tutti i componenti dei cinque trasporti. Tuttavia, secondo i dati parziali esistenti, quasi due anni dopo, nell’estate del 1944, a Kaunas erano ancora vivi e furono trasferiti a Stutthof oltre 160 detenuti di tali trasporti, in prevalenza Ebree del Reich, ma anche qualche Ebreo austriaco e del Protettorato (183).
Degli immani stermini pretesamente perpetrati al «Forte IX» non esiste alcuna traccia materiale. Il visitatore (184) può vedere soltanto un ampio prato sul quale sono poste due lapidi
in cui è inciso:
«Qui furono sepolti i resti di 50.000 persone, Russi, Ebrei, Lituani e altri, uccisi dai nazisti» (185).
«Questo è il luogo dove i nazisti e i loro aiutanti uccisero più di 30.000 Ebrei della Lituania e di altri Paesi europei» (186).

Secondo la prima lapide, nel prato antistante sarebbero sepolti 50.000 cadaveri, ma non risulta che essi siano mai stati esumati.
È noto però un caso in cui si volle procedere ad una esumazione.
Secondo il rapporto Jäger, a Mariampole, in lituano Marijampol, il 1° settembre 1941, furono fucilati:

«1.763 Ebrei, 1.812 Ebree, 1.404 bambini ebrei, 109 malati mentali, un cittadino tedesco sposato con una Ebrea, una Russa» (187).

Come riferisce Germar Rudolf, riportando una notizia apparsa sul giornale lituano “Lietuvos Rytas”,
«nell’estate del 1996 la città di Marijampol, in Lituania, decise di erigere un Memoriale dell’Olocausto alle decine di migliaia di Ebrei presuntamente massacrati e seppelliti lì dalle Einsatzgruppen tedesche. Per costruire il Memoriale nel luogo giusto, si cercò di scoprire dove fossero le fosse comuni. Si scavò nel luogo descritto dai testimoni, ma non ne trovarono alcuna traccia» (188).


Il secondo presunto sterminio, viene menzionato da Hilberg nella nota 281 a p. 406 e riguarda un trasporto inviato a Riga:
«Il primo convoglio destinato alla regione di Riga partì da Berlino il 27 novembre [1941]. Tre giorni dopo le vittime vennero scaricate nella foresta di Rumbula e fucilate».

Ma qui la fonte non è neppure un documento, bensì un libro del 1979! (Getrude Schneider, Journey into Terror, New York, 1979).

Al processo Zündel, Hilberg aveva dichiarato addirittura che tutti i trasporti ebraici diretti a Riga erano destinati alla fucilazione immediata:
«Quando vi riferite alle deportazioni di Ebrei a Riga da Berlino e da altre città tedesche, di seguito alle operazioni degli Einsatzgruppen, l’idea era, al meglio della mia ricostruzione degli eventi, che questi Ebrei dovevano esservi inviati per essere fucilati al loro arrivo dal personale degli Einsatzgruppen che stazionava a Riga. Non era una colonizzazione» (189).


Hilberg prosegue:
«Tra le annotazioni manoscritte che Himmler prendeva personalmente sulle sue comunicazioni telefoniche al Wolfschanze (quartier generale di Hitler), figura una nota allusiva su una conversazione con Heydrich, il 30 novembre alle 13,30. Il testo contiene tra l’altro queste cinque parole: Judentransport aus Berlin. Keine Liquidierung (Trasporto di Ebrei partito da Berlino. Non liquidare). Facsimile in David Irving, Hitler’s War, New York 1977, p. 505. Riga non è menzionata; ma nessun altro convoglio partì da Berlino tra il 27 e il 30 novembre, e qualche giorno dopo, in un’altra conversazione tra Himmler e Heydrich, l’oggetto erano delle “esecuzioni a Riga ” (Exekutionen in Riga). Si veda Martin Broszat, Hitler und die Genesis der Endlösung, in: “Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte”, 25 (1977), pp. 760-61».

Broszat, nel passo indicato da Hilberg, riferisce la seguente annotazione nell’agenda di Himmler sotto la data del 1° dicembre 1941:
«13.15 Uhr SS-Ogr. Heydrich. Exekutionen in Riga»(ore 15,15, SS-Obergruppenführer Heydrich. Esecuzioni a Riga» (190).

Ma quest’annotazione non dimostra che a Riga era stato fucilato il trasporto ebraico del 27 novembre. Da essa si desume semplicemente che si era parlato di «esecuzioni», ma non si sa in quali termini. Sull’annotazione del «keine Liquierung ritornerò sotto.

Hilberg conclude con questa osservazione:
«Tuttavia, gli Ebrei della maggior parte dei convogli successivi non vennero uccisi subito»,

il che è in palese contrasto con la sua tesi. In effetti, come ho già accennato, vari trasporti ebraici furono diretti all’Est dopo l’inaugurazione dei presunti «centri di sterminio», oltrepassando Auschwitz e Treblinka, mentre, nello stesso tempo, altri trasporti ebraici venivano inviati dall’Ovest in questi campi presuntamente a scopo di sterminio.

Il “Gesamtbericht vom 16. Oktober 1941 bis 31. Januar 1942” comprende un intero paragrafo intitolato «Juden aus dem Reich» (Ebrei dal Reich) nel quale si dice:
«Dal dicembre 1940 [recte: 1941] arrivarono trasporti ebraici dal Reich a brevi intervalli. 20.000 Ebrei furono diretti a Riga e 7.000 Ebrei a Minsk. I primi 10.000 Ebrei evacuati a Riga furono alloggiati parte in un campo di raccolta provvisorio, parte in un nuovo campo baracche costruito nei pressi di Riga. Gli altri trasporti sono stati insediati principalmente in una parte separata del ghetto di Riga.
La costruzione del campo baracche viene proseguita coll’impiego di tutti gli Ebrei abili al lavoro in modo tale che, coloro che supereranno l’inverno, potranno essere insediati in questo campo.
Degli Ebrei provenienti dal Reich solo una esigua parte è abile al lavoro. Circa il 70-80% sono donne e bambini nonché vecchi inabili al lavoro. Il tasso di mortalità cresce continuamente, anche a causa dell’inverno straordinariamente rigido.
Le prestazioni dei pochi Ebrei provenienti dal Reich abili al lavoro sono soddisfacenti. Essi come mano d’opera, per la loro lingua tedesca e la loro pulizia relativamente più accurata, sono preferiti agli Ebrei russi.
La capacità di adattamento degli Ebrei, con la quale cercano di conformare la loro vita alle circostanze, è straordinaria. L’accalcamento degli Ebrei in un piccolissimo spazio che si verifica in tutti i ghetti suscita naturalmente un grande pericolo di epidemie, contro il quale si agisce nel modo più ampio coll’impiego di medici ebrei. In singoli casi Ebrei contagiosi, col pretesto di portarli in un ospizio o un ospedale ebraico, furono selezionati e giustiziati» (191).

L’annotazione «keine Liquidierung» si riferiva pertanto a singoli individui, piuttosto che all’intero trasporto. L’espressione infatti non significa «non liquidare», ma «nessuna liquidazione».
È importante rilevare che molti trasporti ebraici furono diretti all’Est dopo l’inaugurazione dei presunti «centri di sterminio»; almeno 28 trasporti di circa 1.000 Ebrei ciascuno giunsero a Minsk tra il 6 maggio e il 28 novembre 1942 (192). I 24 trasporti da Vienna seguirono la linea Vienna-Lundenburg-Prerau, aggirarono a ovest Auschwitz passando per Oppeln (Opole) e Tschenstochau (Częstochowa) e andarono a Varsavia; da qui alcuni trasporti proseguirono per Wolskowysk-Minsk via Białystok, perciò passarono per Malkinia, a 4 km dal «centro di sterminio» di Treblinka; altri via Siedlce, passando tra i «centri di sterminio» di Treblinka a nord e di Sobibór a sud.
Ad esempio, nell’avviso di orario n. 40 della Direzione Centrale delle Ferrovie Centro con sede a Minsk in data 13 maggio 1942 si legge:
«Secondo comunicazione della Direzione delle ferrovie Königsberg una volta alla settimana venerdì/sabato un treno speciale (treno 30,9) viaggia con circa 1000 persone da Vienna via Bialystok-Baranowitsche a Minsk stazione centrale nel seguente piano:... » (193).

E nell’avviso di orario n. 517 Direzione delle Ferrovie di Vienna del 18 maggio 1942 viene indicato il seguente percorso per i trasporti da Vienna a Minsk:

«Vienna stazione Aspang-Vienna stazione nord - Lundenburg - Prerau-Olmütz - Groß Wisternitz - Jägerndorf - Neisse - Oppeln - Tschenstochau -Varsavia stazione ovest - Siedlce - Platerow - Czeremcha - Wolkowysk - Minsk (194).

Nelle liste nominative frammentarie dei trasporti da Kowno e da Riga a Stutthof nell’estate del 1944 menzionati sopra sono presenti almeno 959 Ebrei tedeschi. Uno di essi, Berthold Neufeldt, era nato il 17 giugno 1936 (195): egli era stato deportato all’età di 5 o 6 anni e nell’estate del 1944 era ancora vivo.
Si conoscono inoltre almeno 102 superstiti della deportazione ebraica da Theresienstadt a Riga del 9 gennaio 1942 e 15 della deportazione del 15 gennaio, inoltre 40 della deportazione del 1° settembre 1942 a Raasika, in Estonia. Questi Ebrei furono liberati nelle seguenti località:
Bergen-Belsen, Bratislava, Bromberg, Buchenwald, Burggraben, Bydhost, Dachau, Gdansk, Gottendorf, Gottenhof, Hamburg, Jagala, Kaiserwald, Kaufering, Kieblasse, Kiel, Langenstein, Lauenburg, Katowice, Libau, Magdeburg, Neuengamme, Neustadt, Raasika, Raguhn, Riga, Sachsenhausen, Salaspis, Sophienwalde, Strassenhof, Stutthof, Terezin (Theresienstadt), Torun. Inoltre 7 supertiti del trasporto da Theresienstadt a Minsk del 16 novembre 1941 furono liberati ad Auschwitz, Bergen-Belsen, Dachau, Flossenbürg, Terezin (196). Questi trasferimenti non riguardarono singole persone, ma interi gruppi che dovevano avere una certa consistenza, perché, ad esempio, a Magdeburg furono liberati 4 Ebrei del trasporto del 15 gennaio 1942 e 5 del trasporto del 9 gennaio; a Buchewald 3 Ebrei del trasporto del 15 gennaio e 7 del trasporto del 9 gennaio.
Queste persone sopravvissero anche alla catastrofe igienico-sanitaria che travolse i campi tedeschi nel 1945, perciò il loro numero, nel 1944, doveva essere molto più alto.






3.
Le deportazioni nei «centri di sterminio»


Indice


In un capitolo di oltre 500 pagine, Hilberg si occupa con una prolissità straripante dei singoli Paesi da cui gli Ebrei furono deportati dai Tedeschi. Ma lo scopo, i preparativi, le modalità, l’esecuzione e la destinazione delle deportazioni confermano realmente la tesi della distruzione nei «centri di sterminio» propugnata da Hilberg? In altri termini, le deportazioni rientravano davvero in un «processo di distruzione» avviato da un ordine di Hitler «prima della fine dell’estate del 1941»?
In questo capitolo affronterò tali questioni in relazione a Francia, Serbia, Croazia, Slovacchia e Ungheria.






3.1.
La Francia

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3.1.1.
I documenti

Indice


Nel rapporto del 10 marzo 1942, l’SS-Hauptsturmführer Dannecker, incaricato degli affari ebraici in Francia, scrisse, con riferimento alla riunione che si era tenuta il 4 marzo presso l’ufficio IV B 4 del RSHA, che si potevano intraprendere le trattative preliminari con le autorità francesi «in vista della deportazione di circa 5.000 Ebrei all’Est» (wegen des Abschubs von rd. 5000 Juden nach dem Osten).

«A questo riguardo – precisò Dannecker – si deve trattare anzitutto di Ebrei maschi, abili al lavoro, non oltre i 55 anni» («Dabei habe es sich zunächst um männliche, arbeitsfähige Juden, nicht über 55 Jahre, zu handeln») (197).

La deportazione in massa degli Ebrei residenti in Francia, ma anche degli Ebrei olandesi e belgi, fu decisa tre mesi dopo. Il 22 giugno 1942 Eichmann stilò una lettera indirizzata al consigliere d’ambasciata Rademacher, del ministero degli Esteri, con oggetto «Impiego lavorativo di Ebrei da Francia, Belgio e Olanda», nella quale scrisse:

«Si prevede di trasportare nel campo di Auschwitz per impiego lavorativo a partire dalla metà di luglio o dall’inizio di agosto di quest’anno in treni speciali che circoleranno ogni giorno con 1.000 persone ciascuno inizialmente circa 40.000 Ebrei dal territorio francese occupato, 40.000 Ebrei dall’Olanda e 10.000 Ebrei dal Belgio».
(«Es ist vorgesehen, ab Mitte Juli bzw. Anfang August ds. Jrs. in täglich verkehrenden Sonderzügen zu je 1.000 Personen zunächst etwa 40.000 Juden aus dem besetzten französischen Gebiet, 40.000 Juden aus den Niederlanden und 10.000 Juden aus Belgien zum Arbeitseinsatz in das Lager Auschwitz abzubefördern»).

La cerchia di persone da deportare doveva limitarsi «a Ebrei abili al lavoro» (auf arbeitsfähige Juden) (198).
Il 28 giugno Luther trasmise il testo della lettera di Eichmann alle ambasciate tedesche a Parigi, Bruxelles e a L’Aia (199).
In questo periodo i Tedeschi, con la loro politica di deportazione ad Auschwitz, miravano essenzialmente a procurarsi mano d’opera schiavistica, perciò il problema degli inabili al lavoro era ancora marginale. Così il 15 giugno Dannecker redasse una nota sulla futura deportazione degli Ebrei dalla Francia.
«a) Oggetto. Per ragioni militari, non sarà più possibile far partire durante l’estate Ebrei dalla Germania verso la zona operativa dell’Est. Per questo il Reichsführer-SS ha ordinato di trasferire al campo di concentramento di Auschwitz un quantitativo più grande di Ebrei del Sud-Est (Romania) o delle regioni occupate dell’Ovest a scopo di prestazione di lavoro» (zwecks Arbeitsleistung). La condizione fondamentale è che gli Ebrei (dei due sessi), abbiano un’età compresa tra 16 e 40 anni. Insieme a loro possono essere inviati il 10% degli Ebrei inabili. b) Decisione. Si è deciso di deportare 15.000 Ebrei dall’Olanda, 10.000 dal Belgio e un totale di 100.000 dalla Francia, inclusa la zona non occupata» (200).

Tuttavia in una circolare segreta datata 26 giugno 1942 in cui comunicava le direttive per la deportazione ebraica, Dannecker ribadì che questa doveva comprendere Ebrei abili al lavoro, dei due sessi, in età da 16 a 45 anni (201).
Il problema della deportazione dei bambini e degli adulti inabili al lavoro fu dibattuto in luglio e in agosto.
In una nota datata 21 luglio 1942, con riferimento ad una conversazione telefonica svoltasi il giorno prima, Dannecker scrisse:
«Con l’SS-Obersturmbannführer Eichmann fu discussa la questione dell’evacuazione dei bambini. Egli ha deciso che, appena sarà di nuovo possibile la deportazione nel Governatorato generale, potranno circolare trasporti di bambini. L’SS-Obersturmführer Nowak ha assicurato che, a fine agosto - inizio settembre, renderà possibile [la partenza] verso il Governatorato generale di circa 6 trasporti, che potranno contenere Ebrei di ogni categoria (anche Ebrei inabili al lavoro e vecchi)».
(«Mit SS-Obersturmbannführer Eichmann wurde die Frage des Kinderabschubes besprochen. Er entschied, dass sobald der Abtransport in das Generalgouvernement wieder möglich ist, Kindertransporte rollen können. SS-Obersturmführer Nowak sicherte zu, Ende August/Anfang September etwa 6 Transporte nach dem Generalgouvernement zu ermöglichen, die Juden aller Art (auch arbeitsunfähige und alte Juden) enthalten können») (202).

Bisogna precisare che Auschwitz non si trovava nel Governatorato generale, ma nel territorio del Reich. D’altra parte, in quel periodo, la deportazione ad Auschwitz procedeva a pieno regime: dal 17 al 31 luglio giunsero infatti in tale campo 14 trasporti di Ebrei, 4 provenienti dall’Olanda, 2 dalla Slovacchia, 7 dalla Francia, 1 da paese ignoto (203). Dunque i 6 trasporti summenzionati, che avrebbero dovuto contenere bambini e adulti inabili al lavoro, non avevano come destinazione Auschwitz. Successivamente il RSHA prese una decisione diversa. Il 13 agosto l’SS-Sturmbannführer Günther inviò alle autorità SS a Parigi un telegramma con oggetto «Deportazione di Ebrei ad Auschwitz. Lì evacuazione dei bambini ebrei» (Ab(t)ransport von Juden nach Auschwitz. Dort Abschiebung der Judenkinder) nel quale comunicò che i bambini ebrei detenuti nei campi di Pitiviers e di Beaune la Rolande potevano essere deportati ad Auschwitz un po’ alla volta nei trasporti previsti (nach und nach auf die vorgesehenen Transporte nach Auschwitz aufgeteilt werden), ma non erano ammessi trasporti di soli bambini (204). Questa disposizione proveniva dal RSHA (nach der Weisung des Reichssicherheitshauptamt Züge nur mit Judenkindern nicht abgeschoben werden dürfen) e aveva una finalità evidentemente propagandistica; fu perciò deciso di mischiare i bambini ebrei che si trovavano nei campi di Pithiviers e Beaune-la-Rolande con gli adulti nella proporzione di 300-500 a 700, comunque non meno di 500 (205).
Il 14 agosto giunse ad Auschwitz il primo trasporto contenente un discreto quantitativo di bambini (circa il 10% del totale) (206), anche se il programma stilato il 28 luglio 1942 prevedeva la partenza del primo trasporto con «bambini ebrei che sono stati arrestati a Parigi il 16 e 17 luglio 1942» il 19 agosto e altri tre il 21, 24 e 26 agosto (207).
Questi documenti dimostrano in modo inequivocabile le intenzioni iniziali delle SS di deportare bambini e vecchi inabili al lavoro nel Governatorato generale, prima direttamente, poi attraverso Auschwitz come campo di transito.
Conformemente alle direttive esposte sopra, i primi trasporti inviati ad Auschwitz contenevano soltanto Ebrei abili al lavoro che furono tutti immatricolati. La tabella che segue riassume i dati relativi ai primi 18 trasporti (208).



Pithiviers
Datanumero dei deportatiprovenienzauomini immatricolatidonne immatr.



totale deportatin° m.totale deportaten° m.
26/3999Slovacchia//9991000-1998
28/3798Slovacchia //7981999-2796
30/31112 Compiègne111227533-
28644
//
2/4 965Slovacchia//9652797-3761
3/4997Slovacchia//9973763-3812 3814-4760
13/41077Slovacchia634 28903-
29536
4434761-
5203
17/41000 Slovacchia97329832-
30804
275204-
5230
19/41000Slovacchia46431418-
31881
5365233-
5768
23/41000Slovacchia 54331942-
32484
4575769-
6225
24/4 1000Slovacchia44232649-
33090
5586226-

6783
29/4723Slovacchia42333286-

33708
3007108-
7407
22/51000KL Lublino100036132-
37131
//
7/6 1000Compiègne100038177-
39176
//
20/6659Slovacchia40439923-
40326
255 7678-
7932
24/6999Drancy93340681-

41613
667961-8026
27/610001000 41773-
42772
//
30/61038Beaune-La Rolande100442777-
43780
348051-
8084
30/6 400KL Lublino40043833-
44232
//
totale 16767
10.332
6.435


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Nota editoriale: Per no so quale bizzarria tecnica alcuni dati non si lasciano inserire correttamente in Tabella, per cui alla riga 27/6 leggasi correttamente: 1000|Pithiviers | 1000 | 41773-42772 | 34 | / | / Il cortese Lettori pazienti per il momento fino a quando non riusciremo a risolvere il fastidioso inconveniente.
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I trasporti ebraici provenienti dalla Slovacchia portarono inabili al lavoro solo dal 4 luglio, quelli provenienti dalla Francia dal 17 luglio (209). Come vedremo nel capitolo seguente, Auschwitz fungeva da campo di transito per gli Ebrei deportati nel quadro della Ostwanderung (migrazione all’Est): gli abili al lavoro si fermavano al campo, gli inabili, inclusi i bambini, proseguivano il loro viaggio all’Est.
Dove, almeno una parte di queste persone, fosse diretta, risulta dal rapporto dell’ SS-Untersturmführer Ahnert sulla riuninione che si era tenuta il 28 agosto 1942 presso il Referat IV B 4 del RSHA. La riunione era stata organizzata per fare il punto sul problema ebraico, in particolare sulla «evacuazione ebraica (Judenevakuierung) negli Stati stranieri occupati» e per discutere il problema dei trasporti. L’evacuazione degli Ebrei all’ Est doveva avvenire attraverso il campo di Auschwitz. Tra le questioni discusse, al punto c), figurava infatti la seguente:
«Assegnazione di coperte, scarpe e stoviglie per i partecipanti ai trasporti.
Dal comandante del campo di internamento di Auschwitz è stato richiesto che le coperte, le scarpe e le stoviglie necessarie devono essere assolutamente date in dotazione ai trasporti. Nella misura in cui ciò non ha avuto luogo, esse devono essere inviate senza indugio al campo».

Il punto e) si riferisce all’ «acquisto di baracche» (Barackenankauf):
«L’SS-Obersturmbannführer Eichmann ha cercato di eseguire immediatamente l’acquisto delle baracche ordinate dal Befehlshaber der Sicherheitspolizei a L’Aia.
Il campo deve essere costruito in Russia. Il trasporto delle baracche può essere attuato in modo che da ogni treno siano portate 3-5 baracche».
(«SS-Obersturmbannführer Eichmann ersuchte, den Ankauf der durch den Befehlshaber der Sicherheitspolizei Den Haag bestellten Baracken sofort vorzunehmen. Das Lager soll in Russland errichtet werden. Der Abtransport der Baracken kann so vorgenommen werden, dass von jedem Transportzug 3-5 Baracken mitgeführt werden») (210).

Questo documento, per ovvie ragioni, non viene mai menzionato da Hilberg.
Se si deve credere a Radio Mosca, alcune migliaia di Ebrei francesi erano stati trasferiti in Ucraina. Nel numero 71 dell’aprile 1944 il foglio ebraico clandestino “Notre Voix” pubblicò la seguente notizia:
«Grazie! Una notizia che rallegrerà tutti gli Ebrei di Francia giunge dalle onde di Radio Mosca. Chi di noi non ha un fratello, una sorella, una moglie, un parente tra i deportati di Parigi? E chi non proverà una gioia intensa al pensiero che ottomila Ebrei di Parigi sono appena stati salvati dalla morte dalla gloriosa Armata Rossa? È stato uno di essi a raccontare a Radio Mosca come era stato salvato dalla morte, insieme ad altri ottomila Ebrei parigini. Essi si trovavano tutti in Ucraina al momento dell’ultima offensiva sovietica e i banditi SS li dovevano fucilare prima di lasciare il paese. Conoscendo la sorte che era loro riservata e avendo appreso che le truppe sovietiche non erano lontane, gli Ebrei deportati decisero di fuggire. Essi sono stati subito accolti dall’Armata Rossa e si trovano attualmente tutti in Unione Sovietica. L’eroica Armata Rossa avrà così meritato, una volta di più, la riconoscenza della comunità ebraica di Francia» (211).







3.1.2.
L’interpretazione di Hilberg


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Hilberg scrive:

«L’11 [recte: il 10] marzo [1942], Eichmann decise di ottenere dal Ministero degli Esteri l’autorizzazione a deportare 5000 Ebrei ad Auschwitz, con gli altri 1000 di cui era già previsto il trasferimento (212)».

Qualche riga dopo, aggiunge:

«Il 18 marzo 1942, un funzionario dell’ambasciata dichiarava che la nomina di un capo supremo delle SS e della Polizia in Francia (Oberg) avrebbe avuto “un effetto particolarmente favorevole sulla soluzione finale” nel Paese»

e riferisce subito dopo, in relazione a un documento del 13 maggio, che il generale di divisione Kohl

«si mostrò irriducibile avversario degli Ebrei e insieme ardente partigiano della “soluzione finale”, che sottintendeva la loro distruzione totale (restloser Vernichtung)» (pp. 634-635).

In questo documento Dannecker rilevò:
«Ho potuto constatare che egli [Kohl] era un avversario irriducibile degli Ebrei e che approva al 100% una soluzione finale della questione ebraica col fine dell’annientamento totale dell’avversario (mit dem Ziel restloser Vernichtung des Gegners)» (213).

Ma se ancora il 26 giugno 1942 le direttive di Dannecker per la deportazione ebraica ad Auschwitz riguardavano solo gli Ebrei abili al lavoro, dei due sessi, in età da 16 a 45 anni, a scopo di impiego lavorativo, l’ «annientamento totale dell’avversario» non è da intendere in senso letterale.
Hilberg, invece, inquadra surrettiziamente le deportazioni di Ebrei dalla Francia nel presunto processo di «distruzione», lasciando intendere che essi erano destinati allo sterminio ad Auschwitz. Proprio per questo tace che i 5.000 Ebrei summenzionati dovevano essere maschi e abili al lavoro, e che ad Auschwitz furono tutti immatricolati. Ma poi si tradisce scrivendo:

«L’11 giugno [1942], Eichmann riunì i suoi esperti dell’Aia, Bruxelles e Parigi per discutere i prossimi provvedimenti. Gli specialisti studiavano i dati statistici che sarebbero stati presentati nel corso dei negoziati con l’ETRA Ovest. Si era previsto un primo dato di 100000 deportati. Le vittime sarebbero stati uomini e donne da 16 a 40 anni, e si trattava di chiedere allo Stato francese, come spese di trasporto, 700 reichsmark per persona. Il primo treno sarebbe partito il 13 luglio» (p. 636).

Un tale progetto mirava evidentemente all’impiego lavorativo di questi Ebrei, non alla loro gasazione, ma Hilberg al riguardo non dice nulla.

Trattando il caso dell’Olanda, Hilberg scrive:

«Il 22 giugno 1942, il responsabile della deportazione presso il RSHA, Eichmann, informò l’esperto delle questioni ebraiche del Ministero degli Esteri, Rademacher, che con le ferrovie erano stati presi accordi per deportare ad Auschwitz 100000 Ebrei provenienti dai Paesi Bassi, dal Belgio e dalla Francia occupata. Il contingente olandese, nel suo complesso, era di 40000 persone» (p. 588).

La fonte è la lettera di «Eichmann a Rademacher, 22 giugno 1942, NG-183»(nota 669 a p. 886). Hilberg tace che questa lettera ha per oggetto l’«impiego lavorativo di Ebrei da Francia, Belgio e Olanda» (Arbeitseinsatz von Juden aus Frankreich, Belgien und den Niederlanden), che essa menziona esplicitamente lo scopo della deportazione di questi 100000 Ebrei - «per impiego lavorativo nel campo di Auschwitz»(zum Arbeitseinsatz in das Lager Auschwitz) - e che il provvedimento riguardava anzitutto gli «Ebrei abili al lavoro»(arbeitsfähige Juden) (214).

Successivamente Hilberg afferma:
«Il 26 giugno[1942], Dannecker dava le consegne (Richtlinien) riguardanti la deportazione degli Ebrei francesi. Fissò i limiti di età - da 16 a 45 anni - e decise che le deportazioni riguardavano gli Ebrei di nazionalità francese esattamente come gli ebrei “apolidi”, non protetti da alcuna potenza. In seguito, specificò l’elenco degli oggetti che le vittime dovevano portare in viaggio: due paia di calze, due camicie, due mutande, un asciugamano di spugna, un bicchiere, un cucchiaio e così di seguito. Alla direzione dei trasporti, elencava i viveri che bisognava caricare nei vagoni destinati agli approvvigionamenti per ogni treno. I convogli dovevano essere costituiti da vagoni merci, e prescriveva che ogni vagone venisse equipaggiato con un secchio igienico» (p. 637).

Anche queste direttive sono in contrasto con il presunto sterminio dei deportati. Qui è degno di nota ciò che il documento riferisce riguardo agli approvvigionamenti:

«Inoltre, bisognerà fornire al trasporto un approvvigionamento per 15 giorni (pane, farina, orzo, fagioli) in sacchi in un vagone merci speciale» (215).

I viveri per 15 giorni sono in accordo con il trasferimento in Russia cui accenna il rapporto dell’ SS-Untersturmführer Ahnert del 1° settembre 1942.
In conclusione, la genesi delle deportazioni ebraiche dalla Francia, le loro finalità e la loro destinazione sono in contrasto con la teoria del «processo di distruzione» di Hilberg, riguardo alla quale, del resto, egli non adduce alcun documento.






4.
La Serbia


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Hilberg scrive:
«In Russia, l’esercito tedesco era incalzato dalla resistenza, e lo stesso accadde in Serbia. I Serbi aborrivano il giogo straniero praticamente in tutte le sue forme, e la Serbia occupata fu, per questa ragione, il teatro di un’incessante guerra partigiana. Come in Russia, l’esercito tedesco puniva le manifestazioni di ribellione fucilando gli ostaggi, soprattutto gli ostaggi ebrei. All’inizio, le esecuzioni ebbero dimensioni moderate. [...]. Alla fine dell’estate del 1941, tuttavia, vennero creati due campi, uno a Belgrado e l’altro a Šabac. Nello stesso tempo, su tutto il territorio serbo, si procedette a rastrellamenti sistematici di Ebrei di sesso maschile. Sembrava che i militari cominciassero a prendere in considerazione le esecuzioni di massa» (p. 683).

Egli riferisce poi circa la proposta del plenipotenziario degli Esteri a Belgrado, Benzler, di deportare 1.200 Ebrei del campo di Šabac perché questo si trovava sulla linea del fronte. Ma la proposta era inattuabile.
«Rademacher si consultò allora con Adolf Eichmann. L’esperto dell’RSHA per le questioni ebraiche aveva una soluzione: “Eichmann propose di fucilarli”. L’idea seduceva assai Rademacher; il 13 settembre, scrisse a Luther che non era poi così necessario deportare i 1200 Ebrei del campo di Šabac. L’esecuzione mediante fucilazione di un “gran numero” di ostaggi, avrebbe risolto benissimo il problema. Ma il 28 settembre arrivava in Serbia un altro messaggio. Benzler ora spiegava che il generale Böhme, plenipotenziario e comandante in capo, voleva deportare 8000 Ebrei di sesso maschile della Serbia. Böhme non poteva rinchiudere questi 8000 uomini nei campi; inoltre, il generale aveva sentito dire che in altri paesi, in particolare nel Protettorato, si era proceduto con successo alle deportazioni» (p. 684).

Nella città di Topola, continua Hilberg, un’imboscata partigiana provocò la morte di 22 soldati tedeschi e due giorni dopo il generale Böhme ordinò per rappresaglia la fucilazione di 1.200 Ebrei dei campi di Šabac e Belgrado. Le esecuzioni iniziarono il 9 ottobre 1941 (pp. 684-685).
«All’inizio - afferma Hilberg - ci si chiese se la regola degli ostaggi valesse anche per le donne; la questione fu risolta con una risposta negativa. Sarebbero stati fucilati solo uomini. Ora, l’esercito partecipava pienamente al processo di distruzione».

Successivamente egli scrive:
«Mentre l’esercito tedesco finiva di fucilare da 4000 a 5000 uomini circa, sorgeva un problema: la liquidazione di 15000 donne e bambini. In effetti era “contrario alle idee (Auffassung) del soldato e del funzionario tedesco prendere in ostaggio le donne”, a meno che non si trattasse di mogli o di parenti di partigiani che combattevano in montagna”. Così, le donne e i bambini dovevano essere “evacuati”» (p. 689).

Per Hilberg, come vedremo sotto, una tale “evacuazione” significava ovviamente uccisione.
Ma la questione non è così semplice. L’8 settembre 1941 Felix Benzler inviò da Belgrado al Ministero degli Esteri un telegramma che diceva:

«Alcuni Ebrei, com’è stato dimostrato, sono risultati complici in numerosi atti di sabotaggio e di ribellione. Si prega perciò pressantemente di provvedere ormai con sollecitudine all’arresto e all’allontanamento (Entfernung) almeno di tutti gli Ebrei maschi (mindesten aller männliche Juden). Il numero delle persone interessate dovrebbe aggirarsi intorno a 8.000. Attualmente è in corso di costruzione un campo di concentramento, tuttavia, in considerazione degli sviluppi futuri, è consigliabile portare il più presto possibile fuori del paese, cioè con chiatte vuote, in giù sul Danubio, per trasportarli in territorio rumeno (isole del delta del Danubio). Prego di creare i relativi presupposti necessari per il permesso del governo rumeno» (216).

L’11 settembre Luther rispose:
«Un’espulsione di Ebrei nel territorio di uno Stato straniero non può essere consentita. In tal modo non si raggiunge una soluzione della questione ebraica. Viene lasciato [a Voi] prendere in custodia gli Ebrei in campi di lavoro e impiegarli per lavori pubblici necessari» (217).

Benzler replicò il giorno dopo con un altro telegramma in cui diceva:
«La sistemazione in campi di lavoro, nella situazione interna attuale, non è possibile, perché la sicurezza non è garantita. I campi di lavoro ostacolano e mettono in pericolo perfino le nostre truppe. Perciò è necessario lo sgombero immediato dei 1.200 Ebrei del campo di Sabac, perché Sabac è zona di combattimento e nei dintorni sono state individuate bande di rivoltosi con una forza di parecchie migliaia di uomini».

Egli aggiunse che l’«espulsione anzitutto degli Ebrei maschi è il presupposto necessario per il ripristino dell’ordine», perciò rinnovò la sua proposta; se questa fosse stata di nuovo respinta, non restava altro che l’«espulsione immediata nel Governatorato generale o in Russia (sofortige Abschiebung nach Generalgouvernement oder Rußland)», sebbene ciò potesse comportare difficoltà di trasporto (218). Rademacher si rivolse allora ad Eichmann: gli telefonò il 13 settembre e annotò la discussione in questi termini:
«Secondo informazione dello Sturmbannführer Eichmann RSHA IV D VI l’accoglimento in Russia e nel Governatorato generale è impossibile, non vi possono essere alloggiati neppure gli Ebrei della Germania. Eichmann propone la fucilazione» (219).

Tuttavia Ribbentrop, in un telegramma datato 2 ottobre 1941, decise che bisognava mettersi in contatto con Himmler per chiarire «se poteva prendere in consegna 8.000 Ebrei per portarli nella Polonia orientale o da un’altra parte» (220).
Il 25 ottobre Rademacher riassunse le decisioni che erano state prese:
«Gli Ebrei maschi vengono fucilati entro la fine di questa settimana, con ciò il problema toccato nel rapporto della legazione è risolto».

Quanto «al resto di circa 20.000 Ebrei (donne, bambini e vecchi)», inoltre di 1.500 Zingari, di cui gli uomini dovevano essere fucilati, la decisione era questa:
«Non appena nel quadro della soluzione totale della questione ebraica (Gesamtlösung der Judenfrage) sussisterà la possibilità tecnica, gli Ebrei saranno espulsi per acqua nei campi di raccolta all’Est (werden die Juden auf dem Wasserwege in die Auffangslager im Osten abgeschoben)» (221).

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con una «distruzione» programmata o con una volontà determinata di sterminio degli Ebrei della Serbia in quanto Ebrei. Le fucilazioni riguardarono solo gli Ebrei maschi, per rappresaglia e per ragioni di sicurezza, e questa fu soltanto un’azione di ripiego, perché non esistevano ancora le possibilità di una deportazione fuori del paese. Le donne e i bambini, invece, dovevano essere espulsi all’Est. Poiché costituiva un’alternativa alla fucilazione, questa espulsione era reale e non poteva essere una «leggenda», come pretende Hilberg (p. 743).
A suo dire, invece, donne e bambini furono sterminati nel campo di Semlin. Al riguardo egli fornisce questa descrizione:
«Agli inizi di marzo [1942], arrivò da Berlino un veicolo speciale. Un camion a gas asfissiante. Tutti i giorni, escluso le domeniche e i festivi, gruppi di donne e bambini venivano caricati sul camion e condotti ad alcune centinaia di metri, fino a un ponte costruito sul Save, dove la circolazione era a senso alternato. Andorfer aspettava dentro un’autovettura. Sulla riva di Belgrado, il tubo di scarico veniva collegato con l’interno del camion, e il veicolo attraversava la città con gli Ebrei agonizzanti, fino a un poligono di tiro, dove delle fosse attendevano i cadaveri.
Il campo si vuotava a ritmo accelerato. Nel marzo del 1942 il numero degli internati oscillava tra i 5000 e i 6000; in aprile se ne contavano solo 2974, e il 10 maggio tutta l’operazione era conclusa. Soddisfatto, il dottor Schäfer riferiva che, fatta eccezione per gli Ebrei dei matrimoni misti, in Serbia non esisteva più un problema ebraico (keine Judenfrage mehr). Nello stesso tempo, rispediva a Berlino il camion a gas, che avrebbe ripreso servizio in Bielorussia» (pp. 689-690).

Tale descrizione, per quanto riguarda il presunto sterminio, non è basata su documenti, ma su un libro di C. Browning (Fateful Months: Essays on the Emergence of the Final Solution. New York, Holmes and Meier, 1985), che Hilberg chiama in causa tre volte (note 1119, 1120 e 1123 a p. 909).
Egli non adduce alcun documento che dimostri che questi Ebrei furono assassinati. La diminuzione della forza del campo fino alla sua liquidazione è spiegabile anche con la deportazione dei suoi detenuti all’Est. L’arrivo a Semlin del «camion a gas asfissiante» non è attestato da alcun documento. Browning fa riferimento a una lettera di Harald Turner, capo dell’amministrazione militare in Serbia, a Karl Wolff, in data 11 aprile 1942, di cui cita il seguente stralcio:
«Già alcuni mesi fa ho fatto fucilare tutti gli Ebrei catturabili in questo paese e ho fatto concentrare tutte le donne ebree e i bambini in un campo e nello stesso tempo coll’aiuto del Servizio di Sicurezza sono riuscito ad ottenere un “veicolo di disinfestazione” che ora in un lasso di tempo da 14 giorni a 4 settimane avrà anche attuato definitivamente lo sgombero del campo...».(Schon vor Monaten habe ich alles an Juden im hiesigen Lande greifbare erschiessen und sämtliche Judenfrauen und Kinder in einem Lager konzentrieren lassen und zugleich mit Hilfe des SD einen “Entlausungswage” angeschaft, der nun in etwa 14 Tage bis 4 Wochen auch die Räumung des Lagers endgültig durchgeführt haben wird...) (222).

Tuttavia, come conferma Browning stesso, gli Ebrei serbi maschi furono fucilati in qualità di ostaggi per rappresaglia (223) e fu proprio Turner a creare un «ostacolo» riguardo agli ultimi 1.500 ostaggi predestinati, cercando di ottenere la loro deportazione attraverso Benzler (224).
Mentre però le fucilazioni sono documentate, nessun documento dimostra che la decisione di espellere le donne e i bambini ebrei all’Est fosse stata successivamente cambiata: quando, da chi, perché? Il testo summenzionato parla semplicemente di un «veicolo di disinfestazione» (Entlausungswage). D’altra parte, il telegramma di Schäfer a Pradl invocato da Hilberg nella nota 1125 a p. 909 menziona un «veicolo speciale» (Spezialwagen) che fu spedito per ferrovia da Belgrado a Berlino dopo che i due autisti avevano «eseguito il compito speciale» (den Sonderauftrag durchgefuehrt), senza il minimo accenno a gas o a uccisioni, sicché anche qui tutto è rimesso al presunto «linguaggio in codice». Questo telegramma è stato inserito in un gruppo di scritti che costituiscono il documento PS-501 (225), di cui quello più importante, in base al quale vengono comunemente interpretati, - la lettera dell’SS-Untersturmführer Becker all’SS-Obersturmbannführer Rauff (226), è del resto oltremodo dubbio (227).






5.
La Croazia


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Hilberg elenca i campi per Ebrei che furono istituiti in Croazia. Dal campo di Tenje
«nell’agosto del 1942 un convoglio partì per Auschwitz, seguito da un secondo convoglio in agosto, con destinazione Jasenovac. Un terzo convoglio fu inviato ad Auschwitz via Loborgrad».

Da quest’ultimo campo «un convoglio partì per Auschwitz» (p. 708). Secondo il Kalendarium di D.Czech, ad Auschwitz giunsero quattro trasporti di Ebrei dalla Jugoslavia, in data 18, 22, 26 e 28 agosto 1943 (228). Il fatto strano è che, secondo Hilberg, in territorio croato esistevano due «campi di sterminio»: Jasenovac e Stara Gradiška (p. 708). Non è dunque chiaro perché i quattro trasporti summenzionati furono inviati ad Auschwitz invece di essere sterminati sul posto. D’altra parte, su questi «campi di sterminio» Hilberg è insolitamente laconico:
«Più della metà degli Ebrei croati erano stati condotti in questi campi. Spostati da uno all’altro, gli Ebrei sarebbero morti un po’ alla volta o massacrati. In questo processo, la maggior parte perì vittima del tifo o della fame, furono fucilati, torturati, annegati, accoltellati, uccisi a colpi di martello in testa» (p. 709).

Queste accuse non sono fondate su alcun documento. Nella relativa nota (1218 a p. 913), Hilberg rimanda «in particolare» alle «fotografie» riprodotte in due opere sui crimini contro gli Ebrei in Jugoslavia. Ma voler dimostrare l’esistenza di due «campi di sterminio» sulla base di qualche fotografia è un po’ troppo pretenzioso. Alcune di queste fotografie, provenienti dalla «Commissione statale per l’accertamento delle atrocità delle potenze occupanti e dei loro complici in Jugoslavia» ed esibite a Norimberga, mostrano scene di atrocità tedesche (tra cui lo schiacciamento della testa di una vittima con un grosso martello) commesse più probabilmente contro partigiani jugoslavi (229).
Per quanto riguarda il numero delle presunte vittime, Hilberg non dice nulla.






6.
La Slovacchia


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Sull’inizio delle deportazioni ebraiche dalla Slovacchia, Hilberg asserisce:
«Himmler avrebbe potuto, in questo momento, chiedere la deportazione di tutti gli Ebrei di Slovacchia, ma non lo fece. Sotto le sue istruzioni, l’RSHA pregò il Ministro degli Esteri di ottenere dal Governo di Bratislava “20000 Ebrei slovacchi giovani e robusti” per deportarli “all’Est”: un colpo da maestro che contribuì a dar credito in Slovacchia alla leggenda del “reinsediamento”» (p. 722).

Qualche riga dopo, egli aggiunge:
«Per quanto riguarda l’estorsione, consisteva in una fattura presentata dal Reich al Governo slovacco per “alloggio, cibo, abbigliamento e riconversione” (Unterbringung, Verpflegung, Bekleidung e Umschulung (230)). Il prezzo da pagare per queste spese fittizie era di 500 reichsmark a testa, per un totale di 45 milioni di reichsmark se i 90000 Ebrei slovacchi avessero dovuto essere deportati. [...]. Con sorpresa del Ministero degli Esteri, le autorità slovacche accettarono “senza alcun tipo di pressione da parte tedesca”» (p. 722).

I fatti non sono in realtà così semplici. La Slovacchia intraprese la deportazione all’Est dei propri Ebrei su proposta del governo del Reich. Il 16 febbraio 1942 Luther inviò all’ambasciata tedesca a Bratislava un telescritto nel quale informava che «nel quadro dei provvedimenti per la soluzione finale della questione ebraica in Europa» (im Zuge der Massnahmen zur Endlösung der europäischen Judenfrage) il governo del Reich era pronto a trasferire immediatamente «20.000 Ebrei slovacchi giovani e forti» (20.000 junge kräftige slovakische Juden) all’Est (nach den Osten), dove c’era bisogno di impiego lavorativo (wo Arbeitseinsatzbedarf besteht) (231).
Come nel caso della Francia, la genesi delle deportazioni ebraiche dalla Slovacchia fu in relazione coll’impiego lavorativo di Ebrei abili al lavoro.
Con riferimento al telescritto summenzionato, nel suo rapporto al Ministro degli Esteri del 21 agosto 1942, Luther scrisse:
«Il numero degli Ebrei deportati all’Est in questo modo non era sufficiente per coprire il fabbisogno locale di mano d’opera. Perciò il RSHA, per ordine del Reichsführer-SS, si rivolse al ministero degli Esteri affinché pregasse il governo slovacco di mettere a disposizione 20.000 Ebrei slovacchi giovani e forti della Slovacchia per la deportazione all’Est. L’ambasciata di Pressburg (232) riferì [in risposta al messaggio] D III 1002 che il governo slovacco aveva accettato la proposta con entusiasmo, [perciò] si potevano fare i preparativi».
[«Die Zahl der auf diese Weise nach dem Osten abgeschobenen Juden reichte nicht aus, den Bedarf an Arbeitskräften dort zu decken. Das Reichssicherheitshauptamt trat daher auf Weisung des Reichsführer-SS an das Auswärtige Amt heran, die Slowakische Regierung zu bitten, 20000 junge, kräftige slowakische Juden aus der Slowakei zur Abschiebung in den Osten zur Verfügung zu stellen. Die Gesandschaft Pressburg berichtete zu D III 1002, die Slowakische Regierung habe den Vorschlag mit Eifer aufgegriffen, die Vorarbeiten könnten eingeleitet werden»] (233).

Il programma iniziale dei trasporti ebraici fu redatto il 13 marzo 1942 e comprendeva l’invio di 10 treni ad Auschwitz e 10 a Lublino nel seguente ordine cronologico:


dataconvoglio n.luogo di partenzaluogo di arrivo
25/31Poprad Auschwitz
26/32ZilinaLublino
27/33PatrónkaAuschwitz
29/3 4SeredLublino
30/35Novák Lublino
1/46PatrónkaAuschwitz
2/4 7PopradAuschwitz
4/48Zilina Lublino
6/49NovákLublino
7/4 10PopradAuschwitz
8/411Sered Lublino
10/412ZilinaLublino
11/4 13PatrónkaAuschwitz
13/414Poprad Auschwitz
14/415SeredLublino
16/4 16NovákLublino
17/417Poprad Auschwitz
18/48PatrónkaAuschwitz
20/4 19PopradAuschwitz
21/420Novák Lublino (234)


Ogni trasporto doveva contenere 1.000 persone (235).
Il 24 marzo l’ SS-Obersturmbannführer Liebehenschel, capo dell’ Amt DI (Zentralamt) dell’SS-WVHA, inviò un telescritto al comandante del campo per prigionieri di guerra di Lublino, SS-Standartenführer Koch, con oggetto «Ebrei dalla Slovacchia», nel quale scrisse:
«I 10.000 (diecimila) Ebrei dalla Slovacchia destinati al locale campo, come già comunicato, vi vengono trasferiti con treni speciali a partire dal 27 marzo 1942. Ogni treno speciale trasporta 1.000 (mille) detenuti. Tutti i treni vengono diretti alla stazione di frontiera di Zwardon (Alta Slesia), dove arrivano di volta in volta alle 6,09 del mattino e durante una sosta di due ore vengono [presi in carico e ] fatti proseguire verso il luogo di destinazione dal commando di scorta della Polizia di Sicurezza sotto la sorveglianza dell’ufficio della Polizia di Stato di Kattowitz» (236).
[«Die für das dortige Lager bestimmten 10000 (Zenhtausend) Juden aus der Slowakei werden ab 27.3.1942, wie bereits mitgeteilt, mit Sonderzügen nach dort überstellt werden. Jeder Sonderzug führt 1000 (eintausend) Häftlinge mit. Alle Züge werden über den Grenzbahnhof Zwardon (OS) geleitet, wo sie jeweils 6.09 Uhr früh eintreffen und während eines zweistündigen Aufenhaltes von Begleitkommandos der Schützpolizei unter Aufsicht der Staatspolizeistelle Kattowitz an den Bestimmungsort weitergeleitet werden»].

Il 27 marzo un impiegato dell’ufficio della Polizia di Stato di Kattowitz, tale Woltersdorf, inoltrò all’Amtsgruppe D dell’SS-WVHA e ad altri due uffici un rapporto sul primo trasporto di Ebrei slovacchi a Lublino, con oggetto «Impiego lavorativo di 20.000 Ebrei dalla Slovacchia» (Arbeitseinsatz von 20000 Juden aus Slowakei), nel quale informava:
«Arrivo del primo treno a Zwardon con 1.000 Ebrei abili al lavoro il 27 marzo 1942 alle 6,52. Partenza alle 8,05 da Zwardon per il KL Lublino. Nel trasporto c’era anche un medico ebreo, sicché il numero totale è di 1.001 persone» (237).

Il 29 aprile l’ambasciata tedesca a Bratislava trasmise al governo slovacco una «Nota verbale» (Verbalnote) nella quale si legge:
«Gli Ebrei trasportati e ancora da trasportare dal territorio della Slovacchia nel territorio del Reich, dopo preparazione e rieducazione professionale, saranno avviati all’impiego lavorativo nel Governatorato generale e nei territori orientali occupati. L’alloggiamento, il vettovagliamento, il vestiario e la rieducazione professionale degli Ebrei inclusi i loro parenti procurano spese che per ora non possono essere coperte dalla capacità di lavoro degli Ebrei, inizialmente piuttosto esigua, poiché la rieducazione professionale produce effetti solo dopo qualche tempo e poiché soltanto una parte degli Ebrei trasportati e ancora da trasportare è abile al lavoro».
[«Die aus dem Gebiet der Slowakei in das Reichsgebiet abbeförderten und noch abzufördernden Juden werden nach Vorbereitung und Umschulung zum Arbeitseinsatz in dem Generalgouvernement und in den besetzten Ostgebieten kommen.
Die Unterbringung, Verpflegung, Bekleidung und Umschulung der Juden einschliesslich ihrer Angehörigen verursachen Kosten die vorläufig aus der anfänglich nur geringen Arbeitsleistung der Juden nicht gedeckt werden können, da sich die Umschulung erst nach einiger Zeit auswirken [sic] und da nur ein Teil der abförderten und noch abzufördernden Juden arbeitsfähig ist»].

Per coprire queste spese, il governo del Reich chiedeva a quello slovacco un rimborso di 500 Reichsmark a persona (238).
L’11 maggio l’SS-Hauptsturmführer Wisliceny, rappresentante di Eichmann in Slovacchia, scrisse la lettera che segue al ministero degli Interni slovacco:
«Come il RSHA, Berlino, mi ha cominicato per telegrafo il 9 maggio 1942, sussiste la possibilità di accelerare l’azione di deportazione degli Ebrei dalla Slovacchia, potendo essere ancora inviati trasporti addizionali ad Auschwitz. Questi trasporti possono tuttavia contenere soltanto Ebrei ed Ebree abili al lavoro, nessun bambino. Allora sarebbe possibile aumentare la quota dei trasporti di 5 treni al mese. Per l’attuazione pratica mi permetto di presentare la seguente proposta:
Nel corso dei trasferimenti dalle città vengono selezionati e portati nei due campi di Sillein e Poprad gli Ebrei che possono essere ritenuti abili al lavoro»(corsivo mio) (239).
[«Wie mir das Reichssicherheitshauptamt Berlin am 9.5.1942 telegraphisch mitteilte, besteht die Möglichkeit, die Abschiebungsaktion der Juden aus der Slowakei zu beschleunigen, indem noch zusätzliche Transporte nach Auschwitz gesandt werden können. Diese Transporte dürfen aber nur arbeitsfähige Juden und Jüdinnen enthalten, keine Kinder. Es wäre dann möglich, die Abtransportquote um 5 Züge per Monat zu erhöhen. Zur praktischen Durchführung erlaube ich mir folgenden Vorschlag:
Bei der Aussiedlung aus der Städten werden solche Juden, die als arbeitsfähig angesprochen werden können, aussortiert und in die beiden Lager Sillein und Poprad vebracht»].

La proposta non fu accettata, perché nel mese di maggio i 19 trasporti di Ebrei che lasciarono la Slovacchia furono tutti inviati nel distretto di Lublino, con destinazione Lubartów, Luków, Międzyrzec Podlaski, Chełm, Dęblin, Puławy, Nałęczów, Rejowiec e Izbica. Complessivamente furono deportati circa 20.000 Ebrei (240).
In una lettera datata 24 marzo 1943, Gisi Fleischmann, la nota dirigente sionista slovacca che Hilberg menziona a p. 725, scrisse:
«Oggi però gli Schlichtim [i deportati] ci hanno portato rapporti, che giustificano una piccola speranza da parte nostra, secondo i quali là c’è ancora un piccolo resto [di Ebrei slovacchi]. Abbiamo ricevuto circa 200 lettere da Deblin-Irena e Konskowola, distretto di Lublino, dove, oltre ai nostri Ebrei, ci sono anche Ebrei belgi che vi sono arrivati nelle ultime settimane» (241).

È da notare che tutti i trasporti di Ebrei partiti dal Belgio fino al marzo 1943 erano stati diretti ad Auschwitz (242), perciò gli Ebrei belgi che si trovavano a Dęblin-Irena (243) e a Końskowola, un paesino a 6 km da Puławy, nella regione di Lublino, provenivano necessariamente da Auschwitz, nel quadro della migrazione all’Est menzionata sopra.
Le deportazioni ad Auschwitz ricominciarono solo dal 19 giugno 1942.
Hilberg non dice che i «20000 Ebrei slovacchi giovani e robusti» furono realmente deportati all’Est, circa 10.000 ad Auschwitz (244) e 10.000 a Lublino-Majdanek, forse perché, in questi due presunti «centri di sterminio», essi non furono sterminati, ma immatricolati e assegnati al lavoro. Perciò viene anche meno la sua pretesa relativa alla «leggenda del “reinsediamento”».

Hilberg riferisce poi che
«a Budapest il Nunzio apostolico, monsignor Angelo Rotta, ricevette da Bratislava un breve biglietto scritto da un ebreo, non firmato e non datato. Il biglietto diceva: “Siamo condannati alla distruzione. Sappiamo per certo che saremo trasportati in Polonia (a Lublino)”» (p. 724).

Nella relativa nota 1309 a p. 917, Hilberg scrive: «Rotta al cardinal Maglione, 13 marzo 1942, accompagnato da una nota ebraica, in Segretariato di Stato di Sua Santità, Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale, cit., pp. 457-58. Vedere anche segretario di Stato del Vaticano al Consolato Slovacco, 14 marzo 1942, che esprime la sua profonda inquietitudine riguardo all’imminente espulsione di 80000 Ebrei verso la Galizia e Lublino, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Ibid., pp. 459-60».
Acclusa alla lettera del 13 marzo 1942, il nunzio Rotta inviò al Vaticano «una supplica al Santo Padre dei disgraziati ebrei della Slovacchia minacciati di un’espulsione generale in Polonia». La supplica, redatta in tedesco dalla comunità ebraica di Presburgo (Bratislava), comincia con queste parole:
«Santo Padre!
La comunità ebraica di tutta la Slovacchia, 90.000 anime, si rivolge a Sua Santità per chiedere aiuto e salvezza.
Siamo condannati alla rovina (wir sind zum Untergang verurteilt). Come sappiamo per certo, dobbiamo essere deportati (hinaustransportiert) in Polonia (Lublino)» (245).

Qui non si parla dunque di «distruzione» (nell’accezione di Hilberg: Ausrottung, Vernichtung), ma di «rovina»( Untergang).
La lettera della Segreteria di Stato alla Legazione della Slovacchia datata 14 marzo 1942 contiene la frase che segue:
«Queste persone (circa 80.000) verrebbero deportate in Galizia e nella regione di Lublino e la deportazione si effettuerebbe separatamente per gli uomini, per le donne e per i fanciulli» (246).


Il 23 maggio 1942 Karol Sidor, ministro plenipotenziario della Repubblica Slovacca presso la Santa Sede, consegnò al segretario di Stato Maglione una nota sulla soluzione della questione ebraica. Questa nota, datata 8 maggio 1942, era la risposta ad una richiesta di informazioni della Santa Sede del 12 novembre 1941. Dopo aver spiegato le ragioni del ritardo della risposta, la nota spiega:
«Ma in questo periodo di tempo (247) avvenne un mutamento circa la soluzione della questione ebraica. Fra il Governo slovacco e il Governo tedesco ebbero luogo trattative sulla soluzione del problema ebraico in Europa e fu considerato che l’emigrazione degli ebrei slovacchi è soltanto come una parte di un più vasto programma integrale. Attualmente un mezzo milione di ebrei sarà mandato dall’Europa in Europa orientale. La Slovacchia sarebbe il primo Stato i cui abitanti d’origine ebraica sarebbero accettati dalla Germania. Contemporaneamente si realizza l’emigrazione degli ebrei dalla Francia (dalla parte occupata), dall’Olanda, dal Belgio, dal Protettorato, dal territorio del Reich. Così anche l’Ungheria ha manifestato di essere pronta di mandare via 800.000 ebrei come ha detto nel suo discorso il Presidente del Consiglio Dott. Kallay il 20 aprile a.c.
Gli ebrei slovacchi saranno collocati in diversi posti nei dintorni di Lublino dove resteranno definitivamente. La popolazione ariana sarà trasferita da quei territori e al suo posto sarà organizzato un distretto esclusivamente ebraico con sua propria amministrazione dove gli ebrei potranno vivere insieme e provvedere per la loro esistenza col proprio lavoro. Le famiglie resteranno unite» (248).

A pagina 731, Hilberg scrive:
«Il Nunzio apostolico a Bratislava, monsignor Giuseppe Burzio, ebbe una lunga conversazione con Tuka ai primi di aprile del 1943. Temendo nuove deportazioni riportò le “notizie incresciose” che circolavano sui deportati Ebrei in Polonia e in Ucraina (sic). Tutto il mondo ne parla»(p. 731).

Il testo originale dice:
«Vostra Eccellenza è, senza dubbio, a conoscenza delle tristi notizie che corrono sulla sorte atroce degli Ebrei deportati in Polonia e Ucraina. Tutto il mondo ne parla» (249).

Ciò, come viene precisato nell’introduzione al vol. 9 degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à a seconde guerre mondiale, non significava che Burzio o Rotta avessero nitizie certe:
«La parola “deportazione” implicava fin dal 1942 e ancor più nel 1943 il sentore di una tragedia senza nome. Qual era la sorte reale delle vittime alla fine della loro deportazione? Fin dal 1942 l’incaricato di Affari della Santa Sede a Bratislava, monsignor Burzio, scriveva che la deportazione “equivaleva a una morte certa” (250). Qualche settimana dopo, il nunzio a Budapest, Angelo Rotta, riferiva allo stesso modo la convinzione dei circoli ebraici d’Ungheria che i deportati slovacchi erano “destinati in gran parte a morte sicura”. Un anno dopo, nella sua conversazione col ministro Tuka, monsignor Burzio avrebbe fatto allusione alle “tristi notizie che corrono sulla sorte atroce degli Ebrei deportati in Polonia e Ucraina”. Nel frattempo le notizie sui trattamenti inflitti ai Polacchi ebrei o non ebrei nei campi di concentramento erano state ampiamente diffuse ad opera del governo polacco in esilio. Il mondo, compresi i rappresentanti del Papa nei paesi dell’Est, era forse al corrente del fatto che agli Ebrei era riservato un trattamento speciale, che erano sterminati al loro stesso arrivo, quelli almeno che erano incapaci di prestare alcun lavoro?» (251).

