lunedì 15 febbraio 2010

Osservatorio sulla libertà di pensiero negata. Parte Prima: Gli Stati. Cap. V - Svizzera

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A macchia d’olio la legislazione che reprime la libera ricerca storica si estende anche alla Svizzera il 1° gennaio 1995. Siamo abituati a pensare che la Svizzera sia il paese democratico dove ci si rifugia, quando la libertà e la democrazia viene a mancare negli altri paesi. È un luogo comune che occorre abbandonare. Il caso forse più noto è quello di Jürgen Graf, uno dei più importanti storici revisionisti, autore di un libro che conduce critiche radicali al lavoro di Raul Hilberg, il principale storico olocaustico. Per nessun altra colpa che per aver scritto dei libri Jürgen Graf è costretto a vivere esule in Russia. Prima ancora era stato in Iran. Se torna in patria lo attende l’arresto e la prigione. Sembra incredibile ma è la verità. Ci resta solo da studiare e da capire come ciò sia stato possibile, come è potuto divenire, quali uomini, quali mezzi, quali ricatti e condizionamenti hanno condotto a ciò.

Vers. 1.2 / Parte I - II
Sommario: 1. Il caso Jürgen Graf. – 2. Attività repressiva della rete nel 2005. – 3. Il CICAD è un’organizzazione ufficiale svizzera? – 4. La bestia nera dei blogs. – 5. L’art. 261 bis del Codice penale svizzero. – 6. Antisemitismo e “negazionismo”: un assioma inscindibile. – 7. Il caso Berclaz ed il ruolo del CICAD. – 8. Oriana Fallaci e la Svizzera. – 9. Criminalizzazione di pacifiche riunioni in Svizzera. – 10. Gli strani “gusti” delle ferrovie svizzere. – 11. Quando facevo l’asilo infantile… – 12. Conflitto latente di interessi. – 13. Giudaismo e sionismo. –

1. Il caso Jürgen Graf. – Contrariamente a quanto afferma Wikipedia, è solo una finzione la lotta contro la discriminazione razziale. Con l’entrata in vigore il 1° gennaio 1995 dell’art. 261 bis si è in realtà inteso reprimere il libero dibattito politico, qualificando come “razzista” ogni opinione non conforme alla politica dominante. Nel luglio 1998 hanno così potuto istruire un processo politico contro Jürgen Graf. Ne sono seguiti altri 40 dello stesso genere. Per quanto riguarda la situazione svizzera riporto un testo di Jürgen Graf:
«Poiché sono un cittadino svizzero, metterò a fuoco la situazione del mio Paese, ma l’intreccio è essenzialmente il medesimo nei Paesi confinanti Italia, Germania, Austria e Francia e, quantunque in misura molto minore, in altri Stati europei. (…)

Reazioni al libro sull’Olocausto. - Nella primavera del 1993 spedii copie del mio primo libro sul problema Olocausto ad un certo numero di persone che avevano letto ed apprezzato il mio libro sull’immigrazione. Le reazioni furono molto interessanti. Un amico mi scrisse dicendo di non capire perché avevo rovinato una potenziale carriera politica con quelle vecchie tediose storie. Un altro scrisse: “Perché scrivi degli orrori della seconda guerra mondiale anziché pensare al presente?”. Ora, se l’Olocausto è una vecchia tediosa storia, dovremmo chiederci come mai i media ne parlano ogni giorno e come mai la propaganda cresce con sempre maggior intensità, cinquant’anni dopo la guerra.

Sono stato ripetutamente colpito dal fatto che la gente, semplicemente, non comprende lo stretto legame tra l’Olocausto - a prescindere che creda oppure no alla storia (ufficiale) - e le politiche suicide perseguite dai governi della maggior parte degli Stati dell’Europa occidentale. Sino all’aprile del 1991 io ho accettato la storia dell’Olocausto come sostanzialmente vera. Mentre pensavo che la cifra di sei milioni di vittime era probabilmente esagerata, non mi venne mai in mente di mettere in dubbio l’esistenza delle camere a gas nei campi di concentramento nazionalsocialisti. Sapevo che un piccolo gruppo di ricercatori negava la versione ufficiale, ma non feci alcun tentativo per approfondire i loro argomenti.

Dopo essere stato convertito al revisionismo olocaustico dal mio amico Arthur Vogt, inizialmente pensai che il principale motivo per cui la storia dell’Olocausto veniva mantenuta viva dovevano essere i risarcimenti dovuti dai tedeschi ad Israele ed agli ebrei sparsi nel mondo. Ma abbandonai questa teoria dopo un paio di mesi, poiché essa non spiegava adeguatamente una tanto gigantesca frode perpetrata su scala mondiale. Più a fondo ricercavo le origini del mito e più studiavo il suo utilizzo quotidiano come
propaganda politica, più divenivo convinto di due cose: che i governi degli Stati dell’Europa occidentale sono poco più che fantocci che ballano, mossi da fili tirati da forze nascoste nell’ombra, e che la menzogna delle camere a gas è strettamente collegata alle suicide politiche di immigrazione degli Stati europei.

Un complesso di colpa imposto. - Come ho detto, a seguito della pubblicazione del mio libro sull’immigrazione, ho partecipato a numerose discussioni sull’argomento. In ognuno di questi dibattiti, i miei oppositori invariabilmente brandivano lo spettro della seconda guerra mondiale, dei Nazionalsocialismo e dell’olocausto. La loro argomentazione è essenzialmente questa:

Mentre milioni di ebrei venivano gasati nella Germania nazionalsocialista, il governo svizzero restò pigramente fermo, chiudendo le nostre frontiere alle vittime della furia razzista di Hitler. Perciò noi siamo diventati colpevoli, e non dobbiamo più commettere la stessa colpa rinviando rifugiati politici verso sanguinari stati dittatoriali, e condannandoli così a morte certa. Anziché adottare una più restrittiva politica di asilo, dovremmo espiare per i crimini del passato accogliendo le odierne vittime del terrore e della persecuzione.

In quel tempo, quando accettavo ancora la versione ufficiale dell’Olocausto, rispondevo dicendo che oggi la situazione è diversa da quella della seconda guerra mondiale, e che un Tamil colpito da persecuzione politica nello Sri Lanka potrebbe trovare più facilmente asilo tra i 50 milioni di Tamil nel Sud dell’India che non in Svizzera.

Dopo aver scoperto la verità in merito alla storia dell’Olocausto, cominciai gradualmente a capire che uno dei suoi principali scopi è quello di infondere un complesso di colpa nei popoli europei.

Per quanto i tedeschi e gli austriaci fossero i principali “colpevoli”, anche gli altri popoli occidentali erano colpevoli, perché non avevano alzato un dito per salvare gli ebrei da Auschwitz e Treblinka.

Poiché noi fummo complici di un crimine senza paragone nella storia umana, non abbiamo più diritto ad alcuna forma di coscienza nazionale, meno ancora ad orgoglio nazionale.

L’unica garanzia contro il pericolo di un risveglio del nazionalsocialismo e di un nuovo Olocausto è la cancellazione di ogni distinzione razziale e nazionale, e la creazione di una società multiculturale pacifica e tollerante, nella quale non ci sarà più razzismo perché non ci saranno più razze.

