sabato 6 febbraio 2010

Gli Amici del Muro Italia-Israele e la cecità morale del Presidente


Uno dei leit-motiv più ricorrenti della propaganda sionista in Italia – che si avvale di alcune testate ad hoc ed in più può contare su una rete di agenti dislocati in numerose redazioni, grandi e piccole – è che il muro dell’apartheid in realtà non esiste. E non esiste perché non ha la funzione che un muro ha sempre avuta: quella di chiudere, dividere, delimitare, impadronirsi. Il simbolo massimo della mancanza di libertà è diventato nell’immaginario collettivo il Muro di Berlino. Ma se si tratta del Muro di Sharon i nostri concetti dovrebbero cambiare e significare l’opposto. Un libro interessante, che non sono riuscito ad acquistare e leggere perchè esaurito né a trovare in biblioteca, ha per titolo Le Mur de Sharon. Oltre ad essere il muro dell’apartheid come è per tutti, eccezione fatta per i diretti responsabili della sua costruzione e della sua vergogna, la tesi di questo libro è che il Muro abbia un significato mistico-religioso, servendo a “separare” la purezza ebraica dall’impurità goym ed arabo-palestinese. Dunque, espressione di un razzismo che più razzismo non si può. Poco importa che sia una razzismo dotato di impianti elettronici, un razzismo elettronico.

Riporto di seguito da una rassegna evangelico-sionista, redatta in lingua italiana, un brano la cui ottusità morale offende l’immagine del Cristo che noi abbiamo finora avuta. Anche per la percezione del Cristo e del suo messaggio religioso vale ciò che gli antichi sofisti insegnavano sulla natura della mente umana: l’uomo è misura di tutte le cose; di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono. Invero, il cristianesimo che abbiamo conosciuto non è relativista ed insegna a credere che mediante la purezza del cuore tutti gli uomini possano giungere una una stessa Verità in ambito morale e che il linguaggio rettamente usato debba ubbidire alla regola: si si; no no. Ogni confusione è opera del diavolo. Se è così, nel brano che segue, benché diffuso da sedicenti “cristiani” nonché “evangelici” e “sionisti”, dobbiamo riconoscere una manifestazione del “demonio” che si fa beffe di ogni evidenza. Ma eccolo il brano:


Il "muro" israeliano
Fonte
Lettere arrivate a "La Stampa"

5 febbraio 2010 - "Quel muro grande ma invisibile"

Sono stata in Palestina l'estate scorsa, e forse una delle immagini che mi è rimasta più impressa è il muro di cemento che separa i Territori Palestinesi da Israele: una barriera alta 8 metri e lunga 500 Km, di cui troppo poco si è parlato (il muro di Berlino era meno di 4 m…). Apprendo ieri sera (3 febbraio 2010) che il nostro Presidente del Consiglio in visita in Palestina, alla domanda postagli da un giornalista sulle sue impressioni nel vedere e nell'oltrepassare per la prima volta il muro, ha risposto che gli dispiace deluderlo, ma non l'ha visto… (era impegnato a preparare il discorso per l'incontro con il Presidente Abu Mazen). Mentre risponde, e ripete più volte il concetto, il suo volto sorride soddisfatto. Non l'ha visto? Le sue parole, e forse ancor più il suo sorriso, mi fanno salire le lacrime agli occhi.
Mi ritengo offesa a nome delle migliaia di palestinesi che ogni giorno stanno ore in fila per oltrepassare quel muro per andare a lavorare o a scuola, e che da quel muro sono stati privati di beni e servizi che a loro spettavano. Io e moltissimi altri come me il muro l'abbiamo visto, e ci è rimasto come un pugno nel cuore che aspetta l'indignazione del mondo.
Maria Ruzzene Vicenza

6 febbraio 2010 - "Muro/1: la menzogna dei 500 chilometri

Caro Direttore, la lettera uscita ieri sulla lunghezza del cosidetto «muro» che separa Israele dai territori palestinesi contiene la solita menzogna di chi è interessato più alla propaganda che alla verità. La barriera difensiva, quando sarà completata, sarà lunga circa 700 km, oggi è in funzione circa il 65%.
Essa è formata da sensori di filo metallico, che hanno la funzione di segnalare la presenza di chi intendesse oltrepassarli.
La parte in muro, una volta finita la barriera sarà del 5% del totale. Come vede nulla a che vedere con i 500 km citati dalla lettrice.
Angelo Pezzana

6 febbraio 2010 - Muro/2: fa barriera contro i kamikaze

Per motivi di lavoro sono stato nel corso dell'ultimo anno due volte, per un totale di due mesi, in Israele. Devo quindi contestare quanto diceva ieri una lettrice. La barriera difensiva tra Israele e i territori palestinesi (che sono andato a vedere di persona due volte) è alta otto metri per tre/quattro chilometri, è alta due/tre metri per un'altra decina di chilometri, per il resto è un reticolato con segnalatori/dissuasori contro chi dovesse tentare di oltrepassarli.
Inoltre, è una barriera difensiva: serve a evitare che chi sta dall'altra parte possa sparare verso Israele, o tentare di passare indossando cinture esplosive. Perché chi critica l'esistenza della barriera difensiva non parla mai dei kamikaze?
Gilberto Bosco