La domanda è evidentemente retorica. La fonte delle notizie è invece molto indicativa: il governo polacco in esilio a Londra, ossia la maggiore centrale mondiale di propaganda antitedesca.
Le dichiarazioni summenzionate contengono però anche un riferimento significativo: la destinazione delle deportazioni non era solo la Polonia, ma anche la Galizia e l’Ucraina, regioni a est dei «centri di sterminio» o campi di transito di Bełżec e Sobibór.
Nel 1942, la deportazione degli Ebrei slovacchi nella regione di Lublino si svolse come appare nella seguente tabella (252):





td>Rejowiec



Data di partenzaLuogo di arrivoNumero dei deportati
27.3.1942Lublino 1.000
30.3.1942Lublino1.000
31.3.1942 Lublino1.003
5.4.1942Lublino1.495
12.4.1942 Lubartów1.040
14.4.1942Lubartów 1.038
16.4.1942Rejowiec1.040
20.4.1942 Rejowiec1.030
22.4.1942Nałęczów 1.001
27.4.1942Nałęczów1.251
5.5.1942Lubartów1.040
6.5.1942 Łuków1.038
7.5.1942Łuków 1.040
8.5.1942Międzyrzec Podl.1.001
11.5.1942Chełm1.002
12.5.1942 Chełm1.002
13.5.1942Dęblin1.040
14.5.1942Dęblin1.040
17.5.1942 Puławy1.028
18.5.1942Nałęczów1.025
19.5.1942Nałęczów1.005
20.5.1942 Puławy1.001
23.5.1942Rejowiec1.630
24.5.19421.022
25.5.1942Rejowiec1.000
26.5.1942Nałęczów1.000
29.5.1942Izbica 1.052
30.5.1942Izbica1.000
1.6.1942 Sobibór1.000
2.6.1942Sobibór1.014
5.6.1942Sobibór1.000
6.6.1942 Sobibór1.001
8.6.1942Sobibór1.000
9.6.1942Sobibór1.010
11.6.1942Sobibór 1.000
12.6.1942Sobibór1.000
13.6.1942 Sobibór1.000
14.6.1942Sobibór1.000


39.889


Come abbiamo visto sopra, gli Ebrei che venivano «espulsi oltre il Bug», passavano appunto per i campi di transito di Bełżec e Sobibór.

Hilberg accenna poi quasi di sfuggita ad un fatto degno di nota:
«Tuka voleva una commissione slovacca, composta da un delegato del Parlamento, da un giornalista e forse anche da un cattolico, che andasse a ispezionare i campi nei quali erano stati mandati gli Ebrei. Il Consolato trasmise la richiesta all’esperto ebraico del Ministero degli Esteri, von Thadden, che, non sapendo che cosa fare, trasmise la questione a Eichmann. Il 2 giugno 1943 Eichmann rispose:
“Per quanto riguarda la proposta presentata dal Primo ministro, dottor Tuka, al Ministro tedesco di Bratislava, di inviare una commissione mista slovacca in un campo ebraico in territorio occupato, voglio far presente che un’ispezione di questo tipo è già stata effettuata recentemente per conto della Slovacchia, da Fiala, redattore capo del periodico Der Grenzbote.
Riguardo alla descrizione delle condizioni di vita nei campi ebraici, richiesta dal Primo ministro, il dottor Tuka, l’attenzione deve essere attirata sulla serie di articoli molto documentati scritti dal giornalista, che sono stati pubblicati, corredati da numerose fotografie ecc., nei seguenti periodici: Der Grenzbote, Slovak, Slovenska Politika, Gardiste, Magyar Hirlap e Pariser Zeitung....
Quanto al resto, per combattere le notizie fantasiose che circolano in Slovacchia sulla sorte degli Ebrei evacuati, l’attenzione deve essere attirata sulla corrispondenza inviata in Slovacchia dagli stessi Ebrei, che è direttamente trasmessa dal consigliere degli Affari ebraici presso il Consolato tedesco di Bratislava (Wisliceny) e che, per inciso, ammontava a 1000 lettere e cartoline nel periodo febbraio-marzo dell’anno scorso. Quanto alle informazioni che sollecita apparentemente il Primo ministro, dottor Tuka, sulle condizioni di vita nei campi ebraici, questo ufficio non solleva alcuna opposizione a che la corrispondenza sia controllata prima di essere spedita ai destinatari”»(p. 732).

Sull’ispezione di Fiala, nonostante la sua evidente importanza, Hilberg non dice nulla. Vale la pena perciò di riportare ciò che Wisliceny riferì al riguardo in una dichiarazione giurata del 4 aprile 1947:
«Oggetto: Caporedattore del “Grenzbote” Fritz Fiala.
Durante la deportazione degli Ebrei dalla Slovacchia, all’inizio dell’estate del 1942, ad una manifestazione sociale, credo che fosse una cosiddetta “serata dei consiglieri” all’autoclub, incontrai Fritz Fialla [sic], redattore del “Grenzbote” che conoscevo dal 1940. Nel corso della conversazione, Fialla mi chiese se era possibile che potesse mai visitare un centro di lavoro in Polonia in cui erano stati portati gli Ebrei. Egli avrebbe poi pubblicato un rapporto nella stampa slovacca e pensava che un tale rapporto avrebbe tranquillizzato molto l’opinione pubblica. Risposi a Fialla che avrei inoltrato la sua proposta. Successivamente una volta parlai telefonicamente con Eichmann di questa proposta, senza che egli si pronunciasse al riguardo. Qualche settimana dopo Eichmann mi chiamò e mi disse che Himmler aveva ordinato che nella stampa estera fossero pubblicati articoli sui campi di lavoro in Polonia. Anche il Ministero degli Esteri, cioè Ribbentropp, era molto interessato alla cosa. Egli aveva pensato a una visita a Theresienstadt da parte di rappresentanti della stampa neutrale a Berlino, ma non si aspettava un successo. [Mi chiese] se potessi andare con Fialla a Sosnowice, dove c’erano rappresentanti del governo slovacco già dal 1941. Dovevo parlare immediatamente con Fialla. Parlai quindi con Fialla, il quale però obiettò che il suo articolo, in Slovacchia, avrebbe avuto una risonanza soltanto se avesse potuto parlare con Ebrei slovacchi. Fialla riferì inoltre che era corrispondente capo del “Pariser Zeitung” e i suoi rapporti avrebbero potuto raggiungere la stampa francese per questa via. Riferii di nuovo ciò ad Eichmann, il quale replicò che avrebbe discusso con Höss, il comandante di Auschwitz, affinché Fialla potesse parlare con Ebrei slovacchi e francesi nel “campo di lavoro”. Allora i particolari della visita furono stabiliti da Eichmann. Poiché era intervenuto il Ministero degli Esteri, si occupava dell’affare anche il ministro Ludin ed io andai da lui con Fialla poco prima del nostro viaggio. Per ordine di Eichmann dovevo però far sapere a Fialla che i suoi articoli sarebbero stati sottoposti a Himmler per la censura preliminare. Fialla fu d’accordo anche su ciò. Egli allora mi lasciò intendere che lavorava come uomo di fiducia per il Servizio di Sicurezza.
Il viaggio si svolse in piena estate nel 1942. Andammo con la mia automobile prima a Zilina, dove Fialla visitò le baracche del campo di concentramento e fece fotografie. Lì fece anche un’ “intervista” a un certo Antal, che a suo dire era stato segretario di Stato nel governo di Bela Kun in Ungheria. Il mattino successivo di buon’ora andammo, via Cadca, a Kattowitz, dove, per ordine di Eichmann, ci dovevamo presentare all’ufficio della Polizia di Stato da un commissario criminale, di cui non ricordo più il nome. Questi ci fece da accompagnatore e guida nella visita di Sosnowice-Bendzin. Nella parte della città di Bendzin vivevano allora circa 100.000 Ebrei, che vi erano stati concentrati da tutta l’Alta Slesia. Nel corso della mattinata visitammo una serie di aziende artigianali e industriali. Fialla parlò con capi azienda e operai ed ebbe anche un colloquio col capo del consiglio degli anziani ebraico. L’impressione generale non fu cattiva. A mezzogiorno mangiammo a Sosnowice. Poi andammo ad Auschwitz. Vi arrivammo verso le 14. Höss ci aspettava al comando. Dopo le presentazioni, ci condusse ad un complesso di edifici che era situato vicino al comando. Vi vedemmo un dormitorio, una sala di lavaggio e doccia, un impianto di cucina molto moderno e una sala da concerto, dove l’orchestra del campo faceva una prova. Poi salimmo su automobili e andammo ad una lavanderia, dove lavoravano ragazze ebree della Slovacchia. Fialla parlò con queste ragazze e fece fotografie. Poi andammo in automobile presso una grossa falegnameria. Qui Fialla parlò con Ebrei slovacchi e francesi e fece di nuovo fotografie. Con ciò la visita era finita. Rifiutai un invito di Höss perché volevamo passare il confine prima che facesse buio. Lasciammo perciò Auschwitz verso le 16 e arrivammo solo a notte a Zilina, perché strada facendo avemmo un guasto. Circa 14 giorni dopo Fialla mi trasmise i suoi articoli con le fotografie. Li mandai a Berlino via corriere. Gli articoli giunsero poi a Himmler, che ebbe il tempo di leggerli solo dopo settimane. Poi il consigliere governativo Bosshamer venne a Vienna su incarico di Eichmann e aveva varie obiezioni, che Himmler aveva annotato a matita verde. Bosshamer voleva che gli articoli fossero riscritti completamente. Io rifiutai, dicendo che Fialla era un noto giornalista che non si sarebbe arreso. Alla fine Bosshamer cambiò soltanto qualche passo. Circa 8 giorni dopo, Eichmann mi chiamò e diede il permesso per la pubblicazione degli articoli. In queste settimane Fialla mi telefonò quasi ogni giorno è mi sollecitò per ottenere il permesso [di pubblicazione] degli articoli. Dichiarò che non gli faceva affatto piacere aspettare gli articoli per settimane. Verso la fine di ottobre o l’inizio di novembre gli articoli uscirono.
Nel corso della nostra visita ad Auchwitz non vedemmo assolutamente nulla che potesse far pensare a uno sterminio di Ebrei.
Fialla, per quanto riguarda la pubblicazione degli articoli, è una vittima della sua curiosità giornalistica e delle sue convinzioni di allora» (253).






7.
L’Ungheria


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Hilberg tratta la questione della deportazione degli Ebrei dall’Ungheria nel quadro della sua tesi della «distruzione», trascurando i retroscena di tale deportazione, che riprende, avulsi dal loro naturale contesto, oltre 170 pagine dopo, dove scrive:
«Il 1° marzo [1944], Speer e Milch avevano costituito la Jägerstab (lo “Stato Maggiore dell’Aviazione Caccia”), un comitato di coordinamento incaricato di costruire fabbriche per l’aviazione in enormi bunker. [...]. Per i suoi progetti di costruzione, la Jägerstab aveva bisogno di circa 250000 lavoratori. Gli esperti, dopo aver considerato le risorse di manodopera, decisero che era necessario impiegare gli Ebrei. Il 6 e il 7 aprile 1944, Saur affrontò personalmente con Hitler il problema; questi acconsentì a utilizzare, come ultima possibilità, 100000 Ebrei ungheresi, attesi a giorni, ad Auschwitz» (pp. 1002-1003).
Il 9 maggio Hitler ordinò di ritirare 10.000 uomini da Sebastopoli per sorvegliare i circa 200.000 Ebrei che sarebbero stati inviati nei campi di concentramento del Reich per esservi impiegati nello “Jäger-Bauprogramm” (programma di costruzioni Jäger) (254).
Hilberg descrive così i preparativi per la deportazione:
«Decisi a far sparire rapidamente gli Ebrei ungheresi, i Tedeschi non persero tempo. Per il 4 e 5 maggio, a Vienna, fu organizzata una riunione delle Ferrovie, al fine di studiare come inoltrare quattro convogli al giorno ad Auschwitz ognuno con 3000 Ebrei, a partire da metà maggio» (pp. 828-829).

La fonte da lui citata - la nota di von Thadden al Consolato tedesco di Budapest del 5 maggio 1944 (nota 1745 a p. 936) non menziona però né i 4 convogli con 3.000 Ebrei né Auschwitz (255); i dati - ma non la destinazione - appaiono invece nel telegramma di Veesenmayer al Ministero degli Esteri del 4 maggio 1944 (256).
«Il Ministero degli Esteri - prosegue Hilberg - prevedeva delle difficoltà di percorso: si rischiava di non poter passare per Lwów per ragioni militari, il percorso Budapest-Vienna non era raccomandabile perché la comunità ebraica della capitale ungherese avrebbe potuto allarmarsi, e il consolato tedesco di Bratislava non era tranquillo nell’acconsentire di attraversare il suo territorio. Gli agenti della rete ferroviaria, che si riunirono nell’ufficio della Wehrmachttransportleitung Südost, riuscirono a imporre il passaggio dalla Slovacchia in quanto si trattava del tragitto più breve» (p. 829)(corsivo mio).
Anche in questo caso Hilberg fornisce una ricostruzione alquanto approssimativa e imprecisa degli eventi. Riassumo ciò che ho scritto al riguardo nel mio studio sulla deportazione degli Ebrei ungheresi (257).
Il 2 maggio von Thadden inviò il seguente telegramma all’ambasciata tedesca a Bratislava:
«Il piano di viaggio per la deportazione di un numero molto grande di Ebrei ungheresi per l’impiego lavorativo nei territori orientali sarà redatto a Vienna il 4 e 5 maggio. Probabilmente gran parte dei trasporti dovranno essere diretti attraverso la Slovacchia. Se a questo riguardo dovessero sussistere serie riserve, prego inviarmi un rapporto telegrafico».
(«Fahrplan für Abtransport grösserer Anzahl ungarischer Juden zum Arbeitseinsatz in die Ostgebiete wird 4. – 5. Mai in Wien zur Aufstellung gelangen. Vermutlich wird Grossteil Transporte durch Slowakei geleitet werden müssen. Sollten hiergegen schwerwiegende Bedenken bestehen, erbitte Drahtbericht») (258).

Il 3 maggio Hans Ludin, ministro tedesco a Bratislava, rispose:
«Nella deportazione di un numero molto grande di Ebrei ungheresi per l’impiego lavorativo nei territori orientali, prego di interessare il meno possibile il territorio slovacco».
(«Erbitte bei Abtransport grösserer Anzahl ungarischer Juden zum Arbeitseinsatz in die Ostgebiete das Gebiet der Slowakei möglichst nicht zu berühren») (259).

Il 5 maggio von Thadden inviò a Ludin un altro messaggio con oggetto «Deportazione di Ebrei ungheresi per l’impiego lavorativo nei territori orientali» (“Abtransport ungarischer Juden zum Arbeitseinsatz in die Ostgebiete”) in cui diceva:
«Nell’affare indicato accanto sorgono le seguenti difficoltà: Una conduzione di trasporti via Lemberg (260) è straordinariamente difficile per ragioni militari, una conduzione di trasporti dall’Ungheria orientale – e la deportazione deve cominciare da questa parte del territorio – via Budapest-Vienna porterebbe a un rilevante e attualmente indesiderato turbamento della popolazione di Budapest. Perciò da parte del RSHA si attribuisce grande importanza al fatto che almeno i trasporti dall’Ungheria orientale, nella misura in cui non possano viaggiare via Lemberg, vengano condotti attraverso la Slovacchia. […].
Nota. [...].
Del resto anche il RSHA è massimamente interessato ad una conduzione dei trasporti via Lemberg, perché sarebbe la via più breve. Nella misura in cui il tratto di Lemberg venisse lasciato libero da parte dell’autorità militare, esso sarebbe dunque adibito al trasporto» (corsivo mio).
(«In der nebenbezeichneten Angelegenheit ergeben sich folgende Schwierigkeiten: Eine Transportführung über Lemberg ist aus militärischen Gründen ausserordentlich schwierig, eine Leitung von Transporten aus Ostungarn - und in diesem Gebietsteil soll mit dem Abtransport begonnen werden – über Budapest-Wien würde zu einer erheblichen und z.Zt. unerwünschten Beunruhigung der Budapester Bevölkerung führen. Es ist daher seitens des RSHA besondere Wert darauf gelegt worden, dass wenigstens die Transporte aus Ostungarn, soweit sie nicht über Lemberg laufen können, durch die Slowakei geführt werden. [...].
Vermerk. […].
Im übrigen sei auch das RSHA am meisten an einer Leitung der Transporte über Lemberg interessiert, weil es die kürzeste Marschroute wäre. Soweit die Strecke Lemberg seitens der militärischen Behörde überhaupt freigegeben würde, werde sie daher für die Transporte herangezogen werden») (261).

Da questi documenti risulta pertanto che la deportazione degli Ebrei ungheresi doveva cominciare dall’Ungheria orientale, la finalità dei trasporti era l’ «impiego lavorativo» (Arbeitseinsatz), la destinazione dei trasporti erano i «territori orientali» (Ostgebiete) e la via più breve per giungere a destinazione era quella che passava per Lemberg. È dunque falso che la via più breve fosse quella per la Slovacchia, come afferma Hilberg. Ma, partendo dall’Ungheria orientale, la via più breve, passando per Lemberg, era proprio quella verso i «territori orientali». La destinazione era forse la linea Bobrujsk-Mogilev-Orša-Vitebsk, dove Hitler, l’8 marzo 1944, aveva ordinato di creare delle piazzeforti.
Molti trasporti dall’Ungheria orientale (da Felsővisó, Kőrösmezó, Máramarossziget, Huszt, Iza, Munkács) passarono infatti per Lemberg via Stryj (262), ed è dunque molto verosimile che alcuni trasporti, invece di piegare ad ovest verso Przemyśl-Auschwitz, abbiano proseguito a nord verso i territori orientali secondo il piano originario. Così si spiega senza dubbio la presenza di Ebree ungheresi a Kaunas (nei documenti tedeschi: Kauen).
Da Kaunas giunsero infatti a Stutthof le seguenti Ebree ungheresi:
• 54 (numeri di matricola 48947-49000) il 19 luglio in un trasporto di 1.097 Ebree (263);

• 588 il 4 agosto in un trasporto di 793 Ebree di 743 delle quali sono noti i nomi (264);
Da Riga arrivarono a Stutthof le seguenti Ebree ungheresi:
• 484 il 9 agosto in un trasporto di 6.382 Ebree, di 1.858 delle quali sono noti i nomi, sicché la percentuale delle Ebree ungheresi è il 26% dei nomi conosciuti (265);
• 15 il 1° ottobre in un trasporto di 1.777 Ebree, di 817 delle quali sono noti i nomi (266).

Complessivamente, da Kaunas e da Riga pervennero a Stutthof un minimo di 1.141 Ebree ungheresi.
Molto probabilmente passarono per Lemberg anche le 10.000 Ebree richieste il 14 maggio 1944 dall’SS-Standartenführer Maurer per il campo di Płaszów, situato ai sobborghi di Cracovia, e il trasporto che giunse a Lublino-Majdanek dall’Ungheria il 25 maggio 1944 (267).
D’altra parte, proprio in concomitanza coll’inizio delle deportazioni dall’Ungheria, il 15 maggio 1944, un trasporto di 878 Ebrei, quasi tutti abili al lavoro, partì da Drancy alla volta di Kaunas (268).
Come ho rilevato nel mio studio menzionato sopra, Auschwitz divenne poi «campo di raccolta» (Sammellager) degli Ebrei ungheresi, probabilmente per, o anche per, lo “Jäger-Bauprogramm”, soltanto come soluzione di ripiego: l’amministrazione del campo fu colta di sorpresa dall’arrivo di questa enorme massa di persone e non ebbe il tempo di organizzarsi per accogliere in modo decente i futuri lavoratori coatti del Reich. Ciò, naturalmente, vale a maggior ragione per i presunti impianti di sterminio (269).
Neppure la deportazione degli Ebrei ungheresi si spiega dunque con la teoria della «distruzione» sostenuta da Hilberg.
La storia di Joel Brand rende la teoria di Hilberg ancora più inconsistente. Egli la riassume a p. 836, asserendo che Eichmann, col consenso di Himmler, «propose un piano secondo il quale la vita degli Ebrei ungheresi avrebbe potuto essere salva, ma non in cambio di denaro, ma di altro tipo di merci di scambio». Egli elenca poi queste merci, ma non indica il numero di Ebrei che Himmler era pronto a dare in cambio di esse. Alla fine del libro, Hilberg ritorna sulla questione, narrandola accuratamente (pp. 1214-1219). Solo qui egli informa qual era la posta in gioco: un milione di Ebrei in cambio di 10.000 autocarri, inoltre alcune migliaia di tonnellate di tè, di caffè, di sapone e di altri articoli (p. 1214).
Ecco come Rudolf Kastner, segretario del comitato di soccorso sionista di Budapest, riferì i termini del piano:
«Per la consegna di un milione di Ebrei ungheresi i Tedeschi chiedevano 200 tonnellate di tè, 800 tonnellate di caffè, 2 milioni di casse di sapone, 10.000 autocarri nonché altre merci strategiche, specialmente tungsteno, il cui quantitivo non era indicato» (270).

Brand, che conduceva le trattative, fu arrestato dai Britannici mentre cercava di entrare in Palestina. Al Cairo, egli incontrò Lord Moyne, a quell’epoca Ministro di Stato britannico per il Medio Oriente, che gli chiese informazioni sulla proposta di Eichmann.
«Brand rispose che l’offerta riguardava un milione di persone. “Ma, signor Brand, esclamò l’interlocutore britannico, che cosa dovrei fare con quel milione di Ebrei? Dove dovrei metterli?”»(p. 1221).

Come si concilia la proposta di Himmler di scambiare un milione di Ebrei ungheresi con la la teoria della «distruzione» di Hilberg?

In conclusione, in nessun caso Hilberg dimostra che le deportazioni ebraiche costituissero l’attuazione di un «processo di distruzione» in virtù di un ordine specifico impartito da Hitler «prima della fine dell’estate del 1941». Al contrario, la documentazione esistente, nel suo compesso, smentisce apertamente questa teoria.
Non resta perciò che esaminare se i campi in cui furono diretti gran parte dei trasporti ebraici fossero realmente dei «centri di sterminio».








CAPITOLO III
I «centri di sterminio»


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1.
Il «centro di sterminio» di Chełmno


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Hilberg apre il capitolo nono («I centri di sterminio») con queste parole:
«Le operazioni più segrete del processo di distruzione si svolsero in sei campi situati in Polonia, in un’area che si estendeva dai territori incorporati fino al Bug» (p. 941).

Questi campi erano: Chełmno (Kulmhof per i Tedeschi), Bełżec, Sobibór, Treblinka, Lublino-Majdanek e Auschwitz.

Il primo centro menzionato da Hilberg è quello di Chełmno. Egli scrive:
«Nel 1941, il Gauleiter Greiser, del Wartheland, ottenne da Himmler l’autorizzazione a uccidere 100.000 Ebrei nel suo Gau»(p. 949).

La fonte (nota 15 a p. 1050) è una lettera di Greiser a Himmler del 1° maggio 1942 (documento NO-246). Ma qui l’uccisione non è affatto menzionata. Il
documento dice:
«Reichsführer!
L’azione del trattamento speciale di circa 100.000 Ebrei nel territorio del mio Gau da Lei approvata d’intesa con il capo del Reichssicherheitshauptamt, SS-Obergruppenführer Heydrich, potrà essere conclusa nei prossimi 2-3 mesi». [«Reichsführer! Die von Ihnen im Einvernehmen mit dem Chef des Reichssicherheits-Hauptamtes SS-Obergruppenführer Heydrich genehmigte Aktion der Sonderbehandlung von rund 100000 Juden in meinem Gaugebiet wird in den nächsten 2-3 Monaten abgeschlossen werden können]».

Questa “Sonderbehandlung” non era altro che l’estensione agli Ebrei del Wartheland dell’ordine che Himmler aveva trasmesso a Greiser il 28 settembre 1941, relativo all’espulsione «la prossima primavera», cioè la primavera 1942, degli Ebrei del Vecchio Reich e del Protettorato, attraverso il ghetto di Łódź.

Hilberg aggiunge:

«Tre camion [di gasazione] furono dunque inviati nel bosco di Kulmhof (Chełmno), la regione fu chiusa, e il primo centro di sterminio cominciò a funzionare» (p. 949).

La fonte di quest’affermazione è l’articolo del giudice istruttore Władysław Bednarz «Extermination Camp at Chemno» pubblicato nel 1946 nella raccolta German Crimes in Poland (nota 16 a p. 1050). Ma questa fonte non riporta alcun documento sull’impiego dei tre presunti camion di gasazione in tale campo.
A pagina 956 Hilberg ribadisce che «si dotava Kulmhof di camion a gas», ma a sostegno di ciò non solo adduce alcun documento.





2.
I «centri di sterminio» di Bełżec, Sobibór, Treblinka


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Sulla genesi dei presunti campi di sterminio orientali, Hilberg scrive:
«L’Amt Haushalt und Bauten (diventato, dopo la riorganizzazione del marzo 1942, WVHA-C) e il suo organismo regionale, edificarono tre campi, in condizioni sommarie, a Bełżec, Sobibór e Treblinka. Si scelsero i luoghi in base al loro isolamento e in funzione della loro vicinanza a scali ferroviari. Il progetto si caratterizzò per molta improvvisazione e per la grande economia: manodopera e materiale vennero procurati sul posto, con una spesa minima» (p. 951).

L’attuazione del presunto ordine di sterminio di Hitler non veniva dunque preso troppo sul serio da Globocnik, suo presunto esecutore.

Hilberg riassume poi in meno di una pagina e mezza la genesi dei campi di Bełżec, Sobibór e Treblinka, appellandosi a poche testimonianze del dopoguerra e a due documenti relativi alla costruzione del campo di Treblinka. Al riguardo scrive:
«Il dottor Eberl sfruttava il ghetto anche per rifornirsi di interruttori, chiodi, fili e carta da parati. Una volta in più, gli Ebrei contribuirono involontariamente alla loro distruzione» (p. 954).

Egli rimanda come fonte al libro a cura dell’Istituto Storico Ebraico di Varsavia Faschismus-Getto-Massenmord. Dokumentation über Ausrottung und Widerstand der Juden in Polen während des zweiten Weltkrieges. Berlino, 1961 (271), e precisamente a una lettera inviata da Eberl al Commissario del distretto ebraico del 26 giugno 1942, riportata in fac-simile a p. 304 (nota 37 a p. 1052). Tuttavia questo documento ha come oggetto il campo di lavoro di Treblinka (Betrifft: Arbeitslager Treblinka), non il presunto campo di sterminio. Ora, proprio nella nota precedente Hilberg informa:
«Un campo di lavoro (Treblinka I) esisteva già, non molto lontano dal posto. Si inviava a Treblinka I della manodopera ebraica prelevata dal ghetto di Varsavia, e i detenuti, polacchi o ebrei, potevano essere usati per la costruzione. Treblinka I, dove comandava l’Hauptsturmführer van Eupen, era amministrativamente indipendente dal campo di sterminio» (nota 36 a p. 1052).

Egli attribuisce pertanto al presunto campo di sterminio un documento relativo al campo di lavoro.

Hilberg riassume poi i preparativi delle SS per il presunto sterminio ebraico:
«Persino durante la costruzione dei tre campi, dei convogli di deportati ebrei provenienti dal Distretto di Cracovia, dal Reich e dal Protettorato, arrivavano nella regione di Hrubieszów-Zamość. La Divisione centrale dell’Interno del Governatorato generale (Siebert) ordinò al direttore della Suddivisione della Popolazione e dell’Aiuto Sociale, della Divisione dell’Interno dell’Ufficio del governatore di Lublino (Türk), di aiutare Globocnik a trovare posto per gli Ebrei che stavano affluendo nel distretto. Il vice di Türk (Reuter) ebbe dunque uno scambio di pareri con l’esperto di Globocnik incaricato delle questioni relative al “reinsediamento” degli Ebrei, l’Hauptsturmführer Höfle. Quest’ultimo fece alcune osservazioni interessanti. Si stava costruendo un campo a Bełżec, vicino alla frontiera del Governatorato generale, nel sotto-distretto (Kreis) di Zamość. Nel frattempo, dove si potevano scaricare 60000 Ebrei sulla linea Deblin-Trawniki? Höfle era pronto a ricevere quattro o cinque trasporti al giorno, a Bełżec.
“Questi Ebrei attraverseranno la frontiera e non ritorneranno mai più nel territorio del Governatorato generale (Diese Juden kämen über die Grenze und würden nie mehr ins Generalgouvernement zurückkommen)” » (p. 954).

La fonte è il già citato Faschismus-Getto-Massenmord. Dokumentation über Ausrottung und Widerstand der Juden in Polen während des zweiten Weltkrieges, pp. 269-270 (nota 38 a p. 1052).
Hilberg lascia intendere che i trasporti ebraici inviati nella regione di Hrubieszów-Zamość fossero destinati allo sterminio (e a tale scopo vi arrivavano «persino durante la costruzione dei tre campi»); che si era incerti su dove scaricare 60.000 Ebrei sulla linea Dęblin-Trawniki, ma «Höfle era pronto a ricevere quattro o cinque trasporti al giorno, a Bełżec», sicché questi 60.000 Ebrei dovevano essere tutti sterminati.
In realtà il documento in questione dice tutt’altro. Riprendo l’analisi che ho proposto nel mio studio sul campo di Bełżec, al quale rimando per un inquadramento generale della questione (272).
Riporto anzitutto la traduzione del documento:
«Ho concordato un colloquio con l’SS-Hauptsturmführer Höfle per lunedì 16 marzo 1942, alle 17,30. Nel corso del colloquio l’SS-Hauptsturmführer Höfle ha dichiarato quanto segue:
1. Sarebbe opportuno suddividere già alla stazione di partenza i trasporti ebraici che arrivano nel distretto di Lublino in Ebrei abili e inabili al lavoro. Se la ripartizione alla stazione di partenza non è possibile, bisognerebbe eventualmente effettuare la ripartizione del trasporto a Lublino secondo i punti di vista summenzionati.
2. Gli Ebrei inabili al lavoro andranno tutti a Bełżec, l’estrema stazione di confine della circoscrizione di Zamość.
3. L’SS-Hauptsturmführer Höfle sta per costruire un grosso campo nel quale gli Ebrei abili al lavoro possano essere registrati col sistema degli schedari secondo le loro professioni e da lì possano essere richiesti.
4. Piaski sarà liberato degli Ebrei polacchi e diventerà punto di raccolta per gli Ebrei che arrivano dal Reich.
5. A Trawniki per il momento non verranno acquartierati Ebrei.
6. Höfle chiede dove, sul tratto Dęblin-Trawniki, possano essere scaricati 60.000 Ebrei. Informato sui trasporti ebraici che ora procedono da parte nostra, Höfle ha dichiarato che, dei 500 Ebrei che arrivano a Susiec, gli inabili al lavoro potrebbero essere selezionati e inviati a Bełzec. Secondo il telescritto del Governo del 4 marzo 1942, un trasporto ebraico viaggia[va] dal Protettorato con stazione finale Trawniki. Questi Ebrei non sono stati scaricati a Trawniki, ma sono stati portati a Izbiza. La richiesta del capo della circoscrizione di Zamość di poter prelevare da lì 200 Ebrei per il lavoro è stata accolta da Höfle.
Infine egli ha dichiarato che può accogliere 4-5 trasporti al giorno di 1.000 Ebrei con stazione finale Bełżec. Questi Ebrei andranno oltre il confine e non ritorneranno più nel Governatorato generale» (273).

Höfle era un ufficiale superiore sostituto dell’SS-und Polizeiführer del distretto di Lublino (Globocnik) e in tale qualità, secondo la storiografia ufficiale, «egli coordinò la costruzione del campo di sterminio di Bełżec e le deportazioni in esso dal distretto di Lublino» (274). Bełżec, che cominciò la sua pretesa attività di sterminio il giorno dopo il colloquio summenzionato, il 17 marzo 1942, secondo tale storiografia, sarebbe stato un campo di sterminio totale, senza distinzione tra Ebrei abili e inabili al lavoro. Il documento summenzionato dice invece che:
1. Era prevista la suddivisione tra Ebrei abili e inabili al lavoro.
2. Era previsto l’impiego a scopo lavorativo degli Ebrei abili al lavoro.
3. Era previsto un grosso campo di smistamento degli Ebrei abili al lavoro catalogati «col sistema degli schedari secondo le loro professioni». Questo progetto è inconciliabile con la tesi dei campo di sterminio totale.
4. Gli Ebrei inabili al lavoro sarebbero stati inviati tutti a Bełżec. Il campo avrebbe potuto «accogliere 4-5 trasporti al giorno di 1.000 Ebrei», evidentemente di Ebrei inabili al lavoro, che sarebbero stati deportati «oltre il confine» e non sarebbero più ritornati nel Governatorato generale. Per questo Bełżec viene chiamata «l’estrema stazione di confine della circoscrizione di Zamość». Questa frase ha senso solo in funzione di un reale trasferimento oltrefrontiera (275).
5. Piaski doveva essere «il punto di raccolta» (Sammelpunkt) per gli Ebrei che arrivavano dal Reich. Questa località si trova (distanza stradale) 24 km a sud-est di Lublino e a 91 km da Bełżec. La distanza ferroviaria da Bełżec è ancora maggiore (circa 130 km). Ciò è in contrasto con la tesi secondo la quale Bełżec era un campo di sterminio totale, perché in questo caso il «punto di raccolta» sarebbe stato il campo stesso.
6. Era previsto di scaricare 60.000 Ebrei in un punto della linea Dęblin-Trawniki. Dęblin si trova 76 km a nord-ovest di Lublino (in direzione di Varsavia), Trawniki 13 km a est di Piaski (per il quale funge da stazione), sulla ferrovia Lublino-Rejowiec-Chełm /Lublino- Bełżec (prima della stazione di Rejowiec una diramazione della ferrovia piega verso sud fino a Bełżec). Anche questo progetto è inconciliabile con la tesi di Bełżec come campo di sterminio totale.
Questo fatto è confermato pienamente dal rapporto del 7 aprile 1942 dell’ SS-Hauptsturmführer Richard Türk, capo della Abteilung für Bevölkerungswesen und Fürsorge nell’ufficio del Governatore del distretto di Lublino. Il rapporto, relativo al mese di marzo, contiene infatti un paragrafo intitolato «Azione di trasferimento ebraico del Capo delle SS e della Polizia» (Judenumsiedlungsaktion des SS- und Polizeiführers) nel quale Türk riferisce:
«Coll’incaricato del Capo delle SS e della Polizia sono state e sono attualmente discusse le possibilità di alloggio [die Unterbringungsmöglichkeiten], invero limitate, lungo la linea ferroviaria Dęblin-Rejowiec-Bełżec. Sono state verificate possibilità di ripiego.
In base alla mia proposta, in via di principio è chiaro che gli Ebrei locali devono essere evacuati (auszusiedeln sind) per quanto possibile nella stessa misura in cui gli Ebrei vengono insediati (eingesiedelt) dall’Occidente.
Attualmente lo stato del movimento di trasferimento è che dal Reich [qui] sono stati trasferiti [hergesiedelt] circa 6.000 Ebrei, circa 7.500 sono stati evacuati [herausgesiedelt] dal distretto e 18.000 dalla città di Lublino.
In particolare, da Piaski, circoscrizione di Lublino, sono stati evacuati 3.400 [Ebrei] e finora vi sono arrivati 2.000 Ebrei del Reich (Reichsjuden); da Izbica, circoscrizione di Krasnystaw, 2.200 e finora sono arrivati 4.000 Ebrei del Reich; da Opole e Wawolnica, circoscrizione di Pulawy, 1.950 evacuati».
Il rapporto menziona poi il «trasferimento ebraico» da Mielec e Bilgoraj, specificando che la maggior parte dei trasferiti erano inabili al lavoro:
«Il 13.3.1942 la circoscrizione di Cholm ha ricevuto circa 1.000 Ebrei, di cui 200 sono stati alloggiati a Sosnowice e 800 a Włodawa.
Il 14.3.1942 Miedzyrzec, circoscrizione di Radzyn, ha ricevuto circa 750 Ebrei.
Il 16.3.1942 la circoscrizione di Hrubieszow ha ricevuto 1.343 Ebrei, di cui 843 sono stati alloggiati a Dubienka e 500 a Belz.
La maggioranza erano donne e bambini e c’era solo un piccolo numero di uomini abili al lavoro.
Il 16.3.1942 la circoscrizione di Zamosc ha ricevuto circa 500 Ebrei, che sono stati alloggiati tutti a Cieszanow.
Il 22.3.1942 57 famiglie ebraiche con 221 persone sono state trasferite da Bilgoraj a Tarnogrod» (276).

La storia della politica nazionalsocialista di trasferimento ebraico nel distretto di Lublino conferma pienamente le direttive di Höfle menzionate sopra ed è in aperto contrasto con la tesi ufficiale dello sterminio ebraico. Nel quadro di questa politica, nella regione di Lublino, in cui originariamente si doveva creare una «riserva ebraica», furono deportati, dall’11 marzo al 15 luglio 1942, in 72 trasporti, 69.084 Ebrei provenienti da Vechio Reich, Slovacchia, Vienna e ghetto di Theresienstadt, che poi furono in parte assegnati a campi di lavoro locali, in parte trasferiti nei territori orientali (277).

Hilberg scrive ancora che
«dapprima a Bełżec si utilizzò gas in bottiglia; si trattava dello stesso preparato di monossido di carbonio che si mandava nei centri di eutanasia, o forse di acido cianidrico (acido prussico)» (p. 955).

Nella nota 39 a p. 1052, Hilberg spiega: «Il gas in bottiglia (Flaschengas) è nominato da Oberhauser (Obersturmführer di Bełżec). Vedere il testo della sua testimonianza orale in Rückerl, NS-Vernichtungslager, pp. 136-37. Il giudizio reso dal tribunale al processo Oberhauser precisa che il gas era del cianuro (Zyklon B). Ibid. , p. 133».
In tale fonte Oberhauser parla infatti di gasazioni «mit Flaschengas» (278), la sentenza menziona l’impiego di «Zyklon B-Gas» (279).
Le affermazioni di Hilberg contengono due imprecisioni. Anzitutto il «Flaschengas» non è ovviamente «gas in bottiglia», ma gas in bombola; in secondo luogo lo Zyklon B era «cianuro di idrogeno» o «acido cianidrico» liquido assorbito in una sostanza porosa e confezionato in barattoli ermeticamente chiusi. Hilberg invece lascia intendere che si potesse trattare di acido cianidrico in bottiglia, forse per creare una conferma fittizia alla storia di Kurt Gerstein del trasporto a Bełżec appunto di acido cianidrico in bottiglie (280).

Circa i tre «centri di sterminio» summenzionati, Hilberg afferma:
«La capacità limitata dei campi, preoccupava Globocnik: temeva di trovarsi “ingolfato”» (p. 955).

La fonte è la lettera di Brack a Himmler del 23 giugno 1942, NO-205.
Ma questo documento non menziona affatto «la capacità limitata dei campi», espressione introdotta da Hilberg. Il testo dice:
«In questa occasione il Brigadeführer Globocnik ha espresso l’opinione di attuare ora in qualche modo l’azione ebraica il più presto possibile, per non restarci un giorno impantanati dentro se delle difficoltà renderanno necessario arrestare l’azione».
[«Bei dieser Angelegenheit vertrat Brigadeführer Globocnik die Auffassung, die ganze Judenaktion so schnell wie nur irgend möglich durchzuführen, damit man nicht eines Tages mitten drin steckenbliebe, wenn irgendwelche Schwierigkeiten ein Abstoppen der Aktion notwendig machen»].


Hilberg riassume in 10 righe la presunta costruzione di nuove camere a gas nei tre campi summenzionati (p. 955), osservando:

«Le informazioni relative al numero e alle dimensioni delle camere a gas che erano nei campi, non si basano su documenti, ma sui ricordi dei testimoni» (nota 43 a p. 1052).

Infatti al riguardo non esiste alcun documento. Quanto alle testimonianze, per giudicare il loro valore è sufficiente esaminare il caso di Bełżec. Per questo campo, Hilberg adduce tre testimoni: Kurt Gerstein, del quale mi occuperò successivamente, Rudolf Reder e Chaim Hirszman (nota 427 a p. 1070), che sono considerati tutti e tre «inattendibili» da uno dei massimi esperti olocaustici del campo di Bełżec, Michael Tregenza (281). In effetti i primi due resero dichiarazioni inconciliabili: mentre Gerstein attribuiva la morte delle vittime nelle locali camere a gas ai gas prodotti da un «motore Diesel» (Dieselmotor) (282), Reder parlava di un «motore con propulsione a benzina» che consumava «4 bidoni di benzina al giorno» (283), di un «motore azionato a benzina» (motor pędzony benzyną) che consumava «circa 80-100 litri di benzina al giorno» (284) i cui gas di scarico, però, non erano impiegati per uccidere le vittime. Nell’interrogatorio del 29 dicembre 1945, infatti, Reder demolì la storia delle gasazioni omicide con i gas di scarico di un motore, dichiarando:
«Non so dire se attraverso questi tubi si sprigionasse qualche gas nelle camere, se si comprimesse l’aria nelle camere oppure se l’aria venisse pompata via dalle camere. [...]. L’aria nelle camere, dopo la loro apertura, era pura, limpida e inodore. In particolare, in esse non si percepiva alcun fumo dei gas di combustione del motore. Questi gas erano convogliati dal motore direttamente all’esterno e non nelle camere (Gazy te były odprowadzane z motoru wprost na dwór a nie do komór)» (285).


A p. 502 Hilberg scrive che il campo di Bełżec era destinato allo sterminio degli Ebrei della Galizia, ma successivamente, con riferimento al 31 dicembre 1942, afferma che «nel distretto della Galizia, gli Ebrei ancora presenti venivano fucilati»(p. 541). Nella relativa nota, Hilberg informa che «il dato delle deportazioni al 10 novembre 1943 [recte: 1942] era di 254989: al 27 giugno 1943, il dato complessivo raggiungeva la cifra di 434329 vittime. Katzmann a Krüger, 30 giugno 1943, L-18»(nota 463 a p. 875).
Perciò, secondo l’interpretazione di Hilberg, 254.989 Ebrei erano stati gasati a Bełżec e i restanti (434.329 - 254.989 =) 179.340 erano stati fucilati! Ma allora perché il «centro di sterminio» fu chiuso nel novembre o dicembre del 1942?
Hilberg dimentica di riferire che il 10 novembre 1942, quando ormai il presunto «centro di sterminio» stava per cessare o aveva già cessato la sua attività, l’SS-Obergruppenführer Friedrich Wilhelm Krüger, in qualità di Höherer SS- und Polizeiführer nel Governatorato generale e di segretario di Stato per la sicurezza, istituì ben 32 zone di residenza ebraica nel distretto di Galizia (286). La dimenticanza di Hilberg è tanto più strana in quanto l’istituzione di tali zone è menzionata esplicitamente da Katzmann proprio là dove riferisce la cifra delle deportazioni:

«Quando lo Höherer SS- und Polizeiführer con la sua ordinanza di polizia sull’istituzione di zone di residenza ebraiche (Judenwohnbezirken) del 10 novembre 1942 aveva affrontato ancora una volta in generale la questione ebraica, erano già stati evacuati o trasferiti (aus- bezw. umgesiedelt) 254.989 Ebrei» (287).

Katzmann parla poi dell’impiego di una parte degli Ebrei restanti nelle industrie degli armamenti tedesche, di cui descrive le condizioni di detenzione:
«Oltre al pasto principale, bisogna somministrare anche la colazione e la cena. Bisogna garantire un vitto completo anche in caso di malattia (auch im Krankheitsfalle ist volle Verpflegung zu gewähren). [...]. Le forze lavorative ebraiche ricevono il permesso di portare con sé, prima del trasferimento al campo, un abbondante vestiario, soprattutto invernale. [...]. Lo Höherer SS- und Polizeiführer della Galizia e il comando degli armamenti di Lemberg sono concordi nel ritenere necessario che le forze lavorative ebraiche debbano anche essere mantenute abili al lavoro, il che comporta alloggio, vestiario e assistenza medica adeguati» (288).

Il 26 giugno 1943 questi Ebrei erano 21.156, ripartiti in 21 campi di lavoro (289).
Circa la cifra delle «vittime» citata da Hilberg, il rapporto dice:
«Nel frattempo fu effettuata energicamente l’ulteriore evacuazione (Aussiedlung), sicché, con decorrenza dal 23 giugno 1943, tutte le zone di residenza ebraiche poterono essere sciolte. Il distretto di Galizia è perciò in tal modo judenfrei, ad eccezione degli Ebrei che si trovano nei campi sotto il controllo dello SS- und Polizeiführer. Gli Ebrei catturati ancora singolarmente vengono trattati in modo speciale (sonderbehandelt) dai relativi posti della Polizia d’ordine e della Gendarmeria. Fino al 27 giugno 1943 in totale erano [stati] evacuati (ausgesiedelt) 434.329 Ebrei» (290).

Il rapporto parla di «Sonderbehandlung» e «sonderbehandelt» altre due volte, in relazione alla «gentaglia ebraica asociale e scansafatiche» e agli Ebrei che avevano ottenuto disonestamente i certificati di lavoro (291). Poiché Hilberg ritiene che anche questa «Sonderbehandlung» sia un «eufemismo» per indicare l’uccisione, bisogna credere che Katzmann usasse due serie di «eufemismi»: quella Aussiedlung-ausgesiedelt/Umsiedlung-umgesiedelt per gli Ebrei presuntamente assassinati a Bełżec, e quella Sonderbehandlung-sonderbehandelt per quelli presuntamente assassinati in Galizia; di questi però dovrebbero far parte anche i presunti 179.340 fucilati summenzionati, che dunque dovrebbero rientrare nella seconda categoria, ma che invece figurano cumulativamente tra i 434.329 ausgesiedelt, perciò questo «eufemismo» indicherebbe nello stesso tempo i presunti gasati a Bełżec (254.989 Ebrei) e i presunti fucilati in Galizia (179.340 Ebrei)!

Di questi 179.340 presunti fucilati, Hilberg tenta di documentarne una parte, molto esigua, scrivendo:
«La modalità con cui si procedeva in Galizia, in linea generale, può essere ben illustrata da tre esempi presi da altrettante città. A Stanisławow, il 12 ottobre 1941, circa 10000 Ebrei erano stati radunati in un cimitero e uccisi. Un’altra esecuzione di massa si svolse nel marzo 1942, seguita da un incendio del ghetto che durò tre settimane. In aprile partirono dei convogli per Bełżec, e in estate si procedette di nuovo a dei massacri, nel corso dei quali, membri del Consiglio ebraico e uomini del servizio d’ordine vennero impiccati ai lampioni. In settembre e in ottobre partirono convogli molto carichi per Bełżec, circostanza che fu segnata dalla sanguinosa liquidazione di un ospedale e (secondo quanto venne riportato da un responsabile tedesco dell’agricoltura) da una processione di Ebrei costretti a raggiungere la stazione in ginocchio» (pp. 511-512).

Ma in realtà egli non riesce a documentare nulla, perché si affida a semplici «testimonianze» degli anni 1947-1948 (nota 355 a p. 868).

Chiudo questo paragrafo con le osservazioni di Jean-Claude Pressac sui «centri di sterminio», le quali chiamano in causa anche Hilberg. In un articolo intitolato «Inchiesta sui campi della morte», Pressac scrisse:

«In luogo di una installazione omicida, bisognerebbe accettare l’ipotesi di tre stazioni di disinfestazione installate tra la fine del 1941 e la metà del 1942 a Belzec, Sobibor e Treblinka; la scelta della loro installazione su una frontiera territoriale provvisoria si spiega se si ragiona in termini di igiene profilattica e di lotta contro il tifo per la distruzione di insetti portatori e se si considera che i tedeschi controllavano quasi il tifo nella loro zona di occupazione, mentre ciò non avveniva nei territori conquistati dell’Unione Sovietica. Così il programma di evacuazione all’Est degli Ebrei stabilito alla conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942era rispettato, dopo il transito attraverso questi tre setacci sanitari» (292).

A suo avviso, le presunte camere a gas omicide vi furono costruite più tardi, ma riguardo ad esse, in una intervista concessa a Valérie Igounet il 15 giugno 1995, dichiarò:

«Ho tentato di determinare il numero delle vittime dei campi detti di sterminio (des camps dits d’extermination) su basi materiali: superficie della camera a gas e quantità di persone che vi potevano essere contenute, durata di una gasazione, numero di gasazioni quotidiane, numero di convogli giornalieri in funzione delle capacità reali delle camere, ecc. Ecco le cifre che ottengo in rapporto a quelle di Hilberg tratte dai Polacchi. Chelmno: da 80 a 85.000 invece di 150.000; Belzec: da 100 a 150.000 invece di 550.000; Sobibor: da 30 a 35.000 invece di 200.000; Treblinka: da 200 a 250.000 invece di 750.000; Majdanek: meno di 100.000 invece di 360.000» (293).

Assumendo le cifre minime, Pressac ridusse il numero complessivo delle vittime dei campi “detti” di sterminio da 2.010.000 a 510.000 e concluse:
«Quanto al massacro degli Ebrei, molte nozioni fondamentali devono essere completamente corrette. Le cifre proposte [dalla storiografia olocaustica] sono da rivedere da cima a fondo. Il termine “genocidio” non conviene più (le terme “génocide” ne convient plus)» (294).






3.
Il «centro di sterminio» di Lublino-Majdanek


Indice

Indi Hilberg si occupa del campo di Lublino-Majdanek, riguardo al quale afferma:
«In settembre-ottobre 1942, furono aperte tre piccole camere a gas, poste in un edificio a forma di U. Due erano predisposte per utilizzare alternativamente il monossido di carbonio in bottiglia e l’acido cianidrico, la terza funzionava solamente con l’acido cianidrico. [...]. L’attività delle camere a gas, le quali fecero da 500 a 600 morti a settimana, per un anno, s’interruppero quando si decise di sterminare in un solo colpo tutti i detenuti ebraici [sic]. Dopo che il campo di Lublino ebbe preso il controllo amministrativo dei campi di lavoro di Trawniki e di Poniatowa, dall’inizio di novembre del 1943, si procedette a fucilazioni in massa» (pp. 955-956).

La storia delle presunte camere a gas omicide di Majdanek non ha alcun fondamento storico. Essa non è suffragata né da documenti, né da testimonianze. Anzi, documenti e testimonianze la smentiscono clamorosamente.
Il presunto «edificio a forma di U» menzionato da Hilberg non è mai esistito; c’era invece un complesso di disinfestazione costituito da due baracche collocate l’una accanto all’altra (le baracche 41 e 42, denominate Bad und Desinfektion I e II) e da una struttura in calcestruzzo situata dietro la baracca 41 che contiene due delle tre presunte camere a gas omicide menzionate da Hilberg. La terza, quella della baracca 41, non viene più considerata una camera a gas omicida (295).
Il progetto originario di questa struttura, di cui si è conservato un disegno redatto successivamente - il disegno della Bauleitung “K.G.L. Lublin. Entwesungsanlage. Bauwerk XIIA “ dell’ agosto 1942 - mostra un blocco rettangolare di m 10,76 x 8,64 x 2,45 contenente 2 camere di disinfestazione (Entlausungskammern) di m 10 x 3,75 x 2 (altezza). Dalla documentazione esistente risulta senza ombra di dubbio che si trattava di un un «impianto di disinfestazione secondo il sistema della disinfestazione con acido cianidrico» (Entwesungsanlage nach dem System der Blausäure-Entwesung) destinato allo stabilimento per il pellame e il vestiario di Lublino (für die Pelz- und Bekleidungswerkstätte Lublin) (296).
Nessun documento e nessuna testimonianza dimostrano che questo impianto fu usato a scopo omicida.
Per quanto riguarda il presunto impianto a monossido di carbonio, rilevo anzitutto che nessuno storico ufficiale ha mai spiegato per quale motivo, pur disponendo di due presunte camere a gas omicide a Zyklon B dotate di riscaldatori dell’aria, le SS del campo avrebbero diviso in due parti la camera II, adibendo solo il primo locale (di circa 17 metri quadrati) a camera a gas a monossido di carbonio e dotando la camera I, che funzionava a Zyklon B, di un impianto a monossido di carbonio: eppure nel campo di Majdanek lo Zyklon B mancò mai. Secondo la relativa documentazione – completa – dal giugno del 1942 al giugno 1944, esso ricevette complessivamente 6.961 kg di Zyklon B (297).
Ma c’è un altro argomento ben più importante: non esiste nessuna prova che le tubature installate nei due locali summenzionati servissero per l’immissione in essi di monossido di carbonio. Al riguardo non c’è nessun documento e nessuna testimonianza. L’unica “prova” è costituita da due bombole di acciaio situate in uno stanzino attiguo. Un cartello in cinque lingue avverte che «da qui veniva regolato l’afflusso del monossido di carbonio in due camere». Ma che prova c’è che le due bombole contenessero effettivamente monossido di carbonio? Nessuna. Sulle due bombole è infatti ancora leggibile la seguente incisione:
«Dr. Pater Victoria Kohlensäurefabrik Nussdorf Nr 6196 Full. 10 kg [illeggibile] und Fluid Warszawa Kohlensäure [illeggibile] Fluid Warszawa Lukowski. Pleschen 10,1 kg CO2 gepr.» (298).

Le due bombole non contenevano dunque ossido di carbonio (CO), ma anidride carbonica (CO2), che, come è noto, non è un gas tossico.
Per quanto riguarda le testimonianze, il giornalista Costantino Simonov, che visitò il campo di Majdanek subito dopo l’arrivo dei Sovietici e redasse un rapporto che fu pubblicato in forma di opuscolo nel 1944, sulla base delle testimonianze dei detenuti riferì quanto segue riguardo alla presunta camera a gas omicida a monossido di carbonio, davanti alla quale, sul pavimento, quando la ispezionò, vi erano dei barattoli di Zyklon B:

«Il contenuto dei barattoli si spargeva attraverso i tubi nella camera vicina, quand’essa era piena zeppa di gente. […]. Lo “zyclon” veniva introdotto per i tubi; l’SS che dirigeva l’operazione girava l’interruttore; la camera si illuminava e attraverso il finestrino, dal suo posto di osservazione, l’SS sorvegliava il processo d’asfissia che, stando alle diverse deposizioni, durava da 2 a 10 minuti» (299).

Dunque, alla liberazione del campo, nessun testimone sapeva nulla di gasazioni omicide mediante bombole di monossido di carbonio, mentre il procedimento di gasazione con lo Zyklon B descritto dai testimoni era inattuabile.
Sulle forniture di Zyklon B al campo di Majdanek, Hilberg fa riferimento a tre documenti pubblicati in fac-simile in un’opera polacca del 1979 e ad una testimonianza, ma poi precisa: «Il gas era comunemente usato nei campi anche per la disinfezione»(nota 44 a p. 1052), cioè per la disinfestazione: ma allora che cosa dimostrano i documenti che adduce?
Se si fosse preso la briga di visitare il campo, Hilberg avrebbe appreso che nell’archivio del locale Museo esiste una raccolta di circa sessanta documenti originali sulle forniture di Zyklon B a Majdanek a scopo di disinfestazione (300).
La storia della presunta fucilazione in massa di Ebrei del novembre 1943 di almeno 42.000 Ebrei (nota 45 a p. 1052) si basa esclusivamente su testimonianze che non sono avvalorate né da documenti né da reperti materiali, ma sono anzi dimostrabilmente false, come quella dell’ex dell’SS-Oberschaführer Erich Mussfeldt (301).
Il ricorso alla fucilazione per eliminare da 12.000 a 17.000 detenuti in un presunto «centro di sterminio» appositamente dotato di camere a gas omicide a Zyklon B è inspiegabile già per il fatto che sarebbe stato impossibile preservare il «segreto».Ancora più inspiegabile è il fatto che questa presunta fucilazione non avrebbe riguardato in modo specifico i detenuti inabili al lavoro, ma praticamente tutti, dato che nell’agosto 1943 il campo contava complessivamente circa 15.400 detenuti (302).
Mentre dunque in Galizia le forze lavorative ebraiche dovevano «essere mantenute abili al lavoro», il che comportava «alloggio, vestiario e assistenza medica adeguati», a Majdanek venivano incomprensibilmente fucilate.





4.
Il «centro di sterminio» di Auschwitz


Indice

Hilberg delinea la genesi del presunto sterminio ad Auschwitz affidandosi alle dichiarazioni di Höss:
«Durante l’estate del 1941, Höss fu convocato direttamente da Himmler (senza passare attraverso il suo superiore, Glücks) per prendere ordini. Nel corso dell’incontro - che avrebbe segnato il destino degli Ebrei provenienti da tutti i paesi d’Europa che vennero deportati -, Himmler disse a Höss che il Führer aveva ordinato la “soluzione finale” al problema ebraico. Himmler aveva scelto Auschwitz, per la sua vicinanza a Katowice, in Alta Slesia, perché vi si poteva accedere facilmente per ferrovia, e inoltre quel luogo, così esteso, offriva abbastanza spazio per poter assicurare un adeguato isolamento. Per i dettagli, Höss doveva rivolgersi a Eichmann. [...]. Nel corso delle settimane che seguirono, Eichmann si recò ad Auschwitz e discusse con Höss “i dettagli necessari”» (pp. 956-957).

La fonte è la deposizione di Höss a Norimberga (note 49 e 50 a p. 1053).
Nell’udienza del mattino del 15 aprile 1946, Höss dichiarò infatti che «nell’estate del 1941»(im Sommer 1941) fu convocato a Berlino da Himmler, il quale gli riferì che il Führer aveva ordinato «la soluzione finale della questione ebraica» (Die Endlösung der Judenfrage) (303).
Ma nell’estate del 1941 Hitler non poteva aver ordinato la “Endlösung” come sinomino di sterminio fisico, perché il termine, come ho documentato nelcapitolo I,2., e come è confermato da un’importante fonte di Hilberg, all’epoca non aveva assolutamente tale significato.
In effetti, in una pagina delle memorie di Eichmann citata da Hilberg nella nota 30 a p. 851 si legge quanto segue:
«Il concetto di “soluzione finale della questione ebraica” si enucleò dopo l’annessione dell’Austria. “Soluzione finale” non aveva nulla a che fare con la fine fisica o con la fine di una persona fisica. Il concetto burocratico di “soluzione finale della questione ebraica” fu usato continuamente. Nessuno pensava che questo concetto avrebbe incluso l’uccisione di Ebrei. Quando poi dalla [dopo la] fine del 1941 fu ordinato lo sterminio fisico, motivi di camuffamento indussero a mantenere l’innocua denominazione di “soluzione finale della questione ebraica” anche per [indicare] questo. Ciò che prima significava una soddisfazione da entrambe le parti mediante emigrazione, ormai camuffava lo sterminio fisico. Tuttavia il concetto di “soluzione finale” mantenne ancora anche in questo periodo il significato originale, infatti, ad esempio, anche l’emigrazione tramite Kastner in Ungheria o le ghettizzazioni non avevano nulla a che fare con lo sterminio e nonstante ciò furono riassunte sotto il concetto di “soluzione finale”; questo era dunque un iperconcetto, un concetto burocratico, che doveva essere chiaro» (304).

Ferme restando le contraddizioni insuperabili che ho esposto sopra circa l’esistenza e la datazione del presunto ordine di sterminio, questa importante fonte di Hilberg afferma che almeno fino alla fine del 1941 la Endlösung der Judenfrage non si riferiva allo sterminio ebraico: ma allora come poté Hitler ordinarla in questo senso nell’estate del 1941?
Questa datazione è in contrasto anche con le dichiarazioni di Wisliceny, che disse:
«Dal momento dello scoppio della guerra con la Russia e dall’entrata in guerra degli Stati Uniti cominciò a compiersi un radicale mutamento nella trattazione del problema ebraico. Questo mutamento non avvenne dall’oggi al domani, ma gradualmente, ed ebbe il suo apice finale solo nella primavera del 1942» (305).