Questo modo di vedere non è nuovo. Nel 1925 il conte Richard Coudenhove-Kalergi, semi-ebreo fondatore dell’Unione Pan-Europea - sorta di antenato spirituale della Comunità Europea - scriveva nel suo libro Praktischer Idealismus (Idealismo pratico): “L’uomo del futuro sarà di razza mista. Le odierne razze e classi spariranno gradualmente per il venir meno di spazio, tempo e pregiudizi. La razza eurasiana-negroide del futuro, in apparenza simile a quella degli antichi Egizi, sostituirà la diversità dei popoli con la diversità degli individui.”

Una visione utopistica. – Ovviamente questo modo di vedere è assurdo. Mentre l’immigrazione massiccia di razze straniere conduce ad un certo numero di matrimoni inter-razziali, la maggior parte della popolazione nativa rimane fedele alle proprie radici nazionali e culturali, e molti gruppi di immigrati, specialmente quelli di fede musulmana, rifiutano semplicemente di essere assimilati. Il risultato dell’immigrazione non è la fine delle specificità nazionali, culturali e religiose, ma il terreno di coltura dei ghetti. Di qui una crescita delle tensioni razziali che presto o tardi conduce a violenti conflitti.

A prescindere dunque se sia o meno desiderabile un crogiuolo di razze (melting-pot), nonché l’abolizione di ogni distinzione nazionale, questo obbiettivo è semplicemente impossibile da realizzare e fornisce risultati ben diversi da quelli pubblicizzati.

Ma chi sono le persone e le organizzazioni che nell’ombra inducono i governi nazionali ad adottare politiche che riflettono gli ideali di Coudenhove-Kalergi e dei suoi attuali successori?

E’ una domanda terribilmente difficile, molto più difficile della storia dell’Olocausto, giacché questa, alla luce della ricerca revisionista, è oggi facile da ridurre alle giuste proporzioni: poiché le pretese gassazioni di massa erano tecnicamente impossibili, è da ritenersi che non ebbero luogo.

Ma, mentre è molto facile confutare la versione ufficiale dell’ Olocausto, non è altrettanto facile dimostrare ciò che realmente accadde agli ebrei d’Europa durante gli anni di guerra, e quanti di essi perirono. Nondimeno, studi demografici come quello di Walter Sanning (
The Dissolution of Eastern European Jewry, La dissoluzione dell’ebraismo est-europeo) provano conclusivamente come la cifra di sei milioni di vittime ebraiche sia del tutto irrazionale.

Mentre nel caso della menzogna dell’Olocausto possiamo lavorare con solide prove tecniche e chimiche, non c’è una tale vigorosa prova che corrobori la teoria d’un coordinato appoggio a livello mondiale per distruggere la razza e la cultura europea, e in definitiva tutte le razze e le culture, mediante immigrazioni di massa ed incroci di razze.

Se esiste tale iniziativa internazionale, coloro che ne tirano le fila difficilmente pubblicheranno i verbali dei loro incontri. Per il momento, dunque, dobbiamo accontentarci di ciò che il nostro vecchio amico Jean-Claude Pressac chiama “tracce criminali”.

Avendo osservato attentamente lo stato degli affari (politici) in Europa nel corso degli ultimi anni, ed avendo letto le opere di eminenti ricercatori quali Johannes Rothkranz, autore di
Die kommende Diktatur der Humanitat (L’imminente dittatura dell’umanità, Pro Fide Catholica, 1991), io sono convinto che i governi occidentali sono, in varia misura, controllati da gente che coscientemente persegue l’obbiettivo di distruggere tutte le nazioni sovrane ed istituire un governo mondiale.

Il Grande Piano. – Nel marzo del 1993, quando la camera alta del nostro parlamento, lo Standerat (grosso modo comparabile al Senato degli Stati Uniti), discusse la così detta legge “anti-razzismo”, non ci fu una sola voce dissenziente.

Un senatore della Svizzera francofona parlò di le Gran Plan che aveva reso necessaria l’adozione della legge. Nessuno gli chiese di spiegare questo “grande piano”. Ognuno sapeva. I nostri legislatori sembrarono essere già stati “iniziati” ad una cospirazione quasi-segreta di qualche sorta. Se così è, ciò aiuterebbe a spiegare numerosi fenomeni altrimenti inspiegabili.

Con l’eccezione di tre relativamente piccoli partiti di destra che assieme rappresentano un decimo dei votanti, e a parte alcuni deputati dei partiti maggiori, l’intero parlamento e il governo essenzialmente convengono su due punti principali: la Svizzera deve sparire come nazione, il più presto possibile, e il popolo svizzero, come nazionalità distinta, deve ugualmente sparire.

Una netta maggioranza del nostro popolo si oppone all’ingresso della Svizzera nella Comunità Europea, in parte per ragioni economiche, ma principalmente perché significherebbe in pratica la fine della Svizzera come nazione sovrana.

A dispetto di questo manifesto sentimento, tutti e quattro i maggiori partiti politici - socialisti, democratici cristiani, liberali ed il moderatamente conservatore partito del popolo svizzero - sono espliciti sostenitori dell’ingresso della Svizzera in quel corpo sovranazionale, nel quale un’anonima, invadente burocrazia centrale ubicata a Bruxelles, si impadronisce sempre più dei diritti e delle funzioni di Stati sovrani.

La Legge “anti-razzismo”. - Tutti e quattro i partiti di governo appoggiarono anche la legge “anti-razzismo” dianzi menzionata, il cui scopo è quello di imbavagliare ogni opposizione all’immigrazione di massa e di mettere a tacere il revisionismo storico riguardante l’ Olocausto.

Approvata dalla camera bassa del parlamento nel dicembre 1992, e dalla camera alta nel marzo del 1993, questa legge si occupa di crimini generici quali la discriminazione razziale, la diffamazione di appartenenti ad un gruppo razziale o etnico e la difesa, la negazione o la minimizzazione di genocidio o di un altro crimine contro l’umanità.

L’ultima parte è ovviamente diretta contro i revisionisti, e conferisce alle autorità il potere di perseguitare e punire individui sospetti di coltivare l’eresia revisionista (Il termine eresia non viene utilizzato a caso da Graf. Si noti che Michael Birnbaum, autore di
The History of the Holocaust as told in the U.S.. Holocaust Memorial Museum, La storia dell’Olocausto raccontata nel Museo dell’Olocausto degli Stati Uniti, è professore aggiunto di teologia presso la Georgetown University.)

A parte pochi giornali nazionalisti con limitata circolazione, tutta la stampa, le radio e le televisioni enfaticamente sostengono questa politica e raramente, tutt’al più, consentono qualche libero dibattito su tali questioni - problemi dai quali dipende il destino della nazione svizzera.

Praticamente tutti i giornalisti patriottici sono stati scalzati da posizioni di responsabilità negli ultimi anni, così che i media svizzeri presentano oggi un quadro di deprimente uniformità.

L’ingannevole democrazia svizzera. - In queste circostanze, le elezioni oggidì consistono in poco più che uno show tra Punch e Judy, nel quale bambini col fiato sospeso guardano il valoroso Punch che combatte contro il cattivo coccodrillo, senza immaginare che entrambi i contendenti vengono manipolati dalla stessa persona che sta dietro lo schermo.

Che si voti per un socialista, per un democratico cristiano o per un politico liberale è di poco rilievo, poiché tutti e tre in parlamento sosterranno la stessa politica. Una effettiva opposizione di sinistra al sistema ha cessato di esistere. Mentre gli ecologisti di sinistra e i pochi comunisti ancora presenti in parlamento ostentano un insincero “anti-capitalismo” e occasionalmente denunciano il “nuovo ordine mondiale” o “la potente burocrazia di Bruxelles”, essi, nella sostanza, condividono l’ideologia anti-nazionale delle classi dirigenti.

