lunedì 28 dicembre 2015

34. Letture: Yakov M. RABKIN: Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo, Ombre Corte, 2005.

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 Per la verità, stavo cercando nei miei scaffali un altro libro, visto pochi giorni fa, e di nuovo sparito. È venuto fuori invece questo libri ed altri ancora che cercavo da tempo e non trovavo. Tutti libri già letti, non libri nuovi da recensire. In questo blog esiste una distinta rubrica per le classiche recensioni: hanno un loro senso e una loro validità. La rubrica “recensioni” verrà mantenuta e collegata a questa nuova serie che chiamiamo “Letture”. Si tratta nelle nostre intenzioni di libri tutte collegati fra loro, magari da un filo sottile. Sarà nostro compito far vedere questi collegamenti se non risultano immediatamente visibili ai miei Sei Lettori. Contro i maligni, che mi accusano di “ossessione”, rassicuro che questi non sono tutti e gli unici libri che abbia letto o intenda leggere. Non sono certamente inclusi in questa serie i libri della mia biblioteca di storia locale, o la serie linguistiche, che comprende grammatiche della lingua sanscrita o araba, ahimé appena sfiorate e che attendono... attendono... tempi più tranquilli. Il volume di Rabkin è stata da letto non una sola volta, ma più volte, ed ora lo sarà ancora una volta in più, perché si lega strettamente al volume appena uscito in traduzione italiana di Alan Hart, di cui abbiamo già detto in apposita scheda. Diciamo che Hart ricostruisce il problema in un quadro storico più ampio, mentre Rabkin si mantiene strettamente all’ambito teologico. Esiste purtroppo una pessima abitudine italiana di dare al libro tradotto un titolo diverso da quello originale, che nel caso di Rabkin è: Au nom de la Torah. Une histoire de l’opposition juive au sionisme, reso in italiano con: Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo. Non c’è nessuna “minaccia” nelle intenzioni dell’autore. Vi è invece una mia irritazione provocata da un provocatore nella pagina Facebook del deputato Cinque Stelle Manlio Di Stefano, nella quale rivolgendosi a un pubblico fra i quali mi sento di far parte, rimprovera loro di aver mai letto qualche libro. Ne abbiamo letto più d’uno, certamente non tutti quelli che esistono e sono stati stampati, ma con Cartesio riteniamo che un uomo dabbene non sia tenuto a leggere tutti i libri che siano stati stampati - cosa ancora possibile ai tempi di Cartesio - e che la Sapienza non consista nell’aver letto o nel leggere libri, che di per sé non danno sapienza, se questa non nasce per virtù sua propria del tutto autonoma dall’oggetto “libro stampato”. Pensavamo di introdurre lentamente, gradualmente, nuove schede di “Letture”, ma l’irritazione ricevuta ci induce ad accelerare la redazione di sempre nuove schede, purché nella mente ci appaia chiaro il filo che lega l’un titolo all’altro: se non sarà subito chiaro ai nostri Sei Lettori, ci faremo carico come prima cosa, in premessa, di indicare il nesso tematico, rinviando a poi le consuete annotazioni in corso di lettura.

Joseph Agassi
Il libro è preceduto da una Prefazione di Joseph Agassi, il quale deve esse un israeliano. Infatti, scrive: «Questa opera stimola il dibattito sul nazionalismo riguardo il mio paese. L’autore rivolge la sua attenzione alla messa in discussione del mito secondo cui Israele protegge tutti gli ebrei, costituendone così la patria naturale. Il libro dimostra, a buon diritto, che tale mito è antiebraico». È data così, in un periodo, il senso e il contenuto del libro, che non è in sé una “minaccia” per nessuno, o meglio non costituiscono una minaccia per nessuno quanti semplicemente vanno alla ricerca della verità e la sostengono. E prosegue: «La maggior parte degli israeliani scambia questo mito per il sionismo, sostenendo che potremo veramente raggiungere l’indipendenza solo il giorno della completa riunificazione delle diaspore. In tale contesto, la questione vitale per gli ebrei di tutto il mondo è se gli interessi di Israele coincidano o se invece entrino in conflitto con quelli della diaspora. Ma per l’attuale ideologia sionista si tratta di una questione tabù» (p. 7). Qui vi sarebbe una osservazione da fare sul termine “diaspora”, che viene anche usata da Alan Hart nella sua opera sul sionismo. Gliene viene contestata la legittimità da un suo critico: non esiste propriamente una “diaspora”. E lo si capisce dall’opera di Shlomo Sand, alla quale si rinvia con relativa scheda di lettura.

(Segue)

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