domenica 28 febbraio 2010

Il “mostro” si difende: «Memoria difensiva». - Testo integrale.

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Non era per nulla prevedibile che la procedura amministrativa di addebito si sarebbe conclusa con il mio pieno proscioglimento. Non perché non fosse evidente fin dall’inizio l’infondatezza e l’illegittimità di tutta la macchinazione messa in atto da un’incredibile concertazione. Ma perché non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che un’amministrazione decidesse di assumere atti consapevolmente illegittimi, per ragioni politiche. Le pressioni erano tali che si poteva ben sacrificare un ricercatore accuratamente isolato, screditato, diffamato. Devo alla «Memoria difensiva» che segue se ho potuto porre in tutta la loro evidenza le ragioni della Verità e della Giustizia.

Come era invece prevedibile, la notizia della mia assoluzione non ha avuto nessuna eco sulla stampa e sui media, fatta eccezione per il quotidiano Rinascita che ha dedicato due intere pagine all’esito del procedimento disciplinare. Qualche altro direttore di giornale, mio personale “nemico”, ha rifiutato il “pezzo” al giornalista che l’aveva redatto. Ed è questa una prova ulteriore della macchinazione studiata a tavolino da almeno tre anni: tutti pronti in coro a diffamare e tutti intenzionati a tacere sul proscioglimento.

Nella «Memoria», che pubblico qui nel suo testo integrale, demandando più minute analisi alla pubblicazione separata delle singole controdeduzioni, sono contenute argomentazioni che superano la trattazione strettamente processuale, per la quale bastava aver dimostrato l’inesistenza del fatto addebitato, sufficiente per il proscioglimento e rilevata dal Collegio di Disciplina. Saggiamente il Collegio non si è pronunciato in merito a questioni storiografiche, non di sua competenza. Sarebbe stato ben grave se lo avesse fatto. Avrebbe dato luogo ad un vero e proprio processo medievale alle streghe, concluso magari – per una volta – con una bella assoluzione.

Occorre ora riflettere sui soggetti che hanno tramato e si sono espressi per la criminalizzazione di una mera opinione, non importa quanto travisata e falsificata. Fra questi non potrò mai dimenticare l’allora presidente della Regione Lazio Marrazzo, che avrebbe voluto guardare nei miei occhi lui che in meno di 24 ore con i suoi occhi non poteva reggere la vista del volto riflesso nello specchio. Ho potuto io vedere il Governatore che nascondeva la sua faccia davanti alle telecamere. E che dire del Sindaco Alemanno – proprio lui! – che, come aveva fatto con il prof. Valvo, chiedeva al Rettore una mia sospensione. E di altri ancora che conserveranno un posto nella mia memoria e ai quali chiederò conto, nelle giuste sedi, della loro diffamazione e degli attentati alla mia libertà di pensiero.

Sommario: Premessa. – Partizione. – Abstract. – Parte I - II - III - Controdeduzioni: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18. – Appendici:

MEMORIA DIFENSIVA
del Dott. Antonio Caracciolo
in relazione all’addebito «se abbia tenuto
Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica»

Premesso che:

– nel mese di ottobre 2009 io non svolgevo lezioni, seminari, esercitazioni o altra attività didattica, come risulta dal Calendario delle Lezioni, affisso nella Bacheca della Facoltà;
– il quotidiano “La Repubblica” del 22 ottobre 2009, con un articolo del giornalista Marco Pasqua – che estrapolava parole e frasi dal loro contesto, estratte, a loro volta, da alcuni Blog personali a cui dedico il mio tempo libero – mi accusava arbitrariamente di “negazionismo”, sbattendomi in prima pagina, come il classico e proverbiale “mostro” da additare al pubblico ludibrio;
– il prof. F. L. veniva nominato dal Rettore quale Relatore, per raccogliere le mie dichiarazioni in merito ad un quesito di addebito, dove mi si chiedeva: «(…) di confermare o smentire quanto riportato dal giornale “La Repubblica” del 22 ottobre, in particolare relativamente all’avere o meno Ella tenuto lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica»;
– ho immediatamente e tempestivamente inviato categorica smentita a “La Repubblica”, e p. c. al Rettore, prima ancora che mi giungesse la Nota di addebito;
– i miei legali hanno già promosso azione civile, contro il direttore de “La Repubblica”, sig. Ezio Mauro, e contro il giornalista sig. Marco Pasqua, che si allega in copia (v. All. n° 3);
– il “caso” in specie è da me considerato altamente diffamatorio, nonché inteso e percepito come emblematico dell’esistenza o meno in Italia della libertà di pensiero, delle garanzie costituzionali, della democrazia;
La presente Memoria è costituita e raccolta in tre Parti:

1. nella Prima, svolgo argomentazioni relative all’addebito di inizio e prosecuzione del Procedimento;

2. nella Seconda, mi concentro sulla Relazione del prof. L., estraneo alla Cattedra di Filosofia del diritto, nonché sugli allegati al Fascicolo;

3. nella Terza parte, allego il testo della Querela penale contro “La Repubblica”, di cui non ho ancora deciso la presentazione, in aggiunta all’azione civile. Ritengo però che il testo di detta Querela penale sia, in ogni caso, ben descrittivo del fatto e possa quindi essere utilmente allegato come parte Terza di questa Memoria.

Top.

– della Risposta al quesito di addebito, dove confermo di non avere tenuto mai Lezioni universitarie sull’olocausto e si pongono questioni procedurali sulla possibilità e sul diritto di difesa; in ottobre 2009 non svolgevo nessun corso;
– delle controdeduzioni nelle quali sostengo che il Relatore avrebbe dovuto mantenersi entro i limiti del mandato ricevuto e non invece introdurre surrettiziamente o suggestivamente suoi personali e soggettivi giudizi, peraltro infondati in fatto e in diritto, senza che siffatte ricostruzioni siano mai state nelle dovute forme notificate e contestate all’interessato, impossibilitato a difendersi. Ciò ha dato luogo ad una specie di processo inquisitorio segreto, contrario al nostro ordinamento giuridico, dove vengono sottolineate e sindacate mere opinioni, estrapolate dal loro contesto e ricostruite in violazione dell’art. 21 della costituzione.
Alterazione filologica e semantica dell’espressione “cosiddetto olocausto”, erroneamente a me attribuita. Disamina di altre espressioni estrapolate e distaccate dal loro contesto. Né l’inizio né la prosecuzione del procedimento disciplinare ha fondamento alcuno, né in fatto né in diritto.
– Querela penale a “La Repubblica” e/o azione civile per creazione e diffusione di notizie false a scopo diffamatorio.
PARTE PRIMA
Risposta al quesito rettorale