Tutti costoro sono davvero convinti che l’affluenza degli stranieri non è ancora abbastanza massiccia - in altre parole, che la nazione svizzera dovrebbe sparire anche più velocemente di quanto già ora sta accadendo. L’opposizione di destra, anche se è in larga misura inefficace e priva di capi carismatici, viene giornalmente tacciata di “reazionaria”, “anti-progressista” e “nazionalista” da tutti i media, e i suoi rappresentanti vengono trattati in parlamento, moralmente, come dei banditi.

Questa è la democrazia svizzera d’oggi. Tu sei libero di scegliere tra un imponente spiegamento di giornali, i quali tutti propagandano la stessa visione del mondo, mentre alla sera tu puoi accendere il tuo televisore per osservare sinistre farse quali “il dialogo cristiano-giudaico” nel quale oratori ebrei chiedono più rigide misure contro i “criminali del pensiero”, che essi chiamano “antisemiti”, “razzisti”, “fascisti” o “neonazisti”, mentre i partecipanti “cristiani” piamente assentono in accordo su ogni punto prima di scusarsi per il pernicioso ruolo ricoperto dalle Chiese cristiane nella persecuzione degli Ebrei.

Un referendum nazionale. - Una recente campagna per un referendum nazionale mostra come la cosiddetta “democrazia diretta” opera in pratica in Svizzera. Secondo la nostra costituzione, ogni organizzazione, gruppo o individuo ha il diritto di chiedere un referendum, mediante il quale il popolo votante può chiedere di revocare una legge federale o cantonale già promulgata (un cantone è grosso modo comparabile ad uno stato degli USA o ad un Land tedesco).

Dopo la promulgazione d’una legge la gente ha tre mesi di tempo per raccogliere uno specifico numero di firme di cittadini svizzeri per chiederne l’abrogazione. A livello nazionale, il numero di firme richieste è di 50.000. Dopo che la legge “anti-razzista” venne adottata dalle due camere del parlamento, un gruppo “ad hoc”, “Programma per la libertà di parola” (Aktion fur freie Meinungsausserung) lanciò una campagna per un referendum abrogativo.

Nessuno dei cinque capi di questo gruppo, diffuso sopratutto nelle aree rurali, era importante o conosciuto a livello nazionale. Nonostante i tre partiti di destra rappresentati nella camera bassa del Paese si fossero opposti alla legge “anti-razzismo”, essi inizialmente decisero di non sostenere la richiesta di referendum, intimoriti da una campagna ostile lanciata dai media.

Unitamente ai Leader del comitato referendario, tutti coloro che furono soltanto sospettati di sostenere questa iniziativa furono indiscriminatamente tacciati dai medici come “razzisti” e “antisemiti”. Quasi giornalmente la popolazione fu ammonita che nessuna persona per bene poteva pensare di sostenere tali tesi.

A causa di scarsità di fondi e di carente organizzazione, il referendum sembrò condannato al fallimento sin dall’inizio. Un mese prima del 6 ottobre 1993, termine ultimo fissato per la raccolta delle firme, fu formato un 2° comitato referendario, politicamente più moderato e consistente essenzialmente di dissidenti dei due principali partiti di governo. Questi due comitati assieme riuscirono finalmente ad ottenere, in tempo, 58.000 firme, le quali furono ampiamente sufficienti.

Propaganda orwelliana. - Nel corso delle settimane precedenti la data del referendum fissata per il 25 settembre 1994, la televisione sperimentò qualcosa di molto simile alla orwelliana “settimana d’odio”. Questa intensa iniziativa propagandistica, condotta da tutti i media, stampati ed elettronici, fu talmente rozza che avrebbe dovuto disgustare ogni persona ragionevole.

Secondo il quadro dei media, un piccolo gruppo di leali antirazzisti che sostenevano questa legge stava combattendo una valorosa, quasi disperata lotta contro una combutta di criminali, una vasta rete di razzisti senza pietà e di neo nazisti. Poiché ci sono pochissimi autentici razzisti e nazionalsocialisti in Svizzera, essi dovettero essere inventati.

Come risultato, fondamentalisti cattolici e protestanti, gruppi anti-abortisti, gruppi anti-vivisezione che si oppongono alla macellazione di animali secondo le regole ebraiche (Jewish kosher slaughter of animals), conservatori moderati di destra critici della politica ufficiale di immigrazione - tutti furono con noncuranza messi alla gogna come razzisti e pericolosi elementi “filo-nazisti”.

Quando tre giovani membri dei partiti maggiori - un cristiano democratico, un liberale ed un conservatore - formarono un comitato per opporsi alla legge “antirazzismo” sulla base che essa minacciava la libertà di parola, il diffusissimo giornale “Sonntagsblick” pubblicò le loro foto sotto il titolo: “Questi sono i giovani lacchè dei vecchi razzisti. Perché i loro partiti non li mettono a tacere?”.

Rosmarie Dormann, presidente del comitato a favore della legge “antirazzismo”, il 28 agosto 1994 dichiarò pubblicamente che rigettare la legge avrebbe significato “mettere a repentaglio la nostra democrazia”. In altre parole, coloro che sostengono una legge che permette di incarcerare i dissidenti per tre anni sono difensori della libertà, mentre coloro che si oppongono a tale legge mettono in pericolo la democrazia. Ovviamente, quasi nessun giornalista osò dissentire.

Come ci si poteva aspettare, tutto ciò fu accompagnato, attraverso i media, da un intenso flusso di letteratura olocaustica senza valore. Nell’edizione del 7 agosto della Sonntagszeitung, un’ebrea di nome Erika Rothschild ricordò le atrocità di Auschwitz: “Siccome i tedeschi nel giugno del 1944 avevano scortedi Zyklon B sufficienti soltanto per uccidere i bambini, gli ebrei adulti,furono tolti dalle camere a gas ancora vivi prima d’essere gettati in forni crematori a gruppi di sei”. “Prigionieri ebrei furono costretti a lavarsi con sapone fatto con le ceneri dei loro compagni uccisi”.

In questo periodo numerosi giornali si unirono a loro, lodando un nuovo libro d’una ottantasettenne ebrea di nome Jenny Spritzer che decise di rompere il silenzio su Auschwitz ben quarantanove anni dopo la sua liberazione dal campo. Il suo compito di prigioniera, essa disse, era quello di registrare i nomi di tutti gli ebrei gassati.

Si può supporre che i nazionalsocialisti certamente si sarebbero liberati d’una testimone così imbarazzante; ma no, inesplicabilmente essi dimenticarono di sbarazzarsi della signora Spritzer, in tal modo mettendola in grado di raccontare gli orrori di Auschwitz mezzo secolo più tardi.

In aggiunta a questo incessante flusso di fantasiose storie olocaustiche, i media riportarono ogni genere di atrocità razziste inventate: alcuni ebrei tiranneggiati da compagni di scuola antisemiti, boy-scout picchiati da energumeni “neonazisti”, scritte sul muro del tipo “maiali immigrati alle camere a gas” e così via.

Naturalmente gli oppositori della legge “antirazzismo” erano completamente impotenti a contrastare questa propaganda a rullo compressore. Molti giornali rifiutarono anche gli avvisi a pagamento, e soltanto occasionalmente fu concesso l’accesso ai media (alla vigilia della votazione, comunque, ci fu un dibattito televisivo diffuso a livello nazionale).

