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Anche la Polonia introduce nel suo sistema una legge antirevisionista nel gennaio 1999. È di pochi giorni fa la polemica scatenata dall’intervista del vescovo Taddeo Pieronek. che appena un anno prima aveva criticato il vescovo Williamson, sostenendo che in Polonia vi sarebbe stata la prigione per opinioni come quella del vescovo lefebrvriano. Per non incorrere nella stessa pena, quasi augurata al suo compagno di fede, ha dovuto fare una serie di dichiarazioni rettificatrici.
vers. 1.0/24.2.10
Parte: I - II -
Sommario: 1. Un razzismo sommerso e non dichiarato. – 2. Chi nega il genocidio, è per ciò stesso in procinto di commettere un genocidio. –
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Parte: I - II -
Sommario: 1. Un razzismo sommerso e non dichiarato. – 2. Chi nega il genocidio, è per ciò stesso in procinto di commettere un genocidio. –
1. Un razzismo sommerso e non dichiarato. – Se non si esce fuori dall’analisi strettamente giuridica, credo non si possano comprendere le normative libertice che urtano profondamente contro la razionità che è uscita dalle costituzioni europee dello stato di diritto. Credo che occorra indagare il sostrato politico-ideologico che presiede alla formazione delle leggi qui in oggetto. Ad introdurre questo discorso ci sembra opportuno dare rilievo ad una notizia che mi è stata segnalata in questi ultimi giorni e che viene proprio dalla Polonia.«
(AGI) - Gerusalemme, 9 dic. - La "Terra promessa" era aperta a tutti gli ebrei, tranne che a malati e handicappati. Tredici anni dopo la fine dell'Olocausto, centinaia di migliaia di sopravvissuti videro rinascere la speranza guardando a "Eretz Israel". Molti di loro, pero', si sbagliavano: oltrepassata la soglia di Auschwitz e Dachau, li aspettava una nuova "selezione".Per riprendere le analisi e le denunce di Norman G. Finkelstein abbiamo qui una nuova conferma che l’«Olocausto» sia stata una grande occasione per una perpetua azione risarcitoria contando su un senso di colpa, che proprio la psicanalisi, in buona parte di fabbricazione ebraica, non cessa mai di instillare. Ma qui vediamo come quel razzismo che si addebita agli altri appartenesse in maggior misura agli accusatori. Se si va all’essenza e alle radici del sionismo si vedrà come già nel 1882, anno del primo insediamento sionista in Palestina, fossero già contenuti i germi della pulizia etnica del 1948 e della legislazione liberticida del 1986 ed anni seguenti. Non si tratta di qualcosa di personalmente imputabile alla “cinica” Golda Meir, che è nondimeno personaggio quanto mai significativo dello stato israeliano, ma di una tendenza di fondo del sionismo di ieri e di oggi.
È quella di cui parla un documento del 1958 rintracciato da uno storico polacco nell'ambito di un'indagine sui rapporti tra lo Stato nato nel 1948 e Varsavia. Golda Meir, allora ministro degli Esteri, suggeriì all'ambasciatore israeliano a Varsavia di far presente al governo polacco che lo Stato ebraico non era disponibile ad accogliere immigrati con menomazioni fisiche o patologie. Accennando alle decisioni del "comitato di coordinamento" sull'immigrazione (nel quale erano presenti esponenti del governo e dell'Agenzia Ebraica), il futuro primo ministro scriveva a Katriel Katz:«Il comitato vuole informare il governo polacco che vogliamo istituire una selezione nell'alyha (l'immigrazione ebraica in Terra d'Israele) poiché non possiamo continuare ad accettare malati e gente handicappata. Per favore, forniteci la vostra opinione sul modo in cui tutto ciò può esser spiegato ai polacchi senza contraccolpi sull'immigrazione».La posizione della Meir era in aperto contrasto con la Legge del ritorno - con cui Israele fin dal 1950 garantiva la cittadinanza a ogni ebreo nel mondo, purché vi si trasferisse con l'intenzione di viverci - e con le stesse sofferenze di coloro che magari avevano rimediato patologie e invalidita' proprio a causa della persecuzione nazista. La lettera, di "massima riservatezza", è datata aprile e ha sorpreso lo stesso Szymon Rudnicki, storico dell'Università di Varsavia che l'ha trovata ed ebreo:«È un documento cinico. È risaputo che Golda fosse un politico brutale più attentato ai propri interessi che al popolo».La richiesta della Meir - che cadeva un biennio, 1956-58, segnato dall'arrivo in Israele di 40.000 ebrei dalla Polonia - cadde nel vuoto e lo stesso Katz non le diede seguito, spiega Rudnicki ad Haaretz: «Fino al 1950 il governo polacco ha operato una selezione di immigrati in base alle professioni richieste». Da Israele. «Dopo il 1956 i polacchi non hanno imposto limitazioni e non hanno inviato intenzionalmente handicappati e anziani in Israele. Questa è una storia tutta israeliana».Fonte: AGI Fab.