1°) A seguito di un articolo apparso su “La Repubblica” del 22 ottobre 2009 ricevevo per email la Nota di addebito rettorale (v. All. n° 1) con la quale mi si chiedeva se io avessi tenuto lezioni sull’olocausto all’Università, negandone o meno la veridicità storica. Mi veniva fissato il termine del 31 ottobre 2009 per rispondere al quesito e veniva nominato il prof. L. come Relatore delle mie dichiarazioni riguardanti l’addebito. In verità, in ottobre, io non svolgevo nessuna attività didattica, essendo il mio corso di filosofia del diritto (vedi il relativo programma allegato agli atti del procedimento: qui All. n° 5) terminato nel mese di maggio 2009, ossia nel semestre precedente. Non ero neppure all’università nei giorni in cui secondo “La Repubblica” vi sarebbe stato uno “shock” come conseguenza di mie inesistenti lezioni. Anche i giornalisti che mi avvicinavano, cogliendomi di sorpresa, potevano farlo solo presso la mia abitazione o al mio telefono privato, non avendo io in quei giorni impegni di nessun genere all’università. Dal Calendario delle Lezioni affisso nella Bacheca della Facoltà risulta in modo inconfutabile che io in ottobre non potevo assolutamente svolgere quelle Lezioni che da “La Repubblica” mi venivano soggettivamente ed arbitrariamente attribuite e che altri organi, suivers, si sono permessi il lusso di ripercuotere sul “mercato”, acriticamente e pedissequamente.

2°) Per quanto è stato già esposto nella mia formale risposta al Rettore (vedi All. n° 2) e per quanto qui nuovamente si espone, letti gli artt. 3, 21, 33 e 49 della Costituzione italiana, nonché l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, dichiaro di essere stato oggetto di una gratuita ed arbitraria campagna di discriminazione, persecuzione e diffamazione ispirata da una soggettiva e infondata orchestrazione di stampa, alla quale vari soggetti, in buona o in cattiva fede, si sono associati. Una prima denuncia penale è già stata da me presentata alla Procura della Repubblica e portata a conoscenza del Rettore e già agli Atti (v. Fascicolo Procedimento). I miei legali hanno già avuto da me incarico per tutte le altre azioni penali e/o civili di cui rigorosamente valutino esservene gli estremi. Contestualmente a questo procedimento disciplinare è ora promossa azione civile contro il quotidiano “La Repubblica” (v. All. n° 3). Si allega copia degli atti. Insomma, visto il meschino e disonorevole trattamento che mi è stato fino ad ora riservato, ho l’impressione di vivere tutta un’assurda ed orwelliana faccenda, di cui vado progressivamente ricostruendo la trama. Si fa presente, inoltre, che molte delle seguenti controdeduzioni vertono su fatti non riconducibili alla contestazione degli addebiti e quindi esulanti dal tema del presente procedimento disciplinare. Pertanto, vengono trattati solo per completezza e non perché riguardino il contesto giuridicamente rilevante.

3°) Avendo risposto al semplice quesito rettorale (All. n° 2), cioè di non aver io mai tenuto lezioni all’Università sull’olocausto né in ottobre del corrente anno 2009 – come falsamente attribuitomi da “La Repubblica” – né mai nei passati anni accademici, come può riscontrasi chiamando, come testimonio, la prof. T. S., titolare della cattedra di Filosofia del diritto, ritenevo concluso già al suo inizio il procedimento di addebito. Invece, con mio sommo stupore, trovo una sua prosecuzione con richiesta di mia sospensione dall’ufficio e dallo stipendio sulla base di «elementi» che mai – in nessuna occasione – mi sono stati sottoposti, né specificati né addebitati. Mi trovo, pertanto, nella condizione di non potermi difendere, non sapendo a quali precise imputazioni io debba rispondere.

4°) Ad ogni buon conto, non volendo lasciare nulla di intentato per la mia difesa, intervengo con controdeduzioni su «elementi» – estranei alla Nota di addebito a me pervenuta – che mi sembra di ravvisare tanto nella Relazione del prof. L. quanto nel Fascicolo consegnato dal Rettorato al Consiglio di Disciplina. Pur avendone fatto copia, ed avendolo nel frattempo studiato, non riesco a cogliere la pertinenza e la logica di ogni singolo allegato, se posto in relazione al solo addebito al quale mi è stato chiesto di rispondere e sul quale dovermi difendere, cioè: l’avere io tenuto o meno Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica. Un quesito consistente in due parti e momenti logici: a) l’esistenza di siffatte lezioni; b) la veridicità storica dell’evento evocato, che mi si sarebbe chiesto eventualmente di dimostrare scientificamente. Non essendosi mai verificato il momento a, logica vuole che non sussista il successivo momento b. A meno che non si intenda entrare nella mia sfera privata e chiedermi di giustificare, in sede disciplinare, mie personali e private opinioni, per giunta da altri travisate e falsificate. Non mi sembra però che un Consiglio di Disciplina sia la sede adatta per dibattere opinioni tutelate dall’art. 21 della Costituzione. Sono tuttavia disposto a rispondere a qualsiasi domanda mi si voglia fare.
5°) Le opinioni politiche e dottrinali a me attribuite, falsamente interpretate e costruite, rientrano in ogni caso nell’ambito degli artt. 21 e 33 della Costituzione italiana, oltre ad essere comprese nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, come pure nell’ambito dell’art. 49, il mio specifico diritto alla “critica politica”. Siffatte opinioni, in ogni caso, non sono mai state oggetto del mio insegnamento universitario. Pur essendo stato sempre autonomo nelle mie ricerche e nei miei studi scientifici, per quanto riguarda la mia posizione in Facoltà, il contenuto delle mie lezioni, oltre che il mio comportamento agli esami e la correttezza nei confronti degli studenti posso chiamare a testimoniare la già citata prof.ssa T. S., titolare dell’insegnamento di filosofia del diritto. Benché abbia incessantemente chiesto spiegazioni sulla natura dell’addebito che mi veniva contestato, non ho mai ottenuto i richiesti chiarimenti. Orbene, delle mere opinioni, quali che siano, non possono in quanto tali ledere la «dignità» e l’«onore» di un professore. Una simile lesione può ascriversi solo ad una concreta e provata condotta. Non mi è stata però mai contestata, e non poteva essere altrimenti, nessuna condotta che potesse ledere il mio stesso «onore» e «dignità» – per giunta che verrebbe autolesionisticamente da me stesso leso – né dentro, né fuori, l’università. Il pensiero è l’espressione più autentica del nostro essere. La nostra coscienza morale ci consente inoltre di sentire quando adottiamo una condotta che concreti un fare disonorevole e non dignitoso. Ma nessun essere pensante considera disonorevole e non dignitoso il suo stesso pensiero. Proprio perché è l’espressione più autentica del nostro essere, la Costituzione tutela il pensiero e la sua libertà, e così facendo tutela l’essere stesso che era già stato richiamato nell’art. 3. Solo un altro che ci sia apertamente “nemico” può considerare disonorevole e non dignitoso il nostro pensiero, cioè noi stessi. Ma questa, è proprio una delle innumerevoli forme subdole di razzismo e/o di discriminazione che si annidano nella nostra società e che sempre riemergono, anche quando si dice di voler combattere e reprimere il razzismo e la discriminazione. Era proprio questo concetto – ossia la denuncia e la condanna di un razzismo immanente nelle società e perfino in noi stessi – che io avevo inteso esprimere in uno dei miei testi studiatamente manipolati dal quotidiano “La Repubblica”.

