lunedì 15 febbraio 2010

Osservatorio sulla libertà di pensiero negata. Parte Prima: Gli Stati. Cap. VII - Spagna (1995)

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Particolarmente interessante è il caso della Spagna, che introduce una legislazione analoga a quella di altri paesi l’11 luglio 1995, ma poi negli ultimi anni se ne libera in quanto contraria ai principi costituzionali. È stato questo il caso del libraio Pedro Varela, che ha avuto una sentenza favorevole della corte costituzionale spagnola il 7 novembre 2007 in quanto sanciva che la legge che lo aveva inizialmente condannato era contraria al dettato costituzionale della libertà di pensiero e di espressione, per poi essere nuovamente condannato da una corte in quanto gli si è imputato di aver “giustificato l’Olocausto”. La sentenza della corte costituzionale non sembra però avere inciso molto sulla prassi giudiziaria delle corti inferiori, spesso legate a gruppi e associazioni sioniste che dispongono di ingenti mezzi finanziari,

Vers. 1.0/21.5.10 / Pt: I - II -
Sommario: 1. Il caso Varela. – 2. I soggetti del caso Varela. – 3. Nuove minacce alle libertà civili il Spagna. – 3. Nuove minacce alle libertà civili in Spagna. –

1. Il caso Varela. – È possibile ricavare notizie di prima mano sulla situazione spagnola direttamente dall’intervista raccolta da Giovanna Canzano. Riassumo qui gli aspetti essenziali del caso. L’accusa fu di “negazione dell’olocausto” e di “incitazione all’odio razziale”. Il processo si svolse il 16 ottobre 1998. Il giudice – di estrema sinistra – si chiamava Santiago Vidal Marse. Tra le prove incriminanti vi fu nell’aula la proiezione del film storico di Fritz Hipper, Der ewige Jude, di cui si era trovata una copia nella libreria di Varela. La condanna inflitta fu di cinque anni di prigione. Pene accessorie furono il ritiro del passaporto, il divieto di uscire dalla Spagna e l’obbligo mensile di firma. «Il 16 gennaio 1999 durante una manifestazione autorizzata, la polizia di Barcellona irruppe nella Libreria Europa, gettò i libri per la strada dove vennero raccolti in una grande pira e gli dietero fuoco. Mentre alcuni di loro davano fuoco ai libri, altri distrussero tutto quello che c’era nella libreria». Contro la sentenza di Santiago Vidal Marse fu fatto ricorso in appello all’Audencia Provincial, che accolse il ricorso e rinviò la sentenza di primo grado al Tribunale Costituzionale per sospetta incostituzionalità. L’Audencia Provincial era presieduta da Ana Ingelmo. La corte costituzionale spagnola ci mise dieci anni per decidere e finalmente nel 2008 «considerò che, almeno in parte, non si poteva condannare nessuno per dubitare o negare presunti fatti storici tramite dichiarazioni o scritti. Una volta ancora a Barcellona, il Tribunale ammise che non poteva condannarmi per “negare l’Olocausto” perché il Tribunale Costituzionale lo impediva. Mi condannarono però per “promozione del genocidio!” … alla fine la condanna definitiva fu di sette mesi di carcere. Però nel frattempo, e prima di questa nuova situazione, i fanatici del Tripartito a Barcellona ordinarono una nuova perquisizione e un nuovo processo contro le Edizioni Ojeda, delle quali io sono il direttore, sequestrando sette computers e altri 5.000 libri, oltre a numerosi documenti. Il nuovo processo ebbe luogo lo scorso 29 gennaio 2010 e la condanna fu resa nota l’8 marzo: 2 anni e 9 mesi di carcere per “genocidio” e “attentato ai diritti fondamentali”, crimine che avrei commesso pubblicando libri che denunciano la lobby ebraica internazionale, documenti storici come il Mi Lucha (Mein Kampf) o i discorsi di Hitler, o altri testi concernenti tematiche razziali. Questa pena, sommata ai sette mesi della condanna precedente, porta a un totale di 3 anni e 4 mesi che, adesso io, dovrei scontare, e, essendo recidivo, si aggiungono altri due anni di carcere. Tenterò un nuovo ricorso, se è possibile». Sembra evidente un accanimento persecutorio del Tribunale di Barcellona. Ciò rinvia al noto fenomeno della politicizzazione della giustizia e della vendetta privata o della lotta politica con l’impiego di mezzi giudiziari.

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2. I soggetti del caso Varela. – Le legge e le sentenze non sono avulse dai loro contesti storici, sociali e politici. Considerando astrattamente il caso Varela, esso apparirebbe assurdo e allucinante. Occorre perciò individuare soggetti e situazione che possono averlo prodotto e che a quel che si vede contrastano con la decisione della corte costituzionale pur giunta con dieci anni di ritardo rispetto ad una normale esisgenza di giustizia, che si misura anche con i tempi giudiziari. Una sentenza che giunge dopo tempi lunghissimi è già una forma di giustizia denegata, ma probabilmente il lungo tempo richiesto esprime un lavorio giuocato dietro le quinte. Giova perciò fornire un primo elenco dei soggetti in campo. E dunque:
a) L’organizzazione SOS Racismo, di cui esiste un link che non rischia di essere chiuso e che non ha richiamato l’attenzione della Commissione Nirenstein, improntata a mirabile senso dell’equità. Questa organizzazione spagnola è chiamata in causa da Varela nel testo della sua intervista a Giovanna Canzano ed è per noi una traccia di studio per la sociologia del processo.

3. Nuove minacce alle libertà civili in Spagna. – Pare grottesca ed inaudita la pretese di un tribunale per stabilire cose è l’«odio» ed a punirlo con pesanti sanzioni. Abbiamo affrontato altre volte questo tema prediletto della propaganda sionista. In particolare, abbiamo sostenuto e illustrato come l’odierna accusa di “antisemitismo” di cui si avvalgano i centri sionisti in Europa sia in realtà una “lettre de cachet” con cui gli agenti del sionismo in Europa avanzano la pretesa di poter mandare in galera, su loro delazione, un qualsiasi cittadino europeo cui da loro stessi ed a loro insindacabile giudizio sia appiccicata l’accusa di “antisemitismo”. L’esperienza americana dell’AIPAC insegna come ci si possa insediare nelle assemblee legislative, finanziando le campagne elettorali di parecchi uomini politici, che dovranno poi ricambiare i favori, producendo legislazioni a danno di tutti i restanti ignari cittadini. La notizia, risalente all’UCEI, che però non sembra avere un suo sito mappato dai motori di ricerca, è ripresa da una testata cristiano sionista, che esce in lingua italiana e che noi monitoriamo.

(segue)

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