Ricordo che per Wisliceny l’ordine di sterminio che Himmler avrebbe impartito a Höss nell’estate del 1941 risaliva invece all’aprile del 1942. E su queste macroscopiche contraddizioni Hilberg non dice nulla.

Nel brano citato sopra, Hilberg fa riferimento alla deposizione di Höss a Norimberga, mentre nella nota 30 a p. 851, in cui tratta parimenti della presunta convocazione di Höss da parte di Himmler, egli menziona le cosiddette annotazioni autobiografiche di Höss, cioè il libro Kommandant in Auschwitz. Egli non accenna neppure alle dichiarazioni ancora più particolareggiate di Höss contenute nel suo affidavit del 5 aprile 1946, che cita successivamente.
La ragione è semplice. Nelle annotazioni Höss affermò che l’ordine di sterminio gli era stato impartito nell’estate del 1941 e che Himmler gli spiegò che
«i centri di sterminio attualmente esistenti a Oriente non sono assolutamente in condizione di far fronte alle grandiose azioni previste» (306).

Nell’affidavit del 5 aprile 1946 (PS-3868(307)) Höss specificò quali erano questi «centri di sterminio»:

«Nel giugno 1941 avevo ricevuto l’ordine di istituire facilitazioni di sterminio ad Auschwitz. In quel periodo (zu jener Zeit) nel Governatorato generale esistevano già altri tre campi di sterminio: Belzek [sic], Treblinka e Wolzek» (308).

L’omissione è ben calcolata, perché Hilberg afferma che il campo di Bełżec fu aperto qualche giorno dopo il 16 marzo 1942 e quello di Treblinka nel mese di luglio (quello di Sobibór nel mese di aprile) (p. 954). Allora questi campi come potevano esistere già nel giugno 1941?
La cosa curiosa è che l’affidavit in questione fu letto in aula nello stesso interrogatorio di Höss menzionato da Hilberg e negli atti processuali appare solo una ventina di pagine dopo quelle da lui citate (309).
Ma quelle che ho segnalato non sono le sole contraddizioni che appaiono nelle dichiarazioni di Höss. Ce n’è un’altra, non meno grave, che Hilberg cerca di nascondere così:

«Nel frattempo Höss procedeva nella costruzione delle installazioni di sterminio, che avrebbero portato due notevoli miglioramenti. Dapprima, un piano di edificazione più compatto. Höss ideò due unità aggregate, dotate ognuna di un’anticamera, di una camera a gas e di un forno per la distruzione dei cadaveri. Poi, dopo aver visto Treblinka, decise che l’utilizzo del monossido di carbonio non era abbastanza “efficace”. Di conseguenza, introdusse nel suo campo un altro tipo di gas: un acido cianidrico ad azione rapida (acido prussico, in commercio con il nome di Zyklon) » (p. 958).

La fonte è appunto l’affidavit di Höss del 5 aprile 1946 (nota 55 a p. 1053). Hilberg si riferisce ai crematori II e III, i quali, secondo la storiografia olocaustica, avevano sì ciascuno uno spogliatoio e una camera a gas, ma non uno, bensì cinque forni a tre muffole. Ma ciò comunque è irrilevante rispetto alla dichiarazione di Höss relativa a Treblinka. Riprendo la citazione dall’inizio:
«Nel giugno 1941 avevo ricevuto l’ordine di istituire facilitazioni di sterminio ad Auschwitz. In quel periodo (zu jener Zeit) nel Governatorato generale esistevano già altri tre campi di sterminio: Belzek, Treblinka e Wolzek. Questi campi si trovavano sotto il comando operativo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza.
Visitai Treblinka per rendermi conto di come venissero attuati gli stermini. Il comandante del campo di Treblinka mi disse che aveva liquidato 80.000 [Ebrei] nel corso di un semestre. Egli aveva a che fare soprattutto con la liquidazione di tutti gli Ebrei del ghetto di Varsavia. Usava gas monossido [di carbonio] e a mio avviso i suoi metodi non erano molto efficaci. Quando ad Auschwitz costruii l’edificio dello sterminio usai dunque lo Zyklon B, acido cianidrico cristallizzato che versavamo nella camera della morte attraverso una piccola apertura» (310).

Höss introdusse dunque lo Zyklon B ad Auschwitz dopo la sua visita a Treblinka in quanto riteneva il sistema di uccisione con monossido di carbonio non molto efficace. L’ «edificio dello sterminio» era il crematorio del campo principale, ma secondo Danuta Czech l’attività di sterminio con lo Zyklon B in questo crematorio cominciò il 16 settembre 1941 (311). Per Hilberg ciò avvenne «dall’inizio del 1942» (p. 959). Ne consegue che Höss visitò Treblinka, che - ricordo - fu aperto nel luglio 1942, prima dell’inizio dell’anno o addirittura prima del 16 settembre 1941! Non solo, ma questo campo era già in funzione da sei mesi e aveva già “liquidato” 80.000 Ebrei del ghetto di Varsavia, la cui “liquidazione” cominciò notoriamente il 22 luglio 1942!
Hilberg non solo non tenta di risolvere questo groviglio inestricabile di contraddizioni, ma non lo segnala neppure: lo tace semplicemente.

Ma le contraddizioni non finiscono qui. A p. 957 Hilberg scrive:
«Per i dettagli, Höss doveva rivolgersi a Eichmann. [...]. Nel corso delle settimane che seguirono, Eichmann si recò ad Auschwitz e discusse con Höss i “dettagli” necessari».

La fonte è la già citata deposizione di Höss a Norimberga, nel corso della quale dichiarò:

«Conobbi Eichmann circa quattro settimane dopo aver ricevuto l’ordine dal Reichsführer. Egli venne ad Auschwitz per discutere con me l’esecuzione dell’ordine che era stato impartito. Eichmann, come il Reichsführer mi disse durante il colloquio stesso, era stato da lui incaricato di discutere con me l’attuazione di quest’ordine e tutte le altre direttive le ricevetti da lui, da Eichmann» (312).

Si noterà che qui il termine «dettagli», che Hilberg pone tra virgolette, non appare affatto; esso è infatti tratto dalle annotazioni di Höss:

«Apprenderà ulteriori paricolari [Einzelheiten: particolari, dettagli] dallo Sturmbannführer Eichmann, del RSHA, che Le invierò tra brevissimo» (313).

La visita di Eichmann ad Auschwitz sarebbe dunque avvenuta nel luglio 1941, ma di essa non esiste alcuna traccia documentaria. Eichmann stesso, come risulta da un libro citato da Hilberg, dichiarò di essersi recato per la prima volta ad Auschwitz quando i crematori di Birkenau erano già in funzione, sicché Höss gli avrebbe detto: «Ne eliminiamo diecimila alla volta» (314), il che riconduce ad un periodo non anteriore al 1943.

Riguardo a questa presunta visita, nelle annotazioni di Höss si legge:
«Eichmann promise che si sarebbe informato sull’esistenza di qualche gas di facile produzione e che non richiedesse installazioni particolari, e che mi avrebbe poi riferito in proposito. [...]. Alla fine di novembre [1941] si tenne a Berlino, presso l’ufficio di Eichmann, una conferenza dell’intera Sezione per gli affari ebrei [sic], alla quale venni invitato a partecipare. [...]. Non mi fu comunicato il momento dell’inizio delle azioni, né Eichmann era ancora riuscito a trovare il gas appropriato» (315).

Ciò è in aperto contrasto con la storiografia olocaustica, secondo la quale, come ho già rilevato, lo Zyklon B fu impiegato regolarmente a scopo omicida nella presunta camera a gas del crematorio di Auschwitz fin dal 16 settembre 1941, quando Höss non sapeva ancora quale gas impiegare per lo sterminio.
Per quanto riguarda Hilberg, egli non poteva ovviamente conoscere per ragioni cronologiche la seconda edizione tedesca del Kalendarium di Auschwitz che cito qui, ma è anche vero che conosceva la prima edizione, che apparve molto prima del 1985 e in cui il primo presunto impiego di Zyklon B a scopo omicida viene registrato in data 3 settembre 1941 (316).

Sulla genesi delle presunte camere a gas, Hilberg adduce una versione in contrasto con quella di Höss. Egli scrive:
«Durante l’estate del 1941, quando si cominciò a considerare la distruzione fisica degli Ebrei in tutta Europa, Himmler consultò il capo medico delle SS (Reichsarzt-SS und Polizei), il Gruppenführer dottor Grawitz, per sapere quale fosse il modo migliore per procedere a questo sterminio di massa. Grawitz consigliò la camera a gas» (p. 951).

La fonte è l’affidavit di Konrad Morgen del 13 luglio 1946, documento SS(A)-65 (nota 22 a p. 1051). Il relativo passo del documento dice che
«Himmler gli aveva chiesto [a Grawitz] a suo tempo, per l’attuazione dello sterminio di massa ordinato da Hitler, di proporre un metodo di uccisione, che fosse indolore e nello stesso tempo mettesse al riparo dalla paura della morte. Perciò egli aveva scelto un metodo che lasciasse le vittime nella totale ignoranza del loro destino fino al momento dell’impiego inatteso di un gas molto volatile e di rapido effetto» (317).

Questa versione è almeno più logica di quella di Höss, sebbene, al pari di questa, non sia suffragata da alcuna prova. Per l’esecuzione di un ordine di Hitler, Himmler si sarebbe ragionevolmente rivolto alla massima autorità medica delle SS, la quale avrebbe proposto immediatamente il gas più adatto per lo sterminio. Secondo Höss, invece, Himmler sarebbe ricorso a Eichmann, che, quattro mesi dopo la sua presunta visita ad Auschwitz, non era ancora riuscito a trovare «il gas appropriato».





5.
Höss e la genesi delle “camere a gas”


Indice

Hilberg passa poi a descrivere la genesi e lo sviluppo delle presunte installazioni di sterminio:
«Nel vecchio campo, la prima camera a gas fu creata nell’obitorio del crematorio. A Birkenau, due vecchi casolari di contadini furono rimaneggiati. Si murarono le finestre, le pareti interne furono abbattute, si costruirono porte speciali, a tenuta di gas. Una baracca vicina serviva da spogliatoio per i deportati che entravano nelle camere. Queste installazioni cominciarono a funzionare nel 1942. Himmler, il Gauleiter Bracht dell’Alta Slesia, e l’alto capo delle SS e della Polizia (Schmauser), assistettero alla prima prova. Himmler non ebbe nulla da criticare, né, però, partecipò alle conversazioni che seguirono. I cadaveri delle vittime che erano morte nei due “bunker” furono sotterrati in fosse comuni. Un sopravvissuto riferisce che, durante l’estate del 1942, i cadaveri facevano affluire “un liquido nerastro che saliva in superficie, emanava un odore pestilenziale, e contaminava l’acqua delle falde freatiche”. In ottobre, si dovettero sterrare i corpi in decomposizione, coperti di vermi, per bruciarli in altre fosse. I due casolari avevano raggiunto il limite delle loro capacità» (pp. 958-959).

Hilberg liquida in 16 righe due aspetti essenziali del presunto sterminio ad Auschwitz, ai quali ho dedicato due libri specifici che contano complessivamente oltre 450 pagine:
- Auschwitz: la prima gasazione. Edizioni di Ar, Padova, 1992, 190 pagine, e
- The Bunkers of Auschwitz. Black Propaganda versus History. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004, 264 pagine,
nei quali ho dimostrato che la camera mortuaria del crematoio I non fu mai impiegata come camera a gas omicida e che i cosiddetti “Bunker” di Birkenau non esistettero mai come impianti di sterminio.

Esaminiamo ora le fonti di Hilberg. Per le presunte gasazioni nel crematorio di Auschwitz egli si riferisce alle annotazioni di Höss (Kommandant in Auschwitz. Monaco, 1978, p. 159)(nota 57 a p. 1053), per quelle nei “Bunker” egli cita l’affidavit di Friedrich Entress del 14 aprile 1947, documento NO-2363 (nota 58 a p. 1053).
Si tratta di due tra svariate testimonianze, inattendibili e contraddittorie (come ho documentato nei due libri summenzionati) su queste pretese installazioni di sterminio, che sono per di più in contraddizione reciproca. Sui cosiddetti “Bunker”, il dottor Friedrich Entress, che prestò servizio ad Auschwitz come medico dall’11 dicembre 1941 al 20 ottobre 1943, dichiarò:
«Nell’estate 1942 cominciarono le prime gasazioni ad Auschwitz-Birkenau. Si trattava della gasazione di Ebrei provenienti da Polonia e Russia. […].
Come prime camere a gas furono usate due vecchie case coloniche, che furono appositamente modificate per le gasazioni. Queste misure di costruzione furono attuate dalla SS-Bauleitung. Le finestre furono murate, i tramezzi demoliti e fu installata una porta speciale che chiudeva ermeticamente il locale. La capienza era prevista per 300 persone. I detenuti si dovevano spogliare in una baracca vicina e da lì erano portati nella camera a gas» (318).

A questo riguardo, invece, Höss scrisse:

«Non saprei stabilire in quale epoca cominciò lo sterminio degli ebrei; probabilmente già nel settembre del 1941, ma forse anche solo nel gennaio del 1942» (319).

Egli precisò che il “Bunker 1” poteva contenere 800 persone (320), il “Bunker 2” 1.200 (321). Inoltre, «per la svestizione sorsero due baracche presso il I bunker e tre presso il II bunker» (322).
Perciò lo sterminio nei “Bunker” cominciò per Höss al più tardi nel gennaio 1942, per Entress nell’estate 1942; la capienza complessiva delle installazioni era di 2.000 persone per l’uno e di 600 per l’altro; le baracche spogliatoio erano in tutto cinque per il primo, due per il secondo.
Si può credere seriamente che Hilberg non si sia accorto di queste contraddizioni lampanti?
Aggiungo che Höss era in contraddizione anche con sé stesso, perché nella già citata dichiarazione del 14 marzo 1946, al riguardo, asserì che le vittime si spogliavano all’aperto, «dietro pareti fatte di rami secchi »(hinter aufgebauten Reisigwänden) - dunque non esistevano le cinque baracche spogliatoio - e che le vittime nude, a seconda della loro corporatura, entravano in 200-300 nei locali (323), dunque, complessivamente, in 400-600, non in 2.000.

Hilberg afferma che Himmler, il Gauleiter Bracht e l’alto capo delle SS e della Polizia Schmauser, «assistettero alla prima prova», cioè alla prima gasazione nei “Bunker”. Egli adduce come fonte un affidavit di Höss dell’11 gennaio 1947, NO-4498-B (nota 59 a p. 1053).
Questo documento, come Hilberg sapeva bene, non è in realtà un affidavit, ma un semplice estratto delle annotazioni di Höss (per l’esattezza, dello scritto «La “soluzione finale della questione ebraica” nel campo di Auschwitz); nell’edizione italiana (Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit.), il relativo brano si trova alle pagine 176-177, dal capoverso che comincia con le parole «In occasione di una sua visita...» al capoverso che finisce con le parole «...il più rigoroso silenzio».
Proprio per questo il documento reca l’intestazione polacca «odpis częściowy», copia parziale. Ma allora perché Hilberg non ha citato direttamente le annotazioni di Höss?
Egli comunque ha frainteso il brano in questione, che comincia così:
«In occasione di una sua visita, nell’estate 1942, Himmler assistette all’intera operazione di sterminio, dal momento in cui gli ebrei venivano scaricati dal treno fino allo sgombero del bunker» (324).

Questo fraintendimento è però ingiustificato e illogico, perché, come si è visto sopra, per Höss lo sterminio nei “Bunker” cominciò al più tardi nel gennaio 1942, perciò, nell’estate di quell’anno, in nessun caso Himmler avrebbe potuto assistere alla prima prova di gasazione. D’altra parte il “Bunker 2”, secondo il Kalendarium di Auschwitz, era in funzione già dal 30 giugno, ossia da un paio di settimane (325).
Per arricchire i suoi riferimenti, Hilberg avrebbe anche potuto citare un altro passo delle annotazioni di Höss in cui si parla della visita di Himmler ad Auschwitz:
«Nel luglio del 1942, Himmler venne a visitare il campo. Gli feci percorrere in lungo e in largo il campo degli zingari, ed egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d’abitazione sovraffollate, i malati colpiti da epidemie, [...]» (326).

In tal caso, però, avrebbe dovuto anche spiegare come Himmler poté ispezionare, nel luglio 1942, un settore del campo di Birkenau che fu notoriamente istituito nel marzo 1943, coll’arrivo a Birkenau dei primi trasporti di zingari.
Decisamente l’attendibilità delle dichiarazioni di Höss lascia moltissimo a desiderare!

La visita di Himmler ad Auschwitz ebbe luogo il 17 e 18 luglio 1942. In questi due giorni giunsero ad Auschwitz due trasporti ebraici dal campo olandese di Westerbork e uno dalla Slovacchia. In base al ruolino del campo, il primo trasporto arrivò non prima delle ore 20 del giorno 16 e non oltre le ore 6 del giorno 17, gli altri due non prima delle 20 del giorno 17 e non oltre le 6 del giorno 18. Secondo il diario di Himmler, egli atterrò all’aeroporto di Kattowitz alle 15,15 del giorno 17, perciò non poté vedere il primo trasporto di Ebrei olandesi, che fu presuntamente gasato prima delle 6. La sua visita ad Auschwitz si concluse alle 20 con una cena al circolo degli ufficiali. Dopo la cena, Himmler fu accompagnato a Kattowitz, dove fu ospitato per la notte dal Gauleiter Bracht. Il mattino del 18, alle 9, egli era ancora a casa di Bracht e si recò di nuovo ad Auschwitz solo dopo colazione. Perciò egli non poté vedere neppure gli altri due trasporti di Ebrei, che furono presuntamente gasati tra le 20 del giorno 17 e le 6 del giorno 18 (327).
Dunque non solo Himmler non assistette «alla prima prova» di gasazione, ma non poté assistere a nessuna presunta prova.





6.
I crematori di Birkenau


Indice

Hilberg passa successivamente a descrivere la genesi dei crematori di Birkenau:
«Si progettarono i piani di costruzione di due unità combinate, comprendenti ognuna una camera a gas, un’anticamera e un forno» (p. 959).

Qui egli si riferisce ai crematori II e III di Birkenau, i quali però, come ho già rilevato, erano dotati ciascuno di cinque forni a tre muffole (che Hilberg, nella tabella a p. 959, chiama «crogiuoli». A quanto pare, Hilberg non conosceva neppure il termine tedesco «Muffel», muffola).
Il testo continua così:
«Per portare avanti questo progetto, la Zentralbauleitung di Auschwitz ingaggiò due imprese: l’impresa SS Deutsche Ausrüstungswerke (DAW)(Fabbriche tedesche di Armi) per la fabbricazione delle porte e finestre, e l’impresa Topf e figli, di Erfurt, che costruiva forni» (pp. 959-960).

Ovviamente i crematori di Birkenau furono costruiti anche da altre ditte ignote a Hilberg, tra le quali la Huta, Hoch- und Tiefbau Aktiengesellschaft di Kattowitz, che eseguì i lavori murari; la Industrie-Bau A.G. di Bielitz, che realizzò il tetto; la Robert Koehler Bauunternehmung di Myslowitz, che costruì i condotti del fumo e i camini, e la Vedag, Vereinigte Dachpappen-Fabriken di Breslavia che si occupò dei lavori di isolamento.
Ma ciò che più importa è che per Hilberg la Zentralbauleitung realizzò il progetto di sterminio in camere a gas. La Zentralbauleitung dipendeva dall’Amtsgruppe C (gruppo di uffici C) dell’SS-Wirtschafts-Verwaltungshauptamt (WVHA), l’Ufficio centrale economico e amministrativo delle SS, comandato dall’SS-Oberführer Hans Kammler, che era uno dei gruppi di uffici in cui si articolava il WVHA, diretto dall’SS-Gruppenführer Oswald Pohl (328). Il WVHA fu istituito il 1° febbraio 1942. Nel giugno 1941 l’allora Bauleitung di Auschwitz dipendeva dall’Amt II (ufficio II) dello Hauptamt Haushalt und Bauten (HHB), Ufficio centrale bilancio e costruzioni, che divenne successivamente l’ Amtsgruppe C del VWHA e che era parimenti guidato dall’SS-Oberführer Kammler. L’HHB era stato creato da Pohl nel 1940 (p. 944). L’SS-Brigadeführer Richard Glücks era ispettore dei campi di concentramento. All’epoca, l’Ispettorato dei Campi di concentramento dipendeva ancora dall’SS-Führungshauptamt (Ufficio Centrale della Direzione delle SS). Quando - il 1° febbraio 1942 - quest’ufficio e lo Hauptamt Haushalt und Bauten (Ufficio Centrale Bilancio e Costruzioni) si fusero nell’SS-WVHA, l’Ispettorato dei Campi di concentramento fu incorporato nell’ “Amtsgruppe D - Konzentrationslager” (Gruppo di uffici D – Campi di concentramento), di cui Glücks conservò il comando.
Dopo queste precisazioni, torniamo alla presunta convocazione di Höss da parte di Himmler. Riprendo il relativo riassunto di Hilberg:

«Durante l’estate del 1941, Höss fu convocato direttamente da Himmler (senza passare attraverso il suo superiore, Glücks) per prendere ordini» (p. 956).

Dunque Himmler, per ragioni di segretezza (329), scavalcò l’ispettore dei campi di concentramento Glücks, ma la realizzazione pratica del presunto ordine di sterminio fu affidata alla Zentralbauleitung di Auschwitz, che non poteva realizzare nulla senza l’approvazione e la conoscenza di Kammler e quindi di Glücks!
Non meno assurdamente, Höss nel corso dell’interrogatorio del 1° aprile 1946 affermò:
«Domanda - Che cosa faceste ad Auschwitz?
Höss - Mi misi immediatamente in contatto col capo di una unità di costruzioni e gli dissi che avevo bisogno di un grande crematorio. Gli dissi che stavamo per ricevere un gran numero di malati, ma non gli rivelai la mia vera ragione.
D. - E poi?
Höss - E dopo che completammo i nostri piani, li mandai al Reichsführer. Dopo averli modificati in accordo con lo scopo reale delle sue istruzioni, essi furono approvati» (330).

Così l’SS-Sturmbannführer Karl Bischoff, capo della Zentralbauleitung di Auschwitz, avrebbe costruito camere a gas omicide nei crematori senza saperlo!
Per di più, come abbiamo visto sopra, il presunto ordine di sterminio di Himmler dell’aprile 1942 era esplicitamente indirizzato, oltre che a Heydrich, all’ «Ispettore dei campi di concentramento», cioè a Glücks, il superiore verso il quale Höss avrebbe dovuto «mantenere il più assoluto silenzio» sul presunto ordine di Himmler!
Di tutta questa congerie di contraddizioni a Hilberg non interessa nulla. Egli non le considera affatto.

Continuando la descrizione dei presunti impianti di sterminio, Hilberg afferma:
«Altre due unità furono costruite, per ragioni economiche, con due forni ognuna e una camera a gas chiamata Badeanstalt (bagno-doccia). [...]. I Badeanstalten erano più piccoli» (p. 960).

La fonte è un «memorandum della Zentralbauleitung Auschwitz del 21 agosto 1941, nel rapporto della Commissione Sovietica, Urss-8» e l’articolo di Jan Sehn Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau) pubblicato nel volume edito dalla Commissione centrale di indagine dei crimini tedeschi in Polonia nel 1946 a Varsavia (nota 63 a p. 1053).
Il rapporto sovietico si limita a citare il relativo brano del documento in questione, Jan Sehn invece lo interpreta:
«Nei crematori IV e V furono costruite delle camere [a gas] in superficie, ognuna con un’area di 580 metri quadrati, che furono chiamate ufficialmente Badenanstalt für Sonderaktion (Bagno (331) per azioni speciali)(Aktenvermerk [nota per gli atti] del 21 agosto 1942, n. 12115/42)» (332).

Il 19 agosto 1942 l’ingegnere capo della ditta Topf Kurt Prüfer ebbe un incontro con l’ SS-Untersturmführer Fritz Ertl, all’epoca capo della Abteilung Hochbau della Zentralbauleitung, riguardo all’ «ampliamento degli impianti di cremazione nel campo per prigionieri di guerra». Il 21 agosto Ertl redasse una nota per gli atti nella quale riferì i risultati dell’incontro. In questa nota si parla appunto di «Badeanstalten für Sonderaktionen» (stabilimenti di bagni per azioni speciali). Questi impianti non avevano in realtà nulla a che vedere con i futuri crematori IV e V, di cui esisteva già una pianta con un forno a otto muffole datata 14 agosto 1942, la pianta 1678 dell’ «Impianto di cremazione nel campo per prigionieri di guerra» (Einäscherungsanlage im K.G.L.). Essi si riferivano infatti ad una struttura igienico-sanitaria di emergenza che non fu mai costruita (333).

Hilberg scrive ancora:
«Mentre la direzione di Auschwitz stava lavorando senza sosta per finire le quattro unità combinate, il capo del WVHA-D (Glücks) fece un giro d’ispezione nel campo di concentramento e notò che i posti scelti per gli “edifici speciali” (i forni crematori), non erano collocati nella migliore delle posizioni. Sperava che le “costruzioni speciali” di questo tipo in futuro sarebbero state edificate in un posto dove non fosse possibile a “chiunque” di “vederle”. Dopo aver riflettuto, Höss ordinò che una “cintura verde” di alberi fosse piantata intorno ai forni [crematori] I e II [II e III] »(pp. 960-961).

La visita di Glücks ad Auschwitz avvenne il 7 gennaio 1942 (334). La sua lettera sulle «costruzioni speciali», diretta ai comandanti dei campi di Sachsenhausen, Dachau, Neuengamme ed Auschwitz, era datata 15 giugno 1943 (nota 68 a p. 1053). Infine l’ordine di Höss risaliva al 6 novembre 1943 (nota 69 a p. 1053).
Perciò Glücks avrebbe impiegato cinque mesi per diramare la sua lettera e Höss altri cinque mesi per applicarne le disposizioni! È evidente che tra la visita di Glücks ad Auschwitz e le disposizioni contenute nei due documenti summenzionati non c’era alcun nesso causale. Del resto le «costruzioni speciali» erano non soltanto i crematori, ma anche i bordelli (335), come del resto Hilberg stesso dichiara a p. 1026 (336).

Al processo Zündel, Hilberg, per avvalorare la tesi della realtà della presunta camera a gas omicida del crematorio I, affermò: «Ho studiato i documenti»(I have studied the documents), poi aggiunse:
«Inclusi quelli relativi alla costruzione e così, molti anni prima che mettessi piede ad Auschwitz, sapevo che ad Auschwitz c’era una camera a gas nella prima parte vecchia del campo [cioè in Auschwitz I] che era in uso prima dell’installazione di camere a gas supplementari ad Auschwitz 2, conosciuto come Birkenau».

Infine Hilberg precisò:
«Nel 1942, e ora parlo sulla base di documenti, non di osservazioni, furono installate due camere a gas» (337).

Qui egli si riferiva ai cosiddetti “Bunker” di Birkenau. In realtà non esiste alcun documento né sulla presunta camera a gas del crematorio I , né sui presunti “Bunker”, e Hilberg lo sapeva bene, tanto bene che nell’edizione definitiva della sua opera non menzionò al riguardo alcun documento.
Si trattava dunque di uno spergiuro.





7.
Lo Zyklon B


Indice

Hilberg si occupa dettagliatamente dello Zyklon B, dedicando a questo tema ben sei pagine. Nonostante ciò, incredibilmente, egli ripete la storia infondata in auge nell’immediato dopoguerra secondo la quale lo Zyklon B era costituito da «cristalli»:
«L’acido cianidrico, sotto forma di cristalli porosi...Nella camera a gas, i cristalli passavano immediatamente allo stato gassoso» (p. 960).
«Lo Zyklon B era confezionato in contenitori di metallo. Era sufficiente aprire queste scatole e versare i cristalli nella camera; questi passavano allora allo stato gassoso» (p. 961).

Questa storia, come abbiamo visto sopra, appare già nell’affidavit di Höss del 5 aprile 1946 («acido cianidrico cristallizzato») e fu ripetuta perfino nel 1979 da Filip Müller, che parlò appunto di «cristalli di Zyklon-B» (Zyklon-B-Kristalle) (338) - le due fonti principali di Hilberg su Auschwitz.

Hilberg spiega poi:
«La Testa vendeva Zyklon a diversi tassi di concentrazione. Le fatture presentate agli uffici municipali o ai clienti privati per la disinfestazione degli edifici portavano colonne stampate, C, D, E e F, ogni lettera corrispondeva a una categoria di concentrazione del prodotto e indicava il prezzo. Come precisava una lettera indirizzata all’Ostland, la concentrazione E era necessaria per eliminare i parassiti particolarmente resistenti, come gli scarafaggi, o per operazioni da eseguire in baracche di legno. Si utilizzava la preparazione “normale”, o “D”, per uccidere i pidocchi, i topi e i ratti in costruzioni di grandi dimensioni, ben costruite e con dei mobili. Nelle camere a gas, gli esseri umani erano uccisi con lo Zyklon B» (p. 964).

Per quanto riguarda le varie categorie di Zyklon, Hilberg si riferisce a tre documenti del febbraio-marzo 1942 su microfilm non classificati (nota 83 a p. 1054). La fonte della presunta uccisione di esseri umani mediante Zyklon B è invece Höss, come Hilberg informa nella 84 a p. 1054, dove però aggiunge: «Si usava la stessa concentrazione per la disinfestazione dei vestiti». La spiegazione sui diversi tassi di concentrazione dello Zyklon suscita intenzionalmente l’impressione che lo Zyklon B fosse usato esclusivamente a scopo omicida, il che è falso, come Hilberg sapeva bene, perciò egli introduce in nota questa precisazione, ma in modo volutamente confuso, perché parla di «stessa concentrazione» invece di nominare esplicitamente lo Zyklon B.
In Germania furono prodotti soltanto Zyklon A e Zyklon B. Lo Zyklon A era a base di metil-cianoformato e aveva in comune solo il nome con lo Zyklon B, che lo sostituì definitivamente. Lo Zyklon B era acido cianidrico liquido assorbito in un coibente poroso (Trägermaterial) costituito da farina fossile (Kieselgur), cubi di materiale gessoso (Erco-Würfel) o dischi di cartone (Pappscheiben). Come sostanza avvisatrice veniva aggiunto un aggressivo chimico lacrimogeno, il bromoacetato di etile (339), ma lo Zyklon B poteva anche esserne privo. Nel primo caso per le maschere antigas si usava il filtro “J”, nel secondo il filtro “G” (340). “Zyklon C” e “Zyklon D” furono soltanto denominazioni temporanee dello Zyklon B impiegate da ditte distributrici (341). Ciò che variava, nella produzione dello Zyklon B, non era ovviamente il tasso di concentrazione di acido cianidrico, bensì il coibente e la sostanza avvisatrice (presente o assente). Ciò determinava anche prezzi diversi e su questa base i distributori di Zyklon B potevano eventualmente parlare di Zyklon C, D, E, F.
D’altra parte, la ditta Tesch & Stabenow aveva un modulo di preventivo di costo (Fragebogen für Kostenvoranschlag) per la disinfestazione di edifici (indipendentemente dal fatto che fossero pubblici o privati, grandi o piccoli) che contemplava due tipi di prodotti: lo Zyklon B e il T-Gas (ossido di etilene) (342). Inoltre i bilanci della ditta Tesch & Stabenow degli anni 1941-1944 menzionavano soltanto lo Zyklon B (343).
Un’ultima osservazione. A p. 961 Hilberg scrive che «lo Zyklon figurava come uno degli otto prodotti usati da queste ditte, che effettuavano disinfestazioni industriali, come gli immobili, le caserme, le navi». Egli fa riferimento a una «conferenza del dottor Gerhard Peters e di Heinrich Sossenheimer (esperti in gas) del 27 febbraio 1942, NI-9098»(nota 71 a p. 1053). In questa conferenza, intitolata «Sviluppo e ampliamento dei 9 procedimenti Degesch», Heinrich G. Sossenheimer, unico relatore, dichiarò:
«Oggi sono in uso le seguenti forme di Zyklon: Zyklon-(Blausäure), acido cianidrico liquido assorbito in farina fossile essiccata (Diagriess) o in una sostanza sintetica gessosa (Erco), e Zyklon-Discoids, acido cianidrico liquido assorbito in dischi di fibra di legno» (344).


Hilberg dedica tre pagine buone alla produzione e distribuzione dello Zyklon B: al riguardo, grazie ai numerosi documenti che esistono, si conosce praticamente tutto. Si sa anche quanto Zyklon B fu consegnato ad Auschwitz nel 1942 e 1943. A fronte di questa dettagliata conoscenza, che cosa si sa delle bombole di ossido di carbonio presuntamente impiegate a scopo omicida negli istituti di eutanasia e a Lublino-Majdanek? Hilberg si limita a dichiarare che
«nel 1940 e durante i primi anni del 1941, per l’annientamento di circa 70000 adulti negli istituti di eutanasia provvisti di camera a gas, utilizzavano il monossido di carbonio puro in bottiglia [sic]»(p. 950).

Egli afferma che
«l’“eutanasia” era la prefigurazione concettuale e nello stesso tempo tecnica e amministrativa della “soluzione finale” che sarebbe stata attuata nei campi di sterminio» (pp. 950-951),

perciò nell’economia della «Distruzione degli Ebrei d’Europa» dovrebbe avere un’importanza essenziale. Hilberg, invece, la liquida in un paio di paginette in cui, «per una descrizione dettagliata», rimanda alla letteratura olocaustica.
Questa incredibile superficialità suscita interrogativi più che legittimi.
1) Quali prove documentarie ci sono che bombole di monossido di carbonio siano state utilizzate a scopo omicida dai centri di eutanasia?
2) Quali ditte producevano producevano monossido di carbonio in bombole? E quali lo fornirono ai centri di eutanasia?
3) Che prove documentarie ci sono che i centri di eutanasia fossero dotate di camere a gas a monossido di carbonio?
4) Quali prove documentarie ci sono che delle persone vi siano state assassinate col monossido di carbonio?
Né Hilberg né alcun altro storico olocaustico ha finora risposto a queste semplici domande (345), perciò l’assassinio dei malati di mente in camere a gas a monossido di carbonio nei centri di eutanasia non può essere considerato un fatto storicamente accertato.

Torniamo allo Zyklon B. Hilberg scrive:

«Le quantità richieste da Auschwitz, senza essere enormi, erano tuttavia rilevanti. Quasi la totale fornitura del campo serviva per le camere a gas; molto poca serviva per la disinfestazione» (p. 964).

Premetto che la questione, nella storiografia olocaustica, è tanto aleatoria che Jean-Claude Pressac, il massimo specialista olocaustico di Auschwitz, asserì esattamente il contrario, ossia che per le presunte gasazioni omicide era sufficiente il 2-3% delle forniture di Zyklon B,«così, da 97 a 98% del gas poteva essere consacrato all’eliminazione dei pidocchi» (346).

Nella nota 85 a p. 1054 Hilberg menziona due fonti:

«Testimonianza davanti alla Corte del dottor Charles Sigismund Bendel (Ebreo sopravvissuto) al processo Bruno Tesch, trascrizione pp. 23-32, NI-11953. Heinrich Schuster, un vecchio membro dei Servizi Segreti austriaci, imprigionato ad Auschwitz, calcolò il consumo annuale di Zyklon in 1700 chilogrammi per la disinfestazione delle baracche e dei vagoni merce. Affidavit di Schuster del 13 ottobre 1947, NI-11862».

È ben vero che il testimone Bendel, nella deposizione summenzionata, dichiarò:

«In tutto il tempo [della mia permanenza a Birkenau] dal 10 dicembre 1943 al 18 gennaio 1945 posso ricordarmi di una sola disinfestazione di baracche» (347),

ma è anche vero che Hilberg non si chiede affatto quale sia l’attendibilità del testimone. E non ci vuole molto per rendersene conto. Per restare in tema di stermini, Bendel dichiarò sul consumo di Zyklon B:
«Durante il mese di giugno [1944], il numero dei gasati fu di 25.000 al giorno. [...].
Domanda - Nei mesi di maggio e giugno 1944 quanti barattoli di Zyklon B, a vostro avviso, furono usati per sterminare le persone? [...].
Bendel - Due barattoli per mille persone; 25.000 [persone] al giorno, dunque possiamo dire 50 barattoli al giorno» (348),

ossia 1.500 al mese. Ma in contraddizione co ciò egli affermò:

«Durante i mesi di maggio e giugno 1944 stimo che per uccidere le persone furono usati un totale di 400 barattoli di Zyklon B» (349).

Inoltre, se nel giugno 1944 erano stati gasati 25.000 Ebrei al giorno, il numero totale in tutto il mese era di 750.000. Ma, alla domanda: «Quanti furono gasati nel maggio e nel giugno 1944?», Bendel rispose:«Circa 400.000» (350).
Per non approfondire troppo, ecco come il testimone descrisse le presunte camere a gas dei crematori II e III:
«C’erano due camere a gas sotterranee, ognuna lunga circa 10 metri, larga 5 e alta 1,5» (351).

Hilberg conosceva bene le dimensioni reali dei Leichenkeller 1 (camere mortuarie seminterrate) - le presunte camere a gas omicide - di questi crematori, perché ne indica con esattezza la superficie: 210 metri quadrati (p. 960). Egli trae questa informazione dall’articolo del giudice Jan Sehn menzionato sopra, in cui è scritto:
«Il Leichenekeller 1 (Cellar 1) aveva una superficie di 210 metri quadrati ed era alto 2,4 metri» (352),

misure che corrispondono a quelle delle piante; m 30 x 7 x 2,41. Per Bendel invece questi locali avevano una superficie di 50 metri quadrati ed erano alti metri 1,5. È importante rilevare che Bendel era un sedicente membro del cosiddetto Sonderkommando, dunque un testimone oculare!
Ma, come vedremo nel capitolo IV,3, a Hilberg non interessava affatto l’attendibilità dei testimoni, bensì la loro utilità per la sua tesi.

Passiamo al testimone Schuster. Nell’affidavit invocato da Hilberg egli dichiarò:
«L’intero campo di Birkenau constava di tre settori, BI, BII e BIII (vedi diagramma allegato). Complessivamente, c’erano 263 baracche. Come ho detto prima (353), per disinfestare una baracca era necessario un barattolo di Cyklon B di circa 5 kg. A questo riguardo, bisogna anche ricordare che molte baracche venivano anche cosparse di vari altri disinfettanti (354). Tuttavia, assumendo che ogni baracca fosse disinfestata una volta all’anno con Cyklon B, arriviamo a un consumo annuo di 1.350 kg. Considerando gli altri due campi più grandi (Auschwitz e Monowitz con 28 e 44 baracche rispettivamente), per un totale di 68 [sic], otteniamo un ulteriore fabbisogno di Cyklon B di 350 kg all’anno. Così, c’era un consumo annuo di circa 1.700 kg di Cyklon a scopo di disinfestazione, sempre supponendo che fosse usato soltanto lo Cyklon B» (355).

Questo calcolo non ha alcun valore, perché si basa su presupposti errati.
1) I barattoli di Zyklon B consegnati ad Auschwitz nel 1944 (356) tramite Gerstein erano da 500 grammi, non da 5 kg. Il barattolo più grande di Zyklon B in commercio conteneva 1,5 kg di acido cianidrico.
2) Il dosaggio dello Zyklon B a scopo di disinfestazione era di 8-10 grammi per metro cubo (357), perciò per una baracca alloggio, che aveva un volume di circa 1.032 metri cubi, erano necessari circa 8-10 kg di Zyklon B.
3) Il numero complessivo delle baracche era maggiore di quello indicato dal testimone.
4) Il testimone trascura le camere di disinfestazione a Zyklon B del campo.
Per avere solo un’idea orientativa del quantitativo di Zyklon B necessario (secondo la prospettiva del testimone) per una disinfestazione generale del campo, si può procedere così.
Nel 1944 a Birkenau esistevano (358):
190 baracche alloggio (Unterkunftbaracken) costituite da Pferdestallbaracken (baracche scuderia) tipo 260/9 che misuravano m 40,76 x 9,56 x 2,65 = circa 1.032 m3, complessivamente (1.032 x 190 =) circa 196.000 m3;
41 baracche dello stesso tipo adibite ad altre funzioni = circa 42.300 m3;
10 baracche con volume di circa 580 m3 ciascuna, complessivamente = circa 5.800 m3;
16 baracche con volume di circa 400 m3 ciascuna, complessivamente = circa 6.400 m3;
29 baracche con volume vario, da circa 470 a circa 2.100 m3, complessivamente = circa 27.000 m3.
Il volume totale era dunque di circa 277.500 m3.
Nel campo di Auschwitz esistevano 28 blocchi in muratura a due piani con seminterrato che misuravano esternamente m 45,10 x 13,84 = 624,18 m2. Per l’altezza dei locali si può assumere una media di circa 3 m, sicché la superficie totale di ogni blocco era di 624,18 x 3 (piani) x 3 (metri) = circa 5.600 m3 e per 28 blocchi si ha (5.600 x 28 =) circa 156.800 m3, che si può arrotondare a 150.000 per la presenza dei tramezzi. A Monowitz c’erano 67 baracche più alcune altre costruzioni, perciò si può assumere un volume minimo di (1.032 x 67 =) circa 69.200 m3.
Il volume complessivo era pertanto di circa 503.500 m3 e una disinfestazione generale avrebbe richiesto circa 4.024-5.035 kg di Zyklon B, senza le tre camere di disinfestazione a Zyklon B che esistevano sicuramente nel 1944 (una nel Block 3 di Auschwitz, una nel cosiddetto Kanada I e una nel BW 5a di Birkenau) e senza considerare gli altri campi ausiliari di Auschwitz.

Hilberg scrive ancora:
«Non era l’amministrazione del campo che acquistava il gas. Le richieste erano inoltrate dall’Obersturmführer Gerstein, capo della Disinfestazione, all’ufficio del capo dell’igiene delle Waffen-SS (Mrugowski). Come regola generale, tutti gli ordini passavano attraverso la Testa, la Degesch e Dessau. Le industrie Dessau, che producevano il gas, lo spedivano direttamente alla Divisione di disinfestazione e disinfezione (Abteilung Entwesung und Entseuchung) di Auschwitz. [...].
Le consegne agli impianti delle SS per le operazioni di disinfestazione erano fatte ogni sei mesi circa, ma Auschwitz doveva essere rifornito ogni sei settimane, perché lo Zyklon si deteriorava facilmente ed era necessario avere una riserva disponibile, in ogni momento. A un osservatore attento, una simile frequenza non doveva passare inosservata» (pp. 964-965).

La fonte è l’interrogatorio di Höss del 14 maggio 1946, documento NI-36 (nota 89 a p. 1054), nel quale il comandante di Auschwitz dichiarò:
«La conclusione che posso trarre è che la ditta [Tesch & Stabenow] poteva sapere [del presunto uso omicida dello Zyklon B ad Auschwitz] già per il motivo che per Auschwitz le ordinazioni venivano fatte continuamente, invece agli altri uffici delle truppe SS (SS-Truppen) il gas veniva consegnato forse solo una volta o a intervalli di sei mesi».

Egli aggiunse che ad Auschwitz le consegne venivano effettuate mediamente ogni 6 settimane (359). Queste affermazioni sono però del tutto infondate, come Hilberg sapeva bene, perché il documento che egli cita nella nota 98 a p. 1054 contiene 12 fatture della ditta Degesch intestate a Gerstein e relative alla fornitura dei seguenti quantitativi di Zyklon-B ad Auschwitz e a Oranienburg in barattoli da 500 grammi (360):

95195
campodata della consegnadata della fatturanumero dei barattoliquantitativo in kg

Auschwitz





14 febbraio 194414 febbraio 1944390

8 marzo 194413 marzo 1944420210

20 marzo 194430 aprile 1944390195

11 aprile 194430 aprile 1944390195

27 aprile 194430 aprile 1944390195

31 maggio 194431 maggio 1944390195


totale2.3701.185

Oranienburg





16 febbraio 194416 febbraio 1944390

8 marzo 194413 marzo 1944420210

20 marzo 194430 aprile 1944390195
11 aprile 194430 aprile 1944390195

12 maggio 194418 maggio 1944390195

26 maggio 194431 maggio 1944390195


totale2.3701.185


Dunque ad Auschwitz e a Oranienburg (che non era un presunto campo di sterminio) furono consegnati gli stessi quantitativi di Zyklon B ad intervalli di tempo molto simili. Solo grazie a questa omissione Hilberg può presentare come vere le false affermazioni di Höss.

Qui è indispensabile un riferimento alla relativa deposizione di Hilberg al processo Zündel. Nella prima edizione del suo libro, a questo punto, a pagina 570, egli aveva reso l’intestazione «Abteilung Entwesung und Entseuchung», che appare nelle fatture esibite da Gerstein, con «Extermination and Fumigation Division», «Divisione di sterminio e di disinfestazione». Se questa falsa traduzione era grave, ancora più grave fu la protervia con cui Hilberg la sostenne durante l’interrogatorio:
«Christie - Qual è la traduzione di “Entwesung”?
Hilberg - Privare qualcosa della vita - cioè sterminare. Non c’è una traduzione molto accurata che non comporti sfumature, ma penso che troverete che è una traduzione accettabile del termine tedesco.
Christie - Io vi dico che significa “disinfestazione” e si riferisce in modo particolare ai parassiti.
Hilberg - No.
Christie - Quella parola...
Hilberg - No. Il termine “Wesen” è “una cosa vivente”, qualcosa di vivo. Il prefisso “Ent-” è per negare la vita, per privarlo della vita. Il suffisso “ung” in “Entwesung”, [significa] privato della vita, o privare qualcosa della vita».

Dopo un’ulteriore discussione, Christie gli chiese:
«Siete d’accordo che “Entwesung” è un termine che si riferisce precisamente alla distruzione degli insetti?
Hilberg - Si riferisce a ogni uccisione, a ogni privazione della qualità della vita di qualunque cosa che è viva.
Christie - Vedo. Così si potrebbe riferire a qualunque cosa, secondo voi.
Hilberg - Bene, “Entwesen” è [riferito a] qualunque cosa che cammina, qualunque cosa che ha vita» (361).

Hilberg non volle ammettere che il termine “Entwesung” significa disinfestazione e indusse addirittura il procuratore Peter Griffiths a presentare alla Corte e a far ammettere come elemento di prova la fotocopia della pagina di un dizionario tedesco-inglese in cui era riportata la voce “Wesen” (362), senza che né l’uno né l’altro si curassero minimamente di consultare la voce “Entwesung”!
L’avvocato Christie avrebbe potuto contrapporgli una qualunque opera specialistica sulla disinfestazione degli anni Quaranta, come quella di Walter Dötzer, la cui parte seconda era interamente dedicata alla «Entwesung», il cui significato veniva spiegato così:
«La Entwesung è la distruzione degli animaletti che nuocciono all’uomo o lo danneggiano nella salute, nella misura in cui convivono con lui o entrano nei suoi ambiti di vita. L’Entwesung è una parte della lotta antiparassitaria (Schädlingbekämpfung), che si occupa della distruzione di tutte le forme di vita animali che procurano danni agli animali utili, alle piante utili o alle derrate alimentari» (363).

Il termine indica dunque sì la privazione della «qualità della vita», ma non «di qualunque cosa che è viva», bensì, esclusivamente, dei parassiti.

Hilberg, dunque, dopo aver tradotto falsamente l’espressione «Abteilung Entwesung und Entseuchung» con «Extermination and Fumigation Division», non solo non riconobbe il suo “errore”, ma lo ribadì, cercando di circuire la giuria con spiegazioni sofistiche, tanto sofistiche che, nell’ edizione definitiva della sua opera, egli rese “Entwesung” appunto con «disinfestazione»!
Ed è anche chiaro che la sua introduzione dei vari tipi di Zyklon, C, D, E e F, serviva soltanto ad insinuare che lo Zyklon B fosse usato essenzialmente a scopo di sterminio dalla presunta «Divisione di sterminio» di Auschwitz.

Torniamo al libro. Continuando a giocare sulle omissioni, Hilberg scrive poi:
«Nel frattempo le SS cominciavano a indispettirsi: avevano, forse, ricevuto lo Zyklon troppo presto? Il 24 maggio [1944], il responsabile della disinfestazione, l’Obersturmführer Gerstein, scrisse al dottor Peters per chiedergli quanto tempo sarebbe durato lo Zyklon prima di deteriorarsi. Fino a quel momento, non era stato toccato.
“Peraltro, in certe condizioni, grandi quantità - di fatto, cioè, la totalità - avrebbe potuto essere utilizzata immediatamente (Andererseits werden erhebliche Mengen - d.h. eigentlich die ganzen verwahrten Mengen - unter Umständen plötzlich benötigt) ”» (p. 966).

La fonte è il documento NI-9808 (nota 95 a p. 1054). Hilberg fa un’evidente allusione a un eventuale impiego delle scorte di Zyklon B a scopo omicida, tanto più in quanto il periodo è quello della deportazione ad Auschwitz degli Ebrei ungheresi, «la grande massa» dei quali, a suo dire, «fu spedita nelle camere a gas»(p. 1004 (364), anche se i primi trasporti arrivarono ad Auschwitz il 17 maggio (365). Ma una tale allusione perde la sua parvenza di credibilità se si considera il contesto da cui Hilberg ha estrapolato la citazione:
«Inoltre La prego di comunicarmi quanto ritiene conservabile la fornitura speciale per Oranienburg e Auschwitz. Se dovessero esistere dubbi per la durata dell’immagazzinamento, dovremmo usare insieme, a scopi di disinfestazione (zu Entwesungszwecken), le forniture delle prime spedizioni e conservare di volta in volta soltanto le forniture recenti. Finora di questi quantitativi non è ancora stato usato nulla. D’altra parte considerevoli quantitativi - cioè propriamente l’intero quantitativo conservato - eventualmente (unter Umständen) vengono usate improvvisamente. Ma naturalmente la sicurezza e la conservabilità sono in primo piano» (366).

La lettera si riferisce pertanto all’impiego a scopo di disinfestazione dello Zyklon B fornito ad Auschwitz e a Oranienburg.
Il dottor Peters trasmise la lettera alla Degesch, che in data 9 giugno 1944 rispose a Gerstein:
«Per quanto riguarda la questione dell’immagazzinabilità della merce, Le possiamo comunicare che forniamo la garanzia per un anno. Non dubitiamo che la merce possa essere immagazzinata anche più a lungo, vorremmo tuttavia pregarLa, considerando la situazione attuale particolarmente precaria, di non superare per quanto possibile la durata di immagazzinamento, ma di usare insieme a scopo di disinfestazione già le spedizioni più vecchie. [...].
Riguardo alla conservabilità della merce, vorremmo anche sottolineare in modo particolare che una decomposizione della stessa difficilmente può verificarsi, ma è sempre possibile che i barattoli si corrodano. Le minime impurità nella lamiera, che spesso sono osservabili solo al microscopio, sono causa di corrosioni. Si formano allora piccoli fori dai quali può sfuggire un po’ di acido cianidrico. Ma neppure allora c’è pericolo, sempreché, come da noi prescritto, la merce venga conservata in un magazzino aerabile. Se comunque si dovesse percepire odore di acido cianidrico, è raccomandabile esaminare le casse relative e usare al più presto i barattoli danneggiati» (367).

L’affermazione di Hilberg che «Auschwitz doveva essere rifornito ogni sei settimane, perché lo Zyklon si deteriorava facilmente» è dunque completamente infondata, com’egli sapeva bene, in quanto conosceva questo documento.

Poche righe dopo Hilberg afferma:

«Si diffuse la conoscenza dei vantaggi che presentava lo Zyklon come gas letale. Persino mentre Höss non aveva ancora terminato di costruire le sue camere a gas, nel 1942, un importante visitatore da Lublino, il Brigadeführer Globocnik, si recò ad Auschwitz per avere un’idea più precisa del nuovo metodo [di sterminio]» (p. 966).

La fonte è il già citato interrogatorio di Höss del 14 marzo 1946, NI-36 (nota 97 a p. 1054).
Ecco il testo relativo alla citazione di Hilberg:
«Domanda - Che cosa sa di Globotschnigg [Globocnik] riguardo alla sua amicizia con Wolf (368)?
Höss - Riguardo all’amicizia Globotschnigg-Wolf non so nulla. Conosco Globotschnigg solo da una visita a Lublino e una volta Globotschnigg fu ad Auschwitz.
Domanda - In quale periodo accadde?
Höss - Non sono più in grado di dire il periodo, nel 1942-1943. Comunque fu nel periodo in cui i crematori erano già finiti [als die Krematorien schon fertig waren]. Egli li ha osservati».

I crematori di Birkenau furono notoriamente completati nel giugno 1943, sicché la presunta visita di Globocnik ad Auschwitz non avrebbe potuto essere anteriore a questa data. Perciò Hilberg attribuisce abusivamente a Höss sia la datazione della presunta visita (il 1942), sia la sua motivazione («per avere un’idea più precisa del nuovo metodo [di sterminio]».
In realtà una visita di Globocnik ad Auschwitz non risulta da alcun documento e nel Kalendarium di Auschwitz questo personaggio non è neppure nominato.

Hilberg racconta poi a suo modo la “missione” di Kurt Gerstein:
«Rivalità che divenne critica quando un giorno, nell’agosto del 1942, il vice di Eichmann, Günther, e il principale responsabile della disinfestazione, Kurt Gerstein, giunsero a Bełżec» (p. 966).

La fonte è: «Testimonianza orale di Gerstein del 26 aprile 1945, PS-1553»(nota 98 a p. 1054), che diventa poi una «testimonianza giurata (affidavit) di Gerstein del 26 aprile 1945, PS-1553»(nota 376 a p. 1067).
Preciso subito che questa testimonianza non è «orale», ma scritta dal testimone stesso, tanto è vero che viene comunemente chiamata (insieme a varie altre testimonianze) “rapporto Gerstein” (369). Essa non è neppure una «testimonianza giurata», perché si tratta di uno scritto privato, redatto in varie versioni, una delle quali (il documento PS-1553) Gerstein consegnò a due ufficiali americani.
Secondo questo documento, l’SS-Sturmbannführer Günther non accompagnò affatto Gerstein a Bełżec, ma si limitò a trasmettergli l’incarico da parte del RSHA di procurarsi 100 kg di acido cianidrico (370).

Hilberg continua così la sua narrazione:

«Avevano con loro circa 200 libbre di Zyklon e dovevano convertire le camere che funzionavano a monossido di carbonio, ad acido cianidrico» (p. 966).

Una libbra corrisponde a 0,45 kg, perciò le «circa 200 libbre» equivalgono ai 100 kg di Günther, che però non erano di «Zyklon», ma, appunto, di «acido cianidrico». La testimonianza addotta da Hilberg non menziona affatto lo Zyklon riguardo a Bełżec, e non si tratta di un dettaglio irrilevante, perché, interrogato dal giudice istruttore Mattei il 19 luglio 1945, Gerstein dichiarò di aver prelevato a Kolin non 100 kg, ma 260 kg, e non di acido cianidrico, ma di «cianuro di potassio» in 45 bottiglie (371). La sostanza era comunque liquida e non poteva essere che acido cianidrico liquido. Oltre che contraddittorio, ciò è anche insensato, perché:
- Il procedimento di disinfestazione con acido cianidrico liquido non era più in uso già dal 1934 (372).
- Il RSHA avrebbe imposto a Gerstein un viaggio di oltre 700 km in pieno agosto con un carico molto pericoloso. A causa del suo basso punto di ebollizione e della possibilità di decomposizione (polimerizzazione), infatti, l’acido cianidrico liquido poteva essere trasportato solo refrigerato (unter Kühlung), di notte e con un veicolo speciale (mit besonderem Fuhrwerk) (373).
- Prima dell’invenzione dello Zyklon B, l’acido cianidrico liquido a scopo di disinfestazione veniva confezionato in bombole di acciaio. Per l’impiego esso veniva nebulizzato mediante aria compressa o trasformato in gas riscaldando le bombole, indi immesso in apposite tubature. Entrambi i procedimenti erano pericolosi (374). L’acido cianidrico in bottiglia (Blausäureflasche) di vetro, impiegato soprattutto in Francia e nelle sue colonie e anche in Inghilterra, costituiva il cosiddetto «procedimento Galardi», consistente nel versamento dell’acido cianidrico liquido dalla bottiglia in una ciotola o direttamente sul pavimento (375), ed era evidentemente del tutto inappropriato per esperimenti di gasazione omicida.
- Il colmo della vicenda è che un paio di settimane prima della partenza di Gerstein alla volta di Lublino (dove lo attendeva Globocnik), la ditta Tesch und Stabenow aveva fornito al KL Majdanek 360 barattoli di Zyklon B da 1,5 kg, per un totale di 540 kg (376): non sarebbe stato più semplice mettere a disposizione di Gerstein una parte di questa fornitura invece di fargli fare un viaggio di oltre 700 km in autocarro con un pericoloso carico di acido cianidrico liquido?

Hilberg dice ancora:

«Gerstein acconsentì e ordinò di sotterrare lo Zyklon con il pretesto che fosse deteriorato» (p. 967).

A questo riguardo, tanto per segnalare un’ulteriore contraddizione, Gerstein dichiarò al giudice istruttore Mattei:
«Le quarantaquattro bottiglie che restavano non sono state portate al campo di Belcec [sic], ma furono nascoste dall’autista e da me stesso a circa 1200 metri dal campo. [...].
Io sono arrivato col cianuro al campo e ho raccontato al comandante del campo ciò che mi era accaduto strada facendo riguardo alla bottiglia la cui chiusura non era stata bene assicurata».

Il giudice rilevò la contraddizione e contestò a Gerstein:
«Stamattina ci avete dichiarato che quarantaquattro bottiglie di cianuro - il vostro intero carico, una delle bottiglia essendo stata vuotata - non erano arrivate al campo di Belcec perché erano state nascoste dall’autista e da voi stesso a circa 1.200 metri dal campo, poco fa ci avete detto di essere arrivato al campo con il vostro carico. Quando dite la verità?» (377).


Hilberg scrive ancora:

«Da quel giorno, Höss e Wirth furono nemici dichiarati. Il comandante di Auschwitz, anche dopo la guerra, riferiva con fierezza dei suoi “miglioramenti”».

La fonte è: «Affidavit di Höss del 5 aprile 1946, PS-3841» [recte: PS-3868](nota 99 a p. 1054).
Il riferimento è alla falsa visita di Höss a Treblinka di cui mi sono già occupato sopra. Höss afferma che il sistema di uccisione del «gas monossido»[di carbonio] presuntamente attuato in tale campo «non era molto efficace»; indi dichiara: «Un altro miglioramento rispetto a Treblinka, fu...». Da ciò Hilberg ha tratto i suoi «miglioramenti», non solo tacendo la lancinante contraddizione relativa alla presunta visita a Treblinka, ma creando il contesto fittizio della presunta rivalità tra Höss e Wirth e posticipando d’autorità a dopo l’agosto 1942 ciò che nella cronologia fittizia di Höss si riferiva al 1941.
A p. 1086 Hilberg precisa:

«Anche in seno alle stesse SS, una lotta di gelosia opponeva due tecnocrati della distruzione, l’Obersturmbannführer Höss e il Kriminalkommissar Wirth, riguardo alla sostituzione del monossido di carbonio con lo Zyklon B, nei campi di sterminio».

Questa «lotta di gelosia» è tratta dall’insensata “missione” di Gerstein.





