lunedì 18 maggio 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – Cap I § 3: Distruzione o emigrazione?

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO I
Genesi e significato della “soluzione finale”
3.

Distruzione o emigrazione?

Hilberg apre il capitolo ottavo («Le deportazioni») della sua opera con queste considerazioni:
«Le operazioni mobili di massacro nella Russia occupata erano il preludio di un’impresa più ampia che avrebbe coinvolto il resto dell’Europa e dell’Asse. In tutti i territori controllati dai Tedeschi stava per essere scatenata una “soluzione finale”.
L’idea di sterminare gli Ebrei aveva preso corpo in un lontano passato. Se ne può rintracciare un’allusione ancora molto velata nella lunga omelia di Martin Lutero contro gli Ebrei. [...].

Infine, nel 1939, Adolf Hitler affermò la possibilità di uno sterminio totale in modo infinitamente più esplicito rispetto ai suoi predecessori. Ecco quanto dichiarava nel suo discorso del gennaio 1939: “[...]. Oggi sarò di nuovo profeta: se la finanza ebraica internazionale dell’Europa e fuori d’Europa dovesse arrivare, ancora una volta, a far precipitare i popoli in una guerra mondiale, allora il risultato non sarà la bolscevizzazione del mondo, e dunque la vittoria del giudaismo, ma al contrario, la distruzione (Vernichtung) della razza giudea in Europa”.
Queste parole di Hitler vanno assai oltre le insinuazioni e le allusioni degli autori e degli oratori tedeschi dei periodi precedenti. Innanzitutto, la nozione di “distruzione” appariva ormai nel contesto di un’attesa ben definita: un’altra guerra mondiale. Non vi era ancora un progetto preciso, ma quelle parole ne lasciavano prevedere l’imminenza. Inoltre, Hitler non era solo un politicante: governava uno Stato. Aveva a sua disposizione parole e frasi, ma anche un apparato amministrativo. Era in grado non solo di parlare, ma di agire. E infine, Hitler era un uomo animato da un bisogno imperioso - si potrebbe parlare di compulsione: rendere esecutive le sue minacce. “Profetizzava”. Attraverso le parole, si preparava a passare all’azione. Sarebbero trascorsi solo sette mesi prima dell’inizio delle ostilità. La guerra fornì il contesto materiale e psicologico necessario per intraprendere un’azione radicale contro le comunità ebraiche che cadevano nelle mani dei Tedeschi.
Tuttavia, proprio mentre il regime intensificava la sua politica antisemita, venne intrapreso uno sforzo insolito e di un’ampiezza non comune, per diminuire la popolazione ebraica dell’Europa attraverso l’emigrazione di massa. Il progetto di espulsione più ambizioso di ogni altro, il “Piano Madagascar”, era allo studio soltanto un anno prima.
Gli Ebrei furono eliminati non appena si esaurirono le possibilità della politica di emigrazione» (p. 417).
Sulla pretesa - quantomeno discutibile - che «l’idea di sterminare gli Ebrei» risalisse in Germania, sia pure in una «allusione ancora molto velata», addirittura a Lutero mi soffermerò nel capitolo V.

Prima di esaminare il signignicato effettivo della “profezia” di Hitler, è bene rivolgere l’attenzione ai commenti di Hilberg.

Egli afferma che «in tutti i territori controllati dai Tedeschi stava per essere scatenata una “soluzione finale”», cioè, secondo la sua interpretazione, lo sterminio ebraico, che non «era ancora un progetto preciso», ma le parole di Hitler «ne lasciavano prevedere l’imminenza»: ma come poteva essere imminente uno sterminio per il quale non esisteva ancora un progetto preciso, dunque neppure una decisione?

Questa interpretazione sconclusionata riflette la contraddizione che lacerava Hilberg: lui, considerato il maggior esponente della corrente funzionalista, era in realtà un cripto-intenzionalista.

Sulla definizione di questi termini e sulla posizione di Hilberg ritornerò nel capitolo V.

Ancora più contraddittoria è la pretesa che, «mentre il regime intensificava la sua politica antisemita», vale a dire, mentre preparava la politica di sterminio, Hitler faceva intraprendere «uno sforzo insolito e di un’ampiezza non comune, per diminuire (42) la popolazione ebraica dell’Europa attraverso l’emigrazione di massa»: in altri termini, Hitler tramava lo sterminio degli Ebrei, ma faceva nel contempo attuare una politica di emigrazione forzata di massa, e il presunto sterminio fu realizzato solo quando «si esaurirono le possibilità della politica di emigrazione»! Perciò se tali possibilità non si fossero esaurite, per Hilberg non ci sarebbe stato alcuno sterminio ebraico, ossia, in altri termini: Hitler non voleva affatto lo sterminio degli Ebrei per il semplice fatto di essere Ebrei.
NOTE

(42) Hilberg usa questo verbo per attenuare in qualche modo lo scopo effettivo della politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica, che, fin dal 1938, come abbiamo visto sopra, era «l’emigrazione di tutti gli Ebrei» che vivevano nel territorio del Reich. Torna al testo.

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