6°) Per quanto sopra detto, ritengo perciò infondato e immotivato, sia l’inizio della procedura di addebito, sia la sua prosecuzione. In effetti, come si legge in Pascal – nella Prima lettera delle “Provinciali” – non esiste qui né il fatto né il diritto.

PARTE SECONDA
Controdeduzioni alla Relazione del prof. L.
e ai documenti da lui allegati
– Sulle mie presunte “posizioni personali” –

7°) Nella parte “conclusiva” della sua Relazione il prof. L. mi attribuisce la paternità dell’espressione «cosiddetto olocausto», utilizzando impropriamente una mia email del 25 ottobre 2009, a lui inviata al mero scopo di illustrare le falsificazioni de “La Repubblica”. Non certo avrei inviato quella lettera al prof. L. perché mi venisse ritorta contro. Lo stesso testo compare peraltro in un più ampio articolo esplicativo (vedi qui mio allegato n° 8) che allo stesso scopo avevo prodotto presso la Segreteria del Rettore, oltre l’esiguo termine di una settimana concessomi per rispondere al quesito di addebito. Stranamente, il prof. L. non coglie tuttavia l’elemento scriminante del testo pur da lui riportato (“non intendevo negare alcunché”) e privilegia invece di significati oscuri e ambigui la mera espressione “cosiddetto olocausto”, la cui paternità risale ad un fiero avversario di negazionisti, che – per motivate ragioni – scriveva ostinatamente “cosiddetto olocausto”. Ma di ciò più avanti. Se la mia lettera sopra citata, del 25 ottobre, non era assolutamente da allegare, per il senso attribuito, si omette invece, stranamente, qualsiasi menzione ad altra lettera, al ‘Corriere della Sera, da me espressamente allegata nella risposta formale all’addebito, e dove si trova la esatta frase, estratta qui dal contesto di una lettera cautelativa (v. All. n° 2 ):
“Non sono un negazionista”.
Insomma, si preferisce evidenziare, in uno stesso identico contesto, ciò che mi condanna e non ciò che mi assolve: in dubio contra reum? Questa indebita e sorprendente falsa attribuzione (“cosiddetto olocausto”) sembra qui rivestire particolare gravità per la luce che proietta e per ciò che forse vorrebbe lasciar intendere, quasi un segnale di riconoscimento, uno “scibboleth”. Il prof. L. scrive testualmente:
«(…) di quello che da lui viene definito “cosiddetto olocausto”»;
laddove nel mio testo, da lui stesso allegato, si legge invece esattamente:
«Per l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar»,
la cui autorevole posizione (All. n° 4) era stata, tre anni fa, riportata da me per un’analisi teologico-politica in un contesto extra-universitario alquanto ampio. Orbene, secondo il mio modo di intendere e praticare la lingua italiana, in nessun modo si può evincere che l’espressione «cosiddetto olocausto» sia mia e non invece dello stesso storico ebreo Sion Segre Amar, da me citato per commentare il senso della sua, e non mia, espressione linguistica (All. n° 4). Questo sintetico rinvio, formulato anni addietro all’interno di un’aspra polemica che ebbe ricadute in numerose lettere – di cui due mie – pubblicate dal quotidiano “La Stampa”, non è stato – dal prof. L. – a me contestato nei colloqui intercorsi. Se lo avesse fatto, avrei potuto immediatamente chiarirgli quanto qui cerco di fare nel modo più sintetico possibile.


8°) Lo storico ebreo Sion Segre Amar, morto anni or sono, a me risulta essere stato un ebreo eminente, assai autorevole ed organico all’interno della comunità ebraica torinese. Proprio lui criticava severamente l’uso del termine «olocausto» per indicare l’evento storico qui in oggetto. Si legga il testo allegato (v. All. n° 4) di un suo articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” il 3 maggio 1994. In quell’articolo, infatti, Sion Segre Amar si lamentava della connotazione religiosa del termine, di cui – essendo ormai invalso l’uso – si peritava di scrivere «cosiddetto olocausto», ogni volta che si fosse trovato a doverne trattare. Mentre mi sono sempre astenuto dal merito della fenomenologia storica dell’evento, non avendo io specifiche competenze disciplinari e fatta salva l’indiscussa pietà per le vittime, rientravano – nella circostanza data e delimitata – invece nelle mie competenze e nei miei interessi intellettuali, gli aspetti di teologia politica connessi all’uso del termine, avendo io tradotto e prefato il volume “Teologia Politica II”, di Carl Schmitt. Un autore del quale – dice il prof. L. – «essere io uno dei maggiori cultori in Italia». Sembra che le osservazioni dello storico ebreo Sion Segre Amar siano state accolte all’interno dello stesso mondo ebraico e si vada progressivamente sostituendo al termine «olocausto» quello di «Shoah», che non è la semplice traduzione del primo. Sul concetto di “Shoah” cito al riguardo fugacemente il libro di Avraham Burg, già ai vertici mondiali della politica e dell’associazionismo ebraico. Egli critica peraltro il rilievo eccessivo dato alla Shoah e ad Auschwitz nella politica e nel sistema educativo dello Stato di Israele. Per non citare, poi, sullo stesso tema le posizioni eterodosse di un Gilad Atzmon o di un Norman G. Finkelstein, entrambi note personalità del mondo ebraico, che non è tutto monolitico in merito al sionismo e alla Shoah, come è ben illustrato da altro studioso ebreo di nome Yakov M. Rabkin ovvero rappresentato dagli haredim di Neturei Karta.