8.
La gestione dei campi


Indice




8.1.
Sadismo e corruzione


Indice

Il paragrafo «Organizzazione, personale e gestione», che comincia a p. 967, è dedicato ad aspetti marginali rispetto al tema centrale del presunto sterminio. Prendo in esame i temi più importanti dibattuti da Hilberg.
Egli rileva che «quasi tutto il personale tedesco di Wirth aveva partecipato alle operazioni di eutanasia» (p. 968) e in tal modo precisa in che senso l’eutanasia sarebbe la «prefigurazione concettuale e nello stesso tempo tecnica e amministrativa della “soluzione finale”». Dunque il personale specializzato in assassinio dei malati mentali nei centri di eutanasia sarebbe stato inviato nei campi di Bełżec, Sobibór e Treblinka per intraprendervi lo sterminio ebraico. Hilberg, però, scrive anche che «per la maggioranza, ci fu un’interruzione tra l’eutanasia e le nomine nel Governatorato generale. Molti, durante questo intervallo, furono inviati nell’Urss, con il compito di curare i soldati tedeschi feriti o con problemi di congelamento, ma furono presto richiamati» (nota 110 a p. 1055). Ma per quale motivo del personale specializzato nell’assassinio fu mandato a curare i feriti? Esso non aveva pertanto esclusivamente una specializzazione omicida, la quale soltanto spiegherebbe in senso univoco il loro invio in tali campi (378).

Un altro tema trattato da Hilberg in questo paragrafo riguarda il sadismo e la corruzione delle SS.
«Il problema del personale si pose sotto due aspetti: il sadismo e la corruzione. Il primo riguardava essenzialmente le guardie, la seconda i funzionari in carica nei campi»(p. 976).

Egli ne traccia poi un quadro spaventoso basato pressoché esclusivamente sulle «testimonianze dei sopravvissuti». Ad esempio, la tortura dello «Sport machen» («fare sport»), che era essenzialmente «un modo per evitare alle guardie di annoiarsi, e benché questi esercizi non fossero incoraggiati precisamente da direttive ufficiali, non li si impediva»(p. 976).
Hilberg spiega che

«tutto il problema del sadismo si riduceva, dunque, a un’attività di tipo speciale: gli eccessi, come venivano definiti. In generale, un “eccesso” sottintendeva un’orgia massiccia o aberrazioni sessuali» (p. 976).

Egli riporta poi delle storielle infondate su Irma Grese e Otto Mohl riferite dai «sopravvissuti»(p. 977) e descrive le tragiche condizioni di vita dei campi di Majdanek ed Auschwitz, basandosi sulla medesima fonte (pp. 980-983). Prima di esaminare in dettaglio qualche aspetto specifico di questo «sadismo», bisogna rilevare che Hilberg, qui, dimentica di menzionare le seguenti dichiarazioni rese a Norimberga da Höss, testimone dal quale attinge a piene mani quando si tratta di puntellare la sua teroria della «distruzione»:
«Fino all’inizio della guerra, nel 1939, la situazione dei campi, riguardo a vitto, alloggio e trattamento dei detenuti, era come in ogni altra prigione o istituto di pena del Reich. I detenuti erano certamente trattati con severità, ma non si mirava a malmenarli sistematicamente o a maltrattarli. Il Reichsführer-SS aveva ripetutamente promulgato ordini secondo i quali ogni SS che avesse maltrattato un detenuto sarebbe stato punito e diverse volte delle SS che avevano usato violenza contro detenuti furono anche puniti. Il vitto e l’alloggio in questo periodo erano uguali a quelli di altri detenuti dell’amministrazione della giustizia. L’alloggiamento nei campi in [quegli] anni era ancora normale; all’epoca infatti non c’erano quegli afflussi massicci [di detenuti] come [avvenne] poi allo scoppio della guerra e durante la guerra.
Quando scoppiò la guerra e cominciarono gli internamenti di massa di detenuti politici e successivamente, nei territori occupati, di detenuti del movimento di resistenza, le costruzioni, gli ampliamenti dei campi non riuscirono più a far fronte al numero dei detenuti internati. Nei primi anni di guerra ciò si poté sempre superare con provvedimenti improvvisati, ma poi ciò, a causa delle condizioni belliche, non fu più possibile, perché i materiali da costruzione non erano quasi più disponibili. Inoltre, le razioni viveri per i detenuti venivano in modo considerevole decurtate continuamente e incisivamente.
Si creò così la situazione che sempre più detenuti nei campi non furono più abbastanza forti da resistere alle epidemie che sopravvenivano a poco a poco.
Il motivo principale per cui i detenuti, poi, alla fine della guerra, erano in condizioni così cattive e nei campi furono trovati molte migliaia di [detenuti] malati ed emaciati è il fatto che il Reichsführer indicò ad ogni occasione e continuamente il suo obiettivo e anche tramite il capo dell’Ufficio centrale economico e amministratico, l’Obergruppenführer Pohl, tramite i singoli comandanti dei campi e i capi amministrazione alle cosiddette sedute dei comandanti, dichiarò - le cose andavano così - che ogni detenuto doveva essere assolutamente inserito nella produzione degli armamenti fino all’estremo delle sue forze. Ogni comandante doveva fare di tutto per renderlo possibile. Non era che si mirasse ad avere il maggior numero possibile di morti o a sterminare i detenuti, ma per il Reichsführer contava sempre poter impiegare ogni paio di braccia per gli armamenti. [...] (379).

Questi cosiddetti maltrattamenti e vessazioni nei campi di concentramento, che poi, ad opera di detenuti che erano stati liberati dalla guarnigione, si diffusero dappertutto tra la popolazione, non erano, come si crede, metodi, ma erano eccessi di singoli ufficiali, sottufficiali e soldati, che usavano violenza contro i detenuti.
Dott. Kaufmann - Venne mai a conoscenza di qualcosa?
Höss - Quando si veniva a conoscere qualunque fatto in qualunque modo, l’interessato naturalmente veniva immediatamente rimosso dalla sua carica oppure trasferito a qualche altro posto, sicché, se non veniva punito, nel caso che il materiale di prova per questo fosse insufficiente per poterlo punire, veniva comunque trasferito in un altro posto e tenuto lontano dai detenuti» (380).
Hilberg, in tale contesto, dimentica di citare anche un’altra sua fonte, che invoca a sostegno della sua tesi: il giudice SS Konrad Morgen. Nell’affidavit del 13 luglio 1946, menzionato più volte da Hilberg, il testimone fornisce la seguente descrizione degli aspetti positivi dei campi di concentramento:
«La razione alimentare per i detenuti che lavoravano era di 2.750 calorie al giorno. Soprattutto in forma di patate, legumi, prodotti farinacei, verdura e pane. I campi e specialmente le ditte che impiegavano i detenuti facevano ogni sforzo per procurare vitto supplementare, ogni tanto perfino trasgredendo intenzionalmente le leggi dell’economia di guerra. Negli spacci dei campi i detenuti potevano anche acquistare alimenti supplementari nei limiti della situazione bellica, inoltre potevano ricevere illimitatamente pacchi, gli stranieri attraverso o dalla Croce Rossa. Lo stato nutrizionale generale dei detenuti era buono. Ho visto detenuti molto denutriti, in numero esiguo, solo negli ospedali. Ciò dipendeva da una debolezza corporea costituzionale o era conseguenza di malattie come la dissenteria, il tifo, la tubercolosi. Le installazioni mediche e ospedaliere, gli impianti sanitari erano buoni, in parte eccellenti. Oltre ai medici SS, venivano impiegati medici detenuti, tra cui autorità internazionali. La fornitura di medicinali era limitata dalle condizioni belliche come per la popolazione civile tedesca, però i farmacisti delle truppe SS vennero sempre tutti in soccorso nei limiti delle loro possibilità. Nell’impiego lavorativo dei detenuti si badò ampiamente allo stato fisico, alle competenze e all’estrazione sociale, considerando eventuali condanne precedenti e la condotta al campo.
Prescindendo dalle eccezioni, il ritmo di lavoro e il rendimento del detenuto dipendevano considerevolmente da quello dell’operaio civile. Il principio non era di incitare i detenuti, ma di dar loro un incentivo con la concessione di premi e di altri compensi. Ciò spiega perché la fornitura di tabacco ai detenuti durante la guerra era molto migliore di quella della popolazione civile tedesca o anche delle truppe di guardia dei campi di concentramento.
La vita e la proprietà dei detenuti erano protetti in questo modo. Rigoroso divieto di uccidere o di colpire i detenuti. Ciò è stato ripetutamente fatto presente al personale dei campi. Il comandante doveva confermare per iscritto la presa di conoscenza di quest’ordine. La relativa dichiarazione si trovava nei suoi atti personali. A regolari intervalli si svolgevano procedimenti di indagine sull’arresto [dei detenuti] da parte del RSHA. Dopo l’internamento di un detenuto la prima volta dopo tre mesi, poi dopo intervalli più lunghi. Per l’accertamento e il perseguimento di crimini dei detenuti c’era in ogni campo un segretario criminale del più vicino ufficio della Polizia di Stato, il capo della cosiddetta Sezione Politica del campo di concentramento. Per la punizione di crimini dei detenuti erano competenti esclusivamente i tribunali comuni. Per crimini di membri delle SS nei confronti di detenuti era competente il locale Tribunale delle SS e della Polizia. Nel campo, un ufficiale giudiziario a ciò destinato, che aveva prestato appositamente giuramento, fungeva da suo organo ausiliario. Ogni caso di morte di un detenuto doveva essere comunicato per telescritto e in casi di morte chiaramente o suppostamente non naturali bisognava inoltrare al Tribunale SS un rapporto accompagnato da documenti - verbale di autopsia, fotografia del luogo del crimine, pianta, testimonianze di detenuti e di SS.
Le punizioni corporali di natura disciplinare potevano essere disposte soltanto dall’Ispezione dei campi di concentramento dopo aver presentato un rapporto sulle indagini e una confessione del detenuto imputato scritta di proprio pugno. La punizione corporale poteva consistere soltanto in colpi sul sedere in presenza di un medico e di un ufficiale. Il numero massimo dei colpi, esattamente stabilito, era di 25. Questa punizione massima fu inflitta solo di rado a criminali con gravi condanne precedenti al campo. L’esecuzione della punizione avveniva soltanto dopo visita medica e certificato di non opposizione, generalmente da parte di un altro detenuto.
La proprietà di un detenuto era messa da parte e conservata separatamente contro ricevuta.
I detenuti, all’interno del campo, avevano libertà di movimento, una radio del campo, una biblioteca del campo, corrispondenza epistolare, ricevimento di giornali e pacchi, varietà, cinema, bordello, sport e giochi di ogni tipo, incluse gare sportive.
L’attività interna del campo di concentramento era amministrata e diretta dai detenuti stessi.
Tutte queste cose non restarono sulla carta» (381).

E tutte queste cose sono documentariamente attestate anche per Auschwitz, e valevano anche per i detenuti ebrei, tranne le disposizioni sulla proprietà.

Come abbiamo visto sopra, Hilberg riconduce il presunto sadismo delle SS a orge e aberrazioni sessuali. Questa fisima freudiana lo conduce inevitabilmente a gravi fraintendimenti, come nel caso dell’istituzione dei bordelli nei campi di concentramento. Al riguardo egli scrive:

«Auschwitz sarebbe diventato oggetto di un’inchiesta speciale da parte dei nazisti, e tuttavia pare che si tralasciarono questi incidenti. Non si rilevò alcuno sforzo per frenare i comportamenti sadici, sforzo che sarebbe stato, comunque, difficile. L’unico rimedio possibile sarebbe stato quello di far rientrare le guardie colpevoli nella categoria degli “asociali” (delinquenti sessuali). Il problema era comunque noto. In un primo momento, l’amministrazione dei campi creò numerosi bordelli» (p. 977).

Il 12 giugno 1943, il capo della Bauinspektion Reich-Ost inviò alla Zentralbauleitung di Auschwitz la richiesta da parte dell’Amtsgruppe D del WVHA di realizzare rapidamente «una costruzione speciale “B” per i detenuti» (Häftlingssondersbaues “B”). Veniva allegato uno schizzo della «baracca speciale» (Sonderbaracke), per la cui costruzione Himmler chiedeva una particolare sollecitudine (382).
Dai documenti che si sono conservati, risulta che questa baracca speciale era un bordello. In effetti la lettera “B” sta per «Bordell». La baracca non fu costruita, ma il bordello fu istituito ugualmente.
Esso non era però destinato alle SS, come afferma Hilberg, bensì ai detenuti (383). Ciò del resto, come si è visto sopra, era stato esplicitamente dichiarato dal giudice Morgen, sicché Hilberg non poteva ignorarlo.
Come ho accennato sopra, anche questo «Häftlingssonderbau» rientrava nei «Sonderbauten» della lettera di Liebehenschel il 15 giugno 1943.





8.2.
Le condizioni di vita dei detenuti


Indice

Su questo tema, a p. 980 Hilberg scrive:
«Lublino, per esempio, nell’autunno del 1942, contava cinque blocchi, per un totale di ventidue baracche. La loro costruzione non era ancora ultimata. In alcune mancavano le finestre, altre avevano i tetti di cartone. In nessuna c’era l’acqua, provvisorie latrine (recipienti che venivano vuotati) emanavano odori nauseanti nelle stanze» (p. 980).

Questa descrizione si basa sull’ «affidavit di Ruppert del 6 agosto [1945], NO-1903»(nota 158 a p. 1058). Ma una lettera della Zentralbauleitung del campo di Lublino all’SS-Wirtschafter presso lo Höherer SS- und Polizeiführer nel Governatorato generale datata 22 ottobre 1942 descrive così i lavori eseguiti:
«Sono state costruite 108 baracche alloggio per i detenuti, 5 baracche cucina e 5 baracche lavatoio, 10 baracche per le provviste per i detenuti, 5 baracche officina e 1 baracca magazzino, 2 baracche di disinfestazione con bagni, realizzate parte su palafitte di legno, parte su fondamenta solide, inoltre ne furono installate 7 nell’area del comando e 19 in quella del battaglione di guardia».

Per l’approvvigionamento idrico erano stati posati 1.200 metri di tubi all’interno del campo e 5.500 all’esterno; per la canalizzazione, rispettivamente, 300 e 1.100 metri.
«I lavori B (384) (lavori di rifinitura) sono stati eseguiti nella misura in cui erano necessari nel quadro dell’ accantonamento del campo» (385).

La struttura del campo era perciò già ben organizzata e le baracche da rifinire non erano ovviamente occupate dai detenuti.

Nella nota 159 a p. 1058 Hilberg fornisce un’ altra descrizione parimenti infondata:
«Ad Auschwitz II, in questo periodo [1944], fino a 32000 donne dividevano una sola baracca di latrine».

La relativa testimianza è di Gisella Perl. In realtà nel campo femminile di Birkenau, il settore BI, esistevano 10 baracche latrina (Abortbaracken) in muratura, 5 nel settore BIa e 5 nel settore BIb (386), e il 21 agosto 1944 la forza di questo campo era di 39.234 detenute (387). Ciò indubbiamente comportava di per sé una situazione di disagio per i detenuti, ma la testimone invocata da Hilberg lo rese otto volte più grave.

Nel contesto delle condizioni di vita dei detenuti, Hilberg scrive ancora:
«Quando era un Ebreo a morire, nessuna scheda di morte era necessaria; il suo nome, su un elenco, era sufficiente. Il fatto che un Ebreo fosse vivo o morto, non aveva alcuna importanza, di per sé» (p. 980).

Le fonti addotte da Hilberg, una lettera di Glücks ai comandanti dei campi del 15 luglio 1943, NO-1246, e il documento NO-1553 (nota 156 a p. 1058) si riferiscono in realtà alla comunicazione dei dati sulla mortalità dei detenuti all’Amtsgruppe D del WVHA: i decessi dei detenuti ebrei dovevano essere comunicati in liste, non individualmente, come i decessi degli altri detenuti, ma ciò non implica affatto che nessuna «scheda di morte era necessaria», cioè che non era necessario alcun certificato di morte. Questa deduzione infondata è smentita clamorosamente dagli Sterbebücher di Auschwitz. Per fare solo qualche esempio, l’ultimo certificato di morte del volume 25, che chiudeva il 1943, è quello dell’ebreo Zelik Gieclik, nato a Poddebice il 25 maggio 1909 e morto il 18 dicembre 1943 per arresto cardiaco improvviso (388). L’ebrea Johanna Sara Seiner, nata a Bejscht il 26 gennaio 1871, morì il 27 dicembre 1943, all’età di 72 anni, per debolezza dovuta all’età (Alterschwäche)(389). Per la stessa causa, il 22 giugno 1942, morì l’ebreo Josef Hoffman, all’età di quasi 90 anni, essendo nato il 12 agosto 1852 a Vrutky (390).

Il testo che ho citato sopra continua così:

«Vi era la necessità di avere detenuti a sufficienza per effettuare i lavori richiesti, e nel caso di sovrabbondanza di prigionieri, le SS sfoltivano le file, mandando il sovrappiù nella camera a gas» (p. 980).

Tuttavia, secondo la storiografia olocaustica, queste presunte gasazioni riguardavano i detenuti inabili al lavoro, non quelli abili al lavoro in «sovrabbondanza».

Hilberg afferma ancora:

«L’arrivo di nuovi convogli o la selezione delle vittime da sopprimere poteva raddoppiare o dimezzare il numero della popolazione dei campi in poche settimane, o addirittura in qualche giorno» (p. 980).

L’afflusso di nuovi convogli non ha di per sé alcuna rilevanza ai fini del presunto sterminio. D’altra parte il caso addotto da Hilberg è unico. Si tratta infatti di una lettera dell’SS-Hauptsturmführer Wagner di Auschwitz «che segnala al WVHA D-IV il 25 marzo 1942, che si aspettava di vedere che il numero dei detenuti passasse da 11000 a 27000 nel corso dei giorni seguenti; NO-2146»(nota 157 a p. 1058). Wagner, che era a capo delle cucine del campo, sapeva dell’imminente trasferimento ad Auschwitz di 5.000 detenuti e 11.000 detenute e faceva presente ai suoi superiori che le cucine non erano attrezzate per far fronte alla nuova forza del campo (391). Nulla di strano.
Il presunto dimezzamento della forza dei campi in breve tempo a causa della «selezione delle vittime da sopprimere», invece, rientra perfettamente nella tematica dei «centri di sterminio». Hilberg al riguardo riferisce:
«Il 17 ottobre 1944, il reparto femminile del campo di Auschwitz II conteneva 29925 detenute. Il 25 novembre 1944, questa cifra era scesa a 14271. Rapporto sugli effettivi del Frauen-Lager KL Au II/Abt. IIIa (Birkenau) del 18 ottobre e 26 novembre 1944».

La fonte è la raccolta documentaria Dokumenty i materiały, a cura di Nachman Blumental, tomo I, Obozy (Campi). Łódź, 1946, p. 118. (Nota 157 a p. 1058).
I dati sono riportati correttamente, ma interpretati male. Hilberg, infatti, ignorava incredibilmente il fatto che all’epoca, ad Auschwitz, era in corso l’evacuazione dei detenuti. Egli ha trascurato conseguentemente le «Überstellungen» (trasferimenti), categoria che appare chiaramente nella rubrica «Abgänge», perdite di forza, dei documenti summenzionati (392). Dalla serie di questi documenti risulta infatti che la maggior parte delle detenute mancanti furono trasferite, ad esempio: 1.009 il 20 ottobre, 510 il 21, 2.100 il 23, 497 il 27, 1.812 il 28, 653 il 29, 2.351 il 1° novembre, 798 il 2, 2.366 il 4. In questo periodo ci fu anche qualche decina di rilasci (Entlassungen) dal campo (393).

Per quanto riguarda le installazioni igieniche, dopo le affermazioni infondate su quelle di Lublino-Majdanek che ho esaminato sopra, Hilberg aggiunge:
«Durante una riunione sulla costruzione di Auschwitz, che si tenne il 16 giugno 1944 (alla quale parteciparono, tra gli altri, Pohl, Maurer, Höss, Bischoff, Baer e Wirths), il completamento (Ausbau) delle baracche del campo II era ancora in discussione. Si fece rimarcare, a questo riguardo, che era il caso di prevedere lavandini e gabinetti in una baracca su tre o quattro»(p. 980).

La fonte è il documento NO-2359 (nota 159 a p. 1058). Si tratta di un «Aktenvermerk)(nota per gli atti) di Bischoff che ha per oggetto il «Colloquio in occasione della visita del capo dell’ufficio centrale, SS-Obergruppenführer und General der Waffen-SS Pohl, su questioni relative alle costruzioni ad Auschwitz». Il punto menzionato da Hilberg riguarda l’«ampliamento (Ausbau) di baracche nel KL (II) », non il loro «completamento». Questo «ampliamento» consisteva nell’ «installazione di locali lavatoio e latrina» (Einbau von Wasch- u. Aborträumen) ogni tre o quattro baracche. Un documento successivo, riporta infatti tale progetto in questi termini:
«Ampliamento di baracche nel KL II (locali lavatoio e latrina) »[Ausbau von Baracken im KL II (Wasch- und Aborträume)] (394).

Questa però non era una misura negativa che denotasse un particolare «sadismo» delle SS, al contrario, una misura positiva. Le baracche alloggio (Unterkunftbaracken) dei detenuti erano di norma sprovviste di queste installazioni igieniche, che si trovavano in apposite baracche. Nel settore di costruzione II di Birkenau c’erano infatti 14 Waschbaracken (Bauwerk 6b) e 14 Abortbaracken (Bauwerk 7b) (395).
L’installazione di lavatoi e latrine in una baracca alloggio ogni tre o quattro costituiva pertanto un miglioramento delle condizioni igieniche generali.

Hilberg, nel quadro del «sadismo» delle SS, invoca inoltre il sovraffollamento dei blocchi alloggio, senza rendersi conto che in tal modo smentisce la sua tesi dello steminio in massa:
«Il sovraffollamento degli alloggi era un problema costante per i detenuti; semplicemente non c’era un limite al numero delle persone che potevano essere assegnate a un alloggio. I detenuti dormivano senza coperte né cuscini su quelle che venivano chiamate Pritschen, larghe tavole di legno. Il 4 ottobre 1944, la Divisione amministrativa di Auschwitz II scrisse all’Amministrazione centrale per domandare 230 nuove Pritschen. Al posto di cinque detenuti, come prevedeva il regolamento, avevano dovuto metterne quindici per tavola. A causa di questo sovraccarico, la tavola superiore della Pritschen [Pritsche] aveva ceduto e tutti i detenuti erano caduti sopra quelli che dormivano sulla tavola di mezzo. Questa non aveva retto ed era crollata su quella più bassa».

La fonte è il libro già menzionato Dokumenty i materiały, pp. 95-96 (nota 160 a p. 1058). Il resoconto di Hilberg è a dir poco impreciso e lacunoso. Anzitutto la richiesta, diretta dall’Amministrazione (Verwaltung) del KL Auschwitz II (Birkenau) alla Zentralbauleitung (non all’Amministrazione centrale), riguardava non solo 230 Pritschen, ma anche «6.000 coperte di lana» (6000 Wolldecken), nonché 8.000 tavolati per Pritschen (Pritschenbodenbretter). Il punto 2 del documento dice inoltre: «Le coperte di lana devono essere distribuite in modo tale che a un Block ne tocchino 500 e al detenuto 2» (Die Wolldecken sollen so verteilt werden, dass ca 500 Stück auf einen Block und 2 Stück auf den Häfling kommen).
Il risultato del crollo riferito da Hilberg fu che «i tavolati (die Bodenbretter) e in parte anche le Pritschen divennero inutilizzabili». Dunque ciò che Hilberg chiama Pritschen - larghe tavole di legno - erano in realtà le Bodenbretter, mentre le Pritschen erano dei pagliericci che vi venivano collocati sopra. Per i detenuti erano pertanto previsti pagliericci e coperte di lana.
Il punto 1 del documento recita: «Questo campo viene usato come compo di ricezione e di transito» (Dieses Lager wird als Aufnahme- und Durchgangslager benutzt). A Hilberg deve essere sembrato tanto incredibile che nel presunto campo di sterminio di Birkenau vi fosse un campo di transito (Durchgangslager) che ha preferito non toccare la questione. Eppure questo campo non solo esistette, ma per esso passarono almeno 98.600 detenuti che furono trasferiti in altri campi (396), di cui almeno 79.200 erano ebrei ungheresi (397) e almeno 11.500 erano Ebree prevenienti dal ghetto di Łódź (398).
Il «sovraffollamento» di cui parla Hilberg dipese proprio dal fatto che il «sovrappiù» non fu mandato «nella camera a gas», ma nel campo di transito di Birkenau.

Riguardo al ghetto di Łódź, Hilberg scrive:
«Di fatto, Łódź era diventato il più grande ghetto ancora in funzione, e i suoi 80000 abitanti sopravvissero bene o male ancora due anni, con razioni alimentari da prigionieri e giornate lavorative di dodici ore. Poi nell’agosto del 1944, nel ghetto vennero affissi altri avvisi che dicevano:“Trasferimento del ghetto”(Verlagerung des Ghettos) » (p. 529).
«Alla fine di agosto [1944], il ghetto era vuoto, eccezion fatta per un piccolo commando incaricato delle pulizie. Le vittime non furono inviate in Germania, nelle fabbriche, ma nel centro di sterminio di Auschwitz, per essere mandate nelle camere a gas» (pp. 530-531).

In realtà, come ho documentato altrove, gli Ebrei evacuati dal ghetto di Łódź furono al massimo 65.000 e ad Auschwitz non ne giunsero più di 22.500 (399), di cui, come ho accennato sopra, circa 11.500 donne furono trasferite a Stutthof. Per quanto riguarda gli uomini, non ci sono documenti. Si sa tuttavia che il trasporto partito da Auschwitz il 3 settembre 1944 includeva una quarantina di bambini ebrei dai 6 mesi ai 14 anni provenienti dal ghetto di Łódź: essi non furono gasati, ma regolarmente immatricolati e trasferiti con le loro madri a Stutthof (400).
La pretesa di Hilberg è tanto più inconsistente in quanto egli rimanda come fonte a una lettera del WVHA del 15 agosto 1944, il documento NO-399 (nota 424 a p. 873). Questo documento è identico al PS-1166 (401). Vediamo di che cosa si tratta.
Il 15 agosto 1944 il capo dell’Amtsgruppe DIV (KL-Verwaltung) (402) del WVHA, SS-Sturmbannführer Burger, inviò al capo dell’ Amtsgruppe B, SS-Gruppenführer Lörner, una lettera relativa a «Häftlingsmeldung» (comunicazione relativa ai detenuti) e «Häftlingsbekleidung» (vestiario per i detenuti). Vi si dice che il 1° agosto 1944 la forza dei campi di concentramento era di 379.167 detenuti e 145.119 detenute, cui si aggiungevano come «angekündigte Neuzugänge» (nuovi arrivi annunciati)– tra gli altri – 60.000 detenuti «aus Litzmannstadt (Polizeigefängnis und Getto)» - da Litzmannstadt (prigione della polizia e ghetto). L’elenco dei «Neuzugänge» (nuovi arrivi) – 612.000 detenuti - si chiudeva col seguente commento:
«Gran parte dei detenuti è già in partenza e arriverà nei prossimi giorni per l’internamento nei campi di concentramento»[«Ein Grossteil der Häftlinge befindet sich bereits im Anrollen und gelangt in den nächsten Tagen zur Einlieferung in die Konzentrationslager»] (403).

Burger dichiarava che non c’era vestiario per i nuovi 612.000 detenuti in arrivo e chiedeva di conseguenza l’assegnazione di «quote speciali di materiale tessile». L’Amt DIV/4 si occupava infatti di «Bekleidung» (vestiario), perciò il WVHA attendeva realmente l’arrivo nei campi di concentramento di questi detenuti, dunque anche dei 60.000 Ebrei di Łódź, la cui evacuazione nei campi di concentramento, il 15 agosto, era già in corso da alcuni giorni.
Dunque il documento invocato da Hilberg smentisce clamorosamente la sua pretesa: non solo non menziona affatto Auschwitz, ma afferma che afferma che 60.000 Ebrei, praticamente tutti gli evacuati dal ghetto, furono immatricolati.

Hilberg descrive poi così la piaga della mancanza di cibo dei detenuti:

«Il regime base dei detenuti ebrei consisteva in una zuppa di rape servita in gavette, alla quale si aggiungeva un pasto serale fatto di pane alla segatura insaporito da un po’ di margarina, “marmellata maleodorante” o “salsicce putride”» (p. 981).

Qui Hilberg si appella di nuovo a Gisella Perl (note 166-168, p. 1058-1059). Ma l’articolo di Jan Sehn che egli cita in relazione ai crematori di Birkenau, pur essendo a sua volta esagerato, smentisce questa descrizione: la razione giornaliera di pane (Sehn non accenna minimamente al presunto «pane alla segatura») era di 350 grammi, ma (a suo dire) i detenuti ne ricevevano 300. A colazione essi ricevevano mezzo litro di caffè o tè con (secondo il regolamento) 3 kg di zucchero ogni 300 litri. A pranzo c’erano due tipi di zuppa: una di carne quattro volte alla settimana e una vegetale tre volte alla settimana. Inoltre, ogni giorno, a un detenuto spettavano da 40 a 50 grammi di margarina o salsiccia o marmellata (Sehn non conferma che questi cibi fossero «putridi» o «maleodoranti»), razioni che però gli arrivavano decurtate (404).
Naturalmente anche il quadro delineato da Sehn si basa su testimonianze. Vale la pena di ricordare ciò che dichiarò il giudice Morgen al riguardo:

«La razione alimentare per i detenuti che lavoravano era di 2.750 calorie al giorno. Soprattutto in forma di patate, legumi, prodotti farinacei, verdura e pane».


Hilberg aggiunge:

«Le condizioni di vita nei centri di sterminio causavano malattie ed epidemie - dissenteria, tifo e malattie della pelle di tutti i tipi. Le misure igieniche erano quasi del tutto inesistenti. Il terreno di Auschwitz era del tutto inadatto per la canalizzazione, quindi si poteva disporre solamente di latrine» (pp. 981-982),

che per lui erano evidentemente dei semplici «recipienti che venivano vuotati» (p. 980). Queste affermazioni si basano come al solito su una testimonianza (nota 169 a p. 1059).
Se Hilberg avesse avuto la curiosità di osservare con un minimo di attenzione una pianta del campo di Birkenau, si sarebbe accorto che vi esisteva un ampio sistema di canalizzazione che faceva capo a tre impianti di depurazione delle acque (Kläranlagen), situati uno a sud del crematorio II, uno - quello principale - tra il crematorio III e l’Effektenlager (il cosiddetto Kanada) e il terzo, nel settore BIII, a nord del crematorio V. Ovviamente le baracche latrina erano collegate a questo sistema. Per quanto riguarda le misure igieniche, qui è sufficiente rinviare al primo libro di J.-C. Pressac, che ha dedicato sei capitoli agli impianti igienico-sanitari del campo, tre dei quali si trovavano a Birkenau e sono ancora riconoscibili come tali (405).

Hilberg conclude la sua rassegna degli orrori con questa osservazione:

«Niente distingueva l’infermeria dalle altre baracche, e i medici detenuti avevano solo qualche medicina e alcuni strumenti a loro disposizione» (p. 982).

Senza entrare nei dettagli, nel complesso Auschwitz-Birkenau c’erano vari ospedali per i detenuti. Quello principale si trovava nello Stammlager (Auschwitz). A Birkenau, nel settore BIa c’era l’ospedale femminile, nel settore BIIf quello maschile. Un altro ospedale si trovava a Monowitz. Nel dicembre 1943 l’ospedale dello Stammlager comprendeva i seguenti reparti: sala radiologica, laboratorio chimico, reparto oto-laringoiatrico, laboratori ottici, reparto lampade, farmacia delle erbe officinali, cucina dietetica, reparto dentistico; esso era inoltre dotato di una sala operatoria e di una fisioterapica e aveva anche un blocco convalescenziario (406). Nei registri delle operazioni chirurgiche, nel periodo dal 10 settembre 1942 al 23 febbraio 1944 sono annotati 11.246 interventi chirurgici (407), in media più di venti al giorno!
Decisamente, le testimonianze alle quali si è affidato Hilberg non sono propriamente affidabili.

A p. 982, Hilberg scrive:

«Fino alla fine del 1941, Lublino aveva ricevuto 26258 detenuti [ebrei] immatricoalti. Ne furono rilasciati 4568; 14348 erano deceduti. Alla stessa data, Auschwitz aveva ricevuto 5849 detenuti ebrei immatricolati: 4436 erano morti».

Ma secondo la fonte da lui addotta, il rapporto Korherr del 27 marzo 1943, NO-5194 (nota 171 a p. 1059) qui non è questione di detenuti «immatricolati»: secondo il Kalendarium di D. Czech, fino al 31 dicembre 1942, ad Auschwitz furono immatricolati oltre 58.000 ebrei. Il rapporto si riferisce invece agli Ebrei non inclusi nell’azione di evacuazione (Evakuierungsaktion), dei quali, pertanto, ad Auschwitz, erano stati immatricolati oltre 52.100.
Quanto al campo di Lublino, 4.560 Ebrei rilasciati su 26.258 internati è decisamente troppo per un «centro di sterminio».

Qualche pagina dopo Hilberg osserva:
«Tutte le strade erano dunque valide per procurarsi guardie, armi e mezzi di trasporto. Ma Pohl continuava a essere preoccupato. I campi racchiudevano un numero enorme di persone destinate a essere sterminate. In un rapporto a Himmler datato 5 aprile 1944, Pohl ricordava le misure preventive che aveva preso nel caso avvenisse un tentativo di evasione di massa, ad Auschwitz. In quel momento, il campo contava 67000 detenuti. Da questa cifra, Pohl sottraeva 18000 detenuti ammalati e 15000 assegnati al lavoro che avrebbero potuto essere «liquidati» (abgesetzt), «così facilmente che era il caso di contare 34000 detenuti» (p. 986).

La fonte è il documento NO-21 (nota 189 a p. 1059), che però dice tutt’altra cosa:
«Dal numero totale di 67.000 detenuti bisogna detrarre i detenuti che si trovano nei campi esterni e i malati stazionari, se si deve prendere in considerazione la questione del pericolo per l’Alta Slesia di una eventuale rivolta o di una evasione » (Von der Gesamthäftlingszahl mit 67.000 sind die in den Aussenlagern befindlichen und die stationärkranken durch einen etwaigen Aufstand oder Ausbruch für Oberschlesien betrachtet werden soll).

In base a ciò, viene eseguito il seguente calcolo:
«Dal numero totale di 67.000 detenuti
quelli alloggiati nei campi esterni (Lager III)(408) 15.000 vengono detratti (abgesetzt)
Il numero dei malati stazionari (409) e degli invalidi (410)
è attualmente di 18.000
perciò in pratica si devono calcolare 34.000 detenuti» (411).

Dunque «abgesetzt» non significa «liquidati», ma «detratti», cosa più che ovvia, dato che i 15.000 detenuti alloggiati (untergebrachten) - non «assegnati al lavoro»! - in 14 campi esterni e i 18.000 malati stazionari e invalidi (!) di Auschwitz-Birkenau non avrebbero rappresentato alcun pericolo in caso di insurrezione o evasione in questo campo.
La presenza di un numero così rilevante di malati stazionari e invalidi contraddice in modo radicale la tesi di Hilberg dello sterminio differito, che, tra l’altro, è in ulteriore contraddizione con il progetto, in parte realizzato, di un ospedale per i detenuti (Häftlingslazarett) nel Bauabschnitt III di Birkenau che prevedeva la costruzione di «114 baracche per malati (BW 3e)»[114 Krankenbaracken(BW 3e)] e «12 baracche per malati gravi (12b)» [12 Baracken für Schwerkranke (BW 12b)] (412).





8.3.
L’attività dei Tribunali SS


Indice

Hilberg dedica un paio di pagine anche all’attività dei tribunali SS nei confronti di comandanti e ufficiali SS dei campi di concentramento. Egli menziona infatti il caso del comandante di Buchenwald, l’SS-Standartenführer Koch, e di Höss. Per il primo, l’informazione che fu condannato a morte da un tribunale SS arriva in mezza riga dopo una pagina in cui Hilberg descrive i presunti intralci che furono opposti all’arresto di Koch (p. 978). Quanto a Höss, Hilberg raccoglie (da testimonianze del dopoguerra) i pettegolezzi che circolavano su di lui, in particolare che «era responsabile della gravidanza di una detenuta», tale Eleonore Hodys. Egli non fu perseguito e Hilberg conclude: «Höss aveva vinto» (p. 979).
Il resoconto di questi avvenimenti fornito da Hilberg suscita l’impressione che i tribunali SS perseguirono pochissimi membri delle SS (egli menziona solo le condanne di Koch e di due suoi subalterni) e quasi a dispetto delle autorità superiori. Stranamente, per esporre l’attività del giudice Morgen, egli non si appella alle dichiarazioni di questi, bensì alle dichiarazioni del giudice Werner Paulmann, che cita ben cinque volte (note 144, 145, 148, 150, 151 a p. 1057-1058). Ma, anche nel riportare questa testimonianza, Hilberg è ben lungi dall’essere preciso. Ad esempio, egli afferma che, nel 1941, l’azione giudiziaria contro Koch «non ebbe seguito»(p. 978), ma ciò non avvenne per una sorta di insabbiamento, bensì, come precisa Paulmann, «per mancanza di prove» (413). E il successivo arresto di Koch non fu determinato dal fatto che «il tribunale non mollò la presa» (p. 978), ma piuttosto dal fatto che «sulla base di nuove indagini Himmler autorizzò immediatamente il nuovo arresto di Koch», che fu eseguito personalmente da Paulmann nell’agosto 1943 (414).

Hilberg riferisce in tale contesto questo aneddoto:
«A Buchenwald, un Hauptscharführer (vice)[?], Koehler, fu arrestato come testimone a carico. Qualche giorno dopo il suo arresto, lo si trovò morto nella sua cella, apparentemente avvelenato. Il funzionario incaricato dell’inchiesta, il dottor Morgen, era furioso. Sospettando il medico del campo (il dottor Hoven) dell’assassinio, Morgen ordinò di eseguire il prelievo degli agenti chimici nello stomaco del morto e di somministrarli a quattro prigionieri di guerra sovietici. I quattro uomini morirono davanti a numerosi testimoni, tra i quali Morgen, lo specialista in materia di corruzione Wehner, e il collega di Hoven, il dottor Schuler (alias Ding). Forti di questa prova, Morgen arrestò Hoven» (p. 978).

In pratica, dunque, il giudice Morgen non era meno criminale dei criminali che perseguiva! In realtà questa storia non solo non è attestata dalle dichiarazioni di Morgen, ma è smentita da quelle di Paulmann. Questi asserì esplicitamente che il Lagerarzt Hoven era stato condannato per aver effettuato uccisioni illegali di detenuti all’ospedale del campo (415). La fonte di Hilberg è una testimonianza dell’ex detenuto di Buchenwald Eugon Kogon al processo dei medici (nota 147 a p. 1058), che si svolse dal 9 dicembre 1946 al 27 luglio 1947. Ma nel 1946 Kogon pubblicò un libro in cui raccontò un’altra versione dell’aneddoto:
«L’autopsia [del cadavere di Köhler] fece però risultare un avvelenamento da alcaloidi. Poiché non si poté accertare la sostanza specifica che era stata usata, gli inquirenti del Tribunale SS, l’SS-Sturmbannführer dott. Morgen e l’SS-Hauptsturmführer dott. Wehner, fecero un “piccolo esperimento” nel Block 46 alla presenza del comandannte del campo: fecero somministrare a quattro ignari prigionieri di guerra in una pasta in brodo varie sostanze della serie degli alcaloidi. Poiché le persone non ne morirono, furono poi strangolate nel crematorio» (416).

Hilberg, dunque, invece di affidarsi ai testimoni diretti, si è appellato incautamente a un testimone esterno senza cognizione di causa che ha semplicemente riferito delle voci, per poi contraddirsi l’anno dopo al processo dei medici.

Per quanto riguarda Höss, l’accusa menzionata da Hilberg fu ripetuta al processo Auschwitz di Francoforte da un subalterno di Morgen, il dott. Wiebeck. Un tale SS di nome Gehri gli aveva segnalato il presunto fatto. La donna fu portata dal giudice in barella, perché era malata di tubercolosi ossea. Höss voleva ucciderla. Nonostante ciò, la donna non fu uccisa e nel 1947 viveva a Lipsia e su Höss non fu fatta alcuna indagine (417). Una bolla di sapone. Da un diario della Hodys risultarono invece accuse a Maximilian Grabner, il capo della Sezione Politica di Auschwitz, sicché Morgen affermò che «il rapporto della Hodys è la chiave del caso Grabner»(418).
Una singolare dimenticanza da parte di Hilberg. Grabner fu infatti arrestato e condannato da un Tribunale SS a 12 anni di carcere per malversazione (419).

Come riferì il giudice Morgen, le azioni giudiziarie contro SS furono immensamente più numerose di quanto si possa desumere dal resoconto di Hilberg:
«Furono arrestati i comandanti di Buchenwald, Lublino, Varsavia, Herzogenbusch, Cracovia-Plaszow. Furono fucilati i comandanti di Buchenwald e Lublino. Parecchie centinaia di casi si conclusero con la condanna. Punizioni severe e severissime furono inflitte a membri di ogni grado. Il numero totale dei casi inquisiti fu di circa 800 e un caso riguardava spesso più persone» (420).

E tutto avvenne col pieno consenso di Himmler:
«Himmler alla mia prima esposizione [del problema] diede immediatamente via libera alle indagini, fece cadere inesorabilmente i grandi dei campi di concentramento presi [in fallo] in precedenza e ordinò ripetutamente di procedere senza alcun riguardo» (421).






8.4.
La manodopera dei detenuti


Indice

Hilberg apre il paragrafo «Utilizzo della manodopera» con queste considerazioni:
«La ragione principale per la quale si mantenevano in vita dei detenuti, era essenzialmente per utilizzarli come manodopera, anche se, in effetti, l’uso degli Ebrei nei progetti di costruzione, conservazione o nell’industria fu solo una tappa del loro annientamento» (p. 988).

Ciò è smentito dal fatto che, solo nel 1944, da Auschwitz furono trasferiti in altri campi di concentramento non meno di 105.000 Ebrei (422), per i quali dunque il preteso «centro di sterminio» non fu affatto «una tappa del loro annientamento».

Hilberg continua:
«Come nel caso delle operazioni mobili di massacro nell’Est, agli Ebrei si accordava giusto di prendere fiato, o per usare la pesante fraseologia di Pohl:
“Gli Ebrei utilizzabili che emigrano all’Est, devono interrompere il loro viaggio e lavorare nell’industria di guerra (Die für die Ostwanderung bestimmten arbeitsfähigen Juden werden also ihre Reise unterbrochen und Rüstungsarbeiten leiten müssen)” » (p. 988).

Qui Hilberg dimentica un particolare non certo irrilevante, ossia che questa interruzione del viaggio doveva avvenire ad Auschwitz. Riassumo brevemente il documento.
Il 15 settembre 1942 si svolse un incontro tra Speer e Pohl. Il giorno dopo, Pohl ne redasse per Himmler un dettagliato rapporto. La discussione si era articolata in quattro punti, il primo dei quali era l’ «ingrandimento del campo di baracche di Auschwitz in conseguenza della migrazione ad est» (Vergrösserung Barackenlager Auschwitz infolge Ostwanderung). Su questo punto Pohl riferì:
«Il ministro del Reich prof. Speer vuole garantire in tal modo l’impiego a breve scadenza anzitutto di 50.000 Ebrei abili al lavoro in stabilimenti chiusi esistenti che abbiano possibilità di alloggiamento.
La mano d’opera necessaria a questo scopo la raccoglieremo anzitutto ad Auschwitz dalla migrazione verso l’Est (Ostwanderung), affinché i nostri impianti aziendali esistenti non siano disturbati nella loro produzione e nella loro costruzione da un cambio continuo di mano d’opera.
Gli Ebrei abili al lavoro destinati alla migrazione verso l’Est interromperanno dunque il loro viaggio e dovranno eseguire lavori nell’ambito degli armamenti».
[«Reichsminister Prof. Speer will auf diese Weise kurzfristig den Einsatz von zunächst 50.000 arbeitsfähigen Juden in geschlossenen vorhandenen Betrieben mit vorhandenen Unterbringungsmöglichkeiten gewährleisten.
Die für diesen Zweck notwendigen Arbeitskräfte werden wir in erster Linie in Auschwitz aus der Ostwanderung abschöpfen, damit unsere bestehenden betrieblichen Einrichtungen durch einen dauernden Wechsel der Arbeitskräfte in ihrer Leistung und ihrem Aufbau nicht gestört werden.
Die für die Ostwanderung bestimmten arbeitsfähigen Juden werden also ihre Reise unterbrechen und Rüstungsarbeiten leisten müssen»] (423).

La Ostwanderung era la deportazione ebraica all’Est. L’ultima frase, in tale contesto, significa che gli Ebrei inabili al lavoro destinati alla Ostwanderung non interrompevano il loro viaggio - dunque non si fermavano ad Auschwitz - ma proseguivano il loro «viaggio»(Reise) all’Est (424).
Ma se Auschwitz, all’epoca, era già un «centro di sterminio», perché gli Ebrei inabili al lavoro non vi venivano gasati immediatamente? Perché erano inviati verso l’Est?
Sopra ho già documentato il fatto - inspiegabile con la teoria di Hilberg - che almeno 24 trasporti ebraici da Vienna tra il maggio e il novembre 1942 furono diretti a Minsk oltreppassando il campo di Auschwitz e quasi fiancheggiando quello di Treblinka (425).

Hilberg aveva letto attentamento il documento in questione, che infatti riassume correttamente qualche pagina dopo:
«Il 15 settembre 1942, fu fatto un notevole passo in avanti in questo senso. Il Reichsminister Speer e quattro suoi vice dei più alti livelli - lo Staatsrat dottor Schiebert (SS-Brigadeführer onorario), il dipl. ing. Saur, il Ministerialrat Steffen e il Ministerialrat dottor Briese - ebbero un incontro con Pohl e Kammler. Due erano gli argomenti all’ordine del giorno: l’ampliamento del campo di Auschwitz in seguito alla “migrazione verso l’est” e la “ridistribuzione di tutti i lavori per l’armamento di vaste proporzioni nei campi di concentramento”. Il primo punto non presentava difficoltà alcuna. Speer approvò l’acquisto di materiali (per una cifra di 13,7 milioni di reichsmark) per la costruzione di 300 baracche in grado di ricevere 132000 detenuti ad Auschwitz» (p. 999).

La sua dimenticanza non è dunque casuale.

Discutendo del comportamento delle SS, Hilberg afferma:
«I trasporti che di volta in volta arrivavano, erano trattati con estrema negligenza. Nel periodo in cui c’era carenza di manodopera ad Auschwitz, il medico del campo, spediva la quasi totalità del convoglio alla camera a gas. Questo tipo di incidenti esasperava i responsabili del collocamento della manodopera del campo, lo Standertenführer Maurer, capo del WVHA-D-II, e il suo assistente Sommer. A questo riguardo si possono citare due esempi. Il 27 gennaio 1943, Sommer informò Höss che 5000 Ebrei di Theresienstadt stavano per essere inviati ad Auschwitz. Chiese che fossero selezionati “con cura” (sorgfältig zu erfassen) coloro che potevano eventualmente essere assegnati al lavoro: i servizi di costruzione di Auschwitz e le fabbriche I.G. Farben della zona ne avevano bisogno. Dei 5022 Ebrei provenienti da Theresienstadt, 4092 erano stati mandati alle camere a gas (gesondert untergebracht)[sottoposti al trattamento speciale]. Gli uomini erano troppo “deboli” (gebrechlich); le donne erano essenzialmente delle bambine.
Il 3 marzo 1943, Maurer faceva sapere che trasporti di operai qualificati stavano cominciando a lasciare Berlino. Ricordò a Höss che questi operai avevano lavorato nell’industria di guerra; potevano, dunque, essere utilizzati nel campo. La I.G. Farben poteva approfittare di quelli di cui aveva bisogno prendendoli da questo convoglio. Per assicurarsi che la selezione fosse fatta il più accuratamente possibile, questa volta Maurer suggerì di scaricare i treni “non nel solito posto” (il crematorio), ma in modo più appropriato (zweckmässigerweise), in prossimità della fabbrica della I.G.Farben. Due giorni più tardi, l’Obersturmführer Schwarz rispose in tono burbero. Un totale di 1750 Ebrei erano arrivati da Berlino; 632 erano uomini, il resto donne e bambini. L’età media degli uomini selezionati per il lavoro si collocava tra i cinquanta e i sessant’anni. Delle 1118 donne e bambini, 918 avevano subito il “trattamento speciale” (SB).
“Se i convogli provenienti da Berlino continueranno a essere composti di donne, bambini e vecchi ebrei, scriveva, non vi posso promettere grandi cose riguardo al rifornimento di manodopera”.
I quattro trasporti seguenti non diedero molta più soddisfazione dei precedenti (20398 uccisi, 1689 risparmiati per l’industria» (pp. 988-989).

La fonte è la raccolta documentaria già citata Dokumenty i materiały, tomo I, pp. 108-110, 115-117 (note 197-199 a p. 1060).
Hilberg interpreta questi documenti in base al presunto «linguaggio in codice», sicché le espressioni «gesondert untergebracht» (che non significa «sottoposti al trattamento speciale», bensì «alloggiati separatamente»), «S.B.» (Sonderbehandlung, trattamento speciale) e «sonderbehandelt wurden» (furono trattati in modo speciale) che vi appaiono sarebbero impliciti riferimenti all’uccisione.
In realtà questi documenti vanno inquadrati nella politica di deportazione ebraica all’Est con sosta ad Auschwitz per prelevare manodopera che ho esposto sopra. Dal rapporto di Pohl a Himmler del 16 settembre 1942 risulta inequivocabilmente che gli Ebrei inabili al lavoro destinati alla «Ostwanderung» non si fermavano ad Auschwitz, ma proseguivano il loro «viaggio» all’Est. E su questo punto Hilberg stesso non ha nulla da eccepire: si limita soltanto a tacere che il centro di selezione della manodopera era Auschwitz.
Alla luce di questo documento, il «trattamento speciale» consisteva nel fatto che gli Ebrei inabili al lavoro non erano trattenuti a lavorare al campo e l’«alloggiamento separato»(Sonderunterbringung) consisteva letteralmente nel fatto che i trasporti appena arrivati dovevano essere tenuti separati dagli altri detenuti per evitare l’impidocchiamento. Ciò risulta esplicitamente dalla lettera di Bischoff al WVHA del 4 giugno 1943 relativa alla progettazione della Zentralsauna (Bauwerk 32), l’impianto centrale di disinfezione, disinfestazione e bagno del campo di Birkenau, in cui si dice:
«I grossi locali per vestirsi e per spogliarsi (An- und Auskleideräume) sono assolutamente necessari, perché i nuovi arrivati di un intero trasporto (circa 2.000), i quali generalmente arrivano di notte, devono essere rinchiusi in un locale fino al mattino seguente. L’attesa dei nuovi arrivati nei campi occupati è esclusa a causa del pericolo di impidocchiamento (Verlausungsgefahr)»(426).


Un altro caso esemplare di interpretazioni infondate di Hilberg è la sua affermazione che «Maurer suggerì di scaricare i treni “non nel solito posto” (il crematorio)». La lettera di Maurer in questione è datata 3 marzo 1943 (427), ma, come è noto, la prima presunta cremazione omicida in un crematorio di Birkenau (il crematorio II) avvenne (per la storiografia olocaustica) la notte del 13-14 marzo 1943 (428). Senza contare che, all’epoca, esisteva soltanto la cosiddetta vecchia rampa, che si trovava all’esterno del campo di Birkenau, vicino alla stazione ferroviaria di Auschwitz, sicché l’affermazione di Hilberg risulta ancora più infondata.

A p. 992 Hilberg scrive:

«Ad Auschwitz, la DAW beneficiava della protezione attenta di Höss. La Bauleitung gli fornì due laboratori e gli commissionò porte e finestre per le camere a gas» (p. 992).

La fonte è il rapporto dell’SS-Hauptsturmführer Mey dell’11 giugno 1942, NO-1216 (note 205-206 a p. 1061). Il documento in questione parla invece semplicemente di «consegna delle officine alla Zentralbauleitung»(Übernahme der Werkstätten der Zentralbauleitung); queste officine, due, si trovavano «presso i Deutsche Ausrüstungswerke [DAW]». Nel documento inoltre non vi è alcun riferimento ad un’ordinazione di «porte e finestre per le camere a gas». In un solo punto vi si parla di porte e finestre, ma in questi termini:

«I colloqui che il sig. dott. Hohberg ha avuto col capo degli acquisti della IG-Farbenindustrie AG. Auschwitz, sig. dott. Heinz Savelberg, ha fatto risultare che la capacità dei Deutsche Ausrüstungswerke per la fabbricazione di porte e finestre (für die Tür- und Fensterfabrikation) per la fabbrica di idrogenazione e di caucciù sintetico (Hydrier- und Bunawerkes) è troppo esigua» (429).

Queste porte e finestre erano dunque destinate agli impianti di Monowitz e non avevano nulla a che fare con i crematori di Birkenau, che del resto, all’epoca, ancora non esistevano. I lavori per il crematorio II erano infatti iniziati il 2 giugno (430) con lo scavo di fondazione (Baugrube) (431), che fu portato a termine nel mese di luglio (432).

Qualche riga dopo, Hilberg afferma:
«Himmler decise di creare un’azienda speciale a Sobibór. Il campo fu selezionato per lo smontaggio delle munizioni prese al nemico e il recupero del metallo e degli esplosivi. L’impresa non sarebbe stata incorporata nella rete delle industrie del WVHA, perché era progettata per lavorare esclusivamente per l’SS-Führungshauptamt. Il progetto cadde nel nulla» (p. 992).

Egli adduce come riferimento una lettera di Himmler a Pohl del 5 luglio 1943, documento NO-482 (nota 207 a p. 1061). A p. 1028 Hilberg ritorna poi su questo documento, in termini completamente diversi, nella esemplificazione del presunto «linguaggio in codice»:
«Quando era assolutamente necessario nominare un campo di sterminio, si parlava dell’Arbeitslager (campo di lavoro) o del Konzentrationslager (campo di concentramento). Birkenau, il luogo di sterminio di Auschwitz, si chiamava Kriegsgefangenenlager (campo dei prigionieri di guerra), in base alla sua prima destinazione d’uso, e più tardi KL Au II (campo di concentramento di Auschwitz II). Sobibór aveva la ingegnosa denominazione di “Durchgangslager” (campo di transito) (433). Dal momento che era situato vicino al Bug, alla frontiera con i territori occupati all’est, questo appellativo coincideva con il mito della “migrazione all’Est”. Quando Himmler propose, un giorno, che al campo fosse assegnato il nome di Konzentrationslager, Pohl si oppose»(corsivo mio).

La fonte include anche la risposta di Pohl a Himmler del 15 luglio 1943 (nota 374 a p. 1067).
In realtà Himmler non propose affatto che «al campo fosse assegnato il nome di Konzentrationslager», bensì ordinò di «trasformar[lo] in un Konzentrationslager» (in ein Konzentrationslager umzuwandeln), e la differenza non è irrilevante.
In questo campo di concentramento doveva sorgere «uno stabilimento per il disinnesco di munizioni catturate» (eine Entlaborierungsanstalt für Beutemunition) (434). Pohl rispose a Himmler che per costruire questo stabilimento non c’era bisogno di trasformare Sobibór in un campo di concentramento (435). Non era dunque una questione di «nome», ma di burocrazia, come ha ben spiegato Hilberg stesso:

«L’impresa non sarebbe stata incorporata nella rete delle industrie del WVHA, perché era progettata per lavorare esclusivamente per l’SS-Führungshauptamt».

Ciò non ha nulla a che vedere con il presunto «linguaggio in codice».

Passiamo al termine «Durchgangslager», campo di transito. La lettera di Himmler del 5 luglio 1943 reca la scritta «Geheime Reichssache!», affare segreto di Stato. Il punto 1 dice:

«Il Durchgangslager di Sobibór nel distretto di Lublino dev’essere trasformato in un Konzentrationslager».

La risposta di Pohl ha come oggetto «Durchgangslager Sobibor», termine ripetuto qualche riga dopo. Come si può credere seriamente che Himmler e Pohl usassero un preteso «linguaggio in codice» perfino in documenti segretissimi?
La spiegazione psicologica di Hilberg, il preteso «processo di rimozione» che «consisteva nell’omettere di nominare i “massacri” o le “installazioni di sterminio”, persino nella corrispondenza segreta che rendeva conto delle operazioni»(p. 1097, corsivo mio), ha il medesimo valore storico di tutte le sue altre spiegazioni freudiane: nessuno.

Quanto al presunto «mito della “migrazione all’Est”», avvalorato dal fatto che il campo «era situato vicino al Bug», in un rapporto del comandante distrettuale di Pulawy al governatore del distretto di Lublino del 13 maggio 1942 si legge:

«Nel periodo dal 6 al 12 maggio incluso, per ordine del Capo delle SS e della Polizia, 16.882 Ebrei del distretto di Pulawy sono stati espulsi oltre il Bug» (436).

Infine, da nessun documento risulta che «il progetto cadde nel nulla», che è una semplice congettura di Hilberg non suffragata da alcuna prova.

In una lunga e pedante descrizione dell’organizzazione della IG-Farben, Hilberg scrive:
«Circa 35000 detenuti passarono da Buna; 25000 circa morirono» (p. 999).

Come al solito, egli si affida a testimonianze (nota 238 a p. 1062). Dai documenti, invece, risulta che al campo di Monowitz morirono complessivamente 1.625 detenuti (437).





8.5.
Gli esperimenti medici


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Il breve paragrafo sulle «Sperimentazioni mediche» che Hilberg inserisce alle pagine 1004-1015, in generale, non ha una connessione diretta con i «centri di sterminio»: esperimenti medici furono infatti condotti anche in campi - come Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen - che egli non considera tali. C’è però un aspetto che merita di essere discusso. Hilberg lo espone così:
«Tutti questi medici utilizzavano, dunque, gli esseri umani come cavie. Alcuni, tuttavia, si spingevano oltre, ed eseguivano sperimentazioni non più dettate dal desiderio di venire in aiuto agli ammalati. Andavano in una direzione completamente diversa, poiché potevano essere accumunate agli obiettivi nazisti. In queste sperimentazioni si può riconoscere il desiderio di ampliare il processo di distruzione» (p. 1008).

In questa categoria rientravano principalmente gli esperimenti di sterilizzazione, eseguiti dal dott. Clauberg e dal dott. Schumann, che Hilberg descrive diffusamente in oltre quattro pagine. Alla fine conclude:
«Tutti questi esperimenti, che costarono alla vita a diverse centinaia di migliaia di vittime, non portarono a niente. Nessuno dei concorrenti in gara riuscì nel suo scopo» (p. 1013).

Dunque non fu attuato alcun procedimento di sterilizzazione in massa. Il numero delle presunte vittime è a dir poco azzardato. Irena Strzelecka scrive al riguardo:
«Probabilmente solo alcune dozzine delle oltre 1.000 vittime degli esperimenti di Schumann e di Clauberg nel KL Auschwitz sopravvissero, e sapevano di essere rovinate per sempre» (438).