Nel referendum indetto per il 25 settembre 1994, la legge “antirazzista” venne approvata dal 54,7% dei votanti (più della metà degli aventi diritti al voto non votò). Esattamente metà dei Cantoni svizzeri la bocciò.

Credo che le organizzazioni ebraiche ed altri gruppi, nonostante la vittoria riportata, abbiano commesso un grossolano errore chiedendo a gran voce una tale legge oltraggiosamente anti-svizzera ed anti democratica.

Se la legge, che divenne esecutiva nel gennaio 1995, venisse applicata rigorosamente, ne conseguirebbe una serie infinita di processi politici, cosa che non accade da quando, nel secondo dopoguerra, alcuni comunisti e nazionalsocialisti furono processati per tradimento. Revisionisti convinti, incluso me stesso, hanno messo alla prova la legge inviando pubblicazioni revisioniste ad eminenti personalità.

In ragione del fatto che il testo della legge è del tutto vago - non vi si menziona né “l’Olocausto” né “le camere a gas” né “crimini nazisti” - ancora non è chiaro come i tribunali la metteranno precisamente in pratica.

Revisionismo in Svizzera. - Lasciatemi aggiungere alcune parole sulla situazione attuale (agosto 1994) del revisionismo olocaustico in Svizzera. Il 9 maggio 1994 quattro revisionisti - Arthur Vogt, Andres Studer, Bernhard Schaub (un insegnante che, come me, perse il posto di lavoro, accusato di eresia revisionista) ed io - spedimmo circa 3500 copie della versione ridotta del “Rapporto Rudolf”), unicamente ad una lettera d’introduzione di cinque pagine, a docenti universitari, politici e media.

La reazione dei media fu interessante. Con rare eccezioni (la Weltwoche e la marxista Wochenzeitung), che subito denunciarono l’azione come un altro sinistro complotto fascista, tutta la stampa mantenne il silenzio per più di un mese Poi, il 16 giugno, il quotidiano di Berna Bund pubblicò ben tre lunghi articoli anti-revisionisti nella stessa edizione.

Ciò diede il via ad un fiume di articoli simili in altri giornali, in generale quasi identici nel frasario, che chiaramente suggeriscono un’azione coordinata. Anche giornali che sono in disaccordo tra di loro su molti temi, si unirono nel condannare i revisionisti con le stesse frasi e menzogne: essi “negano Auschwitz”, “negano l’esistenza di campi di concentramento nazisti” o “negano la morte di Anna Frank”.

Repressione in Germania. - Anche peggiore è la situazione che regna nella vicina Germania, dove si giunti a livelli di isterismo. Come forse saprete, Gunter Deckert, presidente della N.P.D., il Partito Nazional Democratico di destra, è stato condannato a due anni di prigione perché ha tradotto una relazione dell’esperto americano Fred Leuchter ad un convegno in Germania nel 1991.

Nonostante un interprete incaricato dal Tribunale, che analizzò la videoregistrazione della presentazione (da parte di Giinter Deckert), avesse confermato che Deckert aveva tradotto accuratamente le parole di Leuchter, senza alcun commento, la corte giudicò che Deckert aveva diffamato gli ebrei e la memoria degli ebrei morti. Una circostanza aggravante fu che l’accusato aveva sorriso parecchie volte nel corso della traduzione delle parole di Leuchter, così commettendo l’offesa orwelliana di “crimine facciate” (face crime).

La cronaca del “caso” comunicata dalla stampa tedesca fu una specie di frenetica campagna di calunnie: si voleva dare l’impressione che i “neonazisti” fossero sul punto di impadronirsi della repubblica. Questa campagna propagandistica è stata così grottesca che avrebbe dovuto insospettire chiunque non sia una pecora a due zampe sulla versione ufficiale dell’Olocausto. Se la storia dei sei milioni e delle camere a gas avesse in effetti qualche fondamento, gli “sterminazionisti” sarebbero ben contenti di confutare pubblicamente i revisionisti, e non sarebbe necessario punire i revisionisti per mezzo di leggi liberticide.

Peraltro, sfortunatamente risulta molto difficile per il cittadino normale sapere la verità a causa della totale censura praticata dai media. Supponiamo che la leggenda dell’Olocausto fosse già stata ridotta alle sue giuste proporzioni nei primi anni Sessanta a seguito degli scritti revisionasti del pioniere Paul Rassinier.

Tale disconoscimento sarebbe stato grosso modo comparabile allo sgonfiamento delle menzogne diffuse dagli “alleati” durante la prima guerra mondiale in merito ai soldati tedeschi che tagliavano le mani ai bambini belgi o ricavavano sapone dai corpi dei soldati “alleati” morti. Certamente ci sarebbe stata una differenza di livello - nessun ufficiale tedesco fu impiccato per mutilazione di bambini belgi, per esempio, ma sostanzialmente i due casi sarebbero stati similari.

Profonde implicazioni politiche. - Ma ora, dopo cinque decenni di propaganda politica e parecchie migliaia di libri e film sull’ Olocausto, per la lobby dell’Olocausto non c’è più via d’uscita dal pantano. Il volume Hate Whitey (Odia il bianco) del 1997, il revisionista americano Michael A. Hoffman riporta i titoli di 234 film “antinazisti” in prevalenza recenti, oltre a 305 genericamente anti-bianchi, a 66 anti-eristiani, etc.
Se la storia dell’Olocausto venisse oggi pubblicamente screditata, le conseguenze, già disastrose, diverrebbero irreparabili, non soltanto per il sionismo internazionale, ma per l’intera élite politica ed intellettuale dell’occidente.

La Germania sarebbe probabilmente ingovernabile, ma anche negli USA ed in vari paesi europei, politici, giornalisti e storici verrebbero completamente screditati. Nessuno crederebbe più a loro. Il futuro delle classi dirigenti in parecchie nazioni dell’Occidente, specialmente Germania, Francia e Stati Uniti, è dunque legato alla tenuta di un mito. Per tali circostanze, i leader intellettuale e politici dell’occidente sono gli alleati naturali del sionismo, e non sarebbe equo accusare soltanto gli ebrei per la repressione anti-revisionista e per la censura dei media.

I nostri avversari lo capiscono, naturalmente. Perciò l’importante quotidiano tedesco Die Welt dichiarò (16 marzo 1994) che “chiunque nega Auschwitz attacca non soltanto la dignità umana degli ebrei, ma scuote le fondamenta del concetto che di se stessa ha questa società”. Nella
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 15 agosto 1994, probabilmente il più influente quotidiano tedesco, il giornalista Patrick Behners scrisse: “Se il punto di vista (revisionista) di Deckert fosse accolto, la Repubblica Federale (tedesca) sarebbe fondata sulla menzogna: ogni discorso del presidente, ogni minuto di silenzio (per ricordare i gassati) ed ogni libro di storia sarebbe mendace. Negando l’assassinio degli ebrei, Deckert contesta la legittimità della Repubblica Federale”.

Mentre sappiamo che la leggenda dell’Olocausto è condannata, non conosciamo quali circostanze specifiche ne provocheranno il collasso né quanti anni dovremo attendere ancora perché prevalga la verità. Comunque, ci saranno delle vittime. In Francia e in Germania la cricca governativa sembra presa da pazzia, e al revisionisti conviene prepararsi a qualche spiacevole sorpresa. Il dottor Robert Faurisson disse una volta che il futuro era luminoso per il revisionismo, ma oscuro per i revisionisti.
Faurisson ha dimostrato di aver ragione nel 95% dei casi, e temo che questa previsione sia uno di quei casi.