6 febbraio 2010 - Muro/3: da quando c'è niente più bombe

Vorrei poter dire alla lettrice Maria Ruzzene che anch'io sono contrario ai muri. Sono, però, anche contrario totalmente ai terroristi che mettevano le bombe sui pullman israeliani, e negli altri posti affollati. Vengono anche a me le lacrime agli occhi, quando penso ai bambini, ma anche alle donne e agli uomini, fatti a pezzi da tali esplosioni. Come la signora Ruzzene NON ha notato, da quando c'è il muro, episodi di questo genere non si sono più verificati.
Battista Caputo

(Informazione Corretta, 6 febbraio 2010)

In aggiunta all’analisi teologico-morale ci si possono porre alcuni interrogativi da persona semplice. Ma perché mai qualcuno per “proteggersi” dovrebbero costruire un immenso mostruoso muro intorno a sè? La risposta data con spirito di verità conduce alla natura coloniale e razzista del sionismo. Nessuno storico di regime potrà mai confutare che dal 1882 in poi – prima ancora che Hitler nascesse – il sionismo perseguisse scientemente e costitutivamente il programma della pulizia etnica e dello sterminio del popolo palestinese, la cui esistenza è tenacemente “negata” dagli ideologi sionisti. I palestinesi non esistevano e non avevano un “destino”, o meglio – come già gli indiani d‘America – avevano il destino di essere sterminati e dovevano religiosamente accettare questo destino per maggior gloria del dio degli oppressori e sterminatori. Il Muro in fondo avrebbe questo recondito significato religioso.

Ad una retta coscienza morale appare ovvio che le vittime designate vogliano, possano e debbano resistere. A doversi “difendere” sono loro, non i loro massacratori, che pretendono il nostro appoggio e la nostra solidarietà. Addirittura scrivono libri dal titolo: “Israele siamo noi”. Sono sconvolti gli ordinari canoni della morale evangelica – non dei signori di cui sopra! –, dove la confusione delle evidenze è aperta e riconoscibile opera del “demonio”. In termini filosofico-giuridici è inoppugnabile la totale mancanza di legittimità non solo della costruzione del muro, già condannata da un Corte di giustizia, ma la stessa legittimità del diritto all’esistenza dello stato di Israele, su cui tanto insiste la propaganda, in quanto fondata sul perseguimento della riduzione altrui alla non esistenza, ovvero all’umiliazione, all’espulsione e allo sterminio, del legittimo popolo autoctono, cioè i palestinesi, uccisi e molestati nella loro terra, nelle loro case.

Non avendo il tempo di scrivere un apposito post, rispondo qui, in coda, ad un fedele Lettore di “Civium Libertas” che mi chiede di commentare l’ultima risposta di Sergio Romano ad una sua Lettrice, sempre riguardo al Muro: vedine il testo direttamente in Corriere della Sera e in questo sito che da anni conduce una campagna di denigrazione e diffamazione non solo verso l’ambasciatore Romano, ma verso quanti appena osano essere critici verso Israele e la sua politica. Il ragionamento svolto dall’ambasciatore è tipico dell’analista politico, che deve tener conto dei rapporti di forza e della realtà effettuale. Si chiede se in Gaza vi sia o non vi sia stato “massacro” e se in pratica, effettivamente, gli israeliani vogliono fisicamente uccidere tutti i palestinesi, quasi le condizioni di vita dei palestinesi “sopravvissuti” non siano in qualche modo peggiori della morte stessa, tutto sommato una questione di pochi attimi di fronte ad una vita spesso umanamente impossibile. Noi non sappiamo quale sarà l’esito finale di una storia che dura da più di cento anni: almeno dal 1882, anno del primo insediamento sionista. Non abbiamo neppure il diritto di decidere noi ciò che i palestinesi vogliano decidere per loro stessi: morire tutti da liberi resistenti o vivere nel servaggio, lasciandosi corrompere e addomesticare come bestie. Quello che noi sappiamo – e ci riguarda – è che la nostra coscienza morale ed etica, quali che siano gli esiti politici ed i contorsionismi dei nostri governanti, non può restare insensibile ed indifferente di fronte ad una chiara e lampante violazione di quei principi di giustizia e di umanità che la nostra stessa cultura ha elaborato. Ci condanneremmo all’ipocrisia perpetua se non dicessimo pane al pane e vino al vino: si si; no no.