Si sa inoltre che, dei 543 gemelli documentati che passarono per Auschwitz, 376 sopravvissero fino alla liberazione del campo, 4 morirono nei mesi successivi, 1 morì durante il trasporto di evacuazione il 27 gennaio 1945 e 12 perirono durante l’esistenza del campo; dei restanti 154 non si hanno notizie (439).
A tutti gli altri esperimenti eseguiti ad Auschwitz non furono assoggettati più di qualche centinaio di detenuti, ad esempio, 125 nella sperimentazione di farmaci, alcune decine in quella delle sostanze tossiche, 115 per la collezione di scheletri, venti per le ricerche sulla tubercolosi (440).
Si può dunque ipotizzare che i detenuti sottoposti ad esperimenti ad Auschwitz furono dell’ordine di 2.000. Negli altri campi l’ordine di grandezza fu simile o minore. Ad esempio, a Dachau furono sottoposti ad una prima serie di esperimenti sulla malaria 200 detenuti (di cui morirono 17), in totale 1.500. A Buchenwald furono eseguiti esperimenti sul tifo su 450 detenuti, di cui morirono 158 (441). Il numero dei detenuti sottoposti ad esperimenti fu dunque al massimo dell’ordine di 5.000, la maggior parte dei quali sopravvisse. Ma allora come può Hilberg asserire che tutti questi esperimenti «costarono alla vita a diverse centinaia di migliaia di vittime»? Non è certo un caso che egli, che documenta con una meticolosità anche eccessiva qualunque affermazione, sia pure insignificante, qui non menzioni alcuna fonte.

In questo paragrafo, ciò che sorprende di più, è il fatto che Hilberg non si sia chiesto perché questo poderoso apparato di sperimentazione medica non fosse stato messo in moto per il presunto sterminio ebraico. Sopra abbiamo visto che circa la genesi del presunto strumento di sterminio - la camera a gas ad acido cianidrico - ci sono due versioni contrastanti. Per trovare questo strumento, infatti, Himmler si sarebbe rivolto nello stesso tempo al Reichsarzt Grawitz e a Eichmann, ma alla fine, come racconta Höss, ad esso si arrivò quasi per caso, perché un giorno dell’autunno del 1941, qualche mese dopo che aveva ricevuto da Himmler il presunto ordine di sterminio ebraico, il suo vice, l’SS-Hauptsturmführer Fritzsch, «di sua iniziativa» usò lo Zyklon B per uccidere dei prigionieri di guerra sovietici (442). Questo aneddoto non ha alcun fondamento storico (443). Ma anche a prescindere da ciò, come si può credere seriamente che per l’adempimento di un presunto ordine di Hitler di sterminio in massa non venisse mobilitato anzitutto l’apparato delle sperimentazioni mediche delle SS? È noto infatti che nei campi di Sachsenhausen e Natzweiler-Strutthof fin dal settembre 1939 venivano eseguiti esperimenti coll’iprite, successivamente col fosgene, per trovare un rimedio terapeutico a questi aggressivi chimici (444). Nel corso della prima guerra mondiale da entrambi gli schieramenti contrapposti furono infatti impiegati aggressivi chimici di ogni tipo: cloro, bromo, fosgene (ossicloruro di carbonio), tiofosgene (solfocloruro di carbonio), acido cianidrico, cloruro di cianogeno, bromuro di cianogeno, cloroformiato di metile, cloroformiato monoclorurato, cloroformiato biclorurato, cloroformiato triclorurato (difosgene), iodoacetato d’etile, bromoacetone, iodoacetone, bromometiletilchetone, solfato dimetilico, clorosolfato di metile, clorosolfato di etile, cloropicrina (tricloronitrometano), metildiclororasina, etildicloroarsina, clorovinildicloroarsina, solfuro d’etile biclorurato, acroelina (aldeide allilica), cloruro di benzile, bromuro di benzile, bromocianuro di benzile, fenilimminofosgene (cloruro di fenilcarbilammina), cloroacetofenone, difenilcloroarsina, difenilcianoarsina, difenilaminocloroarsina, N-etilcarbazolo (445).
Il potere aggressivo delle varie sostanze era indicato dal prodotto di mortalità o indice di tossicità che si ricavava dalla formula di Haber e indicava «i milligrammi di sostanza tossica per m3 da respirare in un minuto per ottenere la morte dell’individuo».
Le sostanze ritenute più tossiche erano:
sostanzaindice di tossicità
fosgene450
difosgene 500
iprite1500
iodoacetato di etile1500cloropicrina2000clorosolfato d’etile2000
bromoacetato di etile3000
perclorometilmercaptano3000

cloroacetone
3000
bromoacetone
4000
bromuro di xilile
6000
cloro7500


In funzione della concentrazione:
acido cianidrico: 1000-4000
ossido di carbonio: 70000.
Come risulta chiaro da questa tabella,
«il più pericoloso dei gas bellici, secondo l’indice di Haber, è il fosgene, seguito subito dopo dal difosgene» (446).

All’epoca la Germania era all’avanguardia nel settore della chimica e questi dati si trovavano in qualunque testo specialistico, come Schädliche Gase, Dämpfe, Nebel, Rauch- und Staubarten, di Ferdinand Flury e Franz Zernik (447), uno dei migliori, apparso già nel 1931 (448).
Si può dunque credere seriamente che, nel quadro dell’esecuzione del presunto ordine del Führer di sterminio in massa da parte di Himmler, dopo il consiglio del dottor Grawitz dell’impiego di un «gas molto volatile e di rapido effetto», non fosse sperimentato su detenuti l’effetto delle sostanze summenzionate in camere a gas appositamente costruite per individuare quella più adatta?
Ciò invece non accadde, e non solo riguardo alla scelta della sostanza per l’uccisione, l’acido cianidrico, ma neppure riguardo alla sostanza stessa: i medici SS non eseguirono mai nessun esperimento tossicologico sull’ acido cianidrico (né su alcuna delle sostanze summenzionate), per verificare sperimentalmente su esseri umani gli indici di Haber, sicché, alla fine della guerra, dopo qualche milione di presunti gasati con Zyklon B, sulle caratteristiche tossicologiche dell’acido cianidrico non se ne sapeva più che nell’anteguerra.

Un’altra questione strettamente connessa è quella relativa ai «metodi» del presunto sterminio: il camion di gasazione, la camera a gas fissa a gas di scarico di un motore e la camera a gas a Zyklon-B. In pratica, per eseguire un ordine di Hitler, non solo non c’era stata una sperimentazione preliminare da parte dei medici SS interessati, ma ogni comandante di «centro di sterminio» faceva quel che gli pareva. Ciò vale anche per la presunta cremazione in massa dei corpi delle vittime. Secondo la storiografia olocaustica, infatti, Himmler ordinò di far cremare i cadaveri dopo la sua seconda visita ad Auschwitz, il 17 e 18 luglio 1942 (449). In conseguenza di quest’ordine, il 21 settembre cominciò la cremazione all’aperto dei cadaveri (450). Tuttavia Himmler, tramite il capo della Gestapo Müller, aveva ordinato all’SS-Standartenführer Blobel di «distruggere le fosse comuni dei territori occupati dell’Est» (p. 1039). Hilberg dimentica di riferire che ciò, secondo la sua fonte - l’affidavit di Blobel del 18 giugno 1947, NO-3947 (nota 470 a p. 1071) - sarebbe avvenuto «nel giugno 1942».
Nonostante ciò, la cremazione dei cadaveri a Chełmno sarebbe iniziata nella primavera 1942 (451), ad Auschwitz il 20 settembre 1942, a Sobibór nell’estate del 1942 (452), a Bełżec a metà di dicembre (453) e a Treblinka nel marzo 1943 (454)!
Per schivare in qualche modo queste contraddizioni, Hilberg asserisce:
«Nel 1942-43[!], in tutti i centri di sterminio erano in atto le riesumazioni» (p. 1040).

Egli è anzi costretto a proclamare una sorta di anarchia nella presunta macchina dello sterminio:
«Così la distruzione degli Ebrei d’Europa fu opera di una vastissima macchina amministrativa. Questo apparato crebbe passo dopo passo; l’iniziativa delle decisioni, come la loro applicazione, ne dipese sempre e largamente. Per distruggere gli Ebrei d’Europa, non venne creato né un organismo specifico, né un budget particolare. Ciascuno doveva giocare un ruolo specifico nel processo, e ciascuno doveva trovare al proprio interno i mezzi per portare a compimento il proprio scopo» (p. 61).

Tuttavia, come risulta dal paragrafo intitolato «Le confische» (pp. 1015-1027), e in particolare dalla tavola che riassume «l’amministrazione del bottino dei centri di sterminio» (p. 1026), la macchina del sequestro e dello sfruttamento dei beni ebraici non solo era vastissima, ma era anche ben organizzata. Essa si trovava nel WVHA e riguardava tutti i «centri di sterminio» tranne quello di Chełmno. Si trattava dunque di un’anarchia ben disciplinata.





8.6.
«Segreto» e propaganda


Indice

Nel paragrafo «Il segreto», Hilberg descrive le procedure mediante le quali le SS mantenevano appunto il «segreto» sui loro crimini, ma si trattava evidentemente di un segreto di Pulcinella, perché, a suo dire, tutti sapevano tutto. Tali procedure consistevano anzitutto nel «camuffamento verbale»:
«Il linguaggio in codice era un’altra misura di camuffamento. Il termine più importante, e forse il più ingannevole, utilizzato per definire collettivamente i centri di sterminio era l’“Est”. Questo appellativo è molto frequente durante le deportazioni» (p. 1028).

Infatti queste deportazioni erano proprio dirette all’Est!

Hilberg continua:
«Le camere a gas e i crematori di Auschwitz erano conosciuti sotto il nome di Spezialeinrichtungen (installazioni speciali), Badeanstalten (bagni) e Leichenkeller (cantine per cadaveri)».

Di questo «linguaggio in codice» avrebbero inoltre fatto parte espressioni come Sonderbehandlung (trattamento speciale), durchgeschleusst (incanalato, passato attraverso) e gesondert untergebracht (sistemazione speciale)(p. 1028).
La fonte, per quanto riguarda la citazione, è il già citato articolo di Sehn Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau)(nota 375 a p. 1067), che - come ho già rilevato - è anche l’inventore di questo presunto «linguaggio in codice» per Auschwitz.
Delle espressioni «Badeanstalten» e «gesondert untergebracht» mi sono già occupato. Il termine Leichenkeller, come sanno tutti i lettori di Pressac, non era un “criptonimo”, ma il nome delle camere mortuarie seminterrate dei crematori II e III che appare regolarmente nelle piante. Esso del resto non è menzionato come tale da Sehn, che invece afferma che il termine «Spezialeinrichtungen», in una lettera del 16 dicembre 1942, designava i «crematori con enormi camere a gas» di Birkenau (455). Questo documento si riferisce tuttavia all’ «approvvigionamento idrico delle singole baracche lavatoio e cucina, nonché dei singoli crematori e di altre installazioni speciali»(Versorgung der einzelnen Wasch- und Küchenbaracken, sowie der Krematorien und sonstigen Spezialeinrichtungen)(456). Il termine in questione non poteva dunque essere un “criptonimo”, in quanto designava altre installazioni del tutto innocue, come ad esempio le quattro «Spezialbaracken» (baracche speciali) che rientravano nel progetto del campo ospedale per detenuti (Häftlingslazarett) nel settore BIII di Birkenau (457).
Il termine «durchgeschleusst» appare nel rapporto Korherr riguardo ai detenuti ebrei che erano stati fatti passare attraverso i campi del Governatorato generale e del Warthegau (458); esso si può considerare un “criptonimo” solo se si assume aprioristicamente che questi Ebrei non erano stati deportati all’Est, ma inviati in «centri di sterminio».
«Sonderbehandlung» era invece un termine burocratico che, a seconda delle circostanze e del contesto, designava sia l’uccisione, sia un trattamento di favore, come nel documento PS-660, in cui la «Sonderbehandlung di minoranze non polacche» significa esclusione dalle misure di deportazione e assenza di particolari limitazioni alla loro vita (459). Un altro caso, più noto, di «Sonderbehandlung » è quello - riferito da Kaltenbrunner a Norimberga - cui erano sottoposte alte personalità politiche, che erano detenute in due alberghi alpini con razioni viveri nove volte superiori a quelle della popolazione tedesca, champagne e altri privilegi (460).

Hilberg passa poi alla seconda procedura per mantenere il «segreto»:
«Una volta assicurato il camuffamento verbale, era necessario che le bocche restassero chiuse; così, tutto il personale del campo, soprattutto il personale direttivo, giurava di mantenere il silenzio» (p. 1028).

Egli aggiunge però che
«tuttavia, non tutte le persone coinvolte riuscirono a tenere per sé il peso di quello che sapevano» (p. 1029).

Egli cita testimonianze la cui veridicità non è verificabile (come la dichiarazione attribuita a Frieda Jörg), o, se è verificabile, risultano false (come quella di Gerstein che «vuotò il sacco» con von Otter) (461) e documenti interpretati in modo forzato (la circolare di Günther del 29 aprile 1943, in cui le «voci allarmanti» sulle deportazioni di Ebrei si riferiscono al luogo e alle condizioni del loro futuro impiego lavorativo ad Auschwitz) (p. 1029).

Indi Hilberg scrive:

«Un’altra misura precauzionale era strettamente legata al voto del silenzio: il controllo dei visitatori. Questi erano dignitari del Reich o del Partito, che si recavano nei campi per un’ “ispezione”. L’amministrazione del campo di concentramento si mostrava particolarmente suscettibile in fatto di ispezioni. Il 3 novembre 1943, Glücks ordinò che i bordelli e i forni crematori non fossero mostrati ai visitatori; naturalmente, delle installazioni in questione non si doveva nemmeno parlare. Quando un visitatore notò i camini e il fumo che usciva, c’era una risposta pronta: il forno crematorio stava funzionando per bruciare le vittime di un’epidemia» (p. 1029).

La direttiva di Glücks summenzionata era diretta a tutti i campi di concentramento (e non esclusivamente ai «centri di sterminio») e menzionava anche i bordelli: erano forse anche questi strumenti di «distruzione degli Ebrei»?

L’aneddoto finale, espresso con la notoria superficialità di molti testimoni del dopoguerra (fumavano «i camini», al plurale, ma funzionava «il forno crematorio», al singolare) (462), presuppone che nei crematori di Birkenau si cremassero esclusivamente cadaveri di presunti gasati. Nessuno storico olocaustico potrebbe sostenere seriamente una tale assurdità, tanto più in quanto esistono documenti che parlano esplicitamente del trasporto dei cadaveri dei detenuti immatricolati morti per cause naturali (anche di tifo) ai crematori (463).

Segue un’altra storiella sul campo di Bełżec, che risalirebbe al 31 agosto 1942. A Rawa Ruska (una località a meno di 30 km da Bełżec) un sottufficiale tedesco chiese a un poliziotto dove fosse diretto un convoglio di Ebrei: «A Bełżec (464). E poi? Il veleno (Gift) »(p. 1030). Il testo continua così:
«Io chiesi: “Gas”? Egli alzò le spalle. Poi disse ancora: “All’inizio, come credo, li hanno sempre fucilati» (465).

Il seguito della storiella è ambientata sul treno Rawa-Ruska-Chełm:
«Durante il tragitto, la donna fece un gesto in direzione di Bełżec. “Eccolo, arriva!”(Jetzt kommt es [schon] (466)!). Un odore dolciastro li prese alla gola. “Puzzano già”(Die stinken ja schon), disse la donna. “Non dire sciocchezze, è il gas”(Ach Quatsch, das ist ja das Gas), spiegò il marito» (p. 1030).

Il racconto va avanti così:

«Frattanto - avevamo percorso circa 200 metri - l’odore dolciastro si era trasformato in un intenso odore di bruciato (in einen scharfen Brandgerucht). “Viene dal crematorio” (Das ist vom Krematorium), disse il poliziotto» (467).

Ma, come Hilberg sapeva bene, a Bełżec non esistette mai un crematorio e - secondo la storiografia olocaustica -, l’arsione dei cadaveri cominciò nel dicembre 1942.
La medesima fonte riporta anche quest’altra storiella sulla presunta tecnica di sterminio a Bełżec:
«Si dice loro che devono andare alla disinfestazione e poi devono togliersi i vestiti, indi vanno in un locale dove anzitutto si immette un’ondata di calore (Hitzwelle) che contiene già una piccola dose del gas. Ciò basta per tramortirli. Il resto viene dopo. E poi vengono subito cremati» (468).

Durante la guerra storielle di tal fatta circolavano comunemente. A Bełżec si attribuivano metodi di sterminio ancora più fantasiosi: la folgorazione in molte varianti (pavimento costituito da piastra metallica elettrificata, fili elettrici scoperti che passavano sul pavimento e sui muri, vasca piena d’acqua elettrificata munita di elevatore che sollevava i cadaveri e li portava al «crematorio», stufa o forno elettrico, locali sotterranei - ai quali i treni accedevano attraverso tunnel - forniti di pavimento che era al tempo stesso un enorme montacarichi per calare le vittime in una sottostante cisterna di folgorazione e una piastra di cremazione mediante corrente ad alta tensione), la rarefazione dell’aria per mezzo di una pompa aspirante, treni della morte con pavimento cosparso di calce viva, senza contare la «fabbrica di sapone con grasso umano», ecc. (469).
Hilberg tace completamente queste testimonianze, che contrastano con la sua tesi delle gasazioni con gas di un motore Diesel; tace il fatto che la storia della folgorazione ricevette una sanzione ufficiale addirittura al processo di Norimberga, all’udienza del 19 febbraio 1946 (470). Anzi, egli cerca addirittura di avvalorare la sua tesi ricorrendo, nel capitolo sulle deportazioni, a una testimonianza del dopoguerra irrilevante (471):
«Le informazioni che filtravano dai campi erano talvolta molto precise. Nel distretto di Lublino, giunsero fino al presidente del consiglio del ghetto di Zamość, Mieczyslaw Garfinkiel. [...]. Qualche giorno dopo, due o tre Ebrei stranieri che erano scappati da Bełżec, gli parlarono di persone uccise con il gas in baracche» (p. 509).

Hilberg si riferisce alla «testimonianza orale» di Mieczyslaw Garfinkiel del 5 ottobre 1945 inserita negli atti del processo Bełżec (nota 345 a p. 868), di cui l’estratto più saliente era già stato pubblicato nel 1948. Il testimone dichiarò:
«Comunque, alla fine di marzo del 1942, alcuni Ebrei di cui non conosco i nomi mi raccontarono che erano stati portati a Bełżec ed erano riusciti a fuggire di lì, evitando miracolosamente la morte. Secondo ciò che dissero, tutti gli Ebrei portati a Bełżec vi erano stati uccisi con qualche gas tossico nelle baracche (472) summenzionate» (473) (corsivo mio).

A p. 1202 Hilberg riferisce che il New York Times del 26 novembre 1942 aveva riportato la notizia che gli Ebrei «a Bełżec erano uccisi con le scariche di corrente elettrica», ma solo per concludere che, nella stampa, «le affermazioni corrette» riguardo al presunto sterminio «avevano finito per mescolarsi alle voci delle scariche elettriche e della fabbricazione del sapone». Una variante della tesi olocaustica secondo cui queste voci erano «come un’ombra proiettata dalla realtà, come un prolungamento della realtà» (474), ma questa pretesa «realtà» era anch’essa costituita da semplici voci.

Gli aneddoti insignificanti di Hilberg non finiscono qui. Egli scrive ancora:
«Un ferroviere, osservando le recinzioni e le guardiole di Auschwitz I su un lato dei binari e quelle di Auschwitz II sull’altro, concluse che era “era proprio nel mezzo” (mitten drin)» (p. 1031).

Non è facile capire perché egli attribuisca a questa frase pronunciata da un certo Willy Hilse il 9 dicembre 1964 (nota 389 a p. 1068) una importanza tale da richiedere la citazione del testo tedesco. È un dato di fatto che «proprio nel mezzo» c’era la ferrovia, che distava (in linea d’aria) circa 900 metri dalla recinzione di Auschwitz e circa 700 da quella di Birkenau, ma che c’entra questo col presunto sterminio ebraico?

Subito dopo Hilberg riporta questa storiella:

«Un altro funzionario delle ferrovie notava che un odore dolciastro impregnava il suo appartamento e che i vetri erano ricoperti da una pellicola bluastra» (p. 1031).

Anche in questo caso (si tratta di un’altra testimonianza del 1964) non si capisce come ciò si colleghi al presunto sterminio. La favola dell’ «odore dolciastro» della cremazione, al pari di quella dei «cristalli» di Zyklon B, era molto diffusa e si ritrova perfino nel libro di F.Müller: «süssliche Gerucht» (475).

A p. 1078 Hilberg presenta un’altro aneddoto su Auschwitz, basato sull’immancabile «testimonianza orale», questa volta del 1969 (nota 11 a p. 1125):
«Un ferroviere di Cracovia, responsabile degli orari dei treni della morte, ricordava che il suo diretto superiore gli ordinò di far partire i treni, ogni volta che una SS glielo chiedeva».

Auschwitz era al crocevia di tre linee ferroviarie gestite dalla Generaldirektion der Ostbahn in Krakau (Direzione generale delle ferrovie orientali in Cracovia): la 149 (Oderberg-Dzieditz-Auschwitz-Trzebinia-Cracovia e ritorno, con treni espresso per e da Vienna e Varsavia, alcuni dei quali si fermavano anche ad Auschwiitz), la 146d (Kattowitz-Auschwitz e ritorno) e la 532e (Cracovia-Auschwitz) (476). Ciascuna di queste linee aveva un orario specifico per il traffico ferroviario (477), ovviamente stilato in concordanza con quelli delle altre linee. La pretesa di Hilberg avrebbe dunque immancabilmente gettato nel caos l’intero sistema ferroviario che gravitava su Auschwitz.

Con una sorta di lapsus freudiano, Hilberg chiude il paragrafo esponendo la diceria del sapone fatto con grasso umano (pp. 1031-1032), quasi a suggello del fatto che tutte le testimonianze da lui addotte a riprova della presunta conoscenza dell’attività dei «centri di sterminio» hanno il medesimo grado di attendibilità. Come dire: voci infondate che culminano nella storiella del sapone umano.





8.7.
Le «operazioni di sterminio»


Indice

Nel paragrafo «La “catena”» Hilberg riporta acriticamente altri stralci di testimonianze. Già il titolo stesso è fuorviante, perché egli lo giustifica così:
«Nonostante gli errori e i contrattempi, questo sistema fu perfezionato a un grado tale da giustificare la definizione che ne venne data da parte di un medico delle SS: la catena (am laufenden Band)» (p. 1032).

Con tale espressione egli intende l’intera «serie di operazioni» in cui si articolava il presunto processo di sterminio, a cominciare dall’annuncio di un nuovo convoglio. La fonte addotta da Hilberg è il già citato affidavit di Friedrich Entress del 14 aprile 1947, NO-2363 (nota 399 a p. 1069). Ma il testimone si riferiva in modo esclusivo ai crematori di Birkenau:
«Accanto alle camere a gas c’erano i forni crematori, sicché i crematori potevano effettuare lo sterminio dei detenuti “am laufenden Band”».

Questa espressione significa in senso letterale «su nastro trasporatore», in senso figurato «senza interruzione, incessantemente».
Questa testimonianza, dunque, non giustifica affatto la «catena» di Hilberg.

Le pagine 1033-1034 contengono vari aneddoti insignificanti tratti da testimonianze, con qualche errore di traduzione: «idziecie na spalenie?» non significa «sarete arrostiti?», ma «andate alla cremazione?»; la prima banchina ferroviaria di Auschwitz non era ovviamente «situata nel campo di Birkenau», ma tra il campo di Auschwitz e quello di Birkenau. Questo però è un errore del traduttore.

Hilberg afferma poi:
«A Birkenau, l’illusione era la regola. Non era sempre né semplice né possibile, poiché si verificava spesso che almeno qualche deportato avesse letto il cartello Auschwitz, quando il treno aveva attraversato il deposito ferroviario, o visto le fiamme che uscivano dai camini o sentito lo strano e nauseante odore dei forni crematori» (p. 1036).

La fonte della prima affermazione, quella relativa al «cartello Auschwitz», è: «Elie Wiesel, Night, New York 1969 (trad. it. La Notte, Giuntina, Firenze 1975»(nota 441 a p. 1070). Il senso è che i detenuti sapevano già che Auschwitz era un «centro di sterminio», perciò, leggendo il relativo cartello, non potevano essere illusi. Ciò però è esplicitamente smentito dal racconto di Wiesel:

«Ma si arrivò in una stazione. Chi si trovava vicino alle finestre ce ne disse il nome:- Auschwitz. Nessuno l’aveva mai sentito dire» (478).

Anche Primo Levi, che Hilberg cita alla pagina seguente, manifestò la medesima ignoranza:
«Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra» (479).

Hilberg dimentica inoltre di aver citato qualche pagina prima la testimonianza di un deportato che commentò così il cartello Auschwitz: «Noi non sapevamo che cosa significasse» (p. 1033).

La storia assurda dei camini fiammeggianti (480) è tratta dal libro di Olga Lengyel Five Chimneys, Chicago-New York 1947 (nota 442 a p. 1070), in cui l’autrice ha raccolto tutte le storie propagandistiche più insensate che circolavano nell’immediato dopoguerra, tra le quali, quella dell’ «edificio di mattoni rossi con un camino da cui si levavano grosse lingue di fuoco» (481), è quasi irrilevante. Ella riferì infatti che un medico francese del Sonderkommando, il dottor Pasche, le aveva fornito le cifre dei gasati dal maggio a 16 luglio 1944: 1.314.000 (482) - in meno di tre mesi, più di quanto Hilberg attribuiva all’intera esistenza del campo: 1.000.000! (p. 1318).
Ed ecco la descrizione dei crematori di Birkenau, da lei ottenuta, si deve presumere, sempre da questa fonte di prima mano:
«Delle quattro unità crematorie esistenti a Birkenau, due erano enormi e permettevano ai tedeschi di eliminare una grande quantità di cadaveri, mentre le altre due erano piuttosto piccole; ogni unità comprendeva un forno, una grande anticamera e una camera a gas. Su ognuna di queste, si ergeva una grande ciminiera che era di solito alimentata da nove fornelli; nel complesso i quattro forni di Birkenau erano scaldati da un totale di trenta fuochi. Ogni forno era inoltre provvisto di larghe aperture, ammontanti in totale a centoventi, in ognuna delle quali potevano trovar posto tre cadaveri per volta, il che comportava l’impiego di trecentosessanta cadaveri per operazione. E ciò era solo il principio della “Tabella di produzione” nazista.
Trecentosessanta cadaveri ogni mezz’ora: questo era il tempo necessario per ridurre in cenere la carne umana; faceva settecentoventi cadaveri all’ora e diciassettemiladuecentottanta per ogni turno di ventiquattro ore; e i forni, con macabra efficienza, funzionavano giorno e notte.
A questo, poi, bisogna anche aggiungere le “fosse della morte” che riuscivano a distruggere altri ottomila cadaveri al giorno, cosicché i corpi umani eliminati in un sol giorno ammontavano a circa ventiquattromila [sic]» (483).

L’immane capacità di cremazione di 25.280 cadaveri in 24 ore è pura fantasia, mentre la struttura dei forni deriva dal travisamento del ben noto rapporto Wrba-Wetzler, che, non meno fantasiosamente, indicava la presenza in ciascuno dei crematori II e III di Birkenau di 9 forni a 4 muffole raggruppati a semicerchio intorno al camino, mentre in realtà si trattava di 5 forni a 3 muffole disposti in linea retta lungo l’asse longitudinale della sala forni (484). La Lengyel scambiò i 9 forni del rapporto in questione con 9 «fornelli» che alimentavano (?) la «ciminiera» e aggiunse di sua iniziativa un forno con 120 muffole!

Hilberg racconta poi la leggendaria ribellione di «un convoglio proveniente da Belsen» (p. 1036), al quale è collegata l’edificante storiella della donna ebrea che disarmò e sparò all’SS Schillinger, uccidendolo. Le fonti sono Höss e Müller (nota 446 a p. 1070). Il primo riferisce che ad Auschwitz giunsero vari trasporti da Belsen, che richiedevano particolari precauzioni, perché potevano essere informati del destino che li attendeva. Egli narra poi la rivolta riassunta da Hilberg, nel corso della quale, tra le SS, ci fu una sola vittima, accoltellata (485). Höss non menziona nessuna vittima di SS da colpi di arma da fuoco, né fa il nome di Schillinger. In realtà, il Kalendarium di Auschwitz registra un solo presunto trasporto dal campo di Bergen-Belsen in data 23 ottobre 1943, in cui Danuta Czech inserisce la storiella summenzionata (486). Dico «presunto» perché non esiste alcun documento che attesti la realtà storica di questo trasporto. D’altra parte, la morte dell’SS-Unterschaführer Josef Schillinger non è menzionata in nessuno dei Sonderbefehle successivi, che informavano anche su eventuali decessi di SS al campo, come nel caso delle tre vittime della presunta rivolta del “Sonderkommando”, gli SS-Unterscharführer Rudolf Erler, Willi Freese e Josef Purke (487).
Müller non fa altro che riprendere e ampliare fantasiosamente le dichiarazioni di Höss e la registrazione del Kalendarium (488).

Hilberg prosegue raccontando altri aneddoti. Il primo riguarda Primo Levi:
«Un giovane intellettuale italiano, che si trovava all’ospedale di Auschwitz per un gonfiore al piede, sentì dire da un detenuto polacco non ebreo: “Du Jude, kaputt. Du schnell Krematorium fertig”(Sei fregato, Ebreo, pronto per il crematorio, finito)» (p. 1037).

Il riferimento, come ho accennato sopra, è a Primo Levi, il quale però si trovava all’ospedale per i detenuti (Krankenbau) di Monowitz, non di Auschwitz (489). Alla pagina seguente Levi descrive così la vita all’ospedale:
«La vita del K-Be è vita di limbo. I disagi materiali sono relativamente pochi, a parte la fame e le sofferenze inerenti alle malattie. Non fa freddo, non si lavora, e, a meno di commettere qualche grave mancanza, non si viene percossi. La sveglia è alle quattro, anche per i malati; bisogna rifare il letto e lavarsi, ma non c’è molta fretta né molto rigore. Alle cinque e mezzo distribuiscono il pane, e si può tagliarlo comodamente a fette sottili, e mangiare sdraiati con tutta calma; poi ci si può riaddormentare, fino alla distribuzione del brodo di mezzogiorno. Fin verso le sedici è Mittagsruhe, riposo pomeridiano; a quest’ora c’è sovente la visita medica e la medicazione, bisogna scendere dalle cuccette, togliersi la camicia e fare la fila davanti al medico. Anche il rancio serale viene distribuito nei letti; dopo di che, alle ventuno, tutte le luci si spengono, tranne la lampadina velata della guardia di notte, ed è il silenzio» (490).

Primo Levi trascorse all’ospedale per i detenuti tre settimane, dal 30 marzo al 20 aprile 1944 (491).
Ed ecco un altro aneddoto:
«Una giovane donna di diciannove anni chiese al comandante del campo delle donne di Auschwitz, Hössler, di risparmiarla. “Hai vissuto abbastanza, - rispose. - Su, piccola, vieni”» (p. 1037).

La fonte è la testimonianza di Helene Klein al processo Belsen (nota 453, p. 1071). La testimone raccontò che, nel corso di una selezione che ebbe luogo nel gennaio 1944, fu «scelta per la camera a gas», ma prima che Hössler le prendesse il numero di matricola, si nascose. Dopo di che andò da lui e gli chiese di risparmiarla; questi, che ovviamente non si era accorto di nulla, le rispose come riferito da Hilberg (492). Una storiella tanto inverosimile che fu giustamente considerata «pura invenzione» dall’avvocato della difesa, il maggiore inglese Munro (493).

A p. 1043 Hilberg fornisce un altro esempio eclatante della sua sorprendente credulità:
«A un altro gruppo fu assegnato il compito di scrostare i cinquanta centimetri di grasso che si erano depositati all’interno delle canne dei camini» dei crematori di Birkenau.

Egli trae quest’assurdità dal racconto di una tale Irene Schwarz, «sopravvissuta»(nota 507 a p. 1073). In realtà, in un forno crematorio, il grasso era la sostanza combustibile dei cadaveri che bruciava prima e meglio, senza lasciare alcun deposito solido, ma soltanto gas combusti.

Il resoconto della presunta procedura di sterminio ad Auschwitz, che Hilberg espone alle pagine 1038-1039, illustra perfettamente il suo metodo di lavoro dell’estrapolazione di frasi da testimonianze contraddittorie per creare un quadro fittizio apparentemente coerente e suffragato da molte testimonianze:
«Nel momento in cui entravano nelle camere a gas, le vittime si accorgevano che le docce, finte, non funzionavano [nota 459].
Dall’esterno, si azionava l’interruttore che spegneva tutte le lampade contemporaneamente [nota 460],
e una vettura della Croce Rossa arrivava con lo Zyklon [nota 461].
Una SS, che indossava una maschera antigas, provvista di un filtro speciale, apriva lo sportello di vetro che era situato sopra la griglia e vuotava una bottiglia [sic] dopo l’altra nella camera a gas. Nonostante la dose letale fosse di un milligrammo per chilo di peso [corporeo], e l’effetto supposto rapido, l’umidità poteva rallentare la velocità di diffusione del gas [nota 462].
L’Untersturmführer Grabner, ufficiale politico del campo, cronometrava l’operazione [nota 463]» (p. 1038).

Segue una lunga descrizione che esaminerò a parte sotto.
In queste poche righe Hilberg chiama in causa cinque testimoni e un giudice: Sehn [nota 459], Nyiszli [nota 460], Bendel [nota 461], Höss e Müller [nota 462], Perry [recte: Pery] Broad [nota 463].
Queste frasi estrapolate, inoltre, si riferiscono spesso a un contesto diverso da quello del racconto di Hilberg. Così Sehn non dice affatto che «le vittime si accorgevano che le docce, finte, non funzionavano», ma afferma soltanto che da esse «non uscì mai acqua» (494). L’affermazione che «l’Untersturmführer Grabner, ufficiale politico del campo, cronometrava l’operazione», è del tutto fuori luogo. Broad si riferiva all’unica presunta gasazione omicida, che avrebbe osservato da lontano nel luglio 1942 al crematorio I di Auschwitz e che descrisse nel rapporto del 13 luglio 1945, di cui citò uno stralcio nel suo affidavit del 14 dicembre 1945. In questo stralcio si legge: «Dopo altri due minuti Grabner abbassa il suo orologio» (495). Da questa semplice frase Hilberg desume che Grabner cronometrava di norma la durata delle presunte gasazioni nei crematori di Birkenau. Dove poi egli abbia letto dello «sportello di vetro che era situato sopra la griglia» resta enigmatico. Nessuno dei testimoni da lui addotti ne fa cenno. La «dose letale» dell’acido cianidrico «di un milligrammo per chilo di peso» è tratta dal documento NI-9912 (p. 961 e nota 70 a p. 1053); tuttavia Sehn rileva:
«L’acido cianidrico (HCN o CHy) è estremamente tossico. Un uomo è avvelenato inalando aria che ne contenga non più di 0,12 milligrammi per litro (cioè lo 0,0012 [recte: 0,012]%)» (496).

Hilberg non si chiede neppure la ragione di questi dati così divergenti.
Parimenti errato è che «l’umidità poteva rallentare la velocità di diffusione del gas». Al riguardo, nella testimonianza di Höss citata da Hilberg non c’è nulla, mentre in quella di Müller si dice:
«L’esperienza ci aveva insegnato che quando i cristalli di Zyklon venivano a contatto con acqua o erano esposti a forte umidità, il gas non mostrava la sua efficacia così intensamente come in altri casi» (497).

Il testimone, dunque, non menziona affatto la «velocità di diffusione del gas».
La pretestuosità del metodo di lavoro di Hilberg appare particolarmente evidente in queste due frasi:
«Dall’esterno, si azionava l’interruttore che spegneva tutte le lampade contemporaneamente [testimone Nyiszli], e una vettura della Croce Rossa arrivava con lo Zyklon [testimone Bendel]».

Ma la testimonianza di Nyiszli contiene entrambe le indicazioni:
«In base alle mie osservazioni personali... so che si chiudevano le porte e si spegnevano centralmente le luci appena la massa delle persone era nelle camere a gas. In questo momento arrivava un’automobile della Croce Rossa verniciata di nero. Dalla vettura scendevano un ufficiale SS e un SDG. Avevano in mano 4 barattoli smaltati» (498).

Che bisogno c’era di trarre la seconda indicazione dalla testimonianza di Bendel?

Hilberg continua il suo racconto sulla procedura di sterminio ad Auschwitz così:
«Quando i primi cristalli passavano allo stato gassoso sul pavimento della camera, le vittime cominciavano a urlare. Per sfuggire al gas che saliva dal pavimento, i più forti facevano cadere i più deboli, scalando i corpi a terra per prolungare la vita, cercando di raggiungere le sacche d’aria non ancora invase dal gas. L’agonia durava circa due minuti, e mentre le grida si smorzavano, i morti si accatastavano gli uni sugli altri. In quindici minuti (talvolta cinque), tutti gli occupanti della camera a gas erano morti.
Si aerava, allora, la stanza per far uscire il gas e, dopo circa mezz’ora si apriva la porta. I cadaveri erano accatastati a piramide, alcuni in posizione seduta o semiseduta, i bambini e i vecchi sotto. Nel posto in cui era stato introdotto il gas, c’era uno spazio vuoto, dal quale le vittime si erano allontanate e, schiacciati contro la porta, si potevano vedere i cadaveri degli uomini, che, terrorizzati, avevano cercato di forzarla. I corpi erano rosa, con macchie verdi. Alcuni avevano la bava alla bocca, altri sangue dal naso. Alcuni erano coperti da escrementi e urina; una donna incinta aveva cominciato il travaglio. Le corvé speciali di Ebrei (Sonderkommando[s]), muniti di maschere a gas, trascinavano fuori i cadaveri che si trovavano vicino alla porta per liberare il passaggio e lavavano i corpi con getti d’acqua, bagnando, allo stesso tempo, le sacche di gas velenoso che rimanevano tra i cadaveri. In seguito, i Sonderkommando[s] dovevano separare i cadaveri così accatastati» (p. 1038).

Hilberg rimanda al libro di Müller, all’affidavit di Nyiszli dell’8 ottobre 1947 (NI-11710), a quello di Broad del 14 dicembre 1945 (NI-11397), a quello di Höss del 5 aprile 1946 (PS-3868) e all’articolo di Sehn (nota 464 a p. 1071).
La struttura principale del racconto è tratta dall’affidavit di Nyiszli e dal libro di Müller. Nyiszli dichiarò:
«Poiché i granuli di gas cadevano sul pavimento, il gas si sviluppava anzitutto negli strati d’aria più bassi e saliva poi gradualmente in alto. Perciò posso dichiarare che i cadaveri, alla fine della gasazione, non erano sparpagliati nel locale, ma in un mucchio come una torre. Probabilmente i più forti avevano sopraffatto i più deboli, si erano arrampicati su coloro che giacevano sotto per prolungare la loro vita raggiungendo strati [d’aria] ancora senza gas. Accadeva così che le donne e i bambini per lo più giacevano sotto» (499).

L’anno prima, Nyiszli aveva pubblicato un libro di memorie (tradotto anche in inglese (500) e incomprensibilmente ignorato da Hilberg) in cui aveva scritto che lo Zyklon-B era «cloro in forma granulosa» (501) e poiché questo gas è più pesante dell’aria, inventò la storia che esso inondava la presunta camere a gas dal basso verso l’alto, come se fosse acqua:
«I cadaveri non giacciono alla rinfusa in lungo e in largo, ma in un mucchio alto un piano. La spiegazione di ciò è che il gas dei granuli caduti, prima pervade lo strato d’aria sopra al pavimento con le sue esalazioni mortali e solo gradualmente riempie gli strati più alti dell’aria. Questo costringe gli sventurati a calpestarsi reciprocamente, ad arrampicarsi gli uni sugli altri. Più in alto, il gas li raggiunge più tardi» (502).

Ma, come rilevò Georges Wellers,
«i vapori dell’ acido cianidrico sono più leggeri dell’aria, perciò salgono in alto nell’atmosfera» (503),

esattamente il contrario di quanto dichiarato da Nyiszli. Lo scenario da lui delineato è dunque completamente inventato. Per concludere, come ho documentato altrove, il testimone Müller plagiò sfrontatamente il libro di Nyiszli attraverso la traduzione tedesca apparsa nel 1961 nella rivista Quick di Monaco col titolo Auschwitz. Tagebuch eines Lagerarztes (504), tra l’altro, riportando quasi alla lettera la scena fittizia della gasazione (505).
Da Müller, Hilberg ha tratto anche la descrizione dei cadaveri, che però il testimone aveva a sua volta ripreso dal cosiddetto rapporto Gerstein (506). Un altro plagio!
Hilberg descrive dunque una scena puramente fittizia. Egli vi aggiunge addirittura del suo. Ad esempio, quando scrive che «una donna incinta aveva cominciato il travaglio», mentre la sua fonte dice soltanto che «molte donne erano sporche di sangue mestruale nelle gambe» (507); o quando afferma che «i corpi erano rosa, con macchie verdi», ma la sua fonte asserisce che «parecchi erano blu (blau)» (508). In questo contesto il colore rosa è menzionato solo da Nyiszli, ma non in riferimento ai cadaveri, bensì allo Zyklon B, che era «in forma di granuli di colore rosa-lillà» (509).
Non meno fantasiosamente, Müller parla di «cristalli di Zyklon B blu-viola»(Blauviolette Zyklon-B-Kristalle)! (510). Hilberg, come ho già rilevato, ripete a pappagallo la storia dei «cristalli» senza neppure chiedersi da che cosa fosse costituito lo Zyklon B.
Egli aggiunge del suo anche quando afferma che, con getti d’acqua, si eliminavano «le sacche di gas velenoso che rimanevano tra i cadaveri»; la sua fonte dice invece:
«In tal modo si dovevano neutralizzare i cristalli di gas (511) che erano sparsi qua e là, ma si dovevano anche pulire i cadaveri» (512).


A proposito di Müller, in un altro studio ho esaminato in modo approfondito le sue varie dichiarazioni successive, dimostrando che
«nella sua deposizione al processo della guarnigione del campo di Auschwitz [11 dicembre 1947] (513) egli non menzionò affatto la sua attività come membro del cosiddetto “Sonderkommando” nei crematori di Birkenau. Nella dichiarazione pubblicata da Kraus e Kulka [1957], Müller la menzionò, ma vi dedicò appena il 45% della sua narrazione, che contiene soltanto una serie di aneddoti fantasiosi, come ad esempio quello del prelievo di carne umana ai detenuti fucilati per la coltura dei batteri (ma non più nel campo di Auschwitz, bensì nel crematorio V di Birkenau), quello del dissanguamento sistematico delle giovani donne (per gli ospedali militari tedeschi) o infine quello relativo all’SS-Hauptscharführer Otto Moll, che soleva gettare i bambini ebrei “nel grasso umano bollente”! (514). Lo stesso valore storico ha la storiella del Kapo che uccideva regolarmente dei detenuti ebrei ricevendo dalle SS l’unico rimprovero di essersi fatto male a una mano.
Nel suo libro di memorie (515), infine, Müller ha dedicato il 25% della narrazione ai fatti relativi al crematorio I e il restante 75% a quelli riguardanti i crematori di Birkenau: dallo 0% al 75%: uno sviluppo letterario sbalorditivo!» (516).

Quest’analisi non include il plagio di Müller menzionato sopra, in quanto si riferisce in modo specifico alle sue dichiarazioni relative al crematorio I di Auschwitz. Ma anche a questo riguardo egli egli proferì una serie incredibile di affermazioni false. Ecco qualche esempio.
Müller racconta che il personale del crematorio dimenticò di “spegnere i ventilatori (die Ventilatoren) di un forno” (an einem Ofen) (517) - il che è errato, perché ogni forno aveva un solo ventilatore - ed ecco quale ne fu la conseguenza:
«Le fiamme si erano già attizzate così vivamente e il calore aveva già raggiunto una tale intensità che i mattoni refrattari del camino si sciolsero e il forno bruciò, mentre dei mattoni caddero nel canale che univa il forno al camino» (518).

Un’altra dichiarazione insensata. La funzione della soffieria non era quella di attizzare il fuoco nel gasogeno, ma di apportare aria di combustione nella muffola. Poiché dalla soffieria arrivava aria fredda, se essa fosse stata lasciata accesa, il risultato sarebbe stato esattamente il contrario di quello raccontato dal testimone: le due muffole del forno si sarebbero raffreddate fino allo spegnimento del gasogeno per mancanza di tiraggio!
Inoltre nel periodo in questione, il maggio-giugno 1942, non bruciò, né si danneggiò alcun forno, sicché il relativo racconto di Müller è falso anche storicamente. In questo periodo si verificò un solo guasto, che però non riguardò i forni, bensì il “Kaminunterkanal”, cioè il condotto del fumo che collegava i tre forni al camino: furono sostituiti 50 mattoni refrattari, con l’impiego di 50 kg di malta refrattaria (519). Il 30 maggio l’ SS-Oberscharführer Josef Pollok informò Bischoff che la fasciatura del camino (Kamineinband) si era staccata e che nella muratura si erano aperte delle crepe (520). Ciò portò successivamente alla decisione di demolire il vecchio camino e di ricostruirlo, ma tutto ciò non ha alcuna relazione con la favola dell’incendio inventata dal testimone.
Questo fantomatico incendio – continua Müller – si propagò alla sala forni e fu domato solo a sera: il crematorio rimase fuori uso (521). La sua attività riprese dopo alcuni giorni (522), dunque alla fine di maggio, coll’arrivo di un trasporto di Ebrei dal ghetto di Sosnowitz (523); in tale occasione 600 persone furono gasate nella camera mortuaria del crematorio (524).
Ora, secondo il Kalendarium di Auschwitz, dopo il 24 maggio 1942 (giorno dell’assegnazione di Müller al crematorio) il primo trasporto ebraico proveniente da Sosnowitz giunse ad Auschwitz il 17 giugno e fu presuntamente gasato per intero nel “Bunker 1” di Birkenau! (525).
Dopo tre giorni di inattività, secondo il racconto di Müller, giunse un altro trasporto di alcune centinaia di persone, che fu parimenti gasato nella camera mortuaria del crematorio I (526). In questa occasione fu introdotto per la prima volta il presunto discorso ingannatore per tranquillizzare le vittime (527). Ciò avvenne alla fine di maggio del 1942, perché il testimone dichiara:
«In questo modo dalla fine di maggio del 1942 nel crematorio di Auschwitz scomparve un trasporto dopo l’altro» (528).

Perciò tutto si svolse dal 24 al 31 maggio: tre gasazioni e l’incendio. Tuttavia, secondo il “Kalendarium” di D. Czech, in questo periodo ad Auschwitz non arrivò alcun trasporto ebraico (529).
L’intera storia narrata dal testimone è pertanto completamente inventata. Alla luce di ciò, il giudizio sul libro di Müller espresso da Hilberg al processo Zündel suona patetico:
«Lo considero piuttosto preciso (rather accurate), sì. L’ho scorso pagina per pagina e mi è difficile trovarvi un errore, un errore materiale significativo in questo libro. Esso è straordinario».

Alla domanda dell’avvocato Christie se lo considerasse «un resoconto storico accurato di un testimone oculare», Hilberg rispose di sì (530). Poco dopo Hilberg definì Müller «una persona straordinaria, precisa, attendibile (a remarkable, accurate, reliable person)» (531). Ignoranza? Faciloneria? Malafede?

Torniamo all’esame dell’opera di Hilberg.
Dopo aver parlato del presunto incarico del capo della Gestapo Müller a Blobel, cui ho già accennato sopra, egli continua così:
«Blobel e il suo “Kommando 1005” si recarono, così, a Kulmhof per vedere ciò che si poteva fare delle fosse che si trovavano là. Costruì numerose pire e forni primitivi, e utilizzò perfino dell’esplosivo» (p. 1039).

Ma la presunta sperimentazione di Blobel a Chełmno era completamente ignota al giudice istruttore Wladysław Bednarz, che, nei risultati della sua indagine, si limitò a scrivere:
«Nella primavera del 1942 furono costruiti due crematori, dopo di che tutti i cadaveri vi furono cremati (inclusi i corpi che erano stati seppelliti in precedenza)» (532).

Hilberg cita esplicitamente questa fonte nella nota 16 a p. 1050. Tuttavia nella nota 471, che riguarda la costruzione di «pire e forni primitivi» summenzionata, Hilberg afferma:
«Pare che, verso la fine, Kulmhof abbia acquisito un crematorio. Jewish Black Book Committee, The Black Book, New York, 1946, p. 378».

Ma Bednarz, nella fonte citata da Hilberg, subito dopo il passo che ho citato sopra, dice:
«Non ci sono dettagli sui forni, perché l’inquirente non poté trovare testimoni che fossero stati nel bosco nel 1942 o nel 1943. Coloro che vivevano nei dintorni osservarono soltanto camini continuamente fumanti all’interno della recinzione. I forni furono fatti saltare in aria dalle autorità del campo il 7 aprile 1943. Tuttavia due nuovi forni furono costruiti nel 1944, quando ripresero le attività del campo».

Egli ne fornisce anche descrizione e dimensioni (533). Dunque Hilberg sapeva bene che - secondo il giudice Bednarz - a Chełmno erano stati costruiti due crematori nella primavera del 1942 senza alcun intervento di Blobel, ma si è guardato bene dal rilevare questa contraddizione.

In questo contesto Hilberg menziona «una macchina tritaossa (Knochenmühle» (p. 1039), per la quale rimando di nuovo al mio studio specifico sull’argomento (534). Qui prendo in esame la fine della narrazione di Hilberg:
«Quando Höss visitò Kulmhof, Blobel promise al comandante di Auschwitz che gli avrebbe mandato un trituratore “per sostanze solide”. Ma Höss preferiva distruggere i resti delle ossa con i martelli» (p. 1040).

La fonte è l’affidavit di Höss del 14 marzo 1946 (nota 475 a p. 1071). Qui il comandante di Auschwitz dichiarò:
«Dopo la pulizia delle fosse, i resti delle ceneri venivano schiacciati. Ciò avveniva su una piattaforma di cemento (auf einer Zementplatte) dove dei detenuti con mazzaranghe di legno polverizzavano i resti ossei» (535).

Questo testo fu successivamente copiato da Müller, che lo arricchì inventando le dimensioni della presunta piattaforma:
«Per poter eliminare rapidamente e senza dare nell’occhio le ceneri provenienti dai crematori e dalle fosse, Moll fece costruire vicino alle fosse presso il crematorio una superficie cementata di 60 metri di lunghezza e 15 di larghezza. Su di essa le ceneri delle fosse furono poi finemente polverizzate con pesanti mazzaranghe» (536).

Ma di questa enorme piattaforma, che aveva una superficie più estesa del crematorio V, vicino al quale avrebbe dovuto trovarsi, non esiste nessuna traccia documentaria, nessuna traccia materiale e nessuna traccia nelle fotografie aeree di Birkenau del 1944 (537).





8.8.
Le cremazioni all’aperto


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Su questo argomento Hilberg scrive:
«In previsione di un’evoluzione, lo specialista di Auschwitz incaricato dell’eliminazione dei cadaveri, l’Hauptscharführer Moll - un uomo descritto come un sadico dotato di un’energia inesauribile - diresse gli scavi di otto nuove fosse di più di quaranta metri di lunghezza, otto metri di larghezza e due metri di profondità» (p. 1040).

Nell’edizione italiana del libro di Hilberg qui c’è un po’ di confusione nelle fonti. Le note 482 e 483 si riferiscono entrambe al libro di Müller. Secondo questo testimone, infatti, verso la metà di maggio del 1944, nel cortile interno del crematorio V furono scavate prima 2 fosse di 40-50 metri di lunghezza, 8 di larghezza e due di profondità, poi altre 3, inoltre 4 fosse - presumibilmente delle medesime dimensioni - presso il cosiddetto “Bunker V”, sicché in totale esistevano 9 fosse (538). Ma se si esaminano le altre fonti addotte da Hilberg, i conti non tornano.
Il giudice Sehn dice al riguardo che «dietro il crematorio V furono scavate sei enormi fosse» (539). Il testimone Werner Krumme, che Hilberg chiama in causa nella pagina seguente, parla di una sola fossa (540); Pery Broad ne menziona 10, Charles Sigismund Bendel ne adduce tre, di cui indica anche le misure: 12 metri di lunghezza e 6 di larghezza (541), Heinrich Schuster riferisce invece di 2 roghi.

Hilberg precisa:

«I resti putrefatti erano puliti, ogni tanto, con un lanciafiamme» (p. 1041).

La fonte è l’affidavit del già menzionato Werner Krumme del 23 settembre 1945, NO-1933 (nota 486 a p. 1072). Questo testimone dichiarò:
«Nelle vicinanze dei crematori fu scavata una grossa fossa (eine grosse Grube), nella quale fu gettato un numero considerevole di cadaveri. La truppa speciale (Sondertruppe) doveva accatastare gli uni sugli altri i cadaveri e la legna, poi sopra vi venivano gettati benzina e olio combustibile. Talvolta bisognava usare perfino i lanciafiamme per accelerare il processo» (542).

Il contesto della citazione è dunque diverso da quello addotto da Hilberg, mentre il contesto generale (la unica fossa esistente) lo contraddice apertamente. Krumme aggiunge che
«intorno al sito di cremazione furono appesi grossi tendaggi in modo che le fiamme non si potessero vedere da lontano» (543),

ma Hilberg assicura che
«quando si arrivava da Katowice, i fuochi di Auschwitz erano visibili a 19 chilometri di distanza» (p. 1031).

Pery Broad, che evidentemente aveva la vista pià aguzza, riusciva a vederli a 30 km di distanza:

«Nel circondario di Birkenau c’erano circa 10 grandi siti di cremazione (Brandstätten) dove di volta in volta venivano cremate 200-1.000 persone. Il bagliore di questi fuochi era ancora visibile nel raggio di almeno 30 chilometri. Alla stessa distanza si percepiva l’inconfondibile odore della carne bruciata» (544).

Heinrich Schuster si accontentava invece di 20 km:
«Perciò presso i crematori III e IV [IV e V] furono erette due enormi pire funerarie sulle quali furono bruciati in continuazione montagne di detenuti gasati. Il fuoco e il fumo si potevano vedere a 20 km di distanza» (545).






8.9.
“Gasazioni” fuori tempo massimo


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A p. 1037 Hilberg riferisce il seguente aneddoto tratto dal libro di Ella Lingens-Reiner:
«Prima di Natale del 1944, 2000 Ebrei furono ammassati in questo modo, nel Blocco 25, che poteva contenere 500 detenuti. Vi restarono dieci giorni. Una guardia incaricata di controllare il fuoco, passava loro marmitte di zuppa attraverso una finestrella nella porta. Alla scadenza dei dieci giorni, 700 detenuti erano già morti. Gli altri finirono nella camera a gas» (p. 1037).

Egli dimentica di aver scritto che nel novembre 1944 Himmler aveva ordinato di sospendere il presunto sterminio ebraico e il giorno 25 aveva disposto «lo smantellamento delle installazioni di sterminio» di Birkenau (p. 1042)(546). Hilberg, del resto, sapeva bene che nel Kalendarium di Danuta Czech di questo presunto sterminio non c’è alcuna traccia.

A p. 1047 Hilberg incorre nella medesima dimenticanza, scrivendo che, nel febbraio 1945, «a Theresienstadt, l’Obersturmführer Rahm fece un’ultimo tentativo per riprendere il processo di distruzione», facendo costruire ambienti «gasdicht» (a tenuta di gas) che i detenuti interpretarono subito come «camere a gas» (547). Dunque Hilberg era disposto a credere che un semplice tenente, di sua iniziativa e trasgredendo apertamente il presunto ordine di Himmler sulla fine delle gasazioni, nel febbraio 1945 avrebbe fatto costruire camere a gas a Theresienstadt «per riprendere il processo di distruzione»!





9.
Hans Frank e i «centri di sterminio»


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Hilberg scrive:
«Lublino fu evacuata in tutta fretta. Alla fine del 1944, unità avanzate dell’Armata Rossa si impadronirono del campo e, con esso, anche degli enormi magazzini dell’Aktion Reinhardt. La stampa mondiale pubblicò immediatamente la scoperta che avevano fatto i Sovietici a Lublino, con grande costernazione del governatore generale. Spaventato, questi accusò immediatamente Koppe, vecchio alto capo delle SS e della Polizia del Wartheland, che aveva rimpiazzato Krüger nel Governatorato generale. “Ora sappiamo, - disse Frank, - e non veniteci a dire che voi non eravate al corrente”. Koppe rispose che ignorava assolutamente tutto e che evidentemente si trattava di un affare tra Heinrich Himmler e le autorità del campo. “Ma avevo già avuto sentore di questi progetti nel 1941, - dichiarò Frank,- e ne avevo parlato”. In questo caso, replicò l’alto capo delle SS e della Polizia, che se la sbrighi Frank; lui, Koppe, se ne lavava le mani» (p. 1042).

Premetto che i Sovietici liberarono il campo di Lublino-Majdanek il 23 luglio 1944. Nella fonte da lui addotta, la deposizione di Hans Frank a Norimberga (nota 500 a p. 1072), Hilberg dimentica anzitutto di menzionare l’inizio del passo che riassume:
«Quando io allora, dalla stampa straniera, ebbi i primi dettagli su questi avvenimenti, la mia prima domanda fu all’SS-Obergruppenführer Koppe, che era subentrato al posto di Krüger:“Ora lo sappiamo - dissi - Lei non lo contesterà”» (548) (corsivo mio).

Hilberg dimentica anche di menzionare il passo che precede e che spiega il significato di quello da lui riassunto:
«Ho udito il nome Maidanek per la prima volta nel 1944 in relazione alle comunicazioni [di stampa] estere».

Frank sapeva però che presso Lublino nel 1941 doveva sorgere un grande campo di concentramento con laboratori per la produzione di vestiti, scarpe e biancheria per le Waffen-SS. Egli aveva sentito qualcosa sul destino degli Ebrei «alla radio nemica e nei giornali nemici e neutrali», perciò cercò di indagare.
«Alle domande ripetute su che cosa accadesse agli Ebrei che allora venivano deportati, mi fu data incessantemente la risposta che venivano deportati all’Est, per esservi radunati e per lavorarvi. Ma attraverso i muri filtrava la voce, ed io perciò indagai sempre e assiduamente su che cosa fosse accaduto.
Una volta mi fu comunicato che a Bełżec accadeva qualcosa. Il giorno seguente andai a Bełżec. Globocnik mi mostrò un fossato gigantesco, che egli costruiva come vallo difensivo con molte migliaia di lavoratori, evidentemente Ebrei. Parlai con alcuni, da dove venissero, da quanto tempo fossero lì, e Globocnik mi disse:“Ora lavorano qui e quando avranno finito - essi vengono dal Reich o da qualche località della Francia - andranno ulteriormente all’ Est”. Nell’area stessa non feci altre osservazioni. Intanto la voce che gli Ebrei venissero uccisi in questo modo ora noto a tutti, non voleva tacere».

Quando Frank espresse il desiderio di visitare le officine SS presso Lublino, gli fu riferito che era necessario un permesso speciale di Himmler; egli glielo chiese, ma il Reichsführer SS lo pregò di non andare al campo.
«Il 7 febbraio 1944 riuscii ad essere ricevuto da Adolf Hitler in persona - tra parentesi, era la terza volta in tutto in questa guerra. In presenza di Bormann gli chiesi: “Mio Führer, le voci sullo sterminio degli Ebrei non tacciono. Le si sente dappertutto. Non si entra da nessuna parte.
Una volta mi ero avvicinato inaspettatamente ad Auschwitz per vedere il campo. Strada facendo fui poi allontanato con la mia automobile; mi fu fatto presente che al campo imperversava un’epidemia. Io dissi, mio Führer, come stanno le cose?”.
Il Führer rispose: “Lo può immaginare, ci sono esecuzioni, i ribelli. Per il resto non so. Ne parli con Heinrich Himmler”. Allora replicai: “Bene, Himmler ci ha tenuto un discorso a Cracovia nel quale, davanti a tutte le persone che avevo convocato ufficialmente, dichiarò: Queste voci sullo sterminio sistematico sono inesatte; gli Ebrei vengono portati all’Est”. Indi il Führer disse: “Allora dovere crederci”.
Quando io allora, dalla stampa straniera, ebbi i primi dettagli su questi avvenimenti,...» (549).