Per gli storici delle prossime generazioni, l’Olocausto apparirà davvero unico, ma in guisa alquanto diversa da quella conclamata dalla lobby dell’Olocausto. Gli storici del XXI secolo saranno imbarazzati nello spiegare come mai gente istruita della seconda metà del XX secolo, nel corso di un periodo di progresso tecnico senza precedenti, abbia potuto credere ad una leggenda tanto insostenibile dal punto di vista scientifico! Come mai gente che è stata in grado di inviare satelliti al pianeta Giove poté credere che i nazionalsocialisti utilizzassero - fra tutte le armi disponibili motori diesel per uccidere 1.750.000 ebrei a Belzec, Sobibor e Treblinka? Come poterono credere che i forni crematori di Auschwitz potessero bruciare corpi umani sei volte più velocemente di quanto lo possano i forni computerizzati degli anni Novanta?

Mentre i futuri storici senza dubbio porranno in rilievo il fatto che la leggenda dell’Olocausto fu protetta con successo per un periodo così lungo con l’aiuto della censura praticata dai media e con la repressione da Stato di polizia, essi potranno concludere che ci fu un altro, anche più cruciale, fattore psicologico.

Per quanto posso tornare indietro nel tempo, anche quando ci credevo, ho sempre pensato alla storia dell’Olocausto come ad una macabra fiaba. All’età di 16 anni fui profondamente impressionato da un racconto del celebre scrittore Friedrich Durrenmatt, Der Verdacht (il sospetto). Il romanzo racconta di un medico svizzero, il dr. Emmenberger, che operò sadici esperimenti pseudo-scientifici nel campo di concentramento di Stutthof (nel romanzo di Diirrenmatt, che fu pubblicato inizialmente nel 1948, Stutthof anziché Auschwitz viene dipinto come il maggior centro tedesco di sterminio). Questo brutale dottore fu braccato da Barlach, un detective mortalmente ammalato di cancro. Gli altri personaggi principali erano un gigante sopravvissuto ad infiniti esperimenti medici (ed anche ad una uccisione di massa) ed un nano usato da Emmenberger per uccidere i suoi nemici. Con tali caratteristiche si hanno tutti gli ingredienti per una fiaba da incubo.

Pericoloso mito religioso. - Per gli ebrei la storia dell’Olocausto è diventata una parte indispensabile del loro patrimonio religioso, molto simile alla situazione dei figli d’Israele, in Egitto, per sopravvivere, o alla distruzione del secondo Tempio. Anche per i non-ebrei l’Olocausto è stato gradualmente trasformato in un mito religioso. Quasi tutti hanno un bisogno istintivo di credere in qualcosa. Coloro che hanno perpetuato la leggenda, mentre sovvertivano sistematicamente la religione cristiana, hanno abilmente sfruttato questa fondamentale esigenza umana paragonando Auschwitz al Golgota, i “nazisti” al diavolo ed il popolo ebraico al Messia.

Anche la più tenue critica verso ebrei come Elie Wiesel o Simon Wiesenthal è diventata tabù: se critichi un ebreo, sei un antisemita. Essendo anche Hitler un antisemita che, come tutti sanno, fece gassare gli ebrei, chiunque critica gli ebrei apre di nuovo la strada alle camere a gas! Per quanto sia primitivo, questo genere di argomenti è sinora risultato considerevolmente efficace. Ecco ciò che rende la battaglia revisionista eccezionalmente difficile: noi dobbiamo non soltanto combattere contro la censura dei media, contro la repressione e la propaganda, ma dobbiamo altresì prevalere su una sorta di fede religiosa.

La storia insegna che confutare religioni con argomenti razionali non è esattamente un compito facile. Ma questa lotta deve essere combattuta, e poiché il destino delle future generazioni dipende dal risultato di tale battaglia, sarebbe bene che la si vinca. La leggenda dell’Olocausto ha intossicato gli europei ed altri popoli bianchi di origine europea con un complesso di colpa che minaccia di distruggere il rispetto di noi stessi e la nostra stessa volontà di sopravvivenza. Per tutti coloro che sono impegnati in questa battaglia contro un nemico che dispone di potere e di risorse finanziarie virtualmente illimitate, gli anni del prossimo futuro saranno difficilmente privi di interesse.
Jiirgen Graf

Ero portato a credere che almeno la Svizzera, per le sue tradizioni di neutralità ed indipendenza. potesse trovarsi al riparo da un evidente uso politico dell’«Olocausto», ma l’analisi del cittadino svizzero Jürgen Graf ci fa capire che non esistono linee di resistenza ad una propaganda il cui scopo evidente è il totale annullamento politico dell’Europa e di ogni tentativo di liberarsi dal giogo della sconfitta bellica.

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2. Attività repressiva della rete nel 2005. – Attingo al ricco archivio del CICAD, di cui sono da poco venuto a conoscenza. Esso risale al 2005. Naturalmente, mi è chiara la natura del sito ed i suoi scopi. Ciò non mi impedisce di decostruirne le notizie, ricavando i dati utili, che poi diventano base per ulteriori ricerche. Quanto al titolo originario, ossia «La Suisse lutte contro l’emrgence de blogs néonazis», non è per nulla ripetere ogni volta la mia tesi ricorrente: oggi, nel 2010, non esiste e non può essere nessun “nazismo” in senso proprio, essendo esso definitivamente finito nel 1945. Si tratta in realtà solo di pretesti per reprimere forme di opposizione politiche e manifestazioni di pensiero o di opinione, che possono incrinare l’egemonia dell’ideologia di regime. Da noi simili notizie vengono sempre interpretate come forme di repressione della libertà di pensiero, salvo poi andarne a studiare la specifica normativa ed i casi concreti ai quali viene applicata.