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2. Chi “nega” il genocidio, è per ciò stesso in procinto di commettere un genocidio. – La logica è davvero stringente ed irresistibile, nel senso che il solo contestarla può procurare il carcere. È quanto si evince dal link, che riporta di una riunione in Auschwitz, volta a favorire una migliore intesa fra i convenuti sul luogo della commemorazione. Inutile obiettare che secondo il modello dell’argomentazione adottato chiunque negasse che vi sia stata una rapina in banca, in una città dove non ha mai messo neppure piedi, sarebbe perciò stesso autore di una rapina prossima ventura. Inutile poi chiedere cosa significa propriamente “negare”, se cioè si intende contestare l’esistenza del luogo stesso di Auschwitz, cosa che nessuno ha mai fatto o inteso fare, o se invece si pongono interrogativi sulla natura e sulla dinamica degli eventi che si sono svolti. Il regime di terrorismo ideologico, di caccia alle streghe e di repressione di un qualsiasi tentativo di pensiero critico è tale da impedire sul nascere qualsiasi discussione e contraddittorio rispetto ad un’operazione la cui strumentalità è stata denunciata dall’ebreo Norman G. Finkelstein ed i cui effetti diseducativi parimenti dichiarati da altro eminente ebreo di nome Avraham Burg. Ma a voler prendere per buono il ragionamento è da chiedere ai reggitori presenti, passati e futuri di Israele se abbiano mai commesso genocidio dei palestinesi e se sono in procinto di commetterlo o di condurlo a compimento. Maggiore interesse rivestirebbe chiedersi il perché l’evento dato per certo o “negato” sarebbe avvenuto. Se si leggono buona parte delle storie dell’antisemitismo, per tutte quelle di Poliakov, si cerca invano una risposta che risponda al quesito posto da Bernard Lazare nella sua insuperata “Storia dell’antisemitismo”: se nel corso dei milleni, in ogni paese, gli ebrei sono stati perseguitati o mal sopportati da pressoché tutti i popoli della storia, in modo costante, non è che una spiegazione non possa e non debba cercarsi negli ebrei stessi? Nelle storie dell’antisemitismo alla Poliakow si fa semplicemente una rassegna di tutti quelli che hanno parlato male di Garibaldi, per così dire, secondo un modo proverbiale, per far capire l’esistenza di tabù su determinate questioni. Altri autori, che forse tentano di dare una risposta al quesito, si diffondono in astruserie incomprensibili per dire che tutta la restante umanità, tutti noi eccetto pochi giusti che confermerebbero la regola, siamo una massa damnationis, che ben meriterebbe la distruzione globale il giorno in cui Israele decidesse di usare le sue 300 testate atomiche, che “negano” di avere, ma il cui possesso è il classico segreto di Pulcinella. Il mondo davvero impazzito si agita per contestare l’atomica a chi non la possiede (l’Iran), ma la accetta senza battere ciglio da chi invece la possiede, cioè in particolare Israele, non si sa bene in base a quale titolo di legittimità. E sì che parlando tanto di genocidio vi è da sospettare che da chi tanto ne parla, vi può essere più fondato sospetto che lo abbia già commesso (vedi palestinesi) o intenda compierlo contro quanti non si dimostrino inclini ai loro voleri e desideri.
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