venerdì 4 dicembre 2015

30. Letture: W. E. Binkley: I partiti politici americani, Nistri-Lischi, 1961.

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Il libro non è recente, del 1961, ed deve essere stato comprato da me parecchi anni fa in ragione del prezzo (Vol. di pp. 604 - Lire 3000), ridotto al 50 %, e soprattutto del tema “i partiti politici americani” che già da allora mi proponevo come argomento di studio, che adesso mi ritorna attuale in virtù della legge elettorale italiana, finalizzata a un modello americano, dove si spartiscono tutto il potere due partiti l’uno omogeneo all’altro, se non perfetta fotocopia, eliminando ogni altra voce e soprattutto relegando la gran massa dei cittadini, obbligati ad accettare il sistema o a subirlo. Tutto quello che viene dall’America, dagli Stati Uniti, è “moderno”, deve essere preso come modello... Sento tutto il peso della colonizzazione politica, militare, economica, culturale, religiosa iniziata nel 1945 con un ceto politico (“cambio di regime”) già da allora caratterizzatosi per “cupidigia di servilismo”, come fu allora detto autorevolmente.

Il libro è preceduto da una dotta prefazione che però mi riesce poco utile. Invece andando direttamente al testo, che nella sua prima edizione è del 1943, leggo con interesse, subito in esordio: 
«Anche ai primi colonizzatori l’America apparve essenzialmente come un continente da sfruttare. Più di tutti gli altri fattori sommati insieme. Fu proprio questa prospettiva ad alimentare la migrazione che ne popolò il territorio. Coloro che si erano acquistati il passaggio fino in America impegnandosi in cambio a parecchi anni di servitù, divenivano insofferenti vedendo di colpo la possibilità di vivere bene senza poterla subito afferrare. I contadini che fuggivano dall’Europa dove vestigia feudali assicuravano ancora saldamente la proprietà della terra ai pochi privilegiati, sciamavano qui per soddisfare l’antica fame di terra. Qui l’uomo comune poteva camminare fiero sulla terra che era sua, così come soltanto nobiluomini e nobildonne facevano nella sua patria d’origine...» (p. 13).
È un esordio che probabilmente dice molto di più di quanto il suo autore immaginasse, suo malgrado. Infatti egli così prosegue nell’interpretazione di un dato oggettivo da lui stesso descritto ed enunciato: 
«...Qui si verificava un nuovo fenomeno destinato, attraverso i dovuti sviluppi, a determinare uno dei miracoli della storia, trasformando l’uomo comune in fattore dinamico di una società politica» (p. 13).
Il “miracolo” può essere interpretato come una delle più grandi nefandezze della storia a noi conosciuta, associato com’è al genocidio del nativi d’America, al furto delle loro terre, alla distruzione della loro civiltà e memoria. Purtroppo, questa “fame” di terra, di sfruttamento è rimasto nel DNA di quella “società politica” e si è rivolto a tutto il mondo, anzi a tutto il globo terrestre che per effetto dello smodato “sfruttamento” rischia nel breve periodo il disastro climatico globale con seri pericoli di estinzione dell’umanità o di larga parte di essa.

Quanto poi alla “nuova società” mi stupirei io stesso a guardarmi nello specchio come un anacronistico difensore e apologeta degli ordini nobiliari ed ecclesiastici pre-rivoluzione francese, che ritorneremo a studiare con apposite schede di lettura. Ma ad occhio e croce non si può negare che il possesso di terra da parte dell’ordine nobiliare ed ecclesiastico era non proprio gratis, ma legato a una funzione sociale che era nell’un caso il servizio della guerra e la difesa della patria, o se si preferisce dalla stessa terra, e nell’altro caso nel servizio spirituale e nella cura delle anime. Almeno all’inizio. Poi le cose cambiarono e subentrò il dominio della borghesia, progressivo quanto si vuole - secondo la narrazione marxiana -, ma dove le condizioni dei contadini peggiorarono, essendo loro stessi “sfruttati” al pari e più della terra che dovevano lavorare. E fu sotto la sferza del padrone “borghese” che i contadini d’Europa presero la via dell’America, non solo per “sfruttare” la terra di cui si impadronivano, ma anche per uccidere i suoi abitanti originare che con quella terra avevano un ben diverso rapporto, non di sfruttamento, ma di uso comune e in armonia con la natura da cui traevano sostentamento. Fuggirono quei contadini d’Europa per ritrovarsi “assassini” in America: una bella carriera!

(Segue)

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