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3. Il CICAD è un’organizzazione ufficiale svizzera? – Sembra incredibile: non si sa dove finisce il privato ed incomincia il pubblico e viceversa. Che l’OSCE si occupi di un concetto elastico ed ambiguo come l’«antisemitismo» è altro aspetto da isolare. Interessante i dati sulla delegazione svizzera, composta da delegati (quali?) del DFAE (Dipartimento Federale degli Affari Esteri), tal Roman Busch, capo della sezione OSCE, DPI, Berna; tal Gioaa Weber, direttrice aggiunta della Commissione Federale contro il razzismo (ma quale razzismo?), tal Fatih Dursun, Presidente della Federazione Svizzera della Comunità Israelite (Ginevra), tal Roman A. Rosenstein, Presidente dell’Anti-defamation-Group, del famigerato Bnaï Brith, di Zurigo. Lo stesso avvenimento aveva avuto luogo l’anno prima in Germania. Incredibili ed allucinanti i dati resi noti da un articolo del Jerusalem Post del 23 maggio 2005. Quali gli obiettivi? Eccoli:
«mise en oeuvre concrète de projets comme la collecte de données, le contrôle et l'application de la loi, la transmission de l'Holocauste dans les programmes scolaires. Il s’agit également de lutter contre la propagande xénophobe et antisémite à travers les médias, sans oublier de renforcer le dialogue interreligieux et interculturel»,
cioè nuda e cruda attività repressiva e ideologica, di cui non si acquisirà mai sufficiente conoscenza e consapevolezza, presupposto necessario per una efficace prevenzione e difesa. Aggiunta: strani ed inquietanti queste relazioni militari fra la Svizzera ed Israele, di cui sempre il CICAD dà notizia. Come non sospettare che tutte le leggi libertici, presenti anche in Svizzera, non abbiano origine ed ispirazione proprio in Israele? In fondo, sono come una parte del prezzo delle partite militari. E non mancarono, in Svizzera, voci critiche sull’operazione che sembra stesse nei cuori del CICAD. Quanto mai discutibile, tendezioso e fazioso come da un “Rapport sur la sécurité intérieure de la Suisse” si trovi modo di passare da un generico problema della “sicurezza” al “terrorismo”, quindi al “Vicino Oriente”, quindi all’«antisemitismo», associato al “boicottaggio dei prodotti israeliani”, criminalizzando internet in quanto non soggetto al consolidato controllo pro-israeliano, e perfino a un controverso autore di nome Tariq Ramadan. Fin dai suoi esordi il CICAD ben si caratterizza nelle sue funzioni. Ci restano da sapere i nomi che si celano dietro questa sigla, se è concesso conoscerli, beninteso nel pieno rispetto della legalità. Dalla loro stessa newsletter risulta presidente tal Me Philippe Grumbach. E si trova anche un’intervista televisiva, dove si apprende che è un “ebreo”, che non si pone soverchi problemi di doppia cittadinanza e fedeltà. Si dice fiero di essere anche un “cittadino svizzero”, ma non sembra chiedersi come un suo concittadino possa sentire la sua “doppia” o “tripla” identità. A risolvere di siffatti problemi il direttore del CICAD confida molto nell’attività pedagogico-repressiva della scuola e in sussidio degli organi di polizia, dotati di mezzi giuridici e materiali di persuasione per gli ostinati. Se ne trova sulla rete perfino la foto. Eccola: Non ci interessa ciò che non è di dominio pubblico. La sigla CICAD, da non confondere con altra simile, sta qui per “Coordination Intercommunitaire Contre l’Antisémitisme et la Diffamation”, dove ci si può fin da adesso chiedere fondatamente se la “diffamazione” non sia quella esercitata dal CICAD stesso contro ogni sospetto oppositore politico nei confronti di Israele e della sua acclarata ingerenza negli affari interni degli Stati europei.

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4. La bestia nera dei blogs. – Nel comprensibile desiderio, o meglio libido, di poter controllare ogni recondito respiro di ciò che succede in una società, la tecnologia dei blogs, alla portata di chiunqe voglia disporre di una strumento per pensare e comunicare, sfugge ai controlli di polizia... e del CICAD, che della polizia e dell’esercito può disporre. Si tratta spesso di ragazzini al di sotto della soglia di imputabilità penale, ma per il CIDAD armato di clausole ampie e indefinbili come “nazismo”, “neonazismo”, “antisemitismo” si tratta di una comune massa damnationis facile da individuare. Basta infatti che possano essere minimamente classificabili come non amici di Israele o anche solo un poco critici riguarda alla narrativa storica del Novecento, quale si desume non da storici di mestiere, magari di regime, ma dai semplici discorsi di capi politici, che spesso a malapena hanno completato le scuole dell’obbligo o frequentato con dignità una qualsiasi università, dove il metodo scientifico e critico siano la regola. Non trovo un dato che pur sarebbe per noi assai interessante: una definizione di ciò che si intende per “neonazista” o “antisemita”. È dato però un esempio. Dire (o anche scrivere?): “Jude, raus!” è titolo d’incriminazione penale, che va da dozzine di giorni di prigione fino a tre anni. Viene però spontaneo chiedersi: E se anziché “Jude, raus!” (Fuori ebreo!) venisse detto o scritto: “Fuori, arabo!” o italiano, tedesco, turco... terrone, e quanto la fantasia può suggerire, vi sarebbe un’eguale protezione penale? E se per usare in Vangelo uno dicesse a suo fratello: “testa di rapa, levati dai piedi!” dovrebbe andare egualmente in galera fino a tre anni? La nostra impressione è che si tratti qui di una forma di privilegio che non è concessa a nessun altro gruppo sociale. Si accenna anche – ma siamo nel caso di specie al 2005 – di una estensione dell’articolo 261 del Codice penale svizzero che andremo a studiarci, per vedere cosa contempla e se è stato novellato dal 2005 ad oggi.

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5. L’articolo 261 bis del Codice penale svizzero. – Ed in effetti troviamo un articolo 261bis, che ci fa pensare all’auspicata novella. Andando al link del titolo si trova in testo che qui riportiamo nel testo francese:
«Discrimination raciale

Celui qui, publiquement, aura incité à la haine ou à la discrimination envers une personne ou un groupe de personnes en raison de leur appartenance raciale, ethnique ou religieuse;

celui qui, publiquement, aura propagé une idéologie visant à rabaisser ou à dénigrer de façon systématique les membres d’une race, d’une ethnie ou d’une religion;

celui qui, dans le même dessein, aura organisé ou encouragé des actions de propagande ou y aura pris part;

celui qui aura publiquement, par la parole, l’écriture, l’image, le geste, par des voies de fait ou de toute autre manière, abaissé ou discriminé d’une façon qui porte atteinte à la dignité humaine une personne ou un groupe de personnes en raison de leur race, de leur appartenance ethnique ou de leur religion ou qui, pour la même raison, niera, minimisera grossièrement ou cherchera à justifier un génocide ou d’autres crimes contre l’humanité;

celui qui aura refusé à une personne ou à un groupe de personnes, en raison de leur appartenance raciale, ethnique ou religieuse, une prestation destinée à l’usage public,

sera puni d’une peine privative de liberté de trois ans au plus ou d’une peine pécuniaire».
Questo articolo è stato introdotto dall’art. 1 della LF del 18 giugno 1993, entrato in vigore dopo il 1° gennaio 1995 (RO 1994 2887 2889; FF 1992 III 265). Non comprendo al momento i rinvii contenuti fra parentesi, ma suppongo siano riferimenti importanti, da cui risalire ad altre fonti normative, necessarie per il nostro studio e la nostra ricerca in itinere. L’art. 261 bis è quello in vigore al 1° gennaio 2010. Da un punto di vista filosofica ci inquieta non poco l’«incitazione all’odio» non perchè paradossalmene amiamo l’«odio» e ci sogniamo di difenderlo, ma perchè è un concetto indefinibile su un piano normativo. Ricordo pagine di Spinoza che a me sembrano insuperate ancora oggi. L’«odio» è una sorta di malattia dell’animo, che tendendo alla pienezza, alla potenza dell’essere, non può portare con sè il peso metafisico dell’«odio» se non per qualche fuggevole istante. Non tutti sanno che Spinoza, di origine ebraica ma espulso dalla comunità ebraica di appartenenza, definiva l’ebraismo come tutto impregnato dall’«odio»: quello verso gli altri, non ebrei, aventi quasi natura religiosa, e quello che gli ebrei stessi hanno un loro peculiare interesse a suscitare negli altri verso di sé. Naturalmente, Spinoza è trattato assai male, insieme a tanti altri basilari filosofi, dal Poliakov autore di una delle tante storie dell’antisemitismo, che si limitano a fare il censimento di quanti in oltre 2000 anni hanno parlato male degli ebrei, senza chiedersi quello che invece Bernard Lazare scriveva in apertura della sua insuperata Storia dell’antisemitismo: “ma se tutti, proprio tutti, nei tempi e in paesi diversi, se la son presi sempre con gli ebrei, non è che forse una qualche causa occorra cercarli negli ebrei stessi?». Essendo ben nota la capacità di lobbing delle comunità ebraiche, i diversi testi normativi andrebbero studiati e ricostruiti non nel loro significato letterale e nella giurisprudenza che ne è sorta, ma nel loro momento genetico. Una simile conoscenza non è in genere di nessun interesse il il giurista operatore del diritto, per l’avvocato o il giudice, ma sarebbe invece di grande forza esplicativa per lo storico e per il filosofo del diritto. La ricerca però non è agevole in quanto i gruppi di interesse che producono una determinata norma hanno poi interesse a sparire nell’ombra. Per abolire quella norma bisognerà aspettare una nuova forza politica che sia in grado di farlo.