Poco prima, alla domanda del suo difensore, l’avvocato Alfred Seidl, se avesse mai partecipato in qualche modo allo sterminio di Ebrei, Frank rispose:
«Io dico di sì; e precisamente dico di sì per il fatto che, sotto l’impressione di questi cinque mesi di dibattimento e soprattutto sotto l’impressione delle dichiarazioni del testimone Höss, non potevo scaricarmi la coscienza, farne ricadere la responsabilità soltanto su questi piccoli uomini. Non ho mai costruito un campo di sterminio o incoraggiato la sua esistenza; ma se Adolf Hitler in persona ha caricato il suo popolo di questa tremenda responsabilità, allora essa riguarda anche me; poiché noi abbiamo condotto per anni la lotta contro il giudaismo e ci siamo profusi in dichiarazioni (Äusserungen) - e il mio diario mi è comparso davanti come testimone - che sono terribili. E ora perciò ho il dovere di rispondere con un sì alla Sua domanda. Non passeranno mille anni e questa colpa della Germania non sarà cancellata» (550) (corsivo mio).

Dunque tutte le conoscenze di Frank sui presunti «centri di sterminio» del Governatorato generale derivavano dalla stampa alleata e dal dibattimento processuale! Inoltre il suo diario conteneva semplici «dichiarazioni», che avevano solo un valore verbale.
Del «centro di sterminio» di Majdanek non sapeva nulla neppure Koppe. E ciò vale anche per il segretario di Stato Bühler, che, nel colloquio del 15 settembre 1944 richiamato da Hilberg come fonte supplementare (nota 500 a p. 1072), dichiarò che «su tale questione al governo del Governatorato generale non è noto nulla» (551).
Ma Hilberg, che considera Frank uno dei principali artefici della «distruzione degli Ebrei»(vedi ad es. le pp. 498-501), su questa singolare contraddizione non ha nulla da dire, anzi la tace. Ma non rinuncia a estrapolare due passi dal testo che ho esposto sopra (p. 1030). Li riporto intercalando i miei commenti.
«Frank, governatore generale in Polonia, si mostrava particolarmente impaziente di avere dei dettagli sui centri di sterminio».

Ciò presuppone che egli già sapesse dell’esistenza di tali centri, mentre voleva soltanto accertare se delle voci corrispondessero alla realtà.
«Ricevette, un giorno, un rapporto nel quale si faceva presente che “stava succedendo qualcosa vicino a Bełżec”; l’indomani, si recò sul posto. Globocnik gli mostrò alcuni Ebrei che stavano scavando un enorme pozzo. Quando chiese che cosa si sarebbe fatto degli Ebrei, Frank ricevette la risposta classica: verranno mandati più lontano, all’Est».

Il testo citato parla invece di «molte migliaia» di Ebrei che costruivano «un fossato gigantesco». L’evento si riferisce alla seconda metà del 1940. Nel mese di giugno, infatti, il comando supremo della Wehrmacht varò il «programma Otto», che consisteva nella realizzazione di un fossato anticarro tra i fiumi Bug e San sul confine tedesco-sovietico e in costruzioni stradali. Bełżec era il campo principale del programma, da cui dipendevano dieci campi di lavoro forzato che impiegavano complessivamente circa 15.000 Ebrei. I 4.331 Ebrei che lavoravano a Bełżec furono rilasciati nell’ottobre 1940 (552).
Queste cose Hilberg le conosceva perfettamente. A p. 254 egli scrive:
«Durante l’elaborazione del piano [«Otto»], la linea di Himmler venne sottoposta a modifiche. Il fossato doveva estendersi solo nello spazio vuoto tra il Bug e il San, dove nessuno dei due fiumi costituiva un ostacolo naturale; invece dei milioni di Ebrei ipotizzati in origine, qualche migliaio sarebbe bastato. Si crearono campi a Bełżec, a Płaszów e in qualche altra località. Nell’ottobre del 1940, i lavori erano ormai finiti».

Due pagine dopo, Hilberg aggiunge:

«Nell’ottobre del 1940, il campo di lavoro di Bełżec venne smantellato e si dovette trasferire in un altro luogo diverse decine di migliaia di Ebrei»(p. 256).


Torniamo alla narrazione di Hilberg:

«Frank non si diede per vinto. Espresse a Himmler il suo desiderio di recarsi a Lublino, e Himmler lo dissuase. Alla fine, Frank tentò di fare una visita ad Auschwitz, senza farsi annunciare. La sua auto fu fermata e fatta tornare indietro: un’epidemia stava decimando il campo, gli fu spiegato».

Hilberg racconta questi episodi nel paragrafo sul «Segreto», a testimonianza del fatto che neppure a Frank fu permesso visitare i «centri di sterminio». In realtà ad Auschwitz non c’era nulla di segreto. Almeno 20 ditte civili con centinaia di operai lavoravano nel campo di Birkenau. I congiunti delle SS impiegate ad Auschwitz potevano raggiungerli e trascorre qualche settimana con loro previo ottenimento di un «permesso di soggiorno» (Aufenthaltsgenehmigung). Ad esempio, lo Standortbefehl (Ordine della guarnigione) n. 16/43 del 22 aprile 1943 ne elenca ben 18 (553). Complessivamente, sono documentariamente attestate circa 270 visite.
È noto inoltre che ad Auschwitz, a partire dal luglio 1942, infuriarono gravi epidemie che portarono più volte all’isolamento del campo (Lagersperre). Ciò comportava una vasta serie di limitazioni, tra cui questa:

«Le visite esterne per gli uffici devono essere evitate, o, se urgenti, mandate alla Haus der Waffen-SS [un albergo delle SS] ».

Ciò riguardava i visitatori che si recavano ad Auschwitz per motivi di servizio (554). Se dunque Frank tentò di visitare il campo durante un’epidemia, non per motivi di servizio, anzi, addirittura «inaspettatamente» (überraschend), cioè senza neppure farsi annunciare, non c’è nulla di strano che gli fosse stato impedito l’accesso secondo le direttive summenzionate.





10.
L’ordine “fine gasazioni”


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Hilberg scrive:

«Nel novembre del 1944, Himmler decise che, per ragioni di ordine pratico, la questione ebraica era risolta. Il 25 dello stesso mese, ordinò lo smantellamento delle installazioni di sterminio» (p. 1042).

La fonte è l’ «affidavit di Kurt Becher dell’8 marzo 1946, PS-3762» (nota 501 a p. 1072). In questo documento risulta però che il presunto ordine di Himmler era stato impartito tra la metà di settembre e la metà di ottobre e inoltre che esso era scritto. Il testimone infatti dichiarò:
«All’incirca tra la metà di settembre e la metà di ottobre del 1944 ottenni dal Reichsführer Himmler il seguente ordine, che ricevetti in due originali, uno destinato agli SS-Obergruppenführer Kaltenbrunner e Pohl, l’altro a me:
“Proibisco con effetto immediato qualunque sterminio di Ebrei e ordino al contrario la cura delle persone deboli e malate. Vi ritengo personalmente responsabili di ciò (ci si riferisce a Kaltenbrunner e Pohl), anche del fatto che quest’ordine sia rigorosamente eseguito dagli uffici subordinati”» (555).

Ma Hilberg, almeno dal 1983 non credeva più né a un ordine scritto di inizio sterminio, né a un ordine scritto di fine sterminio, nessuno dei quali, del resto, è mai stato trovato. E nella sua opera del 1985 ha confermato:
«Lo stesso Hitler, non ha forse mai firmato di suo pugno l’ordine di uccidere gli Ebrei. D’altra parte, esistono testimonianze su quanto egli avrebbe dichiarato, sotto forma di commento, di domanda o di “desiderio”. Che cosa volesse realmente dire, o se mai veramente intendesse dire così, è una questione di tono o linguistica » (p. 1078, corsivo mio).

Ecco dunque ridotto il Führerbefehl a una questione di esegesi di commenti, domande o desideri di Hitler!

L’ordine di Himmler relativo allo smantellamento delle presunte installazioni di sterminio di Birkenau in data 25 novembre 1944 è tratto dal Kalendarium di D. Czech. Ma la cosa più sorprendente è che qui l’autrice polacca rimanda anch’essa al summenzionato affidavit di Kurt Becher! (556) La data, completamente inventata, serve a giustificare le presunte gasazioni avvenute dopo la metà di ottobre del 1944 - ossia dopo il presunto ordine di “fine gasazioni” con effetto immediato - che D. Czech elenca diligentemente (557).

La questione fu dibattuta anche al processo Zündel. L’avvocato Christie lesse in aula la traduzione inglese dell’affidavit di Becher e chiese a Hilberg di spiegare perché aveva fatto risalire il presunto ordine di Himmler al novembre 1944, mentre il documento parla del periodo tra la metà di settembre e la metà di ottobre: non era forse un errore? Ecco la risposta di Hilberg e la discussione successiva:
«Non necessariamente, perché Becher non ricorda precisamente quando agì. Disse che una volta tra la metà di settembre e la metà di ottobre si era incontrato con Himmler. Era riuscito a convincere Himmler. Ciò non significa che Himmler fece l’ordine, diede l’ordine il giorno dopo.
Christie - Col massimo rispetto, signore, esso non dice “si incontrò” con Himmler, ma “indusse Himmler” (558).
Hilberg - Indusse, bene. Indusse Himmler.
Christie - Ciò, in effetti, significa che egli attuò l’obiettivo di dare il suo ordine. È esatto?
Hilberg - Bene, non significa che ottenne l’ordine in [quella] data precisa.
Christie - Allora voi sapete quando ci fu l’ordine preciso?
Hilberg - No, non direi che lo so molto precisamente. Direi che è in novembre, perché credo, sapendo quanto tempo ci vuole per scrivere un ordine, per diffonderlo e per attuarlo, che c’è una grande probabilità che l’ordine fu dato in novembre, non in settembre o ottobre, in particolare perché in ottobre ad Auschwitz erano ancora in corso le gasazioni. E qui dovremmo presumere che le gasazioni procedevano sebbene fossero già stati ricevuti ordini specifici [contrari]» (559).

Christie passò poi all’affermazione relativa allo «smantellamento delle installazioni di sterminio». Hilberg dichiarò che al riguardo c’erano «una o due altre fonti». Ecco il dialogo successivo:
«Christie - C’è un’altra fonte?
Hilberg - Sì. Ci sono diverse altre fonti e una di queste era di un uomo che aveva anche lui parlato con Becher e ricevuto quell’informazione.
Christie - Così voi avete un’altra fonte che non parlò con Himmler ma con Becher.
Hilberg - Sì. Ciò è corretto.
Christie - Oh, vedo. Non c’è nessun riferimento ad essa nel vostro libro.
Hilberg - No, non c’è nessun riferimento ad essa» (560).

A questa fonte Hilberg non fa riferimento neppure nell’edizione definitiva della sua opera, semplicemente perché non esiste. L’unica fonte è infatti il Kalendarium di D. Czech, che, come ho già rilevato, si riferisce a sua volta all’affidavit di Becher, in uno sterile circolo vizioso. La dichiarazione di Hilberg, considerata la sede in cui fu pronunciata, si configurava pertanto come spergiuro.
Quanto alle sue spiegazioni circa la differenza di data, esse sono evidentemente sofistiche. Dalla frase saliente del documento - «all’incirca tra la metà di settembre e la metà di ottobre del 1944 ottenni dal Reichsführer Himmler il seguente ordine,... » - risulta infatti in modo inequivocabile che Becher affermava di aver ottenuto il presunto ordine scritto proprio nel periodo da lui indicato.







CAPITOLO IV
La deposizione di Hilberg al processo Zündel del 1985


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1.
Sintesi della deposizione


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Nel resoconto stenografico del processo, la deposizione di Hilberg copre oltre 600 pagine. In questo capitolo mi occuperò soltanto di alcuni dei problemi dibattuti che hanno una stretta attinenza con quanto ho esposto sopra in relazione alla sua opera. Prima, però, è opportuno mostrare un quadro generale della deposizione di Hilberg. Per questo, mi avvalgo della magistrale sintesi di Robert Faurisson, che fu accanto all’avvocato Christie durante il processo:
«Egli inciampò fin dalla prima domanda. D. Christie gli annunciò che avrebbe letto una lista di campi per chiedergli quali avesse esaminato e quante volte. Risultò che non ne aveva esaminato nessuno, né prima di pubblicare la prima edizione della sua opera maggiore nel 1961, né dopo questa data e neppure per l’edizione “definitiva” del 1985. Dato che aveva cominciato a lavorare sulla questione dell’Olocausto nel 1948, eravamo dunque in presenza di un uomo che si era conquistato la reputazione di essere il primo storico al mondo nel suo campo specifico di ricerche senza aver esaminato, una sola volta in tretasette anni, un solo campo di concentramento. Egli aveva visitato solo due campi, Auschwitz e Treblinka, nel 1979: “Un giorno a Treblinka e forse una mezza giornata ad Auschwitz e una mezza giornata a Birkenau”: per di più, fu in occasione di cerimonie.
Egli non aveva avuto la curiosità di ispezionare i luoghi, né, sul posto, gli archivi di Auschwitz. Non aveva mai visitato i luoghi designati “camere a gas”.
Essendo stato pregato di fornire qualche spiegazione su progetti dei crematori, fotografie, grafici, rifiutò dichiarando: “Se cominciate a mostrarmi progetti di edifici, fotografie, diagrammi, [in queste materie] non ho la stessa competenza che per i documenti scritti”.
Egli stimava a più di un milione il numero degli Ebrei morti ad Auschwitz e a “forse trecentomila” quello dei non ebrei, ma non spiegava come era giunto a queste stime, né perché i Polacchi e i Sovietici erano arrivati a un totale di quattro milioni, cifra [all’epoca] inscritta sul monumento di Birkenau.
D. Christie l’interrogò poi sui campi che si riteneva avessero contenuto camere a gas omicide. Sciorinò i nomi di questi campi, chiedendogli ogni volta se questo campo avesse posseduto o no una o più di queste camere a gas. La risposta avrebbe dovuto essere semplice per questo eminente specialista, ma anche qui, di nuovo, Hilberg perse la bussola. Accanto ai campi “con” e ai campi “senza” camera a gas, egli creò, nel disastro delle sue improvvisazioni, altre due categorie di campi: quelli che avevano “forse” avuto una camera a gas (Dachau, Flossenburg, Neuengamme, Sachsenhausen) e quelli che avevano avuto una “piccolissima camera a gas” (per esempio Struthof-Natzweiler in Alsazia), così piccola che ci si domandava se valeva la pena parlarne; egli non rivelò i suoi criteri di distinzione tra queste quattro categorie di campi.
Gli fu chiesto se era a conoscenza di una perizia (expert report) che stabilisse che un certo locale fosse stato effettivamente una camera a gas omicida. Hilberg fece orecchi da mercante, poi tergiversò e moltiplicò le risposte più inappropriate. Le sue manovre dilatorie divenivano così manifeste che il giudice Locke, generalmente così pronto ad accorrere in soccorso dell’accusa, si sentì obbligato a intervenire per chiedere una risposta. Solo allora, senza più cercare delle scappatoie, Hilberg rispose che non era a conoscenza di alcuna perizia di questo genere. Ci sono quattordici pagine di trascrizione (pp. 968-981) tra il momento in cui questa imbarazzante domanda viene posta e il momento in cui infine viene data la risposta.
Conosceva un rapporto d’autopsia che stabilisse che un certo cadavere di un detenuto era il cadavere di un individuo ucciso mediante gas tossico? La risposta, anche qui, fu: “No”.
Poiché Hilberg, in compenso, dava una così grande importanza alle testimonianze, fu interrogato su quella di Kurt Gerstein. Egli tentò di dire che, nel suo libro, non utilizzava affatto le confessioni di quest’ufficiale SS. Al che Christie gli replicò che, in The Destruction of the European Jews, il nome di Gerstein appariva ventitré volte e il documento PS-1553 dello stesso Gerstein era citato in dieci occasioni. Poi, alcuni frammenti di queste confessioni, sotto differenti forme, furono letti davanti alla giuria. Hilberg finì col convenire che certe parti di queste confessioni di Gerstein erano una “pura assurdità” (pure nonsense).
Stesso scenario con le confessioni di Höss. Hilberg, prostrato, dovette ammettere in una circostanza: “It’s terrible”, il che, nel contesto, significava: “È indifendibile”. A proposito della più importante delle “confessioni” firmate da Höss (documento NO-1210), egli riconobbe che eravamo in presenza di un uomo che faceva una deposizione in una lingua (l’inglese) diversa da quella sua propria (il tedesco), una deposizione dal contenuto completamente inaccettabile, “una deposizione che sembra essere stata il riassunto di cose che egli aveva detto o che poteva aver detto o che pensava forse di aver detto, da parte di qualcuno che gli aveva sbattuto davanti un riassunto che egli aveva firmato, il che è infelice.
A proposito del fatto che, secondo questa “confessione”, ad Auschwitz erano stati gasati due milioni e cinquecentomila persone, Hilberg arrivò a dire che si trattava di “una cifra manifestamente non verificata, totalmente esagerata, che era stata forse ben conosciuta e diffusa dopo le conclusioni erronee di una commissione di inchiesta sovietico-polacca su Auschwitz”.
Sentendo che doveva gettare la zavorra, non ebbe alcuna difficoltà ad ammettere, con D. Christie, che “storici” come William Shirer non avevano per così dire alcun valore» (561).

In questa occasione Christie lesse in aula un passo del libro di Shirer in cui appariva un grossolano travisamento delle dichiarazioni di Lammers a Norimberga (562). Cito dall’edizione italiana del libro:
«
Così Hans Lammers, il capo dalla testa taurina della Cancelleria del Reich, quando a Norimberga rese la sua testimonianza, alle domande incalzanti dell’accusa rispose: “Sapevo che un ordine del Führer era stato trasmesso a Heydrich da Göring... Quest’ordine era chiamato ‘la soluzione finale del problema ebraico’”» (563).

In realtà Lammers, all’udienza del 9 aprile 1946, interrogato dal colonnello Pokrowsky, viceprocuratore dell’Unione Sovietica, dichiarò:
«Mi è solo stato comunicato che un ordine del Führer era stato trasmesso dal Maresciallo del Reich Göring all’allora capo del RSHA, il signor Heydrich. [...]. Questo incarico fu definito “Endlösung der Judenfrage”, ma nessuno sapeva di che cosa si trattasse, che cosa significasse, e successivamente mi sforzai in varie occasioni di chiarire che cosa dovesse significare effettivamente il termine “Endlösung”, che cosa dovesse accadere. Ieri qui ho cercato di spiegare questa questione, ma non ho potuto parlare compiutamente».

Indi Lammers ribadì ciò che aveva affermato il giorno prima, ossia che «erano affiorate voci sull’uccisione di Ebrei» che lo indussero a verificarle, ma, dopo i suoi accertamenti, queste voci rimasero tali. Allora si rivolse a Hitler e Himmler (564), il quale gli parlò soltanto di evacuazioni (565).
L’accenno di Lammers all’ «ordine del Führer» che era stato trasmesso da Göring a Heydrich si riferiva alla lettera di Göring del 31 luglio 1941 più volte citata, che non aveva nulla a che vedere col presunto sterminio ebraico.
Torniamo al resocontro processuale di Faurisson. A Hilberg
«fu chiesta la sua opinione sulla testimonianza di Filip Müller, l’autore di Tre anni in una camera a gas di Auschwitz. Gli furono letti dei passi tratti dal più puro antinazismo da sex-shop e D. Christie dimostrò davanti alla giuria, grazie a un’analisi del revisionista italiano Carlo Mattogno, che F. Müller o chi per lui, aveva semplicemente commesso un plagio traendo un intero episodio, quasi parola per parola, da Medico ad Auschwitz, questo falso notorio firmato da Miklos Nyiszli. A quel punto Hilberg cambiò improvvisamente tattica: finse emozione e dichiarò in tono patetico che la testimonianza di F. Müller era troppo sconvolgente perché si potesse dubitare della sua sincerità. Ma tutto suonava falso in questo nuovo Hilberg che, fino ad allora, si era espresso in tono monocorde e con la circospezione di un gatto che tema la brace. D. Christie non giudicò utile insistervi» (566).

Indi Faurisson espone la questione del presunto ordine di Hitler, di cui mi occupo dettagliatamente nel paragrafo seguente.





2.
Il presunto ordine di sterminio di Hitler


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Nel capitolo II ho dimostrato che il primo ordine di sterminio di Hitler addotto da Hilberg non ha alcun fondamento storico-documentario. Passiamo ora al secondo.
Nel 1983 Hilberg, all’Avery Fisher Hall, aveva esposto una tesi in aperto contrasto con quella che aveva propugnato nel suo libro:
«Ma ciò che cominciò nel 1941 fu un processo di distruzione non pianificato in anticipo, non organizzato centralmente da alcun organismo. Non ci furono progetti né bilancio preventivo per misure di distruzione. Queste furono prese gradualmente, un passo alla volta. Così risultò non tanto un piano da realizzare, ma un incredibile incontro di pensieri, una lettura di pensieri concordanti da parte di una vasta burocrazia» (567).

L’avvocato Christie lesse queste parole a Hilberg, il quale le confermò, ma dichiarò che esse non escludevano l’esistenza di un ordine di sterminio.
«Christie - Ci fu o non ci fu un ordine?
Hilberg - Io credo che ci fu un ordine di Hitler.
Christie - Bene.
Hilberg - Il professor Krowslich (568) lo crede. Altri credono che non ci fu.
Christie - Così è un articolo di fede basato sulla vostra opinione?
Hilberg - No, non è affatto un articolo di fede. È una conclusione. Ci si può arrivare per una via o per un’altra.
Christie - Perché non c’è nessuna prova per dimostrare un aspetto o l’altro. Esatto?
Hilberg - Ci possono essere delle prove, ma qui, in questo caso, si tratta di che cosa sia una prova sufficiente.
Christie - Un ordine fu dato nella primavera del 1941, è ciò che avete detto nel vostro libro.
Hilberg - È l’opinione di un uomo, la mia».

Indi Christie tornò sulla pagina 177 del libro di Hilberg:
«“Subito dopo l’inizio delle operazioni mobili nei territori sovietici occupati, Hitler impartì il suo secondo ordine”. Ora, dov’è il suo secondo ordine?
Hilberg - Il problema di questo particolare ordine è lo stesso del primo. È orale.
Christie - È orale.
Hilberg - E ci sono persone che dicono, no, non ci fu affatto un ordine. Ci fu una serie di ordini che furono dati a varie persone in vari momenti.
Christie - Mm-hmmm.
Hilberg - Ciò è oggetto di disputa e di discussione tra gli storici e per questo ci sono convegni e anche seconde edizioni di libri.
Christie -Vedo. Così voi dovete correggere questa dichiarazione nella seconda edizione. Esatto?
Hilberg - No, non dico che devo correggere questa dichiarazione, ma naturalmente nella seconda edizione ci sono correzioni» (569) (corsivo mio).

Nel dibattimento successivo, Christie chiese a Hilberg se poteva esibire una prova dell’esistenza del secondo ordine di Hitler, ed egli menzionò la lettera di Göring a Heydrich del 31 luglio 1941. L’avvocato gli obiettò che in questo documento si parla di «re-settlement» (traduzione inglese del termine tedesco “Evakuierung”) di Ebrei all’Est, al che Hilberg rispose:
«Bene, il termine “re-settlement” [ricolonizzazione] divenne la parola usata nella corrispondenza nella seconda guerra mondiale nei documenti tedeschi per indicare il processo di deportazione di persone nei centri di uccisione. In breve, ciò era per distinguere dal portare gli assassini alle vittime. Qui le vittime sono portate agli assassini.
Christie - Bene, quella è la vostra interpretazione di...
Hilberg - Quella era la mia interpretazione e lo è ancora.
Christie - Ma non era affatto un ordine o una lettera di Hitler.
Hilberg - No, non lo è.
Christie - Ma qui [nel libro] si dice “Hitler impartì il suo secondo ordine”. Corretto?
Hilberg - Questo è corretto.
Christie - Ciò potrebbe essere un po’ fuorviante, no?
Hilberg - Sì, potrebbe essere fuorviante e per questa ragione scriviamo seconde edizioni» (570).

Incalzato da Christie, Hilberg mantenenne la realtà del primo ordine di sterminio ebraico di Hitler della primavera 1941, che, come ho dimostrato sopra, è assolutamente insussistente. Quanto al secondo ordine, egli dichiarò che sulla realtà di esso c’era discussione, ma soltanto un paio di storici tedeschi affermavano «che non c’era alcuna necessità di un ordine di Hitler» (571). Personalmente, però, come abbiamo visto sopra, egli credeva che un tale ordine fosse realmente esistito in forma verbale e che su questo punto non doveva fare correzioni nella seconda edizione della sua opera. Improvvisando malamente, Hilberg attribuiva il carattere verbale del presunto ordine al fatto che la lettera di Göring del 31 luglio 1941 era stata da lui «scritta per ordine di Adolf Hitler» (572), sicché egli basava la sua realtà storica sul semplice travisamento di una semplice parola di un documento che si riferiva al progetto Madagascar! Egli arrivò perfino ad affermare che esistono documenti scritti che dimostrano l’esistenza del presunto ordine di Hitler:
«Non è l’ordine di Hitler che esiste in forma di documento, perché pare che sia stato verbale, ma ci sono documenti che dicono che un ordine di Hitler ci fu.
Christie - Sì. Ci sono testimonianze di persone...
Hilberg - No, no, no. Ci sono documenti. Ripeto, ci sono documenti. Anche nella conferenza di Wannsee troverete riferimento a ciò».

Hilberg precisò poi questa singolare tesi così:
«Essa contiene un riferimento in quanto Heydrich parla di evoluzione della politica fino alla soluzione finale e in questo contesto fa un riferimento specifico a Hitler» (573).

A questo riguardo, Faurisson rileva:
«Poco tempo dopo il processo, scoprii che Hilberg aveva commesso uno spergiuro. Nel gennaio 1985, sotto il vincolo del giuramento, in presenza del giudice e della giuria, aveva osato affermare che, nella nuova edizione del suo libro, allora in corso di stampa, egli manteneva l’esistenza di questi ordini di Hitler di cui aveva appena riconosciuto che non esisteva “traccia”. Ora, egli mentiva. In questa nuova edizione, la cui prefazione è datata settembre 1984 (Hilberg depose sotto giuramento nel gennaio 1985) qualunque menzione di un ordine di Hitler è sistematicamente soppressa; il suo collega e amico Christopher Browning lo noterà in una recensione intitolata “The Revised Hilberg”:
“Nella nuova edizione [quella del 1985], tutte le menzioni del testo relative a una decisione di Hitler o a un ordine di Hitler per la ‘soluzione finale’ [intesa da Browning nel senso di ‘sterminio’] sono state sistematicamente soppresse. Nascosta in fondo a una sola nota appare una sola e unica menzione:’ La cronologia degli eventi e il contesto storico portano a credere che Hitler abbia preso la decisione prima della fine dell’estate [1941] ‘. Nella nuova edizione, non si prendono più decisioni e non si danno più ordini” (574).
Il fatto è grave. Esso dimostra che, per essere più sicuro di ottenere la condanna di E. Zündel (la cui tesi è in particolare che non è mai esistito un ordine di Hitler o di chiunque di sterminare gli Ebrei), un professore universitario non aveva timore di ricorrere alla menzogna e allo spergiuro» (575).

E questo, come ho mostrato, non fu neppure l’unico spergiuro di Hilberg.





3.
La metodologia di Hilberg


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Nel resoconto esposto sopra, Faurisson riferisce circa le concessioni fatte da Hilberg riguardo alla scarsa attendibilità di vari elementi delle testimonianze di Gerstein e di Höss. Riprendo qui e approfondisco la questione da un altro punto di vista, quello del modo in cui Hilberg ha trattato queste testimonianze in particolare e tutte in generale.
Su Gerstein, pressato da Christie, Hilberg dichiarò:
«Va bene. Sono molto, molto cauto nell’uso di certe dichiarazioni, così considererei la dichiarazione di Gerstein come una di quelle sulle quali bisogna essere molto cauti. Alcune parti sono confermate; altre sono una pura assurdità (pure nonsense).
Christie - Voi prendete parti che sono, a vostro avviso, credibili.
Hilberg - Sì.
Christie - E omettete le parti che, a vostro avviso, non sono credibili.
Hilberg - Questo è un buon giudizio, sì».
Indi Christie interrogò Hilberg sulla ben nota affermazione di Gerstein dell’affollamento di 700-800 persone in una camera a gas di 25 metri quadrati, da cui risulta una densità di 28-32 persone per metro quadrato. Hilberg rispose:
«Bene, su questo dato particolare sarei molto cauto, perché Gerstein, apparentemente, era una persona molto eccitabile. Era capace di ogni tipo di dichiarazioni, che, infatti, fece non solo nell’affidavit ma nel suo contesto.
Christie - Non era del tutto sano [di mente].
Hilberg - Non sono un giudice della sanità [di mente], ma sarei molto cauto su ciò che disse» (576).

Successivamente Hilberg aggiunse:
«È molto difficile caratterizzare l’uomo, perché, nel suo eccitamento, era capace di aggiungere l’immaginazione alla realtà».

Quanto all’affermazione di Gerstein sulle 700-800 persone in una camera a gas di 25 metri quadrati, Hilberg si giustificò asserendo:
«Egli può averlo detto tre volte, per quanto ne so, ma io non ho usato quella dichiarazione» (577).

Egli dichiarò che Gerstein era un testimone importante dell’esistenza, soprattutto, del campo di sterminio di Bełżec, e aggiunse:
«Al di là di ciò, naturalmente, compresi chiaramente che razza di persona fosse dal contesto del linguaggio che usò e non feci affidamento su dichiarazioni che mi sembrassero o immaginarie o esagerate. Non le usai.
Christie - Infatti nel vostro libro, nel vostro uso di questa dichiarazione, voi avete eliminato tutte queste parti ridicole.
Hilberg - Bene, ho eliminato tutto ciò che mi sembrava non plausibile o non credibile, certo» (578).

Hilberg precisò poi ulteriormente questa sua singolare metodologia:
«Sì, ma io ho citato soltanto quelle parti della sua dichiarazione che sembrano credibili e non ho fatto uso di quelle che non lo sono. [...]
Se una dichiarazione contiene dieci punti, siano numerati o no, ed io decido che due o tre di essi sono credibili, sono corretti, sono plausibili, li userò. Se decido che altri non lo sono, non ne farò uso. [...]» (579).

Infine egli fece poi una sorta di disquisizione sul suo metodo dell’estrapolazione:
«Vi ho spiegato che cosa intendo per “fuori contesto”. Fuori contesto significa l’uso di parole di un autore in modo tale da rendere il significato che egli intendeva in modo differente da come lo intendeva. Ciò, per me, significa fuori contesto. Significa tralasciare le qualificazioni. Significa tralasciare i se, i ma, i tuttavia; ma se una persona fa una dichiarazione che può essere facilmente suddivisa in dieci differenti asserzioni o dodici differenti asserzioni o venti differenti asserzioni e trovo che dieci sono credibili e dieci non sono credibili, o che cinque sono credibili e quindici non sono credibili, se mi capita di scegliere quelle che trovo essere confermate da altre, che trovo essere plausibili alla luce degli eventi che conosco, allora non pongo queste dichiarazioni fuori del contesto di ciò che egli [la persona dell’ipotesi] dice» (580).

Hilberg confermò questa sua metodologia anche nel dibattimento sul testimone Höss:
«Christie - Così voi tralasciate parti di una testimonianza che considerate ridicole e conservate ciò che considerate credibile. Esatto?
Hilberg - Mi dichiaro colpevole.
Christie - Bene, quel processo di assunzione selettiva mirava a convincere i vostri lettori che quest’uomo, Höss, era un testimone credibile. Non è così?
Hilberg - Era credibile sotto alcuni aspetti. Difatti, nella maggior parte degli aspetti, nella maggior parte delle circostanze in cui fece dichiarazioni» (581).

In questo caso c’era anche l’aggravante delle torture notoriamente inflitte a Höss dagli Inglesi, di cui Hilberg non sapeva nulla, come non sapeva nulla di questo fatto a dir poco strano:

«Christie - Siete a conoscenza del fatto che alla sua cattura iniziale fu scritta per lui in inglese, a mano, da una persona diversa da lui, una dichiarazione, ed egli la firmò?
Hilberg - No, questo non lo so» (582).

L’avvocato si riferiva alla dichiarazione riportata in fac-simile da Lord Russell of Liverpool in cui è scritto: «I personally arranged on orders received from Himmler in May 1941 the gassing of two million persons between June/July 1941 and the end of 1943 which time I was commandant of Auschwitz» (583). E non c’è bisogno di essere periti calligrafi per notare la grande differenza tra la calligrafia del testo e quella della firma e del grado di Höss, particolarmente evidente nella parola “Auschwitz” scritta dall’ignota mano inglese e da Höss. Questa dichiarazione retrocede il presunto ordine di Himmler al maggio 1941, fa cominciare il presunto sterminio ad Auschwitz nel giugno-luglio 1941 e menziona due milioni di gasati fino alla fine del 1943: tre affermazioni, tre assurdità.

Nel corso del dibattimento, fu evidenziata un’ altra metodologia più che discutibile di Hilberg, consistente nell’assunzione della ripetizione di un evento nelle testimonianze come criterio di veridicità. Egli infatti dichiarò che accettava come veri certi fatti narrati in una testimonianza «nella misura in cui confermavano altre informazioni o erano confermate da altre informazioni» (584), le «altre informazioni» essendo ovviamente altre testimonianze. Hilberg menzionò anche un paio di esempi di applicazione di tale metodologia. Egli rilevò che «l’episodio di Schillinger è raccontato in un certo numero di rapporti» (585). Alla domanda di Christie se credesse alla storia dei camini fiammeggianti, Hilberg rispose: «Lasciatemi semplicemente dire che ci sono molti racconti di natura sostanzialmente simile del medesimo fenomeno, non solo di superstiti, ma di persone al campo e nelle sue vicinanze» (586).

Hilberg dichiarò apertamente che la sua specializzazione era la gasazione di Ebrei: «my specialization is gassing of Jews» (587). Però non aveva mai ispezionato alcun presunto campo di sterminio. La sua prima e unica visita ad Auschwitz e a Treblinka non era stata infatti dettata dall’interesse storico per i luoghi, ma era avvenuta in occasione di celebrazioni. Egli infatti rimase un giorno a Treblinka e forse mezza giornata ad Auschwitz e mezza a Birkenau (588). Egli si giustificò asserendo che aveva studiato i documenti («I have studied the documents»)(589), ma nell’ edizione definitiva della sua opera non menzionò affatto documenti dell’archivio di Auschwitz. I documenti da lui studiati erano del resto ben povera cosa: «fotografie aeree», «documenti contemporanei sulla tossicità del gas che fu impiegato», «filtri per maschere antigas», cose che, a suo dire, erano «tutte connesse con le camere a gas» (590); inoltre «materiali [documenti] ferroviari», «corrispondenza relativa alla costruzione di camere a gas», affermazione falsa se si parla di camere a gas omicide, e «corrispondenza sulla consegna di gas» (591). Non si può dunque non sottoscrivere la caratterizzazione di Hilberg esposta da Faurisson:
«un uomo perduto nel fumo delle sue idee, una sorta di teologo che si era costruito un universo mentale in cui la materialità dei fatti non aveva alcun posto; era semplicemente un professore di gran lunga troppo dottorale, uno “storico di carta” alla Vidal-Naquet» (592).








CAPITOLO V
Hilberg e le conoscenze della storiografia olocaustica
sul Führerbefehl all’inizio degli anni Ottanta. Bilancio di due convegni storici.


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1.
Il Convegno di Parigi


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Dal 29 giugno al 2 luglio 1982, l’École des Hautes Études en sciences sociales e la Sorbona organizzarono a Parigi un importante convegno internazionale sul tema «La Germania nazista e lo sterminio degli Ebrei». Gli atti relativi furono pubblicati nel 1985 in un volume omonimo (593). Al convegno partecipò anche Hilberg, con due conferenze: «La burocrazia della soluzione finale» (594) e «Il bilancio demografico del genocidio» (595).





1.1.
Intenzionalisti e funzionalisti


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Il convegno fu organizzato per far fronte al progredire della storiografia revisionistica, come scrisse senza mezzi termini nella prefazione dell’opera François Furet, uno degli organizzatori:
«La nostra idea iniziale era semplicissima. Cioè che era tempo, e anche più che tempo, quarant’anni o quasi dopo la seconda guerra mondiale, di riunire in un libro ciò che gli specialisti sanno su uno degli episodi più tragici di questa guerra: il genocidio nazista degli Ebrei. Al pari di altri, io ero stato sorpreso e urtato dai tentativi fatti da piccoli gruppi partigiani di rimettere in causa la materialità dei fatti o almeno di banalizzarne l’importanza. Ma l’indignazione non costituisce conoscenza e, come il pregiudizio e lo spirito partigiano, può perfino ostacolarla. Bisognava dunque dare la parola a coloro che avevano dedicato l’essenziale della loro attività alla ricerca storica sul nazismo, la seconda guerra mondiale e la “soluzione finale” del problema ebraico. Come si dice nel gergo professionale, era giunto il momento di fare “il punto della questione”. Donde l’iniziativa del convegno organizzato dall’ École des Hautes Études en sciences sociales all’inizio di luglio del 1982» (596).

Saul Friedländer sottolineò che
«dalla fine degli anni Sessanta, la storiografia sul nazionalsocialismo, soprattutto nella Germania Federale, si divide - implicitamente o esplicitamente - in due campi opposti: “intenzionalisti” e “funzionalisti”. Per gli intenzionalisti c’è una relazione diretta tra ideologia, pianificazione e decisioni; quanto alla centralità assoluta del decisore supremo, Adolf Hitler, essa è evidente a tal punto che per Klaus Hildebrand, per esempio, “non si deve parlare di nazionalsocialismo, ma di hitlerismo”. La posizione funzionalista, invece, implica che non c’è una relazione necessaria tra le premesse ideologiche e l’azione politica, che le decisioni sono l’una in funzione dell’altra - a causa dell’interazione costante di istanze semiautomatiche che limitano parimenti il ruolo del decisore supremo -, e che queste decisioni assumono l’aspetto di una politica voluta e coerente soltanto a posteriori. In breve, l’immagine di un sistema in cui l’essenziale dipendeva dalla volontà di Hitler di fronte a quella di una policrazia più o meno anarchica. L’opposizione di queste due tesi appare in modo particolarmente chiaro quando ci si rivolge all’interpretazione della politica nazista nei confronti degli Ebrei» (597).

Mentre infatti la posizione intenzionalista afferma «la continuità tra l’ideologia degli inizi e lo sterminio finale» (598), quella funzionalista, che presenta a sua volta aspetti contrastanti, è riconducibile al comun denominatore che lo Stato nazista rappresentava un sistema in gran parte caotico in cui le decisioni maggiori erano spesso la risultante delle pressioni più varie, senza che ci fossero necessariamente pianificazione, previsione o ordini chiari provenienti dall’alto» (599).
Nella relazione presentata al convegno di Parigi, di cui quella che appare negli atti è una rielaborazione posteriore, S. Friedländer rilevò l’infondatezza di entrambe le posizioni:
«Né la tesi della inesorabile continuità e di una pianificazione dello sterminio totale degli Ebrei prima dell’attacco contro l’URSS, né quella della discontinuità e dell’improvvisazione possono in realtà essere dimostrate allo stato attuale delle fonti: è la conclusione cui giungono Krausnick e Wilhlem al termine del loro studio monumentale sugli Einsatzgruppen. È egualmente la sola conclusione che ci sembra plausibile a questo stadio» (600).


Egli delineò poi un «quadro delle acquisizioni della storiografia» olocaustica in cui ammise:
«La questione della data in cui fu deciso lo sterminio fisico totale degli Ebrei, così come il problema dell’ elaborazione del piano di “soluzione finale”, restano irrisolti» (601).

Il testo rielaborato che compare negli atti del convegno non contiene questa franca ammissione della vacuità del relativo dibattito storiografico, ma il problema fondamentale dell’ordine di sterminio vi appare parimenti irrisolto:

«Oggi nessuno storico crede più che un tale ordine sia stato dato per iscritto. In forma orale si poteva trattare sia di una istruzione diretta di Hitler a Göring o a Himmler, sia, più probabilmente, di una allusione chiara, compresa da tutti» (602).

L’interpretazione di Martin Broszat era assai più radicale: «non ci fu mai un ordine generale concernente lo sterminio degli Ebrei» (603).
Quanto a Friedländer, egli tentò una sintesi delle due posizioni opposte: riconoscendo da un lato che il funzionalismo «risponde meglio dell’intenzionalismo alle concezioni della storiografia contemporanea»; sostenendo dall’altro che, nella politica ebraica, nessuna decisione importante fu presa all’insaputa di Hitler (604). Ma la sua conclusione dell’«esistenza di un piano globale di sterminio degli Ebrei d’Europa nell’autunno del 1941» (605) era una mera congettura al pari di quelle dei suoi colleghi.
Eberhard Jäckel sostenne la tesi radicale intenzionalista, secondo la quale, sin dagli anni Venti, Hitler era orientato verso una soluzione cruenta della questione ebraica. Egli partiva dall’analisi del passo fondamentale del «primo documento politico di Hitler», la lettera all’amico Gemlich del 16 settembre 1919:

«L’antisemitismo fondato su motivi puramente sentimentali troverà la sua espressione finale sotto forma di progrom [sic]. Al contrario, l’antisemitismo della ragione deve condurre ad una lotta legale metodica e all’eliminazione [Beseitigung] dei privilegi che l’Ebreo possiede a differenza degli altri stranieri che vivono tra di noi (legislazione degli stranieri). Ma il suo obiettivo finale e immutabile deve essere l’eliminazione [Entfernung] (606) degli Ebrei in generale» (607).

Jäckel commentò così questo passo:
«Quali misure proponeva Hitler? È evidente che questa è la questione più importante. Niente pogrom né eccessi. Bisogna procedere in modo legale e programmato. Hitler distingueva due fasi. Anzitutto, bisognava assoggettare gli Ebrei alla legislazione degli stranieri, ritirare loro i diritti civili, trattarli conformemente a ciò che erano realmente: degli stranieri. Poi, eliminarli semplicemente. Hitler non ha chiarito questo concetto di eliminazione, da allora ripetuto incessantemente. Ciò che almeno si può dire, è che egli voleva la loro emigrazione o la loro espulsione fuori della Germania; ma non è escluso che egli abbia già pensato al loro sterminio» (608).

Questa ipotesi sarebbe confermata dal Mein Kampf, in cui Jäckel riscontrava «una radicalizzazione francamente mostruosa delle misure raccomandate nella lotta contro gli Ebrei»:

«L’eliminazione degli Ebrei reclamata fino ad allora, diventava, pur conservando in parte il termine di eliminazione, l’annientamento, l’estirpazione degli Ebrei e, del tutto apertamente, la loro liquidazione fisica, la loro uccisione. Anche se Hitler si era immaginato questa soluzione anteriormente, forse in modo inconscio, la proclamò pubblicamente per la prima volta qui» (609).

La tesi propugnata da Jäckel fu confutata da un altro partecipante al convegno, Karl A. Schleunes, il quale, nella sua relazione sulle «politiche naziste verso gli Ebrei» tra il 1933 e il 1939, si occupò dello stesso argomento. Egli riassunse anzitutto la tesi intenzionalista:
«Quando Hitler divenne cancelliere nel 1933, aveva delle idee precise sul modo di regolare la questione ebraica? Auschwitz è il frutto di un disegno chiaro e netto? Oppure Hitler, come pensano certuni, aveva definito i suoi obiettivi ancor prima del 1933? Sin dal 1919, del resto, prima di aderire al partito operaio tedesco, egli aveva espresso a uno dei suoi superiori le sue idee sul problema ebraico e la sua opinione secondo la quale un “antisemitismo razionale” doveva avere come scopo “la scomparsa totale degli Ebrei” (610). Nel 1924, quando scrisse Mein Kampf, egli disponeva evidentemente di una completa “Weltanschauung” [visione del mondo] razzista, il cui carattere dominante era l’antisemitismo. Nel Mein Kampf figura perfino la gasazione degli Ebrei. Hitler vi scrisse: “Se la Germania avesse posto, durante la guerra mondiale, dodicimila o quindicimila Ebrei [...] corruttori del popolo sotto gas asfissianti”, affinché provassero le stesse sofferenze dei soldati tedeschi sul campo di battaglia, allora i sacrifici del fronte “non sarebbero stati vani”. L’idea che Hitler conoscesse sin dall’inizio, forse dal 1919, le grandi linee della politica ebraica, è stata ragguardevolmente sostenuta da Lucy Dawidowicz nel suo libro The War against the Jews 1933-1945 (1975). A sostegno della sua tesi, ella cita una lettera di Hitler del 1919 (611), dei passi significativi di Mein Kampf e numerose altre allusioni agli Ebrei fatte da Hitler prima che divenisse cancelliere. Per lei ognuna di queste affermazioni “prefigura le realtà politiche della dittatura hitleriana [...]”. Quando questi testi si leggono alla luce del monito ulteriore di Hitler del 30 gennaio 1939, nel quale dichiarava che, se gli Ebrei “riuscissero a gettare di nuovo le nazioni nella guerra mondiale”, il risultato sarebbe “la liquidazione (612) della razza ebraica in Europa”, diviene ancora più verosimile che la “soluzione finale” costituiva il risultato inevitabile di un progetto gigantesco» (613).

Schleunes sosteneva invece che una intenzione o un progetto di sterminio ebraico non era mai esistito non solo fin dagli anni Venti, ma neppure nel periodo che va dal 1933 al 1939:

«Hitler, o qualunque altro capo nazista, aveva nel gennaio 1933 o ancora prima un’idea chiara dei fini di una politica ebraica? I fatti sembrano dimostrare il contrario».

La retorica antiebraica costituiva indubbiamente fin dall’inizio il tema centrale della propaganda nazista,
«ma, nel 1933, per non parlare del 1919 o del 1925, nessuno immaginava ancora dove questa energia avrebbe potuto condurre. Durante i primi sei anni del potere di Hitler non si può parlare di una politica ebraica nazista, ma piuttosto di molte politiche ebraiche, le quali, lungi dall’essere coordinate, spesso si contraddicono, e nessuna delle quali è veramente ufficiale. Solo nel 1939, come contraccolpo delle difficoltà causate dalla notte dei cristalli, si vede apparire nella politica ebraica una misura di coordinazione che ha il marchio di Adolf Hitler stesso. Sino ad allora, la politica ebraica era stata oggetto di rivalità tra i capi nazisti, la posta di una selvaggia lotta interna per il potere in cui erano permessi tutti i colpi. In questa guerra ebbero il sopravvento i meno adatti, cioè, nel 1939, in particolare la SS, aiutata dal SD» (614).

Questa molteplicità di politiche dipendeva dal fatto che
«quando i nazisti arrivarono effettivamente al potere, circa otto mesi dopo, la politica ebraica non ricette affatto la priorità che ci si sarebbe potuti attendere alla luce delle considerazioni ideologiche» (615).

In questi primi anni l’azione di Hitler fu soltanto restrittiva e indicativa:
«Una soluzione del problema ebraico mediante una politica coordinata e centralizzata non gli sembrava una priorità sufficientemente importante per incaricarne specificamente qualcuno; egli non espresse neppure idee personali su ciò che avrebbe implicato questa soluzione» (616).

La politica unitaria che si delineò nel 1939 mirava all’emigrazione e all’espulsione degli Ebrei dalla Germania. Sin dal 1934, le SS, in un Rapporto sulla questione ebraica, avevano proposto di «organizzare l’emigrazione in massa degli Ebrei fuori della Germania». Veniva anche prospettata l’idea di incoraggiare negli Ebrei il sentimento sionista per indurli ad andarsene.
«La SS assunse il controllo totale dell’emigrazione ebraica (e in pari tempo della politica ebraica) solo nel 1939, quando Hitler la incaricò di organizzare questa emigrazione in tutto il Reich».

Questo incarico fu la conseguenza del successo conseguito dalle SS in Austria, in particolare da Adolf Eichmann, che nei mesi successivi all’Anschluss organizzò l’emigrazione di quasi un quarto degli Ebrei austriaci.
«L’emergere di Eichmann come figura importante della politica ebraica è una delle prove migliori del fatto che la soluzione finale non fu il risultato di un progetto grandioso, maturato a lungo» (617).
Alla luce di questa politica di emigrazione, riteneva Schleunes, le espressioni minacciose di Hitler degli anni 1938 e 1939 vanno interpretate in senso puramente metaforico:
«Alla fine del 1938 e all’inizio del 1939 si parlava molto di una soluzione imminente del problema ebraico. “Il problema sarà risolto presto”, disse Hitler al ministro della Difesa del Sudafrica, Oswald Rirow, il 24 novembre 1938. Alcune settimane dopo, egli confidava al ministro degli Esteri ceco Chvalkovski: “Noi stiamo per distruggere gli Ebrei” (618). Essi non se la caveranno così dopo aver fatto il 9 novembre 1918. Per loro è venuto il giorno della resa dei conti”. E il 30 gennaio 1939 egli dichiarò al Reichstag che la guerra, se mai fosse scoppiata, avrebbe avuto come risultato “l’annientamento della razza ebraica in Europa”. Hitler voleva parlare di una reale distruzione fisica? Senza dubbio ancora no, sebbene la perversità della sua retorica vi conducesse direttamente. Eberhard Jäckel ha fatto notare che, sulla bocca di Hitler, la parola eliminazione non significava sempre eliminazione fisica. Abbondanti prove indicano che, per tutto l’anno 1939, i nazisti vedevano sempre nell’emigrazione il mezzo per rendere la Germania “judenfrei” (pura da Ebrei). Il 24 gennaio 1939, una settimana prima del discorso di Hitler al Reichstag tanto spesso citato, Göring affidava a Reinhard Heydrich la coordinazione di una emigrazione accelerata degli Ebrei. Heydrich assistette, al ministero dell’Aeronautica, alla riunione che seguì la Kristallnacht (notte dei cristalli) e vi colse l’occasione per glorificare i successi di Eichmann in Austria. Bisognava ora estendere i metodi di Eichmann alla Germania. Dall’interno della SS, Heydrich mise a capo del nuovo Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica un responsabile della Gestapo, Heinrich Müller. Uffici simili a quello istituito da Eichmann a Vienna dovevano essere creati a Berlino, Breslavia, Francoforte sul Meno e Amburgo» (619).

La politica di emigrazione, rilevò Schleunes, fu perseguita, con successo sempre minore, anche dopo lo scoppio della guerra, finché le vicende belliche non imposero il suo abbandono:
«Se i piani di emigrazione non avevano potuto seguire il ritmo delle annessioni di Hitler in tempo di pace, essi si disintegrarono quasi completamente quando scoppiò la guerra, nel settembre 1939. La guerra si era estesa più di quanto Hitler avesse creduto, oltre al fronte orientale, a un fronte occidentale inatteso. Un ultimo piano di emigrazione, detto “piano Madagascar”, dominò ancora per qualche tempo la politica ebraica. Riassumendo, il programma, che proveniva dal ministero degli Esteri, prevedeva che la Francia avrebbe ceduto il Madagascar che sarebbe divenuto così disponibile per l’emigrazione ebraica. L’insediamento sarebbe stato poi finanziato dai beni ebraici sequestrati dai nazisti in Europa. Himmler e Heydrich trovarono l’idea accettabile, perché era previsto che il Madagascar sarebbe stato governato dalle SS. Questo progetto restò lettera morta. La guerra gli tolse quasi ogni possibilità di successo, come pure a qualunque altro piano di emigrazione. La conquista della Polonia pose almeno 3 milioni di Ebrei nell’orbita nazista! La loro emigrazione o espulsione, malgrado le grandiose visioni di Rosenberg, erano ormai fuori questione» (620).






1.2.
L’ordine di sterminio


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Uwe Dietrich Adam esaminò la politica ebraica nazionalsocialista dal settembre 1939 al giugno 1941, periodo che «può essere considerato come quello della scalata verso la “soluzione finale”». Egli però puntualizzò subito che

«la data precisa nella quale fu ordinata questa “soluzione finale” costituisce un problema irrisolto sia per la storia tedesca sia per la storia mondiale».

Circa la genesi della “soluzione finale”, Adam si schierò decisamente contro la tesi intenzionalista radicale sostenuta da Jäckel, dichiarandosi «d’accordo con la schiacciante maggioranza degli storici nel pensare che l’ordine di liquidare gli Ebrei sotto il dominio tedesco non è mai stato dato e neppure progettato, in nessuna forma, prima dell’inizio della guerra» (621). Dal momento che «non è stata mai scoperta traccia scritta di quest’ordine» ed è poco probabile che se ne trovi una in futuro,
«allo storico incombe il compito di datarlo il più precisamente possibile facendo appello all’interpretazione. Poiché i metodi e le ipotesi sono numerosissimi a questo riguardo, ci troviamo di fronte ad opinioni molto diverse. Alcuni pongono la concezione della “soluzione finale” all’epoca di Landsberg (Jäckel, Dawidowicz); un altro la fissa al marzo 1941 (Krausnick) o al luglio 1941 (Hilberg, Browning), altri infine alla fine dell’autunno 1941 (Adam, Broszat). Né le leggi né le misure amministrative del Terzo Reich contro gli Ebrei possono permetterci di precisare la data dell’ordine di sterminio. Ma per chi conosce bene la struttura istituzionale del Terzo Reich dopo l’inizio della guerra, ogni misura presa circoscrive le possibilità di interpretazione e permette perfino di eliminare certe date o di confermarne altre con qualche certezza» (622) (corsivo mio).

Allo scoppio della guerra, la questione ebraica, quale era stata formulata nel programma del Partito e dai primi protagonisti di una legislazione razziale, era risolta.

«Se si vuole riassumere l’essenziale della politica nazista nei confronti degli Ebrei, si ritrova un obiettivo costante e primordiale: separare gli Ebrei dagli “Ariani”. Questo obiettivo politico e razziale dell’ideologia nazista - l’eliminazione degli Ebrei dal “Volkskörper” (corpo della nazione) tedesco - fu raggiunto nel 1938» (623).

Dopo l’inizio delle ostilità, la politica nazista nei confronti degli Ebrei mirò al consolidamento di tale separazione, ma essa fu
«elaborata in gran parte sotto l’effetto di fattori imponderabili, di idee a breve scadenza, di rivalità tra uffici, di allusioni accidentali o intenzionali di Hitler. L’assenza di un’autorità centrale per coordinare, amministrare, dirigere le misure antiebraiche ha svolto un ruolo non trascurabile in questa mancanza d’unità e in queste esitazioni della legislazione» (624).

L’Ufficio centrale di sicurezza del Reich (RSHA) continuò in questo periodo la politica di emigrazione dell’anteguerra.
«Prima dell’inizio della guerra, il Servizio di sicurezza (Sicherheitsdienst: SD) in particolare sosteneva con accanimento una “soluzione della questione ebraica” mediante emigrazione. La creazione dell’Agenzia centrale per l’emigrazione (Zentralstelle für jüdische Auswanderung) nel gennaio 1939, permise a Heydrich di assumere la direzione della politica ebraica al livello ministeriale. Egli mise in opera rapidamente i piani di emigrazione del SD e ottenne il suo primo successo apprezzabile nel luglio 1939, quando creò l’Associazione degli Ebrei della Germania (Reichsvereinigung der Juden in Deutschland). Essendo sottoposta all’autorità del RSHA, essa gli dava il controllo di importanti organismi culturali ebraici e soprattutto del finanziamento e della direzione dell’emigrazione ebraica» (625).

Ma il RSHA aveva fatto i conti «senza la struttura anarchica del Terzo Reich», che creò ostacoli all’emigrazione ebraica e non consentì di raggiungere anche in Germania
«le cifre stupefacenti di Eichmann a Vienna. Dopo lo scatenamento della guerra, si può concludere che la politica del RSHA era in accordo con la volontà di Hitler di ottenere il più presto possibile una “judenreines Deutschland”, una Germania “epurata degli Ebrei”» (626).

Il RSHA cercò di risolvere d’urgenza il problema dell’emigrazione.
«Certo, le tasse di emigrazione aumentavano regolarmente, ma, nello stesso tempo, il RSHA tentò di ammorbidire il controllo dei cambi. Malgrado tutti i regolamenti ufficiali, esso permise perfino l’impiego degli Ebrei nell’agricoltura “al fine di facilitare la loro emigrazione dando loro una formazione professionale”. Il RSHA riuscì anche a diminuire o ad abolire per gli Ebrei un buon numero di tasse speciali e di limiti all’esportazione dei capitali. Nel dicembre 1940, esso giunse a convincere il ministero dell’Economia a fare accelerare, contro tutte le regole in vigore, le procedure finanziarie in ogni caso di emigrazione. Questa ricerca di una soluzione globale della “questione ebraica” si può cogliere ancora nel tentativo effettuato nel maggio 1941 dal RSHA per ottenere da Göring una direttiva generale di emigrazione. In seguito questo documento (627) è stato spesso male interpretato a causa della sua formulazione. Göring ordinò a tutte le autorità di facilitare l’emigrazione degli Ebrei fuori del Reich e dei territori sotto protettorato, per quanto era possibile, anche durante la guerra. L’emigrazione degli Ebrei di Francia e Belgio doveva essere invece proibita a causa della “soluzione finale che, senza alcun dubbio, si avvicinava”. Questo termine ingannatore di “soluzione finale” fu interpretato da generazioni di storici come se designase una distruzione fisica, mentre in quest’epoca significava soltanto l’emigrazione degli Ebrei verso il Madagascar. La trappola si strinse solo a partire dall’agosto 1941. Il RSHA proibì l’emigrazione degli Ebrei in buona salute (628). Alla fine di agosto del 1941, Eichmann estese quest’ordine a tutti gli Ebrei che vivevano nei territori occupati dalla Germania. Il 23 ottobre 1941, il RSHA informò tutti i servizi di polizia e il SD dell’ordine di Himmler che proibiva qualunque emigrazione di Ebrei, senza eccezione, per la durata della guerra» (629).

La relazione di Adam terminò così, senza specificare in che cosa consistesse questa «trappola».
Christopher R. Browning affrontò il tema specifico della decisione concernente la “soluzione finale”. Egli sottolineò anzitutto le «divergenze essenziali» che all’epoca dividevano le due interpretazioni olocaustiche:
«La decisione concernente la soluzione finale è stata oggetto di un gran numero di interpretazioni storiche. Le divergenze essenziali appaiono a proposito di due questioni connesse: da una parte, la natura del processo attraverso il quale fu presa la decisione, e, più particolarmente, il ruolo di Hitler e della sua ideologia; dall’altra, il momento in cui questa decisione fu presa. Come Martin Broszat ha rilevato a ragione, una varietà di interpretazioni ci avverte che qualunque teoria sull’origine della “soluzione finale” rientra nel dominio della probabilità piuttosto che in quello della certezza» (630) (corsivo mio).