9°) Poco prima, nel suo testo, il prof. L. riferisce circa le mie “curiosità intellettuali”, facendomi pensare – nel leggere la sua relazione – all’accezione che il termine “curiosità” ha nella giurisprudenza penale, dove mi pare che sia spesso sinonimo di “frivolezza” e sia visto negativamente. In filosofia, però, il termine “curiosità”, non è sinonimo di “frivolezza”, almeno nelle intenzioni e nella comune accezione mia e del compianto Antimo Negri, annoverato fra i maggiori filosofi italiani contemporanei. Trattasi pur sempre per il mio testo, quello riportato dal prof. L., di una bozza abbandonata e dimenticata da anni, per la quale non avrei mai e poi mai immaginato sarebbe finita in un processo inquisitorio. Tuttavia, essendo io “filosofo”, e non un giurista penalista, il tema della “curiosità” era oggetto di conversazione nelle passeggiate che facevamo con Antimo Negri, mio compianto amico, morto da qualche anno. Ricercando i fondamenti della filosofia, il suo momento di nascita nell’antica Grecia, convenivamo che esso dovesse individuarsi nella “curiosità intellettuale” che è all’origine di ogni ricerca, di ogni sapere, di ogni filosofia. Dunque, il termine “curiosità” in filosofia non è sinonimo di “frivolezza”, almeno per me e per Antimo Negri. La letteratura sulla “curiosità” in filosofia è sterminata.

10°) Stupisce, invece, che dal mio testo in questione, pur allegato dal Relatore, non sia stata neppure menzionata quella espressione che era più direttamente attinente e dirimente il tema evocato dal quesito di addebito. Infatti, si può leggere:
«(…) i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché…».
Lo stesso concetto – non essere io un “negazionista” – ricorre poi più volte nel contesto dello stesso ampio articolo, da cui il brano era estratto. Se l’addebito voleva essere quello di “negazionismo” (del resto, non previsto, sotto nessuna forma dal codice penale), non poteva esservi affermazione più scriminante! Il verbo all’imperfetto si riferiva alle delucidazioni fornite nel corso di un’acre polemica, avviata l’anno precedente da una testata militante. Già allora, sotto l’indicazione del mio titolo, di cui non è stato letto altro (solo il titolo… Peraltro contraffacendolo!), era contenuta la piena solidarietà con le vittime, tutte le vittime, con piena condivisione dei valori costituzionali richiamati dall’art. 3 della nostra Costituzione e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Il post era una semplice raccolta di links che venivano da me descritti e commentati. Uno di questi, se ben ricordo, si riferiva al caso di un Ministro tedesco della Giustizia: una donna, che veniva subito dimissionata, per aver affermato che George W. Bush, scatenando – lui – una guerra preventiva, non si era comportato diversamente da Hitler. Occasionalmente, osservo che il titolo de “La Repubblica” è un clamoroso ed ingiustificabile falso, non esistendo – in nessuna parte delle migliaia e migliaia di miei testi in rete – la frase: «L’olocausto è una leggenda», dove per leggenda il giornalista Marco Pasqua (“La Repubblica”) intende e lascia intendere che l’evento storico evocato «non esiste». Assolutamente non è così che ho io inteso e non è questo il senso che ho dato al termine “leggenda”, chiarito poi come “mito” e soprattutto collegato ad un tema dibattuto in Germania e posto da un Ministro tedesco circa l’uso di Auschwitz come “mito” fondativo della Repubblica federale tedesca. Questo tema era sottinteso, ma non fu sviluppato. A riprova della scorrettezza e della malafede dell’articolista de “La Repubblica” sarebbe stato sufficiente che quest’ultimo avesse letto poche righe sotto il titolo, da lui fotograficamente riportato, per avere la testuale sconfessione delle sue medesime e gratuite affermazioni. Certo, non potevo immaginare che un’aspra polemica sarebbe stata ripresa tre anni dopo, facendone riferimento a presunte mie lezioni mai avvenute, e posta al centro di una studiata orchestrazione di stampa. È un distinto problema da valutare, se ad un ricercatore – non in quanto tale ma nella sua veste di privato cittadino – sia inibito l’uso privato, all’interno della sua abitazione, delle moderne tecnologie informatiche di comunicazione. Infatti, il mio uso della rete – qui contemplato – è una faccenda del tutto privata che, in nessun modo, rientra o interferisce con la mia attività universitaria. Potrei fare un lungo elenco di docenti italiani e stranieri che dispongono di una loro pagina privata sul web, senza entrare nel merito dei loro contenuti. Lo stesso giornalista Marco Pasqua, quando non scrive su “Repubblica”, ha un suo proprio blog, dove non fa certo mistero delle posizioni politiche che gli sono proprie, e che egli reputa – evidentemente – insindacabili, e tali da non poter essere criticate.