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6. Antisemitismo e “negazionismo”: un assioma inscindibile. – Non ci stancheremo mai di ripetere la nostra formula secondo cui il cosiddetto negazionismo altro non è che una costruzione polemica a scopo di denigrazione, diffamazione e delazione, che in paesi come la Svizzera comportano la prigione per mere opinioni, condivisibili o meno. Ancora più evanescente è la nozione di “antisemitismo”, ormai però consolidata come titolo di reato, per cui basta far equivalere ogni altra nozione ad “antisemitismo” per riempire le carceri europee di milioni e milioni di ogni specie di oppositori o persone semplicemente malcontente. Anche nel link si riconosce la presenza di questo schema che ha la forza non nella sua intrinseca logica ma nel pregiudizio che si forma con una reiterazione incessante dello slogan. Dal sottolink si apprende anche – cosa utile alla nostra ricerca – di un evento del 1991, quanto tal Jean Brière scrisse un articolo dal titolo «Le Rôle belligène d’Israël et du lobby sioniste», per il quale era stato penalmente perseguito, benché poi assolto per inesistenza del fatto... (segue)

7. Il caso Berclaz ed il ruolo del CICAD. – Si apprende dal link di un titolo di reato consistente nelle negazione «dell’esistenza delle camere a gas», che poi conduce alla “incitazione all’odio razziale”. Il segretario di un’associazione dal nome, decisamente criminale, di “Verité et Justice” (disciolta) fu condannato nel 2002 a sei mesi di prigione, cosa di cui il CICAD si mostro fiero. Ma, per saperne di più e meglio, si rinvia a questa pagina di Carlo Mattogno: «Come gli storici delegano alla giustizia il compito di far tacere i revisionisti». Berclaz ha scontato in Svizzera 344 giorni di carcere per «discriminazione razziale», che sarebbe consistita nella diffusione di volantini revisionistici: chi in Italia diffonde volantini nelle manifestazioni, non importa cosa vi sia scritto, rischierebbe una pena simile, se un’eguale legislazione venisse introdotta da noi, cosa che le comunità ebraiche chiedono ogni anno, all’approssimarsi della Giornata della Memoria. La strategia processuale appare qui abbastanza chiara: si trascina ogni cosa dentro la fattispecie penale dell’«odio razziale». In un “Rapporto sicurezza interna svizzera” del maggio 2005, edito dall’Ufficio Federale di Polizia, disponibile in pdf e scaricabile dalla rete, si legge:
«Negazionismo. Dopo Jürgen Graf, un altro negazionista svizzero, René Louis Berclaz, si è sottratto alla giustizia [?!] con la fuga. Berclaz è fuggito dalla Svizzera già nell’autunno 2003. Il 29 giugno 2004 nel Cantone di Friburgo è stato nuovamente ritenuto colpevole e condannato a tre mesi di detenzione per discriminazione razziale. Anche dopo la sua fuga ha proseguito dalla Serbia la sua attività negazionista a favore dell’associazione vietata “Verité et Justice”. Il 26 novembre è tornato in Svizzera consegnandosi alle friburghesi preposte all’esecuzione delle pene».
Non so come commentare, se non dicendo che “allibisco” davanti a ciò che leggo. Si fosse trattati omicidi, di rapine a banche, di stupri e violenze da “arancia meccanica” potrei ancora capire, ma condannare degli uomini per mere opinioni significa dismettere ogni idea di giustizia e diritto. Il fatto che sia reati e pene assurde queste di cui leggiamo non ci esime dal cercare di saperne il più possibile.

8. Oriana Fallaci e la Svizzera. – Mi sono più volte espresso criticamente sul conto di Oriana Fallaci, di cui non ho mai apprezzato i concetti e le posizioni, per quanto mi erano note. Ma non sapevo di ciò che ebbe a dire a proposito della giustizia svizzera, con la quale sapevo che aveva avuto dei problemi, credo per la sua islamofobia. Si tratta del nostro tema della libertà di espressione e ne apprendo da un articolo di Faurisson, che mi è venuto fuori dai motori di ricerca inserendo “Berclaz”. Vale la pena riportane ampiamente il testo:
In una sua recente opera l'italiana Orianna Fallaci denuncia qualche esempio di intolleranza e di arbitrio nel paesi degli “Svizzeri glaciali” (Céline). Ella scrive molto correttamente che «la Svizzera ha il vizietto di processare in contumacia e all’insaputa dell’imputato” (La Force de la raison, tradotto dall'italiano da Victoire Simon, éditions du Rocher/Jean-Paul Bertrand, 2004, pag. 27. Nell'edizione italiana pag. 26). Personalmente sono stato condannato il 15 giugno 2001 ad un mese di detenzione e al pagamente di 230 franchi svizzeri da Michel Favre, giudice istruttore a Friburgo, per la riproduzione, in una brochure pubblicata da René-Louis Berclaz, di un articolo che avevo intitolato Le Procès Amaudruz, une parodie de justice (éditions Vérité et Justice, agosto 2000). Questo giudice istruttore non aveva notificato alcuna querela né alcun procedimento nei miei confronti. Egli non mi aveva né convocato né ascoltato. (Per ulteriori dettagli su questi aspetti, vedi il mio testo del 19 giugno 2001 intitolato La caccia ai revisionisti). Evocando a proposito il caso di Gaston-Armand Amaudruz, editore del piccolo mensile Courrier du continent, e il mio stesso caso, Oriana Fallaci scrive:
“Un altro esempio (d’arbitrio elvetico): l’ottantenne storico svizzero Gaston Armand Amaudruz che stampava un piccolo mensile revisionista (riveder la storia cioè raccontarla in modo diverso dalla versione ufficiale oggi è proibito, viva la libertà) e che a causa di ciò il 10 aprile 2000 venne condannato dal Tribunale di Losanna a un anno di carcere più una violenta pena pecuniaria. Un altro è lo storico francese Robert Faurisson, ugualmente revisionista,che il 15 giugno 2001 venne processato a sua insaputa del Tribunale di Friburgo e condannato a un mese di prigione. anche per lui, e nonostante la tarda età, senza condizionale. Motivo, un suo articolo che pubblicato in Francia era stato ripreso da una rivista elvetica. Se a mia insaputa sono stata processata e condannata nel paese degli orologi e delle banche care ai tiranni, dunque, per finire in galera a Berna o a Losanna o a Ginevra mi basta andare a bere un caffè a Lugano.Oppure trovarmi su un aereo che per maltempo o dirittamento atterra a Zurigo. Meglio ancora, mi basta aspettare che la Svizzera entri nell’Ue e che il Parlamento italiano approvi il Mandato d’Arresto Europeo così accettando la scorrettezza commessa dopo l’Undici Settembre dall’ineffabile Commissione Europea” (pag. 27-28).
Effettivamente il territorio elvetico è attualmente vietato ai revisionisti, anche per il semplice transito. Dei revisionisti svizzeri sono dovuti andare in esilio. R. L. Berclaz, che aveva cercato rifugio prima in Romania e poi in Serbia, è stato fatto oggetto di un mandato di arresto internazionale; sul punto d'essere arrestato dall’Interpol si è consegnato alle autorità svizzere che l’hanno incarcerato. Quanto a G. A. Amaudruz, si prepara che, malgrado l’età avanzatissima e uno stato di salute precaria, a ritornare un’altra volta in carcere. Automaticamente assimilati a pericolosi razzisti, tutti i revisionisti residenti in Europa possono conoscere l’arresto, l’eventuale estradizione e la detenzione. Oriana Fallaci ha ragione a sottolinearlo ma, leggendola, si potrebbe credere che i responsabili di questi fatti siano... gli Arabi-Musulmani. In realtà, gli istigatori e i principali beneficiari delle leggi che permettono tali abusi sono le organizzazioni ebraiche, nazionali ed internazionali. Di questo fatto, che è essenziale, ella non dice una parola ai suoi lettori. Perchè?
12 dicembre 2004»
In pratica, ogni cittadino che viaggi per l’Europa può rischiare di trovarsi arrestato per motivi di cui ignorava assolutamente ogni cosa, magari per avere semplicemente espresso un’opinione riporatata da altri. È quello che è successo al vescovo Williamson il Germania, dove il suo processo è tuttora in corso è rientra in quei 200.000 casi da me stimati.