Browning espose poi un quadro ricapitolativo di queste «divergenze essenziali»:
«Per Lucy Dawidowicz, la concezione della soluzione finale precedette di ventidue anni la sua realizzazione; per Martin Broszat, l’idea emerse dalla pratica: l’uccisione sporadica di gruppi di Ebrei fece nascere l’idea di uccidere sistematicamente tutti gli Ebrei. Tra questi due poli estremi si trova una grande quantità di interpretazioni. Così Eberhard Jäckel sostiene che l’idea di uccidere gli Ebrei si formò nella mente di Hitler alla fine degli anni Trenta. Karl Dietrich Bracher suppone che l’intenzione esistesse già in quest’epoca. Andreas Hillgruber e Klaus Hildebrand affermano la supremazia dei fattori ideologici ma non propongono alcuna data precisa. Altri, non tutti funzionalisti, collocano la svolta decisiva nel 1941: tuttavia, per quanto riguarda quest’anno, sono state proposte molte date. Léon Poliakov stima che la data più verosimile sia l’inizio del 1941, mentre Robert Kempner e Helmut Krausnick sostengono che Hitler prese la decisione in primavera, in connessione con i preparativi per l’invasione della Russia. Raul Hilberg pensa che la decisione fu presa nel corso dell’estate, quando i massacri in massa perpetrati in Russia fecero credere che questa soluzione fosse possibile in tutta l’Europa per la Germania vittoriosa. Uwe Dietrich Adam afferma che essa fu presa in autunno, nel momento in cui l’offensiva militare ristagnava e si rivelava dunque impossibile una “soluzione territoriale” per mezzo dell’espulsione in massa verso la Russia. Infine Sebastian Haffner, che non è certamente funzionalista, sostiene una tesi ancora più tardiva, l’inizio di dicembre, quando un primo presentimento della disfatta militare finale indusse Hitler a ricercare una vittoria irreversibile sugli Ebrei» (631).

A questo punto Browning si chiese:

«Come spiegare una tale diversità di interpretazioni circa il carattere e la data della decisione concernente la soluzione finale?».

Questa diversità si spiegava, secondo Browning, con una ragione soggettiva - il differente punto di vista da cui si pongono gli intenzionalisti e i funzionalisti - e una oggettiva, che è in realtà la vera ragione: «con la mancanza di documentazione». Infatti egli dichiarò:

«Non esistono archivi scritti su ciò che fu discusso tra Hitler, Himmler e Heydrich a proposito della soluzione finale, e nessuno dei tre è sopravvissuto per testimoniare dopo la guerra. Perciò lo storico deve ricostruire egli stesso il processo di decisione al vertice, estrapolando a partire da avvenimenti e testimonianze esteriori. Come l’uomo di Platone nella caverna, egli vede soltanto i riflessi e le ombre, non la realtà. Questo processo temerario di estrapolazione e di ricostruzione conduce inevitabilmente a una grande varietà di conclusioni» (632) (corsivo mio).

Browning insistette in effetti ripetutamente sulla mancanza pressoché totale di documenti riguardo alla genesi della decisione concernente la “soluzione finale”:
«Eppure, malgrado tutto ciò che si sa sulla preparazione dell’invasione tedesca della Russia, non esiste una documentazione specifica concernente il destino riservato agli Ebrei russi. Per ottenere una risposta a tale questione, bisogna ricorrere a testimonianze del dopoguerra, a prove indirette e a riferimenti sparpagliati nei documenti più recenti» (633).
«Se la decisione di uccidere tutti gli Ebrei in Russia è stata indubbiamente presa prima dell’invasione, le circostanze e il momento esatto di questa decisione restano invece oscuri. È impossibile stabilire se l’iniziativa venisse da Hitler o da qualcun altro, da Heydrich per esempio. Inoltre, non si sa se Hitler aveva già fatto la sua scelta in marzo, quando annunciò chiaramente ai militari che la guerra russa non sarebbe stata una guerra convenzionale, o se la compiacenza dei militari li spinse successivamente ad estendere la cerchia delle vittime prese di mira al di là dell’intelligentzia giudeo-bolscevica. Una documentazione insufficiente non consente di rispondere in modo defitivo a tali questioni e autorizza soltanto ipotesi informate» (634)(corsivo mio).
«Non si sa, e senza dubbio non si saprà mai esattamente, quando e come Heydrich e il suo superiore diretto, Himmler, presero coscienza della loro nuova missione» (635).

Infine,

«non ci fu un ordine scritto per la soluzione finale, e non abbiamo alcun riferimento a un ordine verbale, tranne quello fornito da Himmler a Heydrich che affermava di agire in accordo col Führer» (636)(corsivo mio).

Browning rilevava poi che «il rapporto tra l’antisemitismo di Hitler e l’origine della “soluzione finale“ resta soggetto a controversia». Tuttavia la tesi intenzionalista è nettamente smentita dalla politica di emigrazione attuata dai nazionalsocialisti nei confronti degli Ebrei fino all’autunno del 1941:
«L’ipotesi di una politica nazista che sarebbe la conseguenza logica e deliberata dell’antisemitismo di Hitler non si accorda facilmente col suo comportamento reale negli anni che hanno preceduto il 1941. Per esempio, egli credeva alla responsabilità degli Ebrei, questi “criminali di novembre”, nella sconfitta tedesca del 1918, con un fervore pari a quello con cui credeva a ognuna delle sue altre asserzioni antiebraiche. È certo che il passo del Mein Kampf spesso citato in cui Hitler si rammarica che dodicimila o quindicimila Ebrei non fossero stati gasati durante la guerra, ha più senso nella leggenda della “pugnalata alle spalle” che come profezia o allusione velata alla soluzione finale. Se si ammette la premeditazione a lungo termine, la conseguenza “logica” della tesi degli Ebrei traditori di guerra avrebbe dovuto essere il massacro “preventivo” degli Ebrei tedeschi prima dell’offensiva in Occidente o almeno prima dell’attacco contro la Russia. In pratica, la politica ebraica dei nazisti consisteva nel creare una Germania “judenrein” (pura da Ebrei) incoraggiando e spesso obbligando gli Ebrei ad emigrare. Per riservare agli Ebrei tedeschi le possibilità di accoglimento, che erano limitate, i nazisti si opposero all’emigrazione degli altri Ebrei del continente. Questa politica fu mantenuta fino al momento in cui, nell’autunno 1941, i Tedeschi proibirono l’emigrazione degli Ebrei dalla Germania e, per la prima volta, dichiararono che la proibizione di emigrare imposta agli Ebrei di altri paesi mirava ad impedir loro di sfuggire al loro dominio (637). Gli sforzi degli specialisti nazisti della questione ebraica per promuovere l’emigrazione, sia prima della guerra sia durante essa, e i loro piani di reinsediamento in massa non erano solo tollerati, ma anche incoraggiati da Hitler. È difficile conciliare questo comportamento coll’ipotesi di una intenzione omicida da lungo tempo covata nei confronti degli Ebrei occidentali. Bisognerebbe allora ammettere che, sapendo che si accingeva ad uccidere gli Ebrei, Hitler perseguiva tuttavia una politica di emigrazione che “favoriva” gli Ebrei tedeschi rispetto agli altri Ebrei e salvava dalla morte la maggioranza di coloro che egli considerava precisamente i più responsabili della disfatta del 1918. Si è sostenuto che Hitler attendeva semplicemente il momento opportuno per la realizzazione dei suoi progetti omicidi. Ora, questa tesi non spiega né il perseguimento nello stesso tempo di una politica di emigrazione che andava nel senso opposto, né questa lunga dilazione. Se Hitler attendeva semplicemente lo scatenamento del conflitto per intraprendere la sua “guerra contro gli Ebrei”, perché lasciò ai milioni di Ebrei polacchi, che erano nella mani dei Tedeschi dall’autunno del 1939, un “rinvio di esecuzione” che durò trenta mesi? Essi furono vittime di massacri sporadici e di condizioni di vita che provocarono numerosi morti, ma non ci fu uno sterminio sistematico prima del 1942».

In conclusione,
«la politica ebraica attuata dai nazisti fino al 1941 non giustifica la tesi secondo la quale esisteva da molto tempo una volontà ben determinata di liquidare gli Ebrei europei. È molto più plausibile considerare l’antisemitismo di Hitler non come l’origine di un “piano” di sterminio logicamente dedotto e stabilito da molto tempo, ma come uno stimolante, un pungolo per la ricerca incessante di una soluzione sempre più radicale» (638).

Dal canto suo, Browning sostenne la tesi che
«l’intenzione di massacrare sistematicamente tutti gli Ebrei europei non era ben determinata nella mente di Hitler prima della guerra; essa si cristallizzò solo nel 1941, dopo che le soluzioni precedentemente considerate si furono rivelate irrealizzabili e l’offensiva imminente contro la Russia ebbe aperto la prospettiva di un accrescimento ancora più considerevole del numero degli Ebrei nell’impero tedesco in espansione. La soluzione finale prese forma a partire da un certo numero di decisioni prese quello stesso anno. In primavera, Hitler ordinò la preparazione del massacro degli Ebrei russi che sarebbero caduti nella mani dei Tedeschi nel corso dell’invasione imminente. Durante l’estate di quello stesso anno, Hitler, sicuro della vittoria militare, fece preparare un piano che mirava ad estendere il processo di sterminio agli Ebrei europei. In ottobre, sebbene la speranza di una vittoria militare non si fosse realizzata, Hitler approvò le grandi linee di questo piano, che precedeva la deportazione verso i centri di sterminio utilizzando un gas letale» (639).

Ma anche questa ricostruzione era puramente congetturale. Del resto Browning dichiarò che questa presunta decisione non si poteva inquadrare in un piano generale di sterminio ebraico:
«Tuttavia, la politica ebraica dei nazisti nel resto dell’Europa non ne fu trasformata immediatamente. Si continuò a parlare di emigrazione, di espulsione e di piani per un reinsediamento futuro. Nell’autunno 1940, degli Ebrei furono espulsi dalla regione di Baden, dal Palatinato e dal Lussenburgo verso la Francia non occupata; ci furono anche deportazioni da Vienna verso la Polonia all’inizio del 1941. Nel febbraio 1941, Heydrich parlava ancora di “trasferirli in un paese che si stabilirà più tardi”. E il ministero degli Esteri continuava a collaborare col RSHA, l’Ufficio centrale di sicurezza del Reich, per bloccare l’emigrazione degli Ebrei di altri paesi e monopolizzare così per gli Ebrei tedeschi le possibilità di emigrazione, che erano limitate. Questa politica fu ancora riaffermata il 20 maggio 1941 in una circolare firmata da Walter Schellenberg che proibiva l’emigrazione degli Ebrei dal Belgio e dalla Francia. La vecchia politica di emigrazione, di espulsione e di reinsediamento fu abbandonata solo progressivamente. Nel luglio 1941 il RSHA informò il ministero degli Esteri che non si prevedevano altre espulsioni verso la Francia. Nel febbraio 1942 il ministero degli Esteri abbandonò ufficialmente il piano Madagascar. I preparativi dell’uccisione degli Ebrei russi non ebbero dunque ripercussione immediata sulla politica ebraica dei nazisti negli altri paesi» (640).

Nonostante ciò, Browning non fu neppure sfiorato dal dubbio che la sua congettura di un ordine di massacro degli Ebrei russi fosse infondata; al contrario, sostenne che

«l’idea della soluzione finale per gli Ebrei europei si formò con un processo separato e risultò da una decisione distinta» (641).

Ma, non essendo neppure questa presunta decisione suffragata da prove documentarie, anche qui il campo restava aperto alle congetture più disparate, che Browning riassunse così:

«Hilberg pone la decisione al più tradi nel luglio 1941; Uwe Dietrich Adam sostiene una data tra settembre e novembre; Sebastian Haffner suggerisce dicembre e Martin Broszat contesta l’idea stessa di una decisione globale in una data particolare e crede ad un processo graduale ed incosciente di intensificazione» (642).

Circa il presunto ordine di sterminio, la sua posizione era la seguente:

«Nel luglio 1941, dopo che le armate naziste avevano sbaragliato le difese sul confine sovietico, accerchiato quantità enormi di soldati russi, e infine percorso i due terzi della distanza da Mosca, Hitler approvò la bozza di un piano per lo sterminio di massa della popolazione ebrea d’Europa. E nell’ottobre 1941, con l’accerchiamento vittorioso di Vyazma e di Bryansk e con il breve riaccendersi della speranza di un triofo finale prima dell’inverno, approvò la soluzione finale» (643).

Una ulteriore congettura documentariamente infondata.





1.3.
Hilberg al convegno di Parigi


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Al convegno di Parigi, Hilberg espose due relazioni che, pur rientrando nella sezione «Lo sterminio», avevano comunque un carattere marginale rispetto a quella centrale, presentata da Uwe Dietrich Adam, su «Le camere a gas»(pp. 236-261).
Questi si occupò, con un minimo di senso critico, di temi che furono poi ripresi, acriticamente, da Hilberg nell’edizione definitiva della sua opera, in particolare riguardo al campo di Bełżec. Ad esempio, Adam rilevò:
«È poco verosimile che gli Ebrei dei primi convogli fossero stati sterminati con gas in bombole, come dichiarò Josef Oberhauser, assistente di Wirth, come sono inesatte le sue indicazioni sul numero delle vittime. D’altra parte è certo che il tribunale giunse ad una falsa conclusione affermando che a Bełżec “nelle prime settimane fu usato Zyklon B, e successivamente, per ragioni di economia, il gas di scappamento di un motore Diesel”»(Nota 72 a p. 259).
«Le indicazioni della Corte d’Assise di Monaco riguardanti il “rendimento” di Bełżec sono sicuramente false... L’affermazione di Kogon, secondo la quale le nuove camere a gas potevano uccidere 4.000 persone alla volta, non è difendibile» (Nota 81 a p. 259).
«Kogon situa per errore questo episodio nel primo periodo di funzionamento di Bełżec. Le indicazioni di Gerstein quanto al numero di vittime da uccidere a Bełżec sono talmente inverosimili che se ne può rendere conto immeditatamente anche un profano: egli parla di 700-800 persone gasate in un locale di 25 metri quadrati» (Nota 85 a p. 260).

Tuttavia, incredibilmente, per Adam «un errore [sic] di questo tipo rafforza al contrario la credibilità e la buona fede del racconto»!
Adam inoltre fissava il numero dei presunti gasati di Auschwitz, senza alcuna indicazione, tra 1.000.000 e 1.200.000 persone. L’editore aggiunse una nota che rimandava al ben noto articolo di Georges Wellers Essai de détermination du nombre de morts au camp d’Auschwitz (644), secondo il quale «il numero dei gasati ad Auschwitz ammontava almeno a 1.334.700, di cui 1.323.000 ebrei» (nota 108 a p. 260), ma Hilberg nella sua opera addusse la cifra di un milione di Ebrei (p. 1318) senza alcuna giustificazione e senza mai citare l’articolo di Wellers, che all’epoca era lo studio più importante sul numero dei presunti gasati di Auschwitz.
Il volume degli atti del convegno riporta in appendice un articolo di Pressac intitolato Studio e realizzazione dei crematori IV e V di Auschwitz-Birkenau (pp. 539-584) corredato di numerose fotografie e documenti e con riferimenti d’archivio al Museo di Auschwitz. Nell’edizione definitiva della sua opera Hilberg non menzionò questo studio e non ebbe mai la curiosità di esaminare quest’archivio a lui ignoto.
Le due relazioni presentate da Hilberg trattavano temi secondari - la burocrazia del preteso sterminio e le statistiche dei morti - che non rientrano in modo specifico in questo studio.




2.
Il congresso di Stoccarda


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2.1.
I problemi dibattuti


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Il problema della genesi della decisione concernente la “soluzione finale”, rimasto irrisolto al convegno di Parigi, fu ripreso in esame al congresso di Stoccarda, che si svolse dal 3 a 5 maggio 1984 sul tema «L’uccisione degli Ebrei europei durante la seconda guerra mondiale. Genesi della decisione e realizzazione». I relativi atti furono pubblicati l’anno dopo in un volume omonimo (645).
Eberhard Jäckel ne spiegò il «compito principale» in termini molto chiari:
«Come, quando e dove, eventualmente ad opera di chi si è sviluppata la decisione o si sono sviluppate le decisioni di uccidere gli Ebrei europei in qualche successione e in qualche modo? Si potrebbe formulare la questione in termini più semplici: come si pervenne alla realizzazione dell’assassinio degli Ebrei europei durante la seconda guerra mondiale?» (646).

La risposta a tale questione era «controversa» per lo stato particolarmente «sfavorevole» delle fonti. Ciò dipendeva da una serie di ragioni che Jäckel riassunse così:

«L’operazione era rigorosamente segreta. Perciò al riguardo si scrisse il meno possibile. Molto fu discusso solo verbalmente, soprattutto ai livelli di comando più alto. Dei pochi documenti relativi ad essa, molti probabilmente sono stati distrutti prima della fine della guerra. In quelli che ci sono pervenuti, si incontrano spesso espressioni mascherate che ne rendono ancora più difficile la comprensione. Infine, molte delle persone direttamente coinvolte morirono prima di poter essere interrogate. La maggior parte dei superstiti risposero in modo evasivo. Ma persino coloro che erano pronti a fare dichiarazioni, spesso non furono interrogati in modo sufficientemente preciso, perché i funzionari che procedettero agli interrogatori non erano interessati ai particolari che vorrebbero conoscere oggi gli storici. Inoltre, molti testimoni furono giustiziati e portarono con sé le loro conoscenze» (647).

Inoltre l’azione, «malgrado un’innegabile volontà di raggiungere lo scopo, tradisce tuttavia all’inizio una mancanza di unitarietà e di pianificazione», con conseguenti confusioni e improvvisazioni (648). All’opera di sterminio erano infine interessati quattro organi, tra i quali «ci furono anche conflitti di competenza e rivalità» (649).
Sulla decisione e sull’ordine del presunto sterminio non esistevano dunque - e a tutt’oggi ancora non esistono - documenti né testimonianze attendibili, donde la controversia tra intenzionalisti e funzionalisti già affiorata al convegno di Parigi. Eberhard Kolb formulò con grande chiarezza le due questioni fondamentali sulle quali essa era incentrata:

«1) La “soluzione finale” è la realizzazione di un piano già da tempo stabilito che prevedeva fin da principio - come stadio finale - lo sterminio fisico dell’ebraismo europeo?
2) Ci fu un ordine formale di Hitler - se non scritto, perlomeno verbale - di uccidere non solo gli Ebrei che vivevano nell’Europa orientale, ma tutti gli Ebrei che erano sotto la sovranità tedesca, e quando fu impartito quest’ordine?» (650).

Indi Kolb passò in rassegna le risposte fornite dalla storiografia olocaustica fino all’anno del congresso:

«Se la mia osservazione è corretta, la maggior parte degli studiosi propende oggi a mettere un grosso punto interrogativo alla concezione di una politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei che si sia sviluppata sistematicamente ed abbia proceduto in una direzione unica - dalle agitatorie parole d’ordine antisemitiche del “tempo della lotta” attraverso i provvedimenti antiebraici degli anni 1933-1939 fino al massacro organizzato a partire dal 1941. Al centro della controversia c’è attualmente piuttosto la questione se (e quando) Hitler abbia impartito un ordine formale di sterminio. Fino agli anni Sessanta a tale questione fu risposto pressoché unanimamente in modo affermativo. Certo, un ordine scritto di Hitler relativo allo sterminio non ci è pervenuto, e si può ben presumere che un simile ordine scritto non sia mai esistito. Tuttavia, un formale “ordine del Führer” in forma di istruzione verbale di Hitler a Himmler era senz’altro necessario come presupposto indispensabile delle azioni omicide iniziate nel 1941. Sulla data in cui fu diramato quest’ordine del Führer non c’era però pieno accordo: secondo l’interpretazione di Raul Hilberg (1961), Hitler diede l’ordine generale di sterminio “all’inizio dell’estate” del 1941; Helmut Krausnick fece risalire tale ordine “al più tardi al marzo 1941”; Uwe Dietrich Adam (1972) ad un momento “tra il settembre e il novembre 1941”; secondo il parere di Andreas Hillgruber, la decisione di Hitler fu presa nel luglio 1941, in relazione al trionfo sull’Unione Sovietica, che si presumeva già ottenuto, e alla progettata espansione all’Est. D’altra parte, Martin Broszat (1977) dubitò che un formale ordine generale di sterminio di Hitler sia mai esistito. Lo sterminio fisico degli Ebrei europei, secondo Broszat, non fu progettato e sistematicamente preparato da gran tempo, non fu messo in moto da un unico atto decisionale e da un unico ordine segreto di Hitler; piuttosto il “programma” dello sterminio ebraico si sviluppò gradualmente in senso istituzionale e fattuale “da singole azioni” fino alla primavera del 1942 ed ebbe un carattere determinato dopo l’installazione dei campi di sterminio in Polonia (tra il dicembre 1841 e il luglio 1942). Una simile interpretazione, secondo Borszat, non si può documentare con assoluta certezza, ma è di per sé stessa più probabile dell’ipotesi di un radicale ordine segreto di sterminio ebraico dell’estate 1941. Broszat aggiunge:“Se la nostra interpretazione si basa sul fatto che lo sterminio ebraico in tal modo fu improvvisato, non fu progettato da gran tempo e non fu avviato da un ordine segreto unico, ciò implica che la responsabilità e l’iniziativa delle azioni omicide non furono dovute soltanto a Hitler, Himmler o Heydrich. Ciò però non scagiona Hitler”.
Il modello ermeneutico di Broszat della genesi del piano omicida fu ulteriormente radicalizzato da Hans Mommsen (1983). Come Broszat, Mommsen è esplicitamente dell’avviso che non è esistito alcun “ordine formale” di Hitler sulla “soluzione finale”, neppure in forma verbale. Ma Mommsen postula inoltre un ruolo straordinariamente passivo di Hitler nella concezione e nell’esecuzione del piano omicida: “Come già prima del 1939, egli si sentiva investito di responsabilità da parte del Partito e dell’apparato SS, i quali presero alla lettera ciò che per Hitler rappresentava ‘la grande prospettiva storica’”. Hitler è stato invero il promotore ideologico e politico della soluzione finale, “ma il suo passaggio da un programma che appariva utopistico ad una strategia effettivamente seguita fu il risultato da un lato della natura dei problemi che erano sorti da soli, dall’altro dell’ambiente di Himmler e dei suoi satrapi”.
La maggior parte degli studiosi ritiene come prima che l’iniziativa determinante del massacro degli Ebrei europei venne da Hitler e si realizzò in forma di ordine di sterminio impartito verbalmente. Hans-Heinrich Wilhelm (1981) ammette invero che non esistono prove che l’ordine generale di sterminio ebraico fosse stato impartito già prima della campagna di Russia del 1941; egli respinge però la tesi di una “radicalizzazione improvvisata” della persecuzione ebraica fino all’uccisione sistematica conclusiva e rileva che, senza la funzione direttiva di Hitler e senza il suo consenso, tutte le attività parziali che sfociarono nel programma della soluzione finale non sarebbero state possibili. In diretta polemica coll’interpretazione di Broszat, Christopher Browning (1981) è giunto alla conclusione che Hitler ordinò l’elaborazione di un piano di sterminio nell’estate del 1941; i punti fondamentali del piano omicida basati su quest’ordine furono approvati da Hitler “nell’ottobre o nel novembre 1941”. Gerad Fleming (1982) rileva che “nell’estate 1941” ebbe luogo la svolta fatale nella politica ebraica del Terzo Reich: allora Hitler ordinò lo sterminio degli Ebrei europei e in pari tempo dispose che le azioni omicide avrebbero dovuto essere effettuate con un rigoroso mascheramento e nella più grande segretezza possibile. Wolfgang Scheffler (1982) sottolinea che tutte le decisioni essenziali sulla realizzazione dello sterminio in massa furono prese tra il marzo e il novembre 1941. Nell’attuazione dell’Olocausto però Hitler e Himmler furono condizionati dalle circostanze fattuali: “Alla fine il programma di sterminio si presentò così definito, gli inizi della realizzazione furono così vari come si erano sviluppati dall’agosto all’ottobre-novembre 1941”. Comunque, continua Scheffler, gli avvenimenti dimostrano che “tra la decisione di Hitler e la sua attuazione che si delineò rapidamente dovrebbe intercorrere solo un lasso di tempo di non meno di un mese e di non più di tre”.
Per finire, adduciamo brevemente anche le opinioni più recenti. Shlomo Aronson (1984) è giunto alla conclusione, in base alla coincidenza di molti fattori, che Hitler decise di uccidere gli Ebrei europei “nell’autunno inoltrato del 1941”. Anche secondo il parere di Saul Freidländer non si può dubitare dell’esistenza di un piano generale di sterminio nell’autunno del 1941: Hitler deve aver approvato questo piano di sterminio “in qualche momento dell’estate 1941”» (651) (corsivo mio).

Anche il congresso di Stoccarda, per quanto riguarda questo tema fondamentale, fallì completamente il suo obiettivo. Lungi dal comporre la controversia tra intenzionalisti e funzionalisti, il dibattito congressuale, da cui non emerse alcun elemento nuovo, l’accentuò, rivelando l’inconsistenza delle due interpretazioni in tutte le loro svariate sfumature, entrambe prive di riscontro documentario ed entrambe fondate su semplici congetture. Su un solo punto tutti i congressisti si trovarono d’accordo: un ordine scritto di sterminio non è mai esistito.
Riguardo invece all’esistenza di un ordine verbale di Hitler, intenzionalisti e funzionalisti ribadirono le loro posizione contrapposte. Gli intenzionalisti esaminarono la genesi della decisione del presunto ordine verbale in relazione agli ordini del Führer dell’estate 1941 agli Einsatzgruppen e in relazione all’“azione Reinhard” e ad Auschwitz.
Solo Jäckel continuò a sostenere la tesi estrema secondo cui l’intenzione di Hitler di sterminare gli Ebrei sarebbe risalita al 1919 (652).
Helmut Krausnick si occupò in modo specifico «delle testimonianze e degli indizi esistenti circa l’eventuale impartizione di un ordine di fucilazione degli Ebrei». Su questo tema egli ammise:

«Riguardo alle questioni relative a quando, dove, da chi e per quale cerchia di persone un tale ordine fosse stato trasmesso agli Einsatzgruppen, le deposizioni rese dopo la guerra non concordano - o non concordano più».

Egli aggiunse che
«più importante della questione di chi abbia trasmesso l’ordine di uccisione, è indubbiamente quella di sapere se e quando sia stato impartito, e a quale cerchia di persone» (653).

Alcuni capi di Einsatzkommandos asserirono che l’ordine generale di uccisione era stato emanato «tra la fine di luglio e la fine di agosto» del 1941, altri, «prima del 22 giugno 1941» (654), tesi con la quale concordava Krausnick.
Anche Alfred Streim sottolineò che
«mentre sull’esistenza dell’ordine verbale del Führer non esistono dubbi, fino ad oggi, nonostante la chiarificazione sistematica dei crimini degli Einsatzgruppen, non si è potuto chiarire in modo definitivo chi, in che tempo, in che luogo abbia trasmesso ai capi degli Einsatzgruppen e ai comandanti di Einsatzkommandos o Sonderkommandos l’ordine di sterminio di tutti gli Ebrei».

La questione restava insoluta, anche perché «in definitiva non è ancora chiarito chi abbia trasmesso l’ordine del Führer agli Einsatzgruppen» (655).
In contrasto con Krausnick, Streim asserì che «il relativo ordine dovrebbe essere stato impartito solo parecchie settimane dopo l’inizio della campagna di Russia» (656). Circa il suo carattere, Streim propugnò la tesi, accolta anche da altri congressisti, dell’ordine «indeterminato»:
«In definitiva, è degno di nota che l’ordine generale di sterminio agli Einsatzgruppen non è stato impartito in un luogo determinato, in un tempo determinato come direttiva in sé conchiusa - come si è ammesso finora; piuttosto sono state impartite parecchie direttive singole che, messe insieme, produssero alla fine ciò che noi oggi intendiamo nel nostro linguaggio per “ordine del Führer”» (657).

Browning si spinse ben oltre, dichiarando che Himmler e Heydrich sapevano perfettamente che cosa Hitler si aspettasse da loro, sicché, riguardo all’ordine di sterminio, «Hitler non si deve essere espresso necessariamente in modo così esplicito», potendo bastare a tal fine un semplice «cenno della testa» (658).
Czesław Madajczyk affermò invece che la decisione circa la sorte degli Ebrei dell’Unione Sovietica fu presa «probabilmente tra il marzo e il maggio 1941» (659), mentre Hillgruber ribadì che «l’uccisione sistematica degli Ebrei sul territorio sovietico che doveva essere conquistato era cosa decisa al più tardi nel marzo 1941» (660).
Yehuda Bauer giunse alla conclusione che «all’inizio non ci fu un ordine chiaramente formulato di sterminare completamente la popolazione ebrica» (661). Esso fu impartito nell’estate del 1941 (662) ed aveva perfino una «versione» scritta:
«La lettera di Göring dovrebbe dunque essere considerata inequivocabilmente come una versione dell’ordine del Führer»,

per cui, «l’opinione che noi non abbiamo un ordine scritto del Führer dev’essere riveduta. Noi abbiamo una versione dell’ordine del Führer» (663).
Nella sua relazione su Auschwitz, Bauer sostenne che «Auschwitz e il massacro nell’Unione Sovietica furono contemporanei» (664) e che questo campo «fu considerato come parte del piano della soluzione finale già dall’estate del 1941» (665), incorrendo nelle decise smentite di Madajczyk, Rückerl e Hilberg (666).
I funzionalisti, dal canto loro, mantennero rigidamente la loro posizione. Schleunes affermò che la genesi della decisione del presunto sterminio fu «caotica» come il periodo del terrore durante la rivoluzione francese o la fase iniziale della rivoluzione bolscevica. Hitler parlava seriamente della creazione di una comunità nazionale ariana, ma non sapeva in che modo ottenerla.

«Che a tal fine fosse necessaria una soluzione della questione ebraica, era chiaro, ma non lo era come si dovesse risolvere la questione. Altrettanto poco chiaro dovette essere all’inizio che la soluzione sarebbe diventata estremamente radicale».

Questa soluzione fu la «radicalizzazione cumulativa» del conflitto di competenze tra varie istanze nazionalsocialiste che volevano dare il loro contributo all’epurazione della comunità nazionale tedesca per realizzare l’ideale della purezza razziale (667).
Mommsen parlò di un «automatismo autoindotto che alla fine non ammette più altra soluzione che la liquidazione totale», precisando che «tuttavia questo processo si può spiegare solo in minima parte con un intervento diretto di Hitler»:
«Io mi oppongo decisamente - aggiunse Mommsen - alla equiparazione tra le dichiarazioni classico-ideologiche, dunque radical-antisemite di Hitler e di altri, le quali tendevano allo sterminio degli Ebrei tedeschi, e la trasposizione di questa rappresentazione visionaria dell’obiettivo in una politica concreta. Le prime dichiarazioni sullo sterminio degli Ebrei nel caso di una guerra risalgono al 1933, allorché Dio sa quanto il Reich tedesco e Hitler erano relativamente lontani dal giungere ad una tale situazione. Indipendentemente da ciò che Hitler pensava al riguardo, è chiaro che l’opinione pubblica tedesca e anche i funzionari del regime che non avevano un atteggiamento specificamente radicale erano già abituati a questo linguaggio, a tal punto che lo interpretavano essenzialmente come supplemento retorico alla politica ebraica volta allo spodestamento e all’emigrazione. Perciò da queste dichiarazioni pubbliche di Hitler, Rosenberg ed altri, non si può trarre la conclusione che, chi avesse voluto sapere, avrebbe dovuto dedurre automaticamente da ciò una politica di soluzione finale imminente o in corso di attuazione».

Mommsen si disse convinto che «dopo questa spinta iniziale che sopravvenne in relazione al Kommissarbefehl, non fu necessario nessun altro atto formale del dittatore per mettere in moto la “soluzione finale”» e aggiunse:

«Noi non abbiamo nessuna documentazione sul fatto che Hitler internamente si sia espresso concretamente in qualche modo sullo sterminio sistematico degli Ebrei» (668).

Broszat ribadì che
«anche nello sterminio ebraico Hitler non fu assolutamente necessario come elemento principale, come colui unicamente che con la propria decisione mise in moto le relative attività. Per le misure omicide bastò la determinazione di molti altri. Questa determinazione era largamente diffusa soprattutto nell’ambito della Polizia di sicurezza e di coloro che avevano comandi territoriali all’Est. Hitler, il Führer carismatico, fu perciò necessario - e fu necessaria la possibilità di appellarsi a lui - affinché le misure risultanti da tale determinazione potessero diventare effettivamente la politica predominante del regime. Soltanto la possibilità di appellarsi a Hitler permise di conferire alle criminali misure omicide la “santità” di una politica ideologica assicurata dal Führer carismatico. Ma per questo non ci fu bisogno di un ordine, bastò, per così dire, un cenno della testa di Hitler. Ciò per me significa: Hitler è stato indispensabile per il processo complessivo dello sterminio ebraico, ma in nessun modo come “acting leader”, bensì come l’indispensabile istanza legittimatrice» (669).

Per questi studiosi era illusorio parlare non solo di un ordine specifico, ma anche di un piano sistematico di sterminio. Mommsen dichiarò al riguardo:
«Ci si dovrebbe liberare dell’illusione che nella cerchia governativa più riservata si sia discussa sistematicamente in qualche momento la soluzione finale della questione ebraica o della questione ebraica mondiale» (670).

E Broszat asserì che la concezione storica di una politica nazionalsocialista mirante fin dal principio allo sterminio degli Ebrei è insostenibile: «Essa è troppo unidimensionale e manca di sufficiente autenticità» (671).
Anche riguardo alla motivazione della presunta decisione, al congresso di Stoccarda vennero alla luce contrasti insanabili. Broszat affermò che
«Hitler, nella primavera e nell’estate del 1941, su pressione di parecchi Gauleiter e del Governatore generale, aveva promesso, tanto grandiosamente quanto sconsideratamente, che i loro territori sarebbero stati resi in breve tempo liberi da Ebrei - promesse che allora evidentemente furono fatte in vista della preparazione o dell’inizio della guerra contro la Russia, ma si basavano anche sull’attesa che questa guerra si sarebbe conclusa con successo entro l’inizio dell’inverno e allora si sarebbero offerte possibilità per così dire illimitate di espellere gli Ebrei in un territorio molto lontano al di là dell’impero tedesco dell’Est. Quando ciò si rivelò un errore fatale, ma nel Reich il programma di deportazione era già preparato e in corso, nell’autunno del 1941 si giunse alle conclusioni e alle soluzioni già ripetutamente menzionate, ma, come loro effetto, anche alla terribile conseguenza che non sembrò esserci nessun’altra “via d’uscita” che ulteriori programmi d’uccisione. Ciò portò prima all’azione “Reinhard”, allo scopo di eliminare soprattutto gli Ebrei polacchi, poi, con la grande installazione di Auschwitz-Birkenau come presupposto tecnico, allo sterminio in massa anche degli Ebrei tedeschi e europei» (672).

Browning si oppose decisamente alla tesi di Broszat:
«Ciò significa che la spinta finale per lo scatenamento della soluzione finale non scaturì da difficoltà del trasferimento di Ebrei in Russia dopo i successi militari o dal sovraffollamento dei ghetti. La spinta scaturì piuttosto dall’euforia della vittoria dell’estate 1941. Le grandi vittorie dei primi mesi della campagna di Russia suscitarono la convinzione che presto tutta l’Europa sarebbe stata alla mercè dei nazionalsocialisti. In realtà poi la soluzione finale fu attuata in condizioni molto diverse, cioè durante rovesci militari e successivamente nel corso di una sconfitta imminente. Ma il sistema nazionalsocialista non poteva tornare indietro. Una volta messo in moto, il programma di uccisione sviluppò una sua propria forza motrice» (673).






2.2.
La relazione di Hilberg


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Il tema scelto da Hilberg per la sua relazione fu «L’azione Reinhard» (674). Egli, in riferimento allo sviluppo del presunto processo di sterminio, premise subito che «molto, su questo sviluppo, resterà sempre nell’oscurità», in quanto le relative decisioni e iniziative erano state prese «verbalmente» (675). Circa il presunto ordine di sterminio, Hilberg, al pari degli altri congressisti, formulò mere congetture senza alcun supporto documentario:
«In quell’estate [del 1941] Hitler deve aver impartito a Himmler un ordine inequivocabile di sterminio fisico del popolo ebraico. Himmler lo trasmise senz’altro a varie persone, tra cui Heydrich, il quale comunicò a sua volta la decisione al capo della Gestapo, Heinrich Müller, e ad Eichmann. Tra di esse, ci fu anche Höss, il tenebroso comandante di Auschwitz, e come terzo senza dubbio il capo della Polizia e delle SS del distretto di Lublino, Odilo Globocnick, che fu incaricato dell’azione Reinhard» (676).

Nella successiva discussione, Jäckel si oppose a questa congettura di Hilberg sulla base di un’altra congettura:
«Ho solo una breve domanda sulla datazione, signor Hilberg. Perché suppone che l’ordine di Hitler di cui ha parlato debba essere stato impartito soltanto dopo il 31 luglio? Noi sappiamo però che Himmler fu a Lublino il 20 e 21 luglio e lì parlò con Globocnik. Io invero ho sempre supposto che la direttiva di Himmler a Globocnik deve aver avuto luogo in uno di questi due giorni» (677).

Nell’«azione Reinhard», spiegò Hilberg, c’erano tre campi della morte: Bełżec, Sobibór e Treblinka, ma «per nessuno di essi si è potuta trovare finora una pianta del campo» (678). Inoltre, nella loro progettazione, «si improvvisò un po’ e si risparmiò molto» (679) ed essi furono costruiti «in condizioni primitive». Tutti e tre i campi erano privi di forni crematori (680). Egli ammise anche che la fase organizzativa dell’«azione Reinhard» può suscitare vari interrogativi:
«Perché tre campi e non uno solo? Perché furono costruiti uno dopo l’altro, prima Bełżec, poi Sobibór e infine Treblinka? Perché all’inizio ci furono solo tre camere a gas se poi non bastavano? Si potrebbe essere propensi a rispondere che i progettisti non conoscevano tutta l’estensione del loro compito, che procedevano a tastoni verso la meta senza averla in vista. Ciò non è del tutto inconcepibile, ma non è certo la spiegazione completa e forse neppure la più importante. In breve, si tratta di un difficile problema amministrativo. Il Terzo Reich, per una “soluzione finale della questione ebraica” non aveva specificamente né un’autorità centrale, né un proprio capitolo di bilancio» (681).

Ma questa era una semplice congettura per tentare di spiegare le contraddizioni summenzionate.
La struttura “dimostrativa” della relazione, per quanto riguarda i presunti campi di sterminio, è in sintesi quella nell’opera definitiva del 1985, ma con una concessione a fontamatici «progetti di impianti di gasazione» (682) che ovviamente non furono mai trovati e che egli in tale opera smentì apertamente, asserendo: «Le informazioni relative al numero e alle dimensioni delle camere a gas che erano nei campi, non si basano su documenti, ma sui ricordi dei testimoni» (nota 43 a p. 1052).
In una intervista pubblicata nel 1994, Hilberg ribadì che la presunta distruzione degli Ebrei d’Europa si era attuata «senza finanziamenti, centralizzazione o pianificazione» e, riguardo all’«azione Reinhard» affermò:

«Il problema vero sta nel chiedersi come riuscirono a commettere un crimine fino a tal punto mostruoso con così pochi mezzi, materiali e umani. Consideriamo i centri di sterminio: solo 92 militari tedeschi lavoravano a Treblinka, Sobibór e Bełżec, più alcune centinaia di Ucraini. Novantadue Tedeschi nella Polonia occupata riuscirono a uccidere, in quei tre centri di sterminio, quasi un milione e mezzo di Ebrei» (683).

Ma una tale concezione era in aperto contrasto con quella canonica di un’ «azione Reinhard» provvista di un’autorità centrale (Globocnik) centralizzata e pianificata, e forse per questo nell’ edizione definitiva della sua opera Hilberg rinunciò alla denominazione storiografica ufficiale di «azione Reinhard», in cui l’interpretazione storiografica ufficiale vede notoriamente il nome di Reinhard Heydrich.
In fatto di dubbi, al convegno di Parigi Adam aveva rilevato:
«Utilizzare il nome del capo del RSHA [Heydrich] scomparso sarebbe stata una scelta non solo impropria, ma anche irriverente: d’altra parte, quale rapporto avrebbe potuto esserci tra l’assassinio di Ebrei polacchi e i Cechi autori dell’attentato? (684). Il nome evoca senza dubbio più verosimilmente quello del segretario di Stato alle Finanze, Fritz Reinhardt, un ortografo che si ritrova precisamente in certi documenti dell’operazione Reinhard(t)» (685).

Ma ci si può chiedere anche quale rapporto avrebbe potuto esserci tra il segretario di Stato alle Finanze e il presunto assassinio di Ebrei polacchi: a meno che l’«azione Reinhard» fosse non già un progetto di sterminio, ma di evacuazione e di spoliazione di Ebrei, come del resto è attestato dai documenti (686).

Sopra ho riportato la domanda dell’avvocato Christie a Hilberg se l’esistenza del presunto ordine di sterminio di Hitler fosse un articolo di fede basato sulla sua opinione. Egli rispose che non era affatto un articolo di fede, ma una conclusione. I risultati del convegno di Parigi e del congresso di Stoccarda dimostrarono invece che era effettivamente un articolo di fede basato su un’opinione personale o un’opinione personale assunta come articolo di fede.
Un ulteriore spergiuro di Hilberg.

Apparentemente Hilberg era un intenzionalista, anzi un intenzionalista radicale, sostenitore di una teoria «telepatica» della genesi del presunto «processo di distruzione». Di fatto, egli era un cripto-intenzionalista, fautore di una sorta di metafisica della storia che era preordinata da secoli allo sterminio degli Ebrei come «punto di arrivo di un’evoluzione ciclica» (p. 6) e nella quale i Tedeschi erano predestinati allo sterminio ebraico:
«L’idea di sterminare gli Ebrei aveva preso corpo in un lontano passato. Se ne può rintracciare un’allusione ancora molto velata nella lunga omelia di Martin Lutero contro gli Ebrei. Lutero li paragonava al Faraone ostinato dell’Antico Testamento:“Mosè - diceva - non poté emendare il Faraone né con i flagelli né con i miracoli, nemmeno con le minacce e le preghiere; fu costretto a lasciarlo inghiottire dal mare”. Nel corso del XIX secolo, la suggestione di una distruzione totale si insinuò, assumendo una forma più precisa e definita, all’interno di un discorso pronunciato al Reichstag dal deputato Ahlwardt. Gli Ebrei come i Thungs, dichiarò Ahlwardt, erano una setta melefica che bisognava “sterminare”» (p. 417).

Questi «parallelismi storici» costituivano per Hilberg dei «precedenti del processo di distruzione»(p. 29), anzi, una vera e propria «strada della distruzione» che era stata «tracciata nei secoli passati», ma si era interrotta «a metà percorso» (p. 12).
L’«evoluzione ciclica» ad esso preordinata si svolse in tre fasi:
«Dopo il quarto secolo della nostra era, si manifestarono in successione tre politiche antiebraiche: quella della conversione, quella dell’espulsione e quella dell’annientamento. La seconda comparve in sostituzione della prima e la terza della seconda» (p. 6).

La terza fase, quella del presunto annientamento nazionalsocialista, riproduceva a sua volta questo schema teleologico, in quanto Hilberg considerava «definizione», «espropriazione» e «concentramento» come stadi del «processo di distruzione» (p. 81, 163), che nella sua opera diventa una sorta di automatismo impersonale che procedeva per forza propria:

«La distruzione degli Ebrei non fu accidentale. Nei primi giorni del 1933, quando il primo funzionario redasse la prima definizione di “non ariano”, il destino del mondo ebraico europeo fu segnato» (p. 1124).

Queste fisime metastoriche si addicono più a un teologo che a uno storico e ciò giustifica pienamente il relativo giudizio di Faurisson riguardo a Hilberg.






Indice

Il capitolo sui «centri di sterminio», come ho rilevato nell’Introduzione, rappresenta la quintessenza de La distruzione degli Ebrei d’Europa, alla quale l’intera opera mira come scopo ultimo, in funzione del quale si giustifica e trova la sua ragion d’essere. Non a caso Hilberg pretendeva di essere uno specialista in gasazione di Ebrei. Tuttavia egli non ha mai prodotto alcuno sforzo personale di ricerca documentaria in questo campo fondamentale della sua specializzazione. Egli non si è curato affatto di ricercare eventuali documenti sui «centri di sterminio» in loco, in Polonia, non ha avuto neppure la curiosità di visitare archivi essenziali come quello del Museo di Auschwitz o importanti come quello del Museo di Lublino-Majdanek o di Stutthof, né di ispezionare i luoghi: ha semplicemente fornito un riassunto della letteratura olocaustica dell’epoca.
L’ossatura della sua descrizione dei campi di Chełmno, Bełżec, Sobibór e Treblinka è costituita dal libro curato da Adalbert Rückerl NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse (687) - un resoconto dei processi celebrati nell’allora Germania occidentale su questi campi - citato da Hilberg almeno quaranta volte. Per quanto riguarda Auschwitz, prescindendo dalle scarne testimonianze, la sua esposizione si basa essenzialmente sull’articolo del giudice Jan Sehn Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), senza però disdegnare il libro crassamente propagandistico di Filip Fridman This was Oświecim (688). Egli, in questo capitolo, ignora fonti all’epoca imprescindibili, come Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftas. Eine Dokumentation (689), o Les chambres à gaz ont existé. Des documents, des témoignages, des chiffres, di Georges Wellers (690), o Auschwitz. Nazi Extermination Camp (691), o le numerose opere di Hermann Langbein, ma soprattutto, incredibilmente, non fa alcun riferimento al processo Auschwitz di Francoforte, che fu celebrato dal dicembre 1963 all’agosto 1965 e sul quale erano disponibili due resoconti: Der Auschwitz-Prozess. Eine Dokumentation, di Hermann Langbein (692) e Auschwitz. Bericht über die Strafsache gegen Mulka u.a. vor dem Schwurgericht Frankfurt, di Bernd Naumann (693).
Nel paragrafo dedicato a «I processi», che comincia a p. 1144, Hilberg, incredibilmente, non menziona né il processo Höss (11-29 marzo 1947), né il processo della guarnigione del campo di Auschwitz (25 novembre-16 dicembre 1947) né il processo Auschwitz di Francoforte!
Nella sua esposizione sui «centri di sterminio», Hilberg si è dunque basato essenzialmente su fonti letterarie olocaustiche, per di più oltremodo lacunose.
Per quanto riguarda le testimonianze, la prima osservazione che si impone è il fatto che egli accetta o comunque presenta aprioristicamente come veritiere tutte le testimonianze, grazie soprattutto alla sua pratica ordinaria dell’estrapolazione dal contesto. Al processo Zündel, egli dichiarò candidamente che la sua metodologia, nella trattazione delle testimonianze, consisteva nel discernere le parti attendibili e veritiere da quelle inattendibili e non veritiere e nel citare «fuori contesto» le prime e nel tacere le seconde, senza informare della loro presenza. In tal modo egli crea una concordanza di testimonianze puramente illusoria, un contesto fittizio costituito da singoli elementi estrapolati da varie testimonianze le quali non solo sono in contraddizione reciproca, ma presentano anche parti inattendibili e non veritiere che ne infirmano il valore. La metodologia adottata da Hilberg è evidentemente truffaldina, in quanto mira a far credere che tutte le testimonianze siano veritiere e convergenti tacendo le contraddizioni, le falsità e le assurdità che contengono. Due emuli di Hilberg, Michael Shermer e Alex Grobman, hanno sancito un decalogo di metodologia storiografica il cui punto 2 recita: «La fonte ha presentato altre tesi chiaramente esagerate? Se un individuo è noto per avere travisato i fatti in precedenza, ciò chiaramente mina la sua credibilità» (694). Questo principio mina la credibilità di tutte le testimonianze presentate da Hilberg. Ciò vale in particolare per quelle di Gerstein e di Höss, nelle quali, al processo Zündel, Hilberg ammise esplicitamente la presenza di elementi non veri o non credibili.

Come ha rilevato Gie van den Berghe, Hilberg «considera un avvenimento sufficientemente provato se un testimone oculare l’ha menzionato». Anzi, egli tenta addirittura di surrogare i documenti - che non conosceva - con singole testimonianze, sempre puntualmente smentite dai documenti, come ad esempio riguardo alle installazioni igieniche di Lublino-Majdanek e di Auschwitz.
Un altro criterio di giudizio impiegato da Hilberg per considerare un avvenimento sufficientemente provato è la sua ripetizione letteraria: se due o più testimoni raccontano il medesimo evento, esso per Hilberg è reale. Ma la ripetizione di una menzogna non trasforma certamente la menzogna in verità, perciò questo non può essere un criterio di veridicità. E infatti parecchi testimoni hanno dichiarato concordemente il presunto evento dello sterminio ad Auschwitz di quattro milioni di persone: ma questa ripetizione rende forse l’evento reale?
Hilberg adduce inoltre una serie di testimoni insignificanti, a volte addirittura anonimi («un poliziotto», «un ferroviere») che pone incredibilmente sullo stesso piano di testimoni importanti: tutti contribuiscono allo stesso modo a creare il suo tessuto narrativo.
I testimoni fondamentali su Auschwitz menzionati da Hilberg, oltre a Höss, sono Ella Lingens-Reiner, Gisella Perl e Olga Lengyel, complessivamente citate più di venti volte; esse sono tanto importanti che Robert Jan van Pelt, nella sua ponderosa opera su Auschwitz (695), non menziona mai nessuna delle tre. Il testimone principale, Filip Müller, citato da Hilberg almeno quindici volte e da lui definito «una persona straordinaria, precisa, attendibile», era, come ho documentato sopra, un fantasioso plagiario. Charles Sigismund Bendel era invece un volgare impostore, al pari di Miklos Nyiszli, di cui Hilberg ignorava incredibilmente il libro Auschwitz. A Doctor’s Eyewitness Account (696).
La sua credulità appare, per contrasto, ancora più sorprendente se si mette a confronto con l’atteggiamento almeno parzialmente critico di Gerald Reitlinger nei confronti dei «racconti dei superstiti» (697).

La metodologia di Hilberg riguardo ai documenti non è meno aberrante. Essa si basa infatti su tre presupposti indimostrati: l’esistenza a priori di un ordine di sterminio di Hitler, di «centri di sterminio» e di un «linguaggio in codice». Conseguentemente, il suo argomentare si esplica in un circolo vizioso in cui il presunto ordine di Hitler e gli «eufemismi» che apparirebbero nei documenti tedeschi “dimostrano” la realtà dei «centri di sterminio» e i «centri di sterminio» “dimostrano” la realtà dell’ordine di Hitler e degli «eufemismi». Ciò appare particolarmente lampante nella sua manipolazione dei documenti tedeschi contenenti il termine “Endlösung”, i quali, per la semplice presenza di questo termine, vengono da lui aprioristicamente presentati come altrettante “prove” del presunto progetto nazionalsocialista di sterminio ebraico, anzi, addirittura, come la “prova” dell’esistenza di un ordine di sterminio di Hitler!
In tal modo egli ha operato un travisamento sistematico dei documenti, corredato di omissioni di documenti importanti o di parti importanti di documenti citati, e talvolta anche di vere e proprie menzogne, fino allo spergiuro.
Questa straordinaria carenza di senso critico, nel capitolo in questione, si estende anche alla storiografia olocaustica, trasformandosi in una sorta di autoritarismo storico che non ammette discussione. Hilberg presenta le sue opinioni riguardo alla genesi del presunto sterminio ebraico in modo apodittico, non come congetture tra altre congetture, ma come fatti assodati, come certezze indiscusse, senza il minimo accenno ai dibattiti che su questo argomento si erano accesi tra gli storici olocaustici proprio all’inizio degli anni Ottanta e ai quali aveva partecipato egli stesso. Egli non menziona mai le controverse interpretazioni dei suoi colleghi, ma, citando e travisando fonti documentarie e testimoniali, vuole accreditare la propria interpretazione come unica e autorevole. Forte della mole della sua opera e dei suoi riferimenti, Hilberg si atteggia ad autorità ad di sopra delle parti, ma in quei dibattiti i suoi colleghi non gli riconobbero alcuna particolare autorità e trattarono le sue opinioni alla stregua di quelle di qualunque altro storico. Il suo ruolo non fu mai di primo piano.

In definitiva, il «processo di distruzione» degli Ebrei europei descritto da Hilberg nell’edizione definitiva de La distruzione degli Ebrei d’Europa e soprattutto nel capitolo IX, «I centri di sterminio», è caratterizzato da faciloneria e credulità nella raccolta delle fonti, capziosità e malafede nel loro uso ed è pertanto documetariamente infondato e storicamente inconsistente.








Indice

Lista nominativa di una parte degli Ebrei tedeschi, austriaci e cechi deportati a Kaunas nel novembre 1942 e trasferiti a Stutthof nel luglio-agosto 1944. Fonte: AMS, I-IIB-10.

Trasporto del 17 luglio 1944
856EmmiLohmann47527RD
1142 NathanRuth47813RD
1149Becker Ursula47819RD (698)
1150BeckerLotte 47820RD
1151BeckerAnnelise47821 RD
1180RubensteinRuth47850RD

1181
RubensteinCäcilie47851RD

1183
RothschildHildegard47853RD

1184
KarczmannStella47854RD


Trasporto del 20 luglio 1944
92MöllerEster47995RD

100
NoafeltBerthold48103RD (699)

101
NoafeltHerta48104RD

475
Cohn-BrotJosefine48378Austria

644
SteinLisel48547RD

645
KochenHilde48548RD

646
MeychoffElse48549RD

647
Beren-FuchsJohanna48550RD

648
AckermannJenny48551RD

649
FrankenEnna48552RD

651
BergerRegine48554RD

652
TobiasAdele48555RD

663
HenkerHildegard48556RD

667
DavidKlara48560RD

673
EichenwaldElla48566RD

674
GutmannHedda48567RD

677
WohlmutLucie48570Austria

678
Milisch-SchiknerLilli48571RD

679
GoldbachLuise48572RD

680
KallmannLeni48573RD

681
FinderRosa48574RD

682
NeuhausSybilla48575RD

683
LichtblauNanny48576RD

691
LernerLea48584RD

693
SeeligRegina48586RD

694
FelsenbergAnni48587RD

697
MezgerBeathi48590RD

698
MezgerLuisa48591RD

708
WeilMarianne48599RD

826
TodtenkopfLina48729RD

834
Schülein?48737RD

921
LevyMarianne48824RD

935
BuchheimInge48838RD

936
HeimannAlice48839RD

937
PelzLore48840RD

938
PelzHerta48841RD

940
HermannsSara48843RD

1016
PickerLilly48919Austria

1017
KohnMalvine48920Austria
1021 SchickTeresia48924Austria

1022
BrennerMimi48925Austria

1023
BrennerLuise48924Austria


Trasporto del 26 luglio 1944
99BerlowitzFelix53335 RD
299SchiliborskiJosef53536RD

303
SchachnerMoritz53540RD

968
DobrowolskiIda54204RD

983
SilberscheinVera54219RD

984
BerlowitzIda54220RD



Trasporto del 4 agosto 1944
159OppenheimRosa54800 RD
177KohnHedwig54818RD

178
KörnerMargarete54819RD

211
LensitzkiRosa54852RD

217
LöwenbergRicka54858RD

218
LöwenbergJenny54859RD

219
LöwenbergHanna54860RD

220
LöwenbergRuth54861RD

221
LernerHilde54862RD

222
LevyLuzie54863RD

223
LevyGerda54864RD

224
LustigElse54865Protettorato

225
LevyIda54866RD

226
LevyRoza54867RD

227
LöwenthalSelma54868RD

259
MagerLuisa54900RD

298
MichalowskiFrieda54939RD

299
MischlowitzErna54940RD

300
MichelJohanna59941RD

301
MeiselRozsi54942RD

302
MolknerElisabeth54943RD

307
MünchhauptHedwig54948RD

334
NeumannHelga54975RD

335
NussenbaumRegina54976RD

335
NussenbaumDoris54977RD

336
NussenbaumHewig54978RD

340
MünsterBerta54981RD

457
RittlewskiHerta55098RD

458
RosenbachBerta55099RD

459
RoseBerta55100RD

460
RoseRuth55101RD

461
RoubritschGrete55102Protettorato

469
RewaldZelma55110RD

470
RendelsteinLaca55111Austria

471
RendelsteinRoza55112Austria

472
RendesteinPepi55113Austria

487
SandlerPaula55128RD

505
SchimoGisella55146RD

525
SteinFrieda55167RD

528
SimonsJohanna55169RD

529
SimonsHannelore55170RD

530
SulkeCäcilie55171RD

531
SpiroElisabeth55172RD

532
SpiroWilhelmine55173RD

544
StermsatAmelie55185RD

557
SingerKily55198RD

662
SteigerRyka55303RD

673
TreuenerPerla55314RD

674
TanzerEthel55315Protettorato

675
VisserSophie55316RD

683
TagerSonja55325RD

684
WassermannDorothea55326RD

696
WindLucy55338RD

697
WindEva55338RD (700)

707
WasserreichBerta55348RD

732
WohlJugl55373RD

733
WohlErna55374RD

735
WantochAlice55376Protettorato

736
WassermannRosa55377RD

739
ZimblerKete55380RD

740
ZimblerFlora55381RD

743
FeltscherElse55384RD

744
ZennerRosa55385RD

745
HijerEmil55386RD

746
ZweigenthalManfred55387Protettorato

747
BrodtLeopold55388RD

748
SiegbertAdler55389RD

749
KahnArest55390RD

750
LesserKana55391RD

751
BardosArtur55392Protettorato

752
FleischerKurt55393Protettorato

753
NeubergSiegfried55394RD

754
NeuburgerJulius55395RD

755
SteuerAlex55396RD (701)

757
NussenbaumGerd55398RD (702) 7.6.28
760RewaldHeinz55401RD

761
ListigWilhelm55402Protettorato

762
ReichhardtJonas55403RD
763 ArnholzWilli55404RD

764
JonasFrotz55405RD

765
KaufmannMaximilian55406RD

766
SteilbergerOtto55407RD

767
KürsteinErnst55408RD

768
RoseHeinz-Herich55409RD 15.6. 30
769SimonsRudi55410RD

770
SimonsFritz55411RD

772
NusenbaumSamuel55413RD

773
OppenheimTheodor55414RD

774
FlatowBernard55415RD

775
LernerAlbert55416RD

776
OberdorferJustin55417RD

777
SteuerMax55418RD 23.9. 28

778
SchlossWerner55419RD 18.8.30

779
BrodtManfred55420RD 6.11.30

780
FlatowGünther55421RD
781 SanderRolf55422RD

782
WindHeinz55423RD 27.7.31

783
FleischerHans55424Protettorato

784
ZeidlerGeorg55425RD

785
MïnchenhausenErich55426RD

786
KrauthammeJosef55427RD

787
KrauthammeJoachim55428RD

788
KrauthammerEduard55429RD

789
BlumenthalKarl-Martin55430RD

791
TaussigOtto55432Protettorato

792
RewaldMartin55433RD



Documento 1
Kaunas, Forte IX, luogo della presunta inumazione dei corpi di 50.000 Ebrei fucilati dai Tedeschi. Prima lapide. Luglio 1997. © Carlo Mattogno

Documento 2
Kaunas, Forte IX, luogo della presunta inumazione dei corpi di 50.000 Ebrei fucilati dai Tedeschi. Seconda lapide. Luglio 1997. © Carlo Mattogno

Documento 3
Fahrplananordnung Nr 40 della Haupteisenbahndirektion Mitte del 13 maggio 1942. Fonte: NARB, 378-1-784.
Documento 4:
Deutsche Reichsbahn. Reichsbahndirektion Wien, Fahrplananordnung Nr 517 del 18 maggio 1942. NARB, 378-1-784.