Quale che siano i governi in carica, quali che siano le astuzie, gli inganni, i sotterfugi per i quali i potenti giungono al potere ed alla tirannia che è tale quando abbandona ogni idea percepibile di giustizia, tutto ciò non è di ostacolo al nostro giudizio morale di condanna di tutto il ciclo storico che dal 1948 ha prodotto quella mostruosità giudiridica che si spaccia per democrazia e che è lo stato di Israele. La legittimità che solo il nostro senso di giustizia può conferire ad una qualsiasi autorità può divergere e spesso diverge dalla legalità che consiste nello scambio di ambasciatori e di credenziali fra quelle organizzaioni di uomini e di interessi che si chiamano Stati. Probabilmente, se avessimo noi le responsabilità del potere ragioneremmo in modo diverso, giacché il Potere, secondo l’immagine metaforica dell’Anello nella saga di Tolkien, ha una sua autonomia che porta a ragionare e operare in modo anche contrario ai proprio sentimenti di giustizia e di umanità. Ma noi, per fortuna, non abbiamo nessun potere e possiamo ragionare come uomini che si trovano davanti ad altri uomini, lasciando parlare il nostro senso morale ed etico, il nostro Spirito di Verità.

*

Appendice in fatto di muri di “separazione”

Manco a farlo a posta, scorrendo la rassegna stampa cristiano-sionista, troviamo questa incredibile notizia che testimonia di una irriducibile cultura e modo di essere:
Comune di Udine:
rinnovata collaborazione con la comunità ebraica
– Pure al cimitero! –
Stessa Fonte

UDINE, 6 feb. - Il Comune di Udine e la rappresentanza ebraica del Friuli Venezia Giulia hanno aperto un confronto per una collaborazione a 360 gradi sulla presenza della comunita' israelitica nel capoluogo friulano. E' il risultato di un incontro avvenuto tra il sindaco Furio Honsell, il rabbino capo della comunita' ebraica di Trieste (e con competenza su tutto il territorio regionale) David Margalit, il presidente della comunita' ebraica del capoluogo giuliano, Andrea Mariani, e il segretario della stessa comunita' Eliyahu Giorgi. ''Tra gli argomenti che abbiamo affrontato - commenta Honsell - c'e' la questione del cimitero ebraico udinese, situato all'interno del campo santo di San Vito e attualmente privo di recinzione come, invece, prevedrebbe la legge ebraica''. Per l'ebraismo italiano, non solo la sinagoga, ma anche il cimitero rappresenta uno spazio identitario molto forte.
''Abbiamo pensato - aggiunge Honsell - a delle forme che concilino l'esigenza di una recinzione dell'area, tenendo tuttavia conto del fatto che gli spazi si trovano all'interno del cimitero comunale. Per questo motivo si e' pensato a delle forme di delimitazione simbolica, come puo' essere una siepe o una corda, che rendano visibile e identificabile il cimitero ebraico''. A definire meglio tutti gli aspetti sono cosi' stati incaricati i tecnici del Comune, ai quali spettera' il compito di studiare le migliori soluzioni possibili e predisporre anche dei piccoli interventi migliorativi dell'intera area. ''Il primo e significativo dato che e' emerso da questo incontro - precisa Andrea Mariani - e' che dopo una lunga assenza nei rapporti tra le istituzioni, finalmente ci si e' riavvicinati grazie anche all'interessamento del sindaco di Udine. Oltre alle questioni del cimitero, per il quale il nostro interesse e' prevalentemente conservativo si e' parlato di promuovere nel futuro altre forme di collaborazione in ambito culturale''. Ma nell?incontro e' stato affrontato anche il tema del restauro della tomba di Elio Morpurgo, sepolto proprio nel cimitero ebraico di San Vito. ''Per una citta' come Udine, medaglia d'oro alla Resistenza - conclude Honsell - e' ancora piu' importante preservare dal degrado la tomba di Morpurgo, che fu sindaco della citta' e deportato ad Auschwitz. Per questo motivo ci attiveremo per favorire ogni forma di finanziamento possibile per il recupero della sua tomba''.

(AGI, 6 febbraio 2010)
Intanto, viene da chiedersi se la presenza della «comunità israelitica», che una sua sua propria «rappresentanza» deve considerarsi una presenza “straniera” nel Comune di Udine in particolare e nel territorio della Repubblica italiana in generale. La dice poi lunga il bisogno di “delimitare” con apposita «recinzione» nel locale cimitero, una recinzione “necessaria” per come «prevederebbe la legge ebraica», ovvero – penando a Menargue – per separare i morti “puri” dai morti “impuri” e contrariamente a quanto pensava il principe Antonio De Curtis, in arte «Totò», secondo cui almeno la morte era da considerarsi «una cosa seria». Per associazione di idee, la mente ci riporta ad un’altra notizia del genere, su cui avevamo redatto un apposito post. Si trattava di profughi dal Sudan che tentavano di entrare in Israele, uccisi da solerti soldati egiziani per conto terzi, quindi seppelliti «all’esterno» del cimitero di Hatzor.

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