9. Criminalizzazione di pacifiche riunioni in Svizzera. – Proseguiamo il nostro monitoraggio di una newsletter svizzera, espressione dell’ennesima associazione ebraico-sionista. Il nostro metodo consiste nella decostruzione delle notizie che il “nemico” stesso suo malgrado ci fornisce. A leggere qui la News 1302 non riusciamo a capire dove stia il reato commesso dalle persone che si sarebbero dovute riunire a Ginevra, in un “Café Papon”. Non rientra qui nei nostri interessi l’oggetto della riunione e il nome dei partecipanti, ma solo se il diritto di riunione sia in Svizzera ancora un diritto democratico. Sembrerebbe di si, se la riunione non è stata vietata – a quanto pare –, ma proprio questo sembra dispiaccia al redattore della Newsletter. Questa è il clima in un paese come la Svizzera, che pensavano fosse un paese civile, all’avanguardia dei diritti di libertà dei suoi cittadini.

10. Gli strani “gusti” delle ferrovie svizzere. – Leggendo l’articolo del Corriere del Ticino, ripreso da “Notizie su Israele”, un’agenzia cristiano-sionista, redatta il lingua italiana, sorge spontanea una certa ilarità su quanto sarebbe accaduto e che cerchiamo di ricostruire, decostruendo il testo. Si parte da un manifesto di critica politica verso Israele affisso (supponiamo negli spazi conentiti e pagando i relativi diritti) da parte di un gruppo politico nei locali delle stazioni svizzere. Esattamente il fatto è accaduto nella stazione centrale di Zurigo. Il gruppo politico è l’Aktion Palästina Solidarität. Il manifesto era stato affisso a fine marzo 2009, due mesi dopo l’operazione “Piombo Fuso”: la circostanza temporale non è irrilevante! E detto manifesto aera stato affisso all’interno della stazione da un’impresa specializzata nell’affissione di manifesti, la SGA, se abbiamo ben capito. Non cioè da militanti, come di solito avviene, ma da un’impresa specializzata nell’affissione di manifesti e dunque, vi è da supporre, nel più stretto rispettop della normativa sulle affissioni. Ma ciononostante, tre giorni dopo, le ferrovie rimuovono incredibilmente i manifesti. Con quale motivazione? A leggere la notizia sarebbero le seguentI:
«Tre giorni più tardi le FFS ne avevano deciso la rimozione, dopo essere state rese attente al suo contenuto politico: il manifesto, critico verso la politica di colonizzazione perseguita da Israele, rimproverava allo Stato ebraico di essersi «costruito con la violenza sul suolo palestinese» e si appellava alla «resistenza» per rispondere a questa «ingiustizia».
Ci si aspetterebbe che le funzioni di una ferrovia siano quelle di far circolare i treni, farli giungere a destinazione ed in orario. Stranamente i funzionari della ferrovia ritengono di aver titolo ad interessarsi di politica estera e di valutazioni su ciò che è giusto o ingiusto. Giustamente, a nostro avviso, il tribunale amministrativo di primo grado ha condannato le ferrovie per il divieto posta alla libertà di espressione e di pensiero.

Incredibilmente, le ferrovie pensano non già di accogliere la determinazione giudiziale di primo grado, ma fanno appello con questa ulteriore motivazione:
L’ex regia considera però che questa decisione comporta «una forte limitazione della responsabilità come azienda che deve avere la facoltà di vietare la pubblicità di cattivo gusto, moralmente riprovevole o con messaggi scabrosi su temi di politica estera». Per questo motivo, e anche per avere la «necessaria certezza del diritto in vista di eventuali casi futuri», le ferrovie hanno deciso di rivolgersi al TF, scrivono le stesse FFS in una nota.
Ritiene che criticare Israele sia cosa di “cattivo gusto” (!), anzi addirittura “moralmente riprovevole”. Vi è subito da chiedersi se si tratta dell’amministrazione delle ferrovie israeliane, ma pare si tratti di ferrovie svizzere. È da chiedersi se le bombe al fosforo bianco di due mesi prima e gli innumerevoli orrori, riconosciuti dal rapporto Goldstone, siano cose di “buon gusto” secondo le ferrovie svizzere.

Insomma, il caso rasenta l’assurdo e per quanto ci sarà possibile lo seguiremo in ogni dettaglio, giacché l’articolo di giornale crediamo nasconda più cose di quelle che sembra rilevare.

11. Quando facevo l’asilo infantile… – Il reato qui ascritto sembra di tipo curriculare. La persona indicata ha 34 anni e non poteva essere certo nata prima del 1945, ma gli viene attribuita una responsabilità criminale connessa ad un partito che non solo non esiste più, il partito nazista, ma del quale diventa sempre più difficile sapere cosa sia stato. Infatti, manca libertà di ricerca storica, e vigendo addirittura per legge un mero criterio di demonizzazione, è di fatto preclusa la via della ricerca e della conoscenza, che non può prescindere dalla libertà e dal contraddittorio. È un mondo assurdo ed allucinante, ma ciò succede nella civilissima (?) Svizzera.

12. Conflitto latente di interessi. – Vado insistendo da tempo che sarebbe necessaria una definizione oggettiva di “antisemitismo”. Non la si trova quasi mai, ma sempre a dire cosa sia “antisemitismo” sono organizzazioni ebraiche e sioniste, che in questo modo hanno facile gioco a fustigare chi è loro semplicemente antipatico o non gode delle loro simpatie politiche. La tragedia è che queste definizioni di parte sono poi assunte come dato normativo, per non parlare poi della risonanza mediatica. Gli atti di “antisemitismo” si risolvono per lo più in graffiti sui muri, che mancando l’autore individuato ed individuabile resta aperta la via a ogni sospetto.

13. Giudaismo e sionismo. – Il caso di cui al link è da segnalare soprattutto per l’azione di alcune associazioni che si avvalgono di una legislazione liberticida promossa dalla stessa lobby per reprimere ogni minimo gesto di critica politica, ossia una delle forme della libertà di pensiero e di espressione. Simili normative andrebbero tutte smantellate rivendicando anche nella tutela penale l’eguaglianza di trattamento. Una tutela speciale prevista per un qualsiasi gruppo è di fatto una forma di privilegio e di discriminazione che si traduce in oppressione per la maggioranza dei cittadini.



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