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Capitolo II: Francia (1990), ossia il primo paese europeo ad aver seguito le indicazioni israeliane.
Capitolo III: Austria (1992).
Cap. IV: Germania (1994).
Cap. V: Svizzera (1995).
Cap. VI: Belgio (1995).
Cap. VII: Spagna (1995).
Cap. VIII: Lussemburgo (1997).
Cap. IX: Polonia (1999).
Cap. X: Ungheria (2010).
Cap. XI: Italia (2010).
Cap. XII: Lituania (2010).
Cap. XIII: Grecia (2010).
Cap. XIV: Vaticano (2009).
Cap. XV: Gran Bretagna (2011).
Cap. XVI: Romania (2011).
– Il Capitolo finale di questa parte prevede un excursus in tutta la legislazione costituzionale europea dal 1789 in poi relativamente alla libertà di pensiero, che terremo sempre accuratamente distinta dalla libertà di stampa, con la quale spesso la si confonde, e possibilmente anche distinta dalla libertà di coscienza e dalla libertà di fede e di religione.
Capitolo II: Ambiguità normative dell’Unione Europea.
Capitolo III: La giurisprudenza della Corte europea di giustizia.
Capitolo IV: L’associazionismo ebraico e le sue articolazioni.
Capitolo V: Le associazioni parlamentari e interparlamentari.
Capitolo VI: La convegnistica repressiva.
Altri paesi con legislazioni liberticide:
Israele (1986), Spagna (1995), Portogallo (1998), Svizzera (1995), Austria (1992), Belgio (1995), Romania, Lituania, Polonia, Francia (1990), Slovacchia....
• Il 27 gennaio 2007 vi fu una condanna delle Nazioni Unite di ogni forma di “holocaust deneal”. Sembra essere una cosa grave e contraddittoria con la dichiarazione universisale dei diritti dell’uomo per quanto riguarda la libertà di pensiero. Occorre vedere minutamente cosa accadde all’ONU e quali furono i passaggi attraverso cui si giunse alla condanna di quella che appare essere una mera “opinione” ed in quanto tale non perseguibile.
Sommario: 1. Il legno storto, davvero storto. – 2. Negazionismo in Europa: è libertà di espressione? –
1. Il legno storto, davvero storto, a firma Gianni Pardo.
Stranamente, molti commenti suonano nel senso che è bene ciò che altri hanno fatto. Così ad esempio quello qui commentato.
Ovviamente, per me non si tratta se il “negazionismo” sia il gran crimine che si dice, ma se il gran bene della libertà di pensiero sia cosa a cui cui si possa rinunciare come ad un piatto di lenticchie. Quando il “negare”, il dire “no, non ci credo” o simili, diventa un reato, in cosa siamo su un piano diverso da quando si innalzavano roghi per bruciarvi streghe ed eretici?
E poi, perché mai dovrebbe essere punito anche il carcere duro la negazione di questa cosa e non anche di quell’altra? E poi ancora di quell’altra? e così via.
In realtà, per questa via si perseguono determinati interessi politici: o si è sciocchi e sprovveduti per non accorgesene o si è in malafede ed amici del giaguaro.
2. Cafebal.com: Negazionismo in Europa: è libertà di espressione? – Bisognerebbe che ce lo dicesse l’autrice Theresa Schelling cosa è la libertà di espressione e quando e da chi ciè concessa poterla avere. Correlata alla libertà, ma del tutto ignorata, è la libertà di poter sentire cosa un’altra abbia da dire. Chi toglie all’uno la libertà di parlare, toglie all’altro la libertà di ascoltare. Viene da chiedersi di chi si abbia più paura? Di chi parla o di chi può ascoltare? Chi ascolta è pur sempre libero di giudicare e di farsi un’opinione. Viene però qui considerato o come un minorenne o come un idiota. La dove Therese scrive: «Nessun altro evento della storia umana è stato indagato quanto l’Olocausto: chi, come Mahler, lo nega, fa propaganda di destra nascosta sotto la bandiera della lotta per la libertà di pensiero», è facile obiettare quanto scrive Norman G. Finkelstein a proposito di tanta “indagine” di studi: tutta paccottiglia da supermercato, stucchevolmente ripetiva. I lavori a cui tutti questa “indagatori” si rifanno risalgono al solo Hilberg ed a poco altri. La seconda parte del testo è del tutto priva di connessione logica. La libertà di pensiero non è né di destra né di sinistra; è per tutti! E non vi può essere democrazia di sorta se non è basata sulla libertà di pensiero, anche la più radicale, senza limiti, o come si dice con un brutto vezzo assai di moda: senza se e senza ma.
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1.
Parto dall’assunto che “negazionismo” sia nozione pseudoscientifica. È da me considerato come una costruzione polemica elaborata per fini di denigrazione, diffamazione, delazione. È necessario creare una specifica fattispecie penale per reprimere dissidenti ed avversari politici, spesso del tutto innocui sul piano dell’agire o di vere e proprie condotte criminose che si sostanzione in reati tipici e tradizionali: omicidio, furto, violenza, ecc.
Esistono purtroppo teorici e “giuristi” che si prestano a fornire simili gabbie ideologiche. Ne passeremo in rassegna quello che troveremo in rete. Esaurita questa comoda possibilità di ricerca, ci recheremo poi il il lavoro tradizionale in biblioteca.
2.
Una definizione di negazionismo, anzi di “antinegazionismo” che si trova comunque in Joerg Luther è la seguente: «l’antinegazionismo è, di conseguenza, l’insieme delle idee e delle pratiche che negano ogni giustificazione morale del negazionismo e combattono quanto meno la negazione di un genocidio». Bah! Un genocidio per lo meno sappiamo cosa è e possiamo convenire sul suo significat: una uccisione, non importa qui in che modo, di un’intera popolazione, di un popolo. Il concetto è diverso da quello di “strage” che riguarda una moltitudine di individui. Per genocidio intendiamo comunemente una popolazione nella sua intererezza, salvo possibile e fortunati scampati e “sopravvissuti”.
Ma il punto è: in quanto fatto storicamente avvenuto un simile fatto deve pur essere accertato. Se una popolazione di 1.000.000 di persone è fisicamente soppressa altro è negare la qualificazione penalistica di “genocidio” allo stesso modo