11°) Come già per altri termini da me usati, il Relatore, prof. L., sembra suggestivamente caricare di negatività l’uso dell’espressione

«semplice ‘sterminio’ di popolazioni…»,

dove, per fortuna, gli apicetti dovrebbero essere originali miei, quasi lasciando tacitamente intendere che, per me, uno ‘sterminio’ ovvero un genocidio non sia qualcosa di estremamente grave, il più grave di tutti i possibili crimini. Probabilmente l’espressione è infelice, ma non potevo immaginare che sarebbe poi finita, anni dopo, in un fascicolo investigativo. Se l’espressione può essere infelice, ho però bene in mente cosa intendevo effettivamente dire. Nella mia biblioteca si trova un libro dal titolo: Il secolo dei genocidi, dove è fatto un elenco ed una tipologia dei genocidi registrati come tali in tutta la storia del Novecento. Conosco anche un altro titolo che fa la storia dei massacri e dei genocidi durante gli ultimi 2000 anni. Per fare solo alcuni esempi, recenti, lo storico Ilan Pappe spiega in un suo libro, che sta suscitando forti reazioni in tutto il mondo, “La pulizia etnica della Palestina”, avvenuta nel 1948, che la “pulizia etnica” è equiparata nella più recente legislazione internazionale ad un vero e proprio “genocidio”, che chiaramente si distingue dallo “sterminio”: cioè, dalla semplice uccisione di popolazioni mediante uso di armi convenzionali. Altro esempio, indicato dalla normativa ONU come forma di “genocidio” è la decapitazione delle classi dirigenti di un popolo mediante uccisione mirata e sistematica di tutti i suoi capi e leaders. Per non parlare, poi, della più recente ricerca in campo militare biologico, dove sulla base della mappatura del genoma, sembra si stiano individuando virus patogeni che dovrebbero selettivamente colpire determinate etnie, escludendo le altre. Si potrebbe perfino concludere che il “genocidio semplice”, mediante ‘sterminio’ fisico, difficile da occultare, è sempre meno praticato, preferendosi altre forme più discrete ed al riparo dall’attenzione dei media (controllabili) e soprattutto dalla reazione della comune coscienza morale: morte per fame e malnutrizione (oltre due miliardi di persone, nel mondo), malattie e mancato soccorso medico, epidemie procurate, avvelenamento e contaminazione dell’ambiente, pulizia etnica, decimazione e decapitazione di gruppi etnici, ecc. È di questi giorni la notizia che in Gaza come conseguenza della contaminazione ambientale dell’operazione “Piombo fuso”, giusto un anno fa, si siano già registrate le prime nascite di bambini deformi o affetti da tumori. Se sopravviveranno, porteranno per tutta la vita le stimmate di un ‘genocidio’ che non potrei certo considerare ‘semplice’ e che non so come altrimenti definire, mancando nel lessico corrente un’espressione standardizzata. Ma qui soprattutto si tratta di una divisione delle coscienze su un fatto storico contemporaneo della nostra quotidianità, dove con tutta la sua forza bruta agisce la politica, volta a condizionare l’opinione e la formazione della coscienza morale.

12°) Orbene, astraendo da qualsiasi contesto di luogo e di tempo, per non so quali fini, il Relatore prof. L. introduce l’espressione «semplice ‘sterminio’», di cui nessun accenno è stato fatto nelle nostre conversazioni e di cui non posso determinare il senso che lui voglia dare. Lo stesso dicasi per tutte le altre espressioni, artatamente riprese dai miei blogs personali, e caricate di oscuri e sinistri significati, ma senza che esse mi siano mai state direttamente ed esplicitamente contestate.

13°) Riguardo al mio pensiero, sarei nondimeno lieto di poter discutere le mie modeste opinioni con chiunque ritenga che esse meritino attenzione: possibilmente, non in una sede disciplinare. Ma, nella sua specifica funzione di Relatore, il prof. L. – incaricato soltanto di accertare l’addebito rettorale in merito al fatto se io avessi o non tenuto Lezioni sull’olocausto all’Università – non mi ha tuttavia contestato nessuna mia opinione, che fuori dell’ambito dell’art. 21 della Costituzione, possa costituire uno specifico ed ulteriore titolo di addebito, peraltro mai specificato. Pertanto, appaiono illazioni, tanto gratuite quanto infondate, le ricostruzioni sulle mie «posizioni personali», chiaramente diverse e antitetiche, sul piano politico, a quelle del prof. L.. È infine sorprendente che il Relatore, più di me esperto di internet, non abbia individuato il brano, da lui riportato, in tutto il suo contesto di un articolo molto più ampio, presente in rete da circa tre anni, e di cui mi ero perfino dimenticato. Non avrebbe dovuto dar credito al quotidiano “La Repubblica” – per opera di un suo giornalista, politicamente schierato – interessato a realizzare il suo “scoop” scandalistico, a danno di un suo avversario. Leggendo il mio articolo nella sua interezza, infatti, vengono meno tutte le congetture sollevate dal Relatore, ed appare plausibile quel “dibattito” (su un blog personale), a cui il titolo espressamente rinviava.

14°) Nella documentazione allegata al Procedimento (qui, All. n° 8) – non tanto per illustrare la risposta al semplice quesito di addebito, risolvibile con un semplice “si” o “no”, ma quanto per offrire un esempio di stralcio di «posizione personale», si trova del materiale pubblicitario riguardante una campagna internazionale di boicottaggio dello Stato di Israele, sul modello di una prassi, non violenta, già in uso nella vittoriosa campagna contro il regime di Apartheid sudafricano. Un siffatto materiale non è per nulla pertinente alla Nota di addebito e si tratta di etichette adesive pubblicitarie illustrative di alcuni articoli del blog. Altro materiale allegato è del pari non pertinente e sarebbe qui macchinoso doverne trattare analiticamente.