Indice

AGK: Archiwum Głównej Komisji Badania Zbrodni Przeciwko Narodowi Polskiemu - Instytutu Pamieci Narodowej (Archiwio della Commissione centrale di inchiesta sui crimini contro il popolo polacco - memoriale nazionale), Varsavia

AMS: Archiwum Muzeum Stutthof (Archivio del Museo di Stutthof), Sztutowo (Stutthof)

APMM: Archiwum Państwowego Muzeum na Majdanku (Archivio del Museo di Stato di Majdanek), Lublino

APMO: Archiwum Państwowego Muzeum w Oświęcimiu (Archivio del Museo di Stato di Auschwitz), Auschwitz

BAK: Bundesarchiv Koblenz (Archivio federale di Coblenza), Coblenza

CDJC: Centre de Documentation Juive Contemporaine, Parigi

GARF: Gosudarstvenni Archiv Rossiskoi Federatsii (Archivio di Stato della Federazione Russa), Mosca

IMG: Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem internationalen Militärgerichtshof. Norimberga, 1947-1949

LST: Slovenský Národný Archív, Archivi Nazionale Slovacco, Bratislava

NA: National Archives, Washington D.C.

NARB: Narodnii Archiv Respubliki Belarus, Archivio nazionale della Repubblica Bielorussa, Minsk

PA: Politisches Archiv des Auswärtigen Amts (Archivio politico del Ministero degli Esteri), Berlino

RGVA: Rossiiskii Gosudarstvennii Vojennii Archiv (Archivio russo di Stato della guerra), Mosca.

WAPL: Wojewódzkie Archiwum Państwowe w Lublinie (Archivio di Stato provinciale di Lublino), Lublino











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Indice

(42) Hilberg usa questo verbo per attenuare in qualche modo lo scopo effettivo della politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica, che, fin dal 1938, come abbiamo visto sopra, era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich.

(43) Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwit – Wiesbaden, 1973, vol. II, Erster Halbband, p. 1058.

(44) Idem.

(45) Idem,vol. II – Zweiter Halbband, p. 1663.

(46) Idem, pp. 1828-1829.

(47) Idem, p. 1844.

(48) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, Wilhelm Goldmann Verlag, Monaco, 1981, p. 449.

(49) Questa locuzione significa «sradicare», «estirpare totalmente».

(50) M. Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945, op. cit., vol. II, Zweiter Halbband, p. 1920.

(51) Idem, p. 1937.

(52) Idem.

(53) Idem, p. 1992.

(54) Ulteriori conferme sono esposte nella capitolo V.

(55) J. Billig, La solution finale de la question juive. Edité par Serge et Beate Klarsfeld, Parigi, 1977, p. 51.

(56) Michael Mazor, «Il y a trente ans: La Conference d’Evian», in: Le Monde Juif, n. 50, aprile-giugno 1968, p. 23 e 25.

(57) A.G. Adler, Der Kampf gegen die “Endlösung der Judenfrage”. A cura della Bundeszentrale für Heimatdienst, Bonn, 1958, p. 8.

(58) «Der erste judenfreie Stadt im GG», in: Lemberger Zeitung, 17 ottobre 1942, p. 5.

(59) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987, p. 391, 395.

(60) Fac-simile del documento originale in: Julian Leszczyński, «Od formuły zagłady - Höppner-Chełmno n/Nerem - do “Endlösung”» (Dalla formula dello sterminio - Höppner-Chełmno sul Ner - alla “Soluzione finale”), in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historicznego w Polsce, Varsavia, n. 1/101, 1977, pp. 60-61.

(61) Memorandum di Luther per Rademacher del 15 agosto 1940, in: Documents on German Foreign Policy 1918-1945. Londra, Her Majesty’s Stationery Office, 1957, Series D, Volume X, p. 484.

(62) PS-4025.

(63) H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, op. cit., p. 456.

(64) IMG, vol. XI, pp. 61-63.

(65) NG-3104.

(66) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, op. cit., vol. VI, p. 1232.

(67) Su ciò vedi anche il capitolo V,1.2.

(68) Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. A cura del dott. Rudolf Aschenauer. Druffel-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, p. 177.

(69) Idem, p. 178.

(70) Idem.

(71) Idem, p. 230.

(72) State of Israel. Ministry of Justice. The Trial of Adolf Eichmann. Record of Proceedings in the District Court of Jerusalem. Gerusalemme, 1993, vol. VII, p. 169. Hilberg cita il libro Eichmann Interrogated, a cura di Jochen von Lang, New York, 1983, pp. 74-75, di cui esiste una traduzione italiana: Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, a cura di Jochen von Lang. Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1982, p. 83.

(73) Idem, pp. 171-174. Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, op. cit., pp. 84-85.

(74) NO-1210.

(75) PS-3868.

(76) Dichiarazione di D. Wisliceny del 18 novembre 1946, in: L. Poliakov, J. Wulf (a cura di), Das dritte Reich und die Juden. Dokumente uns Aufsätze. Arani Verlag, Berlino-Grunewald, 1955, p. 94.

(77) IMG, vol, IV, pp. 397-398.

(78) LST, 36/48, p. 142.

(79) L’affidavit è disponibile in: http://www.ess.uwe.ac.uk/genocide/Wisliceny.htm.

(80) Lettera di Himmler a Greiser del 18 settembre 1941. BAK, NS 19/2655, S. 3. Fac-simile del documento in Peter Witte, «Zwei Entscheidungen in der “Endlösung der Judenfrage”: Deportationen nach Lodz und Vernichtung in Chelmno», in: Theresienstädter Studien und Dokumente, Verlag Academia, Praga, 1995, p. 50.

(81) PS-709.

(82) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. VI, pp. 1168-1171.

(83) Hilberg cita più volte il documento in questione, ma solo per aspetti marginali: ad es. a p. 893, nota 806, a p. 914, nota 1225 e a p. 921, nota 1408.

(84) Ma il testo tedesco dice «weitere», «ulteriore»,

(85) NG-2586-G, p. 5.

(86) Richtlinien für die Führung der Wirtschaft in den neubesetzten Ostgebieten (Grüne Mappe), Berlin September 1942. EC-347. IMG, Bd. XXXVI, p. 348.

(87) Letteralmente: costruendo strade.

(88) NG-2586-G, p. 8 dell’originale.

(89) Come nel progetto Madagascar, anche negli insediamenti orientali gli Ebrei deportati sarebbero stati sotto il controllo delle SS.

(90) PS-2233. IMG, vol. XXIX, p. 502.

(91) Vedi nota 94.

(92) Una chiara allusione alla proposta dell’SS-Sturmbannführer Zeitschel del 22 agosto 1941 – poi approvata dal Führer – di risolvere la «questione ebraica» deportando gli Ebrei sotto giurisdizione tedesca nei territori orientali occupati. Vedi paragrafo 2.

(93) Faschismus – Getto – Massenmord, Röderberg-Verlag, Francoforte sul Meno, 1960, p. 252.

(94) IMG, vol. XI, pp. 78-79.

(95) D. Irving, Nuremberg. The Last Battle. Focal Point Publications, Londra, 1996, p. 174.

(96) L’accusa selezionò passi da 38 volumi. Le singole estrapolazioni furono poi presentate come elementi di prova (Beweisstücke). L’elemento di prova US-281 era tratto dal volume 17 e conteneva stralci dei verbali delle sedute tenute nel periodo ottobre-dicembre 1941 dal governo del Governatorato generale. IMG, vol. XXIX, p. 725.

(97) R. Manvell-H.Fraenkel, Goebbels eine Biographie. Verlag Kiepenheuer & Witsch, Colonia-Berlino, 1960, p.256 (trad. it.: Vita e morte del dottor Goebbels. Milano 1961, p. 240).

(98) Idem, p. 257; l’edizione italiana (idem, p. 240) contiene qualche errore di traduzione.

(99) Vedi capitolo III,2.

(100) Vedi il mio studio Negare la storia? Olocausto: la falsa “convergenza delle prove”. Effedieffe Edizioni, 2006, pp. 96-102.

(101) Idem, p. 15.

(102) Józef Kermisz (a cura di), Dokumenty i materiały do dziejów okupacij niemieckiej w Polsce (Documenti e materiali per la storia dell’occupazione tedesca in Polonia), tomo II, “Akcje” i “Wysiedlenia” (“Azioni” ed “evacuazioni”). Varsavia -Łódź-Cracovia, 1946, p. 46.

(103) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury. vol. IV, p. 829 e p. 851.

(104) Idem, pp. 829-831.

(105) Idem, pp. 832-834.

(106) Idem, vol. IV, pp. 835-837.

(107) Oberkommando Wehrmacht: comando supremo delle Forze Armate.

(108) Percy E. Schramm (a cura di), Kriegstagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht 1940-1941. Zusammengestellt und erläutert von Hans-Adolf Jacobsen. Mandred Pawlak Verlagsgesellschaft, Herrsching, 1982, Teilband I, p. 341.

(109) Oberkommando des Heeres: comando supremo dell’Esercito.

(110) A. Streim, «Zur Eröffnung des allgemeinen Judenvernichtungsbefehls gegenüber den Einsatzgruppen», in: Ebehard Jäckel, Jürgen Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg. Entschlußbildung und Verwirklichung. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1985, pp. 107-108.

(111) NO-3422.

(112) Helmut Krausnick, Hans-Heinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges. Die Einsatzgruppen der Sicherheitspolizei und des SD 1938-1942. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1981, p. 628.

(113) PS-1138. IMG, vol. XXVII, pp. 18-25.

(114) A. Streim, «Zur Eröffnung des allgemeinen Judenvernichtungsbefehls gegenüber den Einsatzgruppen», in: E. Jäckel, J. Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg, op. cit., p. 114.

(115) J. Graf, Riese auf tönernen Füßen. Raul Hilberg und sein Standardwerk über den "Holocaust", op. cit., pp. 55-57.

(116) G. Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., nota 42 a p. 256.

(117) Idem, p. 250.

(118) Helmut Krausnik e Hans Heinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges. Die Einsaztgruppen der Sicherheitspolizei und des SD 1938-1942. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1981, nota 26 a p. 543 e seguenti.

(119) Idem, pp. 548-552.

(120) A.Rückerl, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse. Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1979, p. 259.

(121) Eugon Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl e altri (a cura di), Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftas. Eine Dokumentation. S. Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1983, p. 81.

(122) Idem, pp. 81-84.

(123) IMG, vol. XXXI, pp. 441-450.

(124) «Bewegtes Leben», in: der Spiegel, n. 53, 29 dicembre 1965, p. 26.

(125) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., p. 137.

(126) Idem, nota 13 del cap. 18 a p. 413.

(127) Spiegherò sotto perché ho assunto questo limite di età .

(128) Žydų muziejus, Vilniaus getas: kalinių sąrašai, 1 tomas (Vilnius Ghetto: List of Prisoners, Volume 1), Vilnius 1996, p. 212, Nr. 163. (Testi in lituamo, russo e inglese).

(129) Idem, p. 85.

(130) Idem, p. 150.

(131) Idem, p. 213.

(132) Idem, p. 329.

(133) «Unione», «associazione» (tedesco: Verein): termine jiddisch.

(134) Jacob Gens, capo del Consiglio ebraico di Wilna.

(135) Abraham Foxman, «Vilna – Story of a Ghetto», in: Antology of Holocaust Literature. Edited by Jacob Glatstein, Israel Knox and Samuel Margoshes. Atheneum, New York 1968, pp. 90-91.

(136) AMS, I-IIB-8, p. 1.

(137) Telescritto del comandante del campo di Stutthof SS-Sturmannführer Hoppe al comandante del campo di Auschwitz del 26.7.1944. AMS, I-IIC-4, S. 94. “Übernahmeverhandlung” del trasporto in data 26 e 27 luglio 1944. AMS, I-IIC-3, S. 43.

(138) AMS, I-IIC-3, lista nominativa del trasporto del 26.7.1944.

(139) AMS, Transportliste, microfilm 262.

(140) I ragazzi di 17 anni, quando l’Einsatzgruppe A entrò in Lituania, avevano 14 anni.









(216) Testo in: R.M. Kempner, Eichmann und Komplizen. Europa Verlag, Zurigo, Stoccarda, Vienna, 1961,pp. 289-290.

(217) NG-3354. Testo in: R.M. Kempner, Eichmann und Komplizen, op. cit., p. 290.

(218) Idem, p. 291, fac-simile del documento.

(219) NG-3354. Idem, p. 292.

(220) Idem.

(221) Idem, p. 293.

(222) C.R. Browning, Evidence for the Implementation of the Final Solution, 2000,
in: http://www.ess.uwe.ac.uk/GENOCIDE/browning1.htm.

(223) C. R. Browning, The Final Solution and the German Foreign Office. Holmes & Meier Publishers, New York, Londra, 1978, pp. 56- 67.

(224) Idem, p. 61.

(225) IMG, vol. XXVI, p. 109.

(226) Idem, pp. 103-105.

(227) I. Weckert, The Gas Vans: A Critical Assessment of the Evidence, in: Germar Rudolf (Ed.), Dissecting the Holocaust, op. cit., pp. 215-241.

(228) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., pp. 280, 284, 287 e 290.

(229) IMG, vol. XXX, pp. 403-413.

(230) Questo termine non significa «riconversione», ma «rieducazione professionale».

(231) T-1078.

(232) Il nome tedesco di Bratislava.

(233) NG-2586-J, pp. 5-6.

(234) Riešenie židovskiej otázky na Slovensku (1939-1945)[La soluzione della questione ebraica in Slovacchia (1939-1945)]. Dokumenty, 2. Časť (Documenti, Parte Seconda). Edícia Judaica Slovaca, Bratislava, 1994, pp. 59-60.

(235) Idem, pp. 38-39.

(236) Fernschreiben di Liebehenschel n. 903 del 24 marzo 1942 al comandante del K.G.L. Lublin. Fac-simile del documento in: Zofia Leszczyńska, «Transporty więźnów do obozu na Majdanku» (Trasporti di detenuti al campo di Majdanek), in: Zeszyty Majdanka, IV, Lublino, 1969, p. 182.

(237) Fac-simile del documento in: Majdanek. Krajowa Agencja Wydawnicza. Lublino, 1985, fotografia n. 38.

(238) Riešenie židovskiej otázky na Slovensku (1939-1945). Dokumenty, 2. Časť, op. cit., p. 105.

(239) Idem, pp. 108-109.

(240) L’elenco dei trasporti ebraici partiti dalla Slovacchia nel 1942 conservato presso i Moreshet Archives (riferimento d’archivio: D.1.5705), per il maggio 1942 riporta 18 trasporti per complessivi 18.937 deportati. Esso non comprende tuttavia il trasporto da Trebišov del 4 maggio che appare nel programma delle evacuazioni per il mese di maggio stilato il 16 aprile 1942. D’altra parte, il riepilogo delle deportazioni effettuate nel 1942 redatto dal ministero degli Esteri slovacco il 14 gennaio 1943, per il mese di maggio menziona 19 trasporti. Riešenie židovskiej otázky na Slovensku (1939-1945). Dokumenty, 2. Časť, op. cit., p. 41 e 48. Il numero totale dei deportati del mese di maggio fu dunque di circa 20.000.

(241) Dov Weissmandel, Min-hammetsar. “Emunah”, New York, 1960, documento 23 (fuori testo). Il titolo del libro (Dall’angoscia), è tratto dall’inizio del Salmo 118,5.

(242) Serge Klarsfeld e Maxime Steinberg, Mémorial de la déportation des Juifs de Belgique. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1994, pp. 42-45.

(243) Irena è un sobborgo di Dęblin.

(244) Vedi la tabella che appare nel paragrafo 3.1.1.

(245) Actes et documents du Saint Siège relatifs à a seconde guerre mondiale. Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier 1941-Décembre 1942. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1975, vol. 8, pp. 457-458.

(246) Idem, p. 460.

(247) Tra il novembre 1941 e il gennaio 1942.

(248) Actes et documents du Saint Siège relatifs à a seconde guerre mondiale. Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier 1941-Décembre 1942. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1975, vol. 8, pp. 542-543.

(249) Idem, Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier-Décembre 1943, vol. 9, p. 249.

(250) Il testo esatto è: «Deportazione 80.000 persone in Polonia alla mercè dei tedeschi equivale condannarne gran parte morte certa». Actes et documents du Saint Siège relatifs à a seconde guerre mondiale. Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier 1941-Décembre 1942, op. cit., vol. 8, p. 453.

(251) Idem, Le Saint Siège et les victimes de la guerre. Janvier-Décembre 1943, vol. 9, pp. 37-38.

(252) C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., pp. 242-244.

(253) Dichiarazione giurata di D. Wisliceny del 15 luglio 1946. LST, 36/48, pp. 174-178.

(254) NO-5689.

(255) Randolph L. Braham, The destruction of Hungarian Jewry. New York, 1963, p. 369.

(256) Idem, p. 366, NG-2262.

(257) C. Mattogno, La deportazione degli Ebrei ungheresi del maggio-luglio 1944. Bilancio provvisorio. Effepi, Genova, 2007, pp. 31-35.

(258) R.L. Braham, The destruction of Hungarian Jewry, op. cit., p. 151.

(259) Idem, p. 152.

(260) Il nome tedesco di Lwów.

(261) R.L. Braham, The destruction of Hungarian Jewry, op. cit., pp. 367-368.

(262) Martin Gilbert, Endlösung. Die Vertreibung und Vernichtung der Juden. Ein Atlas. Rowohlt Verlag, Reinbek bei Hamburg, 1995, p. 197.

(263) AMS, I-IIB-10.

(264) Idem.

(265) AMS-I-IIE-12.

(266) AMS-I-IIB-12.

(267) Tadeusz Mencel Ed., Majdanek 1941-1944. Wydawnictwo Lubelskie, Lublino, 1991, p. 454 (Tavola dei trasporti giunti a Majdanek negli anni 1941-1944 redatto da Zofia Leszczyńska).

(268) S. Klarsfeld, Le mémorial de la déportation des juifs de France, op. cit., p. 13 e 20 (numerazione delle pagine mia).

(269) C. Mattogno, La deportazione degli Ebrei ungheresi del maggio-luglio 1944. Bilancio provvisorio, op. cit., pp. 12-18 e 35

(270) Der Kastner-Bericht über Menschenhandel in Ungarn. Kindler Verlag, Monaco, 1961, p. 93.

(271) Utilizzo l’edizione pubblicata da Röderberg-Verlag, Francoforte sul Meno, nel 1960, la cui impaginazione corrisponde all’edizione citata da Hilberg.

(272) Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006.

(273) Idem, pp. 32-33.

(274) Enziklopädie des Holocaust. Die Verfolgung und Ermordung der europäischen Juden. A cura di Eberhard Jäckel, Peter Longerich, Julius H. Schoeps. Curatore principale: Israel Gutman. Argon Verlag, Berlino, 1993, vol. II, p. 619.

(275) Calcolando i tempi sulla base dei dati forniti dal «testimone oculare» Rudolf Reder, la gasazione di 10.000 Ebrei al giorno (sic) nelle sei presunte camere a gas del secondo periodo del campo, con tutte le operazioni annesse e connesse, avrebbe richiesto circa tre giorni e tre notti di lavoro ininterrotto, ossia circa sei giornate lavorative, perché le SS operavano solo dall’alba al tramonto, cioè, al massimo, per circa 12 ore al giorno. Vedi al riguardo il mio studio Un nuovo libro olocaustico su Belzec e la sua fonte. Considerazioni storico-critiche. Effepi, Genova, 2007, pp. 45-48. Perciò la gasazione di 4.000-5.000 Ebrei al giorno nelle tre presunte camere a gas della prima fase del campo era a fortiori impossibile.

(276) Faschismus-Getto-Massenmord. Dokumentation über Ausrottung und Widerstand der Juden in Polen während des zweiten Weltkrieges, op. cit., p. 271. Cfr. J. Kermisz (a cura di), Dokumenty i materiały do dziejów okupacij niemieckiej w Polsce, tomo II, “Akcje” i “Wysiedlenia” , op. cit., pp. 10-46.

(277) Vedi al riguardo: C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., capitolo VIII, Indirect Transports of Jews to the Eastern territories, pp.233-267, in particolare pp. 242-244 (lista dei trasporti).

(278) A. Rückerl (a cura di), NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, op. cit., p. 137.

(279) Idem, p. 133.

(280) Vedi paragrafo 7.

(281) Michael Tregenza, Das vergessene Lager des Holocaust, in: I. Wojak, P. Hayes (a cura di), “Arisierung” im Nationalsozialismus, Volksgemeinschaft, Raub und Gedächtnis. Fritz Bauer Institut, Francoforte sul Meno. Campus Verlag, Francoforte sul Meno, New York 2000, pp. 242-243.

(282) PS-1553, p. 6; PS-2170, p. 6; T-1310, p. 14.

(283) Interrogatorio del 29 dicembre 1945. AGK, OKBZN Kraków, 111, pp. 3-3a.

(284) Vedi paragrafo 7.

(285) Michael Tregenza, Das vergessene Lager des Holocaust, in: I. Wojak, P. Hayes (a cura di), “Arisierung” im Nationalsozialismus, Volksgemeinschaft, Raub und Gedächtnis. Fritz Bauer Institut, Francoforte sul Meno. Campus Verlag, Francoforte sul Meno, New York 2000, pp. 242-243.

(286) PS-1553, p. 6; PS-2170, p. 6; T-1310, p. 14.

(287) Interrogatorio del 29 dicembre 1945. AGK, OKBZN Kraków, 111, pp. 3-3a.

(288) Idem, pp. 399-400.

(289) Idem, p. 401.

(290) Idem, p. 401.

(291) Idem, p. 393 e 394.

(292) J.-C. Pressac, «Enquête sur les camps de la mort», in: Historama-Histoire, numero speciale 34 (1995), p. 121

(293) V. Igounet, Histoire du négationnisme en France. Éditions du Seuil, Parigi, 2000, p. 640. È tuttavia da notare che Hilberg attribuisce al campo di Majdanek 50.000 vittime ebree.

(294) Idem, p. 641.

(295) Michael Shermer, Alex Grobman, Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché. Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 218.

(296) J. Graf, C. Mattogno, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2003, pp. 128-138.

(297) Idem, pp. 193-208. Vedi in particolare la tavola riassuntiva a p. 204.

(298) Idem, p. 145. Ispezione dell’autore sul posto e lettera di conferma della Direttrice dell’archivio del Museo di Majdanek inviata all’autore in data 30.1.1998.

(299) Costantino Simonov, Il campo dello sterminio. Mosca. Edizioni in lingue estere, 1944, p. 8.

(300) J. Graf, C. Mattogno, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, op. cit., pp. 193-208.

(301) Idem, capitolo IX, Operation “Harvest Festival”, pp. 209-230.

(302) PS-1469.

(303) IMG, vol. 11, p. 440.

(304) Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht, op. cit., p. 230.

(305) Dichiarazione di D. Wisliceny del 18 novembre 1946, in: L. Poliakov, J. Wulf (a cura di), Das dritte Reich und die Juden. Dokumente uns Aufsätze, op. cit., p. 90.

(306) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss. Einaudi, Torino, 1985, p. 171.

(307) IMG, vol. XXXIII, pp. 275-279.

(308) Questo campo non è mai esistito.

(309) IMG, vol. XI, p. 458, inizio della citazione. Il passo da me citato è a p. 459.

(310) Affidavit di Höss del 5 aprile 1946 (PS-3868), p. 2.

(311) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 122.

(312) IMG, vol. XI, p. 441.

(313) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., p. 171. Testo tedesco: Kommandant in Auschwitz. Autobiographische Aufzeichnungen des Rudolf Höss. A cura di Martin Broszat. Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1981, p. 157.

(314) Il verbale. La registrazione degli interrogatori a un imputato della storia: Adolf Eichmann, op. cit., pp. 91-92.

(315) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., pp. 172-173.

(316) Danuta Czech, «Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau», pubblicato in: Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Państwowego Muzeum w Oświęcimiu, n.2, 1959, p. 109.

(317) IMG, vol. XLII, p.559.

(318) Affidavit di F. Entress del 14 aprile 1947 (NO-2368), pp. 3 e 4.

(319) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., p. 174.

(320) Idem, p. 173.

(321) Idem, p. 176.

(322) Idem.

(323) NO-1210.

(324) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., p. 176.

(325) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 239.

(326) Idem, p. 108.

(327) Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., «La visita di Himmler ad Auschwitz», pp. 18-29 e relative fonti.

(328) Hilberg espone la struttura di questa istituzione alle pp. 946-947.

(329) Himmler avrebbe infatti ordinato a Höss quanto segue: «Lei ha il dovere di mantenere il più assoluto silenzio riguardo a quest’ordine, anche con i Suoi superiori». Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., p. 171.

(330) «Testimony of Rudolf Hoess taken at Nuremberg Germany, on 1 April, 1946, 1430 to 1730 by Mr. Sender Jaari and Lt. Whitney Harris», in: John Mendelsohn e Donald S. Detwiler (a cura di), The Holocaust: Selected Documents in Eighteen Volumes. Garland, New York e Londra, 1982, vol. 12, p. 26.

(331) Il testo inglese dice «baths», al plurale, ma «Badenanstalt» è singolare.

(332) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 84.

(333) Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., «Le “Badenanstalten für Sonderaktionen», pp. 87-95 e relative fonti.

(334) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 380.

(335) Vedi paragrafo 8.1.

(336) Vedi paragrafo 8.6.

(337) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. IV, pp. 775-776.

(338) F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz. Verlag Steinhausen, Monaco, 1979, p. 184.

(339) Per Hilberg questa sostanza era un «additivo di profumazione»! (pp.965-966).

(340) Gerhard Peters, Blausäure zur Schädlingsbekämpfung. Sammlung chemischer und chemisch-technischer Vorträge. Verlag von Ferdinand Enke, Stoccarda, 1933, pp. 58-61; Otto Lenz, Ludwig Gassner, Schädlingbekämpfung mit hochgiftigen Stoffen. Heft 1: Blausäure. Verlagsbuchhandlung von Richard Schoetz, Berlino, 1934, p. 10; G. Peters, Die hochwirksamen Gase und Dämpfe in der Schädlingsbekämpfung. Verlag von Ferdinand Enke, Stoccarda, 1942, p. 136.

(341) Zyklon B, in: http://www.zyklon-b.info/produkt/name.htm.

(342) Tesch & Stabenow, Fragebogen für Kostenvoranschlag, senza data., APMM, I, d.2, vol. 1, pp. 119-120.

(343) Dichiarazione giurata di Alfred Zaun, contabile della ditta Tesch & Stabenow, del 20 ottobre 1945, NI-11396.

(344) NI-9098, p. 15.

(345) La presunta implicazione della ditta Mannesmann Röhrenwerk nella fornitura di bombole di acciaio ai centri di eutanasia che sarebbero state dotate di manometro dal chimico August Becker e poi riempite di ossido di carbonio dalla fabbrica di Ludwigshafen della IG Farben (a) non è basata su prove documentarie e gli unici due documenti menzionati in tale contesto - due lettere della IG Farben del 17 dicembre 1943 e del 18 febbraio 1944 (b) non si riferiscono all'eutanasia.
(a) Eugon Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl e altri (a cura di), Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftas. Eine Dokumentation, op. cit., pp. 52-53.
(b) Idem, nota 86 a p. 307.

(346) J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945. Feltrinelli, Milano, 1994, p. 57.

(347) Interrogatorio di C.S. Bendel del 2 marzo 1946. NI-11953, p. 30.

(348) Idem, p. 28.

(349) Dichiarazione di C.S. Bendel del 21 ottobre 1945. NI-11390, p. 7.

(350) NI-11953, p. 29.

(351) NI-11390, p.1.

(352) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 84.

(353) In precedenza il testimone aveva descritto lo Zyklon B come «barattoli cilindrici con un contenuto di circa 5 kg».

(354) Ma i disinfettanti non hanno efficacia contro i parassiti. Il testimone confonde la disinfestazione con la disinfezione.

(355) Affidavit di H. Schuster del 24 ottobre 1947. NI-11862, p. 8.

(356) I testimone fu trasferito a Birkenau nel novembre 1943 e vi rimase fino al 18 gennaio 1945.

(357) NI-9912, p. 1. Questo documento è citato da Hilberg.

(358) Kostenvoranschlag zum Ausbau des Kriegsgefangenenlagers der Waffen-SS in Auschwitz dell’1° ottobre 1943, RGVA, 502-1-238, pp. 15-18.

(359) Interrogatorio di Höss del 14 maggio 1945, NI-36.

(360) PS-1553, pp. 15-26.

(361) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. IV, pp. 1130.-1132.

(362) Idem, vol. VI, p. 1237.

(363) Arbeitsanweisungen für Klinik und Laboratorium des Hygiene-Institutes der Waffen-SS, Berlino. A cura dell’ SS-Standartenführer Dozent Dr. J. Mrugowsky. Heft 3. Entkeimung, Entseuchung und Entwesung. Von Dr. Med. Walter Dötzer, SS-Hauptsturmführer d. Res. Verlag von Urban und Schwarzenberg. Berlino e Vienna, 1943, p. 72.

(364) Sulla questione vedi il mio studio La deportazione degli Ebrei ungheresi del maggio-luglio 1944. Bilancio provvisorio, op. cit.

(365) Idem, p. 47.

(366) NI-9908.

(367) PS-1553, p. 11.

(368) L’SS-Obergruppenführer Karl Wollf, aiutante di campo di Himmler.

(369) C. Mattogno, Il rapporto Gerstein: Anatomia di un falso. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985; André Chelain (a cura di), La thèse de Nantes et l’affaire Roques. Polemiques,Parigi, 1988.

(370) PS-1553, p. 4.

(371) Georges Wellers, «Encore sur le Témoignage Gerstein», in: Le Monde Juif, n. 97, gennaio-marzo 1980, p. 28.

(372) Otto Lenz, Ludwig Gassner, Schädlingebekämpfung mit hochgiftigen Stoffen. Heft 1:Blausäure, op. cit., p. 8.

(373) Corte d’Assise di Francoforte sul Meno, 28 marzo 1949, in: C.F.Rüter ( acura di), Justiz und NS-Verbrechen. Sammlung deutscher Strafurteile wegen nationalsozialistischer Tötungsverbrechen, 1945-1966. Amsterdam, 1968-1981, vol. XIII, p.137.

(374) Otto Lenz, Ludwig Gassner, Schädlingebekämpfung mit hochgiftigen Stoffen. Heft 1:Blausäure, op. cit., pp. 8-9.

(375) G. Peters, Blausäure zur Schädlingsbekämpfung, op. cit., pp. 54-55.

(376) Vedi al riguardo J. Graf, C. Mattogno, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, op. cit., p. 204.

(377) G. Wellers, «Encore sur le Témoignage Gerstein», art. cit., pp.28 e 31.

(378) Sulla questione vedi le mie considerazioni nello studio già citato Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia, op. cit., pp. 8-11.

(379) Segue una domanda dell’avvocato Kaufmann sugli eccessi nei campi.

(380) IMG, vol. XI, pp. 445-447.

(381) Affidavit di K. Morgen del 13 luglio 1946. SS(A)-65. IMG, vol. XLII, pp. 552-554.

(382) Lettera del Leiter der Bauinspektion Reich-Ost alla Zentralbauleitung di Auschwitz del 12 giugno 1943.RGVA, 502-2-108, p. 3.

(383) Per un approfondimento della questione rimando al mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., pp. 136-138.

(384) I «B-Arbeiten» erano i lavori interni di rifinitura che si potevano effettuare nella stagione invernale.

(385) WAPL, ZBL, 8, p. 22.

(386) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 27.

(387) Idem, p. 858.

(388) Sterbebuch 25, certificato n. 36991 datato 31 dicembre 1943. Standesamt II Auschwitz. Sterbebuch (Zweitbuch) 1943, vol. 25. Attualmente questi documenti si trovano al Museo di Auschwitz. (Politische Abteilung. Sterbebücher). Il RGVA, dove si trovavano originariamente, ne conserva solo delle fotocopie.

(389) Sterbebuch 25, certificato n. 36299 datato 31 dicembre 1943. Standesamt II Auschwitz. Sterbebuch (Zweitbuch) 1943, vol. 25.

(390) Sterbebuch 9, certificato n. 12134 datato 27 giugno 1942. Standesamt II Auschwitz. Sterbebuch (Zweitbuch) 1942, vol. 25.

(391) Lettera dell’SS-Hauptsturmführer Wagner all’amministrazione del KL Auschwitz del 25 marzo 1942. NO-2146.

(392) Non mi soffermo qui sulla categoria «S.B.» (Sonderbehandlung), di cui mi occupo dettagliatamente in uno studio di prossima pubblicazione.

(393) APMO, Stärkemeldung, AuII- 3a, FKL.

(394) Aufstellung der im Bau befindlichen Bauwerke mit Fertigstellungsgrad, redatto dal capo della Zentralbauleitung, l’SS-Obersturmführer Werner Jothann, il 4 settembre 1944. RGVA, 502-1-85, p. 195a.

(395) Kostenveranschlag zum Ausbau des Kriegsgefangenenlagers der Waffen-SS Auschwitz. RGVA, 502-2-60, p. 85.

(396) Vedi al riguardo il mio studio «Franciszek Piper e “Die Zahl der Opfer von Auschwitz”», in: Il numero dei morti di Auschwitz. Vecchie e nuove imposture. Effepi, Genova, 2004, pp. 26-27.

(397) C. Mattogno, La deportazione degli Ebrei ungheresi del maggio-luglio 1944. Un bilancio provvisorio, op. cit., p. 20.

(398) C. Mattogno, Auschwitz: trasferimenti e finte gasazioni. I Quaderni di Auschwitz, 3. Effepi, Genova, 2004, pp. 30-31.

(399) Idem, pp. 27-29.

(400) Idem, pp. 32-33, elenco nominativo.

(401) IMG, vol. XXVII, pp.46-49.

(402) Gruppo di uffici DIV (Amministrazione dei campi di concentramento).

(403) (PS-1166.

(404) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., pp. 63-70.

(405) J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989, capitoli 2-7.

(406) Rapporto trimestrale sul servizio sanitario nel KL Auschwitz redatto dal Lagerarzt di Auschwitz il 16 dicembre 1943 e indirizzato all’Amt DIII dell’SS-WVHA. GARF, 7021-108-32, pp. 93-98.

(407) Henryk Świebocki, «Widerstand», in: Wacław Długoborski, Franciszek Piper (a cura di), Auschwitz 1940-1945. Studien zur Geschichte des Konzentrations- und Vernichtungslagers Auschwitz. Verlag des Staatlichen Museums Auschwitz-Birkenau. Oświęcim, 1999, vol. IV, p. 330.

(408) Auschwitz III.

(409) “Stationärkranken”.

(410) “Invaliden”.

(411) NO-21, p. 2.

(412) Vedi al riguardo il mio articolo «The Morgues of the Crematoria at Birkenau in the Light of Documents», in: The Revisionist, vol. 2, n. 3, agosto 2004, IV, «The Detainee Sick-Bay of Construction Section III at Birkenau», pp. 289-294.

(413) Dichiarazione giurata di W. Paulmann dell’11 luglio 1946. SS-64. IMG, vol. XLII, p. 545.

(414) Idem.

(415) Idem, p. 547.

(416) Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutsche Konzentrationslager. Karl Alber, Monaco, 1946, p. 250.

(417) Hermann Langbein, Der Auschwitz-Prozess. Eine Documentation. Europa Verlag, Vienna, Francoforte, Zurigo, 1965, pp. 145-146.

(418) Bernd Naumann, Auschwitz. Bericht über die Strafsache gegen Mulka u.a. vor dem Schwurgericht Frankfurt. Athäneum Verlag, Francoforte sul Meno-Bonn, 1965, p. 323.

(419) Aleksander Lasik, «Täterbiographien», in: Sterbebücher von Auschwitz. A cura del Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau. G.K. Saur, Monaco, New Providence, Londra, Parigi, 1995, p. 278.

(420) Affidavit di K.Morgen del 13 luglio 1946. SS-65. IMG, vol. XLII, p. 556.

(421) Idem, p. 557.

(422) Vedi il mio studio Auschwitz: trasferimenti e finte gasazioni, op. cit., pp. 7-15.

(423) Rapporto di Pohl a Himmler del 16 settembre 1942 con oggetto:«a) Rüstungsarbeiten. b) Bombenschäden». BAK, NS 19/14, pp. 131-133.
(424) Per un approfondimento della questione vedi il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., pp. 67-73.

(425) Vedi capitolo II,2.

(426) EveningRGVA, 502-1-336, pp. 106-107. Per una trattazione dettagliata della questione vedi il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., pp. 67-73.

(427) Nachman Blumental (a cura di), Dokumenty i materiały (Documenti e materiali), tomo I, Obozy (Campi). Łódź, 1946, p. 108.

(428) J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, op. cit., p. 84.

(429) NO-1216, punti 4 e 6 del rapporto su Auschwitz.

(430) Nel Baufristenplan del 2 ottobre 1943 è menzionata erroneamente la data del 2 luglio 1942. RGVA, 502-1-320, p. 7.

(431) Baubericht für Monat Juni 1942. RGVA, 502-1-24, p. 224.

(432) Baubericht für Monat Juli 1942. RGVA, 502-1-24, p. 184.

(433) Questa frase essenziale non appare nella traduzione italiana, ma è presente in quella tedesca del 1999 (Die Vernichtung der europäischen Juden. Fischer Taschenbuch Verlag, Francoforte sul Meno, 1999, vol. 2, p. 1029).

(434) Lettera di Himmler a Pohl del 5 luglio 1943. NO-482.

(435) Lettera di Pohl a Himmler del 15 luglio 1943. NO-482.

(436) Faschismus-Getto-Massenmord. Dokumentation über Ausrottung und Widerstand der Juden in Polen während des zweiten Weltkrieges, op. cit., p. 438.

(437) Antoni Makowski, «Organisation, développment et activité de l’hôpital des prisonniers à Monowitz (KL Auschwitz III)», in: Contribution à l’histoire du KL-Auschwitz. Edition du Musée d’Etat à Oświęcim, 1978, pp. 163-164.

(438) Irena Strzelecka, «Die Experimente», in: Wacław Długoborski, Franciszek Piper (a cura di), Auschwitz 1940-1945. Studien zur Geschichte des Konzentrations- und Vernichtungslagers Auschwitz, op. cit., p. 435.

(439) Vedi al riguardo il mio studio Il dottor Mengele e i gemelli di Auschwitz. Effepi, Genova, 2008.

(440)) Irena Strzelecka, «Die Experimente», op. cit., p. 441, 444 e 445.

(441) E. Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutsche Konzentrationslager, op. cit., pp. 136-137.

(442) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., pp. 173-174.

(443) Vedi al riguardo il mio studio Auschwitz: la prima gasazione. Edizioni di Ar, Padova, 1992.

(444) Alexander Mitscherlich, Fred Mielke (a cura di), Medizin ohne Menschlichkeit. Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1995, p. 215 e 222.

(445) Attilio Izzo, Guerra chimica e difesa antigas. Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1935, «Principali aggressivi chimici», tavola fuori testo.

(446) Idem, pp. 45-46.

(447) Verlag von Julius Springer, Berlino, 1931.

(448) In Italia, informazioni simili si potevano trovare in: Michele Giua, Lezioni di aggressivi chimici. Parte descrittiva e tecnologica. Pubblicato a cura della R. Accademia e della Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio, Torino, 1933.

(449) Franciszek Piper, «Gas Chambers and Crematoria», Yisrael Gutman e Michael Berenbaum (a cura di), Anatomy of the Auschwitz Death Camp. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1994, p. 163.

(450) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 305.

(451) Vedi paragrafo seguente.

(452) Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., 1987, p. 171.

(453) Idem, p. 172.

(454) Idem, pp. 173-174.

(455) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 32.

(456) Erläuterungen zur Ausführung der Wasserversorgung del 16 dicembre 1942. AGK, NTN, 94, p. 217.

(457) Aufstellung über die zur Durchführung der Sondermassnahmem K.G.L. notwendigen Baracken dell’11 giugno 1943. RGVA, 502-1-79, p. 100.

(458) NO-5194, p. 9.

(459) Die Frage der Behandlung der Bevölkerung der ehemaligen polnischen Gebiete nach rassenpolitische Gesichtspunkten. 25 novembre 1939, PS-660, p. 25.

(460) IMG, vol. XI, pp. 374-375.

(461) Vedi al riguardo il mio studio Il rapporto Gerstein: Anatomia di un falso, op. cit., pp. 87-97; cfr. L’“irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz.Risposta a Valentina Pisanty, pp. 67-68, in: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf

(462) I crematori II e III di Birkenau avevano complessivamente 2 camini e 10 forni a 3 muffole, i crematori IV e V 4 camini e 2 forni a 8 muffole.

(463) Vedi al riguardo il mio articolo «The Morgues of the Crematoria at Birkenau in the Light of Documents», in: The Revisionist, vol. 2, n.3, agosto 2004 (pp. 271-294) § II, «The Use of the Morgues of Crematoria at Birkenau in 1943-1944», pp. 279-283.

(464) Il testo tedesco dice «Belcec».

(465) «Zur “Umsiedlung” der Juden im Generalgouvernement», in: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, n.4, ottobre 1959, p.334.

(466) Questo termine non appare nel testo tedesco.

(467) «Zur “Umsiedlung” der Juden im Generalgouvernement», op. cit., p. 334.

(468) Idem, p.335.

(469) Vedi al riguardo il mio studio Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia, op. cit., pp. 15-46.

(470) IMG, vol. VII, pp. 633-634. Cfr. C. Mattogno, Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia, op. cit., p. 48.

(471) Tanto irrilevante che uno dei massimi specialisti di Belzec,Yitzhak Arad, non menziona affatto il testimone Garfinkiel. Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit.

(472) All’epoca sarebbe esistita una sola baracca con tre camere a gas.

(473) Polish Charges against German War Criminals (excerpts from some of those) Submitted to the United Nations War Crimes Commission by Dr. Marian Muszkat. Główna Komisja Badania Niemieckich Zbrodni Wojennych w Polsce. Varsavia, 1948, p. 227.

(474) P. Vidal-Naquet, «Tesi sul revisionismo», in: Rivista di Storia Contemporanea, Torino, 1983, p. 8.

(475) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 214.

(476) Kursbuch Polen 1942 (Generalgouvernement).Amtlicher Taschenfahrplan für das Generalgouvernement nebst Anschlußstrecken, Kraftomnibuslinien und den wichtigsten Fernverbindungen. Gültig vom 2. November 1942 an bis auf weiteres. Generaldirektion der Ostbahn in Krakau. Verlag Josef Otto Slezak, Vienna, 1984, p. 8.

(477) Idem, p. 68, 54 e 104, dove sono riportati i relativo orari ferroviari.

(478) E. Wiesel, La notte. Giuntina, 1986, p. 33.

(479) P. Levi, Se questo è un uomo. Einaudi, Torino, 1984, p. 17.

(480) Vedi al riguardo il mio studio «Flammen und Rauch aus Krematoriumskaminen», in: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, anno 7, n.3-4, dicembre 2003, pp. 386-391.

(481) O. Lengyel, I forni di Hitler. Carroccio, Bologna, 1967, p. 47.

(482) Idem, p. 122.

(483) Idem, pp. 119-120.

(484) C. Mattogno, Auschwitz: 27 gennaio 1945 - 27 gennaio 2005: sessant’anni di propaganda. I Quaderni di Auschwitz, 5. Effepi, Genova, 2005. 60 pp., 3 documenti. Versione riveduta e ampliata in web: http://www.vho.org/aaargh/ital/archimatto/CMausch45.pdf.

(485) NO-1210.

(486) D. Czech, «Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau», in: Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Państwowego Muzeum w Oświęcimiu, n. 4, 1961, pp. 72-73.

(487) Standort- und Kommandanturbefehle des Konzentrationslager Auschwitz 1940-1945. A cura di Norbert Frei, Thomas Grotum, Jan Parcer, Sybille Steinbacher und Bernd C. Wagner. Institut für Zeitgeschichte. K.G. Saur, Monaco, 2000, p. 499. Standortbefehl n. 26/44 del 12 ottobre 1944.

(488) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., pp. 129-141.

(489) P. Levi, Se questo è un uomo, op. cit., p. 59.

(490) Idem, pp. 60-61.

(491) APMO, D-AuIII-5/1, registro dell’Häftlingskrankenbau di Auschwitz III-Monowitz, p. 360, numero corrente 21669.

(492) Trial of Josef Kramer and Forty-Four Others (The Belsen Trial). William Hodge and Company, Limited. Londra, Edimburgo, Glasgow, 1949, p. 128.

(493) Idem, p. 129.

(494) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 85.

(495) NI-11397, p. 2.

(496) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 86.

(497) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 184.

(498) NI-11710, p. 4.

(499) NI-11710, p. 4.

(500) M. Nyiszli, Auschwitz. A Doctor’s Eyewitness Account. Fawcett Crest, New York, 1961.

(501) Dr. Mengele boncolóorvosa voltam az auschwitz-i krematóriumban (Fui medico anatomista del dott. Mengele al crematorio di Auschwitz). Copyright by Nyiszli Miklos, Oradea, Nagyvárad, 1946, p. 35.

(502) Idem, p. 36. Esiste una traduzione italiana (di una traduzione francese): M. Nyiszli, Medico ad Auschwitz. Longanesi, Milano, 1977. I passi citati si trovano alle pp. 39-41.

(503) G. Wellers, «Die zwei Giftgase», in: Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. Eine Dokumentation. A cura di Eugen Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl e altri. S. Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1983, p. 283.

(504) C. Mattogno, Auschwitz: un caso di plagio. Edizioni La Sfinge, Parma, 1986.

(505) Idem, p. 14. F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., pp. 185-186.

(506) C. Mattogno, Auschwitz: un caso di plagio, op. cit., pp. 16-17.

(507) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 185.

(508) Idem, p. 186.

(509) NI-11710, p. 4.

(510) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 111.

(511) Il testo dice, per un errore di stampa, «Glaskristalle», cristalli di vetro.

(512) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 185.

(513) APMO, Proces załogi (processo della guarnigione del campo di Auschwitz ), tomo VII, pp. 1-4.

(514) Ota Kraus, Erich Kulka, Die Todesfabrik. Kongress-Verlag, Berlino 1958, pp. 133-134. L’edizione originale fu pubblicata a Praga l’anno prima.

(515) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit.

(516) C. Mattogno, Auschwitz: Crematorium I and the Alleged Homicidal Gassings. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005, pp. 33-48.

(517) Idem, p. 31.

(518) Idem, p. 31.

(519) Aufstellung der ausgeführten Bauarbeiten. 20 maggio 1942. APMO, BW 11/5, pp. 5-6, e Bericht über ausgeführte Arbeiten im Krematorium del 1° giugno 1942. APMO, BW11/5, pp. 1-2.

(520) RGVA, 502-1-314, p.12 e 502-1-312, p. 64.

(521) F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 32.

(522) Idem, p. 49.

(523) Idem, p. 53.

(524) Idem, p. 54.

(525) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., p. 230.

(526) F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., pp. 57-62.

(527) Idem, p. 61.

(528) Idem, p. 63.

(529) D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op. cit., pp. 216-218.

(530) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. V, p. 1138.

(531) Idem, p. 1159.

(532) Władysław Bednarz, «The Extermination Camp at Chełmno (Kulmhof)», in: Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland. German Crimes in Poland, Varsavia, 1946, vol. I, p. 115.


(533) Idem.

(534) C. Mattogno, “Azione Reinhard” e “Azione 1005”, op. cit., pp. 37-39.

(535) NO-1210.

(536) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 212.

(537) Vedi al riguardo il mio studio Auschwitz: Open Air Incinerations. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005, che contiene anche una critica delle interpretazioni delle fotografie aeree dei massimi specialisti olocaustici. Nessuno di costoro ha mai affermato la presenza in una fotografia di una tale piattaforma.

(538) F. Müller, Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 206-207, 211-212,

(539) J. Sehn, Concentration and extermination camp at Oświęcim (Auschwitz-Birkenau), op. cit., p. 88.

(540) Le relative affermazioni dei testimoni citati vengono riportate sotto.

(541) Deposizione di C.S. Bendel al processo Belsen, 1° ottobre 1945. Trial of Josef Kramer and Forty-Four Others (The Belsen Trial), p. 131.

(542) NO-1933, p. 4.

(543) Idem.

(544) Dichiarazione giurata di P. Broad del 20 ottobre 1947. NI-11984, punto 6.

(545) Affidavit di H. Schuster del 24 ottobre 1947. NI-11862, p. 9.

(546) Su tale questione ritorno nel paragrafo seguente.

(547) Deposizione di Adolf Engelstein al processo Eichmann di Gerusalemme, 45a udienza del 18 maggio 1961. State of Israel. Ministry of Justice. The Trial of Adolf Eichmann. Record of Proceedings in the District Court of Jerusalem, op. cit., vol. II, p. 815. Fonte indicata da Hilberg nella nota 529 a p. 1074.

(548) IMG, vol. XII, p. 26.

(549) Idem, pp. 24-26.

(550) Idem, p. 19.

(551) PS-2233. IMG, vol. XXIX, p. 720. PS-2233.

(552) C. Mattogno, Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia, op. cit., pp. 131-134. L’impiego di questi Ebrei nel «programma Otto» è menzionato anche in documenti pubblicati in una delle fonti precipue di Hilberg. Faschismus-Getto-Massenmord. Dokumentation über Ausrottung und Widerstand der Juden in Polen während des zweiten Weltkrieges, op. cit., pp. 217-222.

(553) Standort- und Kommandanturbefehle des Konzentrationslager Auschwitz 1940-1945, op. cit., pp. 258-259.

(554) Idem, p. 156. Standortbefehl n. 19/42 del 23 luglio 1942.

(555) Dichiarazione giurata dell’ex SS-Standartenführer Kurt Becher dell’8 marzo 1946, PS-3762.

(556) D. Czech cita esplicitamente come fonte il vol. XI, p. 370, degli atti del processo di Norimberga, in cui viene riportata la lettura del documento, nonché il documento stesso, PS-3762, «Zeugenaussage» (testimonianza) di Kurt Becher, pubblicata nel vol. XXXIII, pp. 68-70. D. Czech, «Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau», in: Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Państwowego Muzeum w Oświęcimiu, n. 8, 1964, nota 125 a p. 89.

(557( Idem, pp. 78-88.

(558) Il passo in questione dell’affidavit di Becher è reso in inglese «I induced the Reichsführer SS Himmler to give the following order».

(559) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury. vol. IV, p. 865.

(560) Idem, p. 873.

(561) R. Faurisson, «Le procés Zündel (1985) ou “le procès de Nuremberg”», op. cit., pp. 954-957.

(562) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. VI, pp. 1205-1206
(563) W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich. Einaudi, Torino, 1971, p. 1465.

(564) IMG, vol. XI, pp. 160-161.

(565) Vedi capitolo I,5.

(566) R. Faurisson, «Le procés Zündel (1985) ou “le procès de Nuremberg”», op. cit., pp. 957-958.

(567) Newsday, Long Island, New York, 23 febbraio 1983.

(568) Verosimilmente Helmut Krausnick.

(569) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury. vol. IV, pp. 846-852.

(570) Idem, pp. 854-855.

(571) Idem, p. 858.

(572) Idem, p. 855.

(573) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. VI, pp. 1203-1204.

(574) La fonte indicata da Faurisson è: Simon Wiesenthal Center Annual, 1986, p. 294.

(575) R. Faurisson, «Le procés Zündel (1985) ou “le procès de Nuremberg”», op. cit., pp. 960-961.

(576) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. IV, pp. 904-905.

(577) Idem, pp. 906-907.

(578) Idem, pp. 920-921.

(579) Idem, p. 921 e 927.

(580) Idem, vol. V, p. 945.

(581) Idem, p. 1096.

(582) Idem, p. 1088.

(583) Lord Russell of Liverpool, The Scourge of the Swastika. Cassell & Company Ltd., Londra, 1954, pagina fuori testo tra le pp. 180-181.

(584) In the District Court of Ontario. Between: Her majesty the Queen and Ernst Zündel. Before: The Honourable Judge H.R. Locke and Jury, vol. V, pp. 1103-1104.

(585) Idem, p. 1140;

(586) Idem, p. 1160.

(587) Idem, vol. IV, p. 897.

(588) Idem, pp. 771-774.

(589) Idem, p. 775.

(590) Idem, vol. IV, pp. 969-970.

(591) Idem, vol. V, pp. 1240-1241.

(592) R. Faurisson, «Le procés Zündel (1985) ou “le procès de Nuremberg”», op. cit., p. 955.

(593) Colloque de l’École des Hautes Études en sciences sociales. L’Allemagne nazie et le génocide juif. Gallimard, Parigi, 1985.

(594) Idem, pp. 219-235

(595) Idem, pp. 262-282.

(596) Idem, p. 7.

(597) Idem, p. 20.

(598) Idem.

(599) Idem, p. 22.

(600) S. Friedländer, «Il dibattito storiografico sull’antisemitismo nazista e lo sterminio degli Ebrei», in: Storia contemporanea, anno XIV, n. 3, giugno 1983, p. 419.

(601) Idem, p. 420.

(602) Colloque de l’École des Hautes Études en sciences sociales. L’Allemagne nazie et le génocide juif, op. cit., p. 22.

(603) Idem, p. 23.

(604) Idem, p. 24.

(605) Idem, p. 30.

(606) La traduzione francese di questo testo (*) contiene un grossolano errore: il traduttore rende giustamente «Beseitigung» con «élimination», ma traduce abusivamente «Entfernung», che significa «allontanamento», di nuovo con «élimination». Egli ha commesso un altro abuso riferendo l’avverbio «überhaupt» al sostantivo invece che al verbo. La frase «muss unverrückbar die Entfernung der Juden überhaut sein» non significa «dev’essere (immutabilmente) l’eliminazione degli Ebrei in generale», ma «dev’essere irremovibilmente in generale (= soprattutto) l’allontanamento degli Ebrei». Con questi artifici il traduttore introduce nel testo l’idea di una «eliminazione generale degli Ebrei», travisandone completamente il significato effettivo. Per coerenza, il traduttore francese ha reso sempre il sostantivo «Entfernung» (allontanamento) e il verbo «entfernen» (allontanare) con «élimination» e «éliminer», a cominciare dal titolo stesso della relazione di E. Jäckel: L’eliminazione degli Ebrei nel programma di Hitler.
(*)Testo tedesco in: Ernst Deuerlein, «Hitlers Eintritt in die Politik und die Reichswehr», in: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, 1959, p. 204.

(607) Colloque de l’École des Hautes Études en sciences sociales. L’Allemagne nazie et le génocide juif, op. cit., p. 101.

(608) Idem, p. 102.

(609) Idem, p. 108.

(610) Qui «Entfernung» viene reso con «scomparsa» e l’avverbio «überhaupt» diventa un aggettivo concordato col sostantivo.

(611) La lettera a Gemlich menzionata sopra. L. Dawidowicz traduce correttamente «Entfernung» con «removal». The War against the Jews 1933-1945. Penguin Books, Londra, 1979, p. 43.

(612) Ma il termine tedesco è “Vernichtung”.

(613) Idem, p. 118.

(614) Idem, p. 119.

(615) Idem, p. 121.

(616) Idem, p. 124.

(617) Idem, p. 126.

(618) Il testo tedesco è «Bei uns werden sie vernichtet», ossia «Da noi [in Germania] essi [gli Ebrei] vengono annientati». Vedi capitolo I,4.

(619) Colloque de l’École des Hautes Études en sciences sociales. L’Allemagne nazie et le génocide juif, op. cit., pp. 129-130.

(620) Idem, p. 130.

(621) Idem, p. 177.

(622) Idem, pp. 177-178.

(623) Idem, p. 179.

(624) Idem, p. 185.

(625) Idem, p. 186.

(626) Idem.

(627) La lettera di W. Schellenberg del 20 maggio 1941. NG-3104.

(628) L’ordine di Eichmann riguardava propriamente gli Ebrei «abili al servizio militare»(wehrfähige) e mirava ovviamente ad impedire di fornire ai nemici potenziali soldati. Joseph Walk (a cura di), Das Sonderrecht für die Juden im NS-Staat. C.F. Müller Juristischer Verlag, Heidelberg-Karlsruhe, 1981, n. 227, p. 347.

(629) Idem, pp. 186-187.

(630) Idem, p. 190.

(631) Idem, p. 192.

(632) Idem, p. 193.

(633) Idem, p. 196.

(634) Idem, p. 197.

(635) Idem, p. 200.

(636) Idem, p. 211.

(637) Secondo il protocollo di Wannsee, Himmler aveva proibito l’emigrazione ebraica «in considerazione dei pericoli di una emigrazione durante la guerra e in considerazione delle possibilità dell’Est». Vedi capitolo I,2.

(638) Idem, p. 195.

(639) Idem, p. 190.

(640) Idem, p. 198.

(641) Idem.

(642) Idem.

(643) C.R. Browning, Verso il genocidio. Il Saggiatore, Milano, 1998, p.36

(644) In: Le Monde Juif, n. 112, ottobre-dicembre 1983.

(645) Ebehard Jäckel, Jürgen Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg. Entschlußbildung und Verwirklichung. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1985.

(646) Idem, p. 11.

(647) Idem, p. 12.

(648) Idem.

(649) Idem, p. 13.

(650) Idem, p. 61.

(651) Idem, pp. 61-63.

(652) Idem, p. 189.

(653) Idem, p. 91.

(654) Idem.

(655) Idem, p. 115.

(656) Idem, p. 112.

(657) Idem, p. 117.

(658) Idem, p. 186.

(659) Idem, p. 202.

(660) Idem, p. 188.

(661) Idem, p. 170.

(662) Idem, p. 166.

(663) Idem, p. 172.

(664) Idem, p. 178.

(665) Idem, p. 169.

(666) Idem, pp. 174-177.

(667) Idem, pp. 80-81.

(668) Idem, pp. 192-193.

(669) Idem, p. 211.

(670) Idem, p. 67.

(671) Idem, p. 179.

(672) Idem, pp. 183-184.

(673) Idem, p. 186.

(674) Idem, pp. 125-136.

(675) Idem, p. 125.

(676) Idem, p. 126.

(677) Idem, p. 137.

(678) Idem, p. 127.

(679) Idem.

680) Idem, p. 129.

(681) Idem.

(682) Idem, p. 128.

(683) La distruzione degli Ebrei d’Europa, op. cit., “Nota introduttiva” di Frediano Sessi, p. XIII e XV.

(684) Heydrich morì il 4 giugno 1942 in conseguenza delle ferite riportate in un attento eseguito da partigiani cechi.

(685) L’Allemagne nazie et le génocide juif , op. cit., nota 70 a p. 259.

(686) Mi riferisco in particolare al carteggio contrassegnato PS-4024, che contiene numerosi documenti dell’«azione Reinhard».

(687) Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1977.

(688) Londra, 1946.

(689) A cura di Eugon Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl e altri. S. Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1983.

(690) Gallimard, Parigi, 1981.

(691) A cura di J. Buszko. Interpress Publishers, Varsavia, 1978.

(692) Europa Verlag, Vienna, 1965.

(693) Athäneum Verlag, Francoforte sul Meno-Bonn, 1965.

(694) Michael Shermer e Alex Grobman, Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché, Editori Riuniti, Roma, 2002, pp. 314-315.

(695) R.J. van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 2002.

(696) Fawcett Crest, New York, 1961.

(697) G. Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli Ebrei d’Europa 1939-1945, op. cit., pp. 651-652.

(698) Nato l’8.2.1927; all’epoca della deportazione aveva 14 anni.

(699) “Knabe”, nato il 17.6.36. Noafelt Herta, nata il 18.4.1897, era probabilmente la madre.

(700) Nato il 27.7.1930.

(701) Nato il 29.1.1929.

(702) Nato il 10.5.1928.