15°) Trovo invece strumentale che nella individuazione e descrizione di una mia presunta «posizione personale» venga totalmente omesso, nessuno accenno sia fatto, alla «posizione personale» effettivamente da me espressa e caratterizzante nel caso addebitatomi, e cioè: mentre mi dichiaro estraneo ed incompetente in merito al «cosiddetto negazionismo», esprimo e rivendico invece, in qualità di filosofo del diritto – oltre che come cittadino – il mio attivismo per la strenua difesa del principio costituzionale della libertà di pensiero e di ricerca, che occorre riconoscere, incominciando dai più deboli e meno protetti. Avevo perfino quantificato in circa 15.000 il numero delle persone che nella sola Germania ogni anno vengono perseguiti penalmente per meri reati di opinione, contrari alla lettera e allo spirito, non solo della nostra Costituzione (art. 21), ma anche alla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e alla stessa Carta europea dei diritti. Di questa mia «posizione personale», più volte da me evidenziata e pubblicamente espressa, non è fatto nessun cenno dal Relatore prof. L., che si è limitato, purtroppo, ad assecondare una campagna di stampa arbitraria e diffamatoria contro la mia persona senza che vengano mai riportate le mie smentite e le mie precisazioni. Secondo un “copione” ben collaudato, è risaputo che la strategia ordinariamente seguita da questo genere di diffamatori, tenta di collocare l’accusato di turno (cioè, me) su un piano del discorso che essi stessi hanno scelto (cioè, il “negazionismo”), obbligando il loro interlocutore a stare necessariamente sulla difensiva. Il piano di discorso che io, da almeno tre anni, tento di intavolare, è invece un’altro: la difesa del principio della libertà di pensiero, sempre e comunque. Che io non sia o almeno non mi dichiari un “negazionista” – termine moderno per indicare la «strega», l’«eretico», l’«untore», etc. – è stato detto, tre anni fa, in modo inequivocabile, almeno due volte nel testo internet che il prof. L. ed i falsificatori de “La Repubblica” – quotidiano contro il quale promuovo contestualmente azione legale – pur citano, senza leggere (un caso?) le righe seguenti e i paragrafi successivi che contraddicono e sconfessano quanto pretendono di attribuirmi. In altre parole, si altera il senso di mie frasi testuali e si tace del tutto la problematica che avevo inteso porre ed evidenziare: cioè, il grande pericolo che incombe in Europa ed ora, anche in Italia, sulla libertà di pensiero.

16°) Riguardo la mia collocazione non sul piano del “negazionismo” – dove artatamente ed abusivamente mi si vuole inserire – ma su quello della tutela della libertà di pensiero si trova nel fascicolo rettorale una corrispondenza (qui al mio All. n° 8) di cui non è chiarito per nulla il senso. Non si comprende perché stia nel fascicolo e non è data nessuna spiegazione. Non è neppure chiaro da chi sia stata allegata e perché. Tocca perciò a me darne qui una spiegazione. Terminata la presidenza di facoltà del prof. L. ed iniziata qualche anno fa quella del prof. Rossi, mi ero io fatto promotore di una proposta associativa universitaria nazionale ed europea con sede presso la Facoltà di Scienze Politiche. Essa, riunendo personalità rappresentative, avrebbe dovuto occuparsi di un costante monitoraggio italiano ed europeo e quindi di iniziative a tutela della libertà di pensiero. Il tentativo, fortunatamente abortito, da parte del ministro Mastella di introdurre anche in Italia la legislazione tedesca, aveva lasciato non poche preoccupazioni in me e in parecchi altri colleghi. Avevo informalmente accennato la cosa al nuovo preside che non era ostile all’idea, pur ponendo qualche condizione operativa. Non avevo potuto però avanzare nella realizzazione del progetto, gravato com’ero dagli ordinari impegni. Paradossalmente, proprio l’orchestrazione di stampa, messa in piedi contro di me, su un inesistente caso di “negazionismo”, aveva creato una certa pubblicità ed erano giunte adesioni e sostegni che mi avevano fatto ripensare a questo precedente progetto, oggi più attuale che mai. Da varie università italiane, dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna e da altri Paesi si è manifestata una sensibilità al problema e pure avvertita la necessità di fare qualcosa. È a tutti perfettamente chiaro che non si tratta qui di “negazionismo”, ma di difesa della libertà di pensiero, certamente minacciata e in serio pericolo. Voglio sperare che – come si suol dire – non tutto il male venga per nuocere, e cioè: concluso al più presto il presente procedimento disciplinare, acclarata la mia assoluta innocenza rispetto all’addebito e ad ogni altra insinuazione, possa prendere corpo ed impulso quella che era finora solo un’idea in gestazione. E che sia proprio l’Università di Roma La Sapienza e la Facoltà di Scienze Politiche a farsi promotrice e sede istituzionale di una grande aggregazione europea per il Monitoraggio costante e la Difesa della libertà di pensiero e di ricerca in tutti i luoghi dove essa appare violata o minacciata. La corrispondenza intercettata ed allegata al fascicolo rettorale aveva ed ha questo senso e nessun altro: creare una mobilitazione in difesa dei valori costituzionali contenuti nell’art. 21 della costituzione. È probabile che in un clima di caccia alle streghe vi sia stato qualche malinteso, del tutto ingiustificato.

17°) Per riassumere e per una migliore intelligenza del mio testo, che è stato allegato al suo rapporto dallo stesso prof. L., trovo utile riportarne integralmente il contenuto, per poi ricapitolarne la manipolazione messa in atto da “La Repubblica”. Così recita il breve testo che è stato successivamente e completamente stravolto, nel suo senso letterale, dal giornalista Pasqua de “La Repubblica”:
«Il tema del “cosiddetto olocausto” era per me poco più di una curiosità intellettuale, ma dopo gli incredibili attentati alle libertà democratiche a proposito del caso teramano, che è soltanto un fatto di provincia, diventa per me un obbligo morale conoscere in modo diretto tutta quella letteratura che è stata posta sotto divieto da una ben individuabile lobby.
Per l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar, ma i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché: sulla semplice espressione linguistica si è costruita un’incredibile polemica da caccia alle streghe finita su uno dei maggiori quotidiani d’Italia!
Le mie espressioni esprimevano soltanto l’incomprensibilità linguistica e storica di un termine a valenza religiosa e la mia riluttanza e fastidio ad utilizzarlo per definire un semplice “sterminio” di popolazioni, ammesso che vi sia stato. Non immaginavo le reazioni che avrei scatenato. Invece “leggenda” vuole alludere ad un misto di verità confuso con falsità e soprattutto strumentalizzazioni. Potrei anche usare l’espressione “mito” nel senso soreliano. Infatti, non mi pare dubbio che sull’olocausto il neo stato d’Israele abbia inteso fabbricare il suo mito fondativo. Ed i miti, si sa, non bisogna toccarli e disturbarli».
Il testo sopra riportato si trova nel corpo di uno degli oltre 1300 articoli di cui consistono i due blogs qui citati, su circa una trentina complessivi, e in quel contesto vanno interpretati. L’articolista de “La Repubblica” si è esclusivamente limitato a citarne il titolo: «La leggenda dell’olocausto: riapertura di un dibattito» senza minimamente darsi la cura di leggere ciò che sotto quel titolo era scritto. Non soddisfatto di ciò, ha alterato il mio titolo che è diventato per “La Repubblica”: «L’olocausto è una leggenda», titolo che è un vero e proprio falso, che si accompagna ad altro falso: “shock alla Sapienza”, uno shock, in realtà, creato ad hoc dallo stesso quotidiano, non esistendo né il giorno prima né mai nessuno “shock” come conseguenza delle mie lezioni, che peraltro – come ho già accennato – non erano in corso durante il mese di ottobre, ma erano terminate, in maggio, nel semestre precedente. Una simile titolazione altera il senso inequivocabile di quanto da me scritto poco sotto il titolo anni prima: i miei «intendimenti non erano di “negare” alcunché», richiamando una vecchia polemica già intentata circa tre anni or sono da una veemente, volgare e faziosissima testata della Rete, nel cui archivio ha attinto il giornalista Marco Pasqua, che scrive anche su “La Repubblica”, ma che ha – nella Rete stessa – una sua ben individuabile appartenenza e militanza politica. Questa testata è stata da me monitorata da quando avevano incominciato ad attaccarmi, proprio sul solo titolo in questione, senza neppure curarsi di leggere ciò che sotto il titolo era scritto. Nessuno degli storici revisionisti, che io sappia, nega l’esistenza della tragedia dei campi di concentramento. Gli aspetti storiografici controversi, mi pare, riguardano singole problematiche, su cui non ritengo di dilungarmi in questa sede. Ma a parte il merito delle questioni storiche, la mia annunciata escursione di testi revisionisti aveva uno scopo preminente: stabilire se l’avere scritto dei meri testi di critica storica poteva meritare la prigione, oltre che la “gogna”, ai loro autori. La mia conclusione è che l’attività di critica storica di eventi, ogni anno sempre più remoti, rientra perfettamente nell’attività lecita e costituzionalmente garantita dagli artt. 21 e 33 della nostra Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, dalla Carta europea. Orbene, allo stesso modo in cui “La Repubblica” si è inventata di sana piana l’espressione a me attribuita «L’olocausto è una leggenda», suscita pure ambiguità l’espressione «cosiddetto olocausto», di cui nella Relazione. Se il prof. L. mi avesse reso edotto prima, gli avrei mandato l’articolo di Sion Segre Amar, pur presente nel mio blog e dove era chiarito il senso del termine. Del resto, l’espressione in sé è filologicamente neutra ed io mai avrei immaginato di doverne rispondere in una sorta di processo alle intenzioni. In altra epoca, un Censore disse della «Divina Commedia» – non avendo letto altro che il titolo – che trattavasi di blasfemia facendosi “commedia” di cose “divine”.

18°) Secondo la migliore giurisprudenza – rinvio al “caso” francese di Edgar Morin, sul quale non posso attardarmi – il senso di un pensiero si deve ricostruire in tutto il suo contesto. La maggior parte degli oltre miei 1300 post, rimasti spesso allo stato di bozze abbandonate, nei soli due blog personali citati, concernono soprattutto la problematica della libertà di pensiero in tutte le situazioni concrete in cui essa appare minacciata e/o conculcata. In sostanza, esprimo le mie opinioni politiche in libertà e senza timori, fiducioso nella solidità della nostra democrazia. E, come militante politico, ho inteso esercitare uno specifico e aggiuntivo diritto di critica politica. Atteso il mandato da lui ricevuto per la verifica dell’addebito (“aver o non aver tenuto Lezioni...”) non riesco a capire la pertinenza del materiale da lui allegato. Ad esempio, quello relativo ad un articolo da me ripreso da un organo di stampa e, quindi, commentato, dove si parla di clandestini provenienti dal Sudan che vengono non “accolti” alla frontiera di Israele, ma uccisi a fucilate – sia pure da Egiziani – e seppelliti davanti ad un cimitero israeliano. Il fatto è stato da me commentato, certamente con indignazione, ma non capisco proprio perché il prof. L. abbia pensato di allegare al fascicolo quel mio testo. Rilevo con forza come ciò non sia pertinente con il suo mandato di verifica dell’addebito: “avere o non avere io tenuto Lezioni sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica”.
PQM

Per questi motivi, sopra sommariamente elencati, ritengo accettabile la Relazione del prof. L. solo nella parte in cui si limita a riferire in merito al quesito posto dall’addebito rettorale, e cioè nella constatazione del non aver mai io tenuto lezioni agli studenti in materia di olocausto, atteso che bastava leggere il calendario dei corsi per constatare che in ottobre io non svolgevo nessuna attività didattica; mentre ritengo inaccettabile e inammissibile la parte dove egli, in modo erroneo, non vero e inattendibile, descrive mie «posizioni personali». In particolare, è totalmente erronea, infondata, non pertinente l’attribuzione dell’espressione «cosiddetto olocausto», a me attribuita, nonché la ricostruzione del senso di altre espressioni, totalmente sganciate dal loro specifico contesto. Ritengo, in fine, completamente infondato, in fatto e diritto, l’addebito a me mosso dal Rettore, al quale ero disponibile a dare tempestivi chiarimenti e rassicurazioni di ogni genere, qualora mi avesse semplicemente chiamato.

A riprova di quanto da me espresso, riguardo il contenuto dei miei corsi e delle mie lezioni, si potrebbero chiamare a testimoniare sia la già citata titolare della cattedra di Filosofia del diritto, prof. ord. T. S., sia i colleghi che nel corso degli anni hanno fatto parte delle commissioni di esami, sia gli studenti che si riescano a rintracciare. Con riserva finale lasciata ai miei legali – Avv. Teodoro Klitsche de la Grange e Avv. Aldo Costa – di rappresentare, riformulare e illustrare meglio in tutte le sedi competenti e opportune quanto da me qui espresso.
In fede
Antonio Caracciolo
Roma, 5 gennaio 2009
PARTE TERZA
Allegato del testo di querela penale
al giornalista Marco Pasqua e al Direttore Ezio Mauro

– Mi resta ancora da decidere, nei termini dei 90 giorni che decorrono dal 22 ottobre 2009, se sia opportuno aggiungere all’azione civile già avviata anche l’azione penale. Il presente testo è comunque utile per una descrizione dei fatti.

Al Commissariato di P.S.
presso l’Università di Roma “La Sapienza”

Oggetto: querela per creazione e diffusione di notizie false e tendenziose e di conseguenza, per diffamazione, contro il giornalista di Repubblica Marco Pasqua e contro il direttore Responsabile Ezio Mauro.

In data 22 ottobre 2009 usciva sul quotidiano a tiratura nazionale “La Repubblica”, in prima pagina e a pagina 25, un articolo (che si allega) di Marco Pasqua, che lo immette poi in rete, nel suo blog, facendolo circolare in numerosi siti.

In merito al suddetto articolo non è qui presentata querela contro le palesi falsificazioni e caricature del mio pensiero, ma è invece oggetto della presente querela il fatto che il Pasqua ascrive a contenuto delle mie lezioni all’università di Roma La Sapienza quanto da lui stesso e solo da lui artatamente ricostruito in assenza di ogni mio contesto e mio contradditorio.

In non ho mai detto ai miei studenti, o in sede universitaria, la frase virgolettata da Repubblica: “L’olocausto è una leggenda” né che «l’olocausto non esiste» né simili espressioni si trovano mai neppure scritte nei miei blogs pur citati da Pasqua. Anzi si trova il contrario.

Il giornalista Pasqua irride sul fatto che io abbia numerosi blogs privati, su un server e un sito che non è dell’università. Su oltre trenta blog ve n’è ad esempio uno di archivistica parrocchiale, dove vado digitalizzando l’anagrafe storica. Ebbene, la storia della parrocchia non è certo argomento delle mie lezioni di filosofia del diritto all’università di Roma La Sapienza! Ognuno di noi, fuori servizio, ha pieno diritto alla sua vita privata, dove può dedicarsi – se crede – tanto all’attività politica quanto al giardinaggio, all’archivistica, alla fotografia, alla storia locale, alla filosofia, etc.

Nella titolazione de “La Repubblica” si dice grottescamente che vi sarebbe stato uno «Shock alla Sapienza», intendendo e facendo intendere: a causa delle mie lezioni. Fino al giorno prima dell’uscita dell’articolo de “La Repubblica” alla Sapienza non vi era proprio nessuno “shock”; esso è stato creato ex nihilo, dal nulla, solamente da “La Repubblica” come conseguenza delle falsità pubblicate, diffuse, amplificate da una rete di complicità. Il grottesco è che io, in ottobre, non svolgevo nessuna attività didattica, essendosi il mio corso concluso nel mese di maggio, nel semestre precedente. Nei giorni dello “shock”, che sarebbe stato da me causato, non ero neppure presente all’università!

Che non sia solo un problema di titolazione, dovute al “titolista”, ma si tratti di opera dello stesso Pasqua lo si evince dalla frase testuale del suo articolo, dove egli scrive: «C’è da chiedersi, allora, se tra i suoi studenti… qualcuno si sia mai ribellato». Tra i miei studenti nessuno si è mai “ribellato” perché non hanno mai sentito da me le cose che il giornalista Pasqua mi ha attribuito. Non so che faccia abbia il Marco Pasqua, ma il suo nome non risulta dal registro dei miei studenti.

Non sono certamente miei studenti, ma suoi lettori, gli ignoti che sui muri della mia Facoltà hanno affisso manifesti istiganti al mio omicidio o a percosse. Ho già presentato al riguardo separata querela contro ignoti. Dal procedimento amministrativo, seguito dell’articolo del Pasqua, è subito emerso che da me non sono mai state fatte le Lezioni (olocausto, Priebke, leggi razziali, etc.) che Pasqua mi attribuisce. La malafede del Pasqua emerge dallo stesso articolo de “La Repubblica” dove è fotograficamente riportato parte di un mio blog privato il cui titolo esatto è: «La leggenda dell’olocausto: riapertura di un dibattito», risalente al 21 ottobre 2006.

Nella parte tagliata del suddetto testo, poche righe più sotto, è detto espressamente il contrario di quanto Pasqua riporta ed è spiegato anche il significato del termine “leggenda”. Il Pasqua in sostanza ha attinto all’archivio di un sito denominato «Informazione Corretta», con il quale vi era stata appunto nel 2006 una polemica extra-universitaria di cui, se occorre, riferirò ampiamente agli organi inquirenti.

Ripetesi: oggetto di questa querela non sono le falsificazioni e le manipolazioni del Pasqua, quali che siano, riguardo il mio pensiero politico e filosofico, ma il fatto che egli abbia indicato simili grossolane manipolazioni, proprie dello stesso Pasqua, come oggetto delle mie Lezioni, il cui contenuto è invece quello risultante dai programmi affissi nonché dai verbali di esame.

In altri termini, il Pasqua ricostruisce, falsificandole, mie private opinioni, in quanto tali peraltro lecite e protette dall’art. 21 della costituzione, opinioni espresse in blogs personali (“Club Tiberino” o nella Societas “Civium Libertas”), e ne fa oggetto del mio insegnamento universitario, quindi mi denigra non per le mie private opinioni, espresse privatamente ovvero in sede extrauniversitaria, ma in quanto docente universitario, che avrebbe utilizzato indebitamente la sua funzione per propagandare tesi abominevoli, se non criminali, circa tematiche estranee alle discipline insegnate.

La malafede della campagna diffamatoria risulta ancora dal fatto che, in violazione delle leggi sulla stampa, il quotidiano “La Repubblica”, ovvero lo stesso Pasqua, non ha voluto pubblicare la mia tempestiva smentita, ed in tal modo propagando la falsa notizia dell’avere tenuto io fantomatiche lezioni alla Sapienza, cui subito seguiva l’affissione di manifesti velatamente inneggianti al mio omicidio.

Chiedo pertanto la punizione dei colpevoli in relazione al reato di diffamazione a mezzo stampa e per ogni altra ipotesi delittuosa dovesse esser ravvisata nei comportamenti sopra descritti.

Chiedo di essere avvisato ex art. 406.3 dell’eventuale richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari cpp, nonché, ex art. 408.2 cpp, nel caso in cui il PM ritenga di avanzare richiesta di archiviazione.
In fede
Antonio Caracciolo
Allegati alla Querela.

1 commento:

Alberto Cenci ha detto...

Il "cacciatore" di revisionisti ci prova ancora... assisteremeo probabilmente alla medesima sequenza, ossia grancassa per la diffamazione con linciaggio mediatico e silenzio quando si dimostra l'infondatezza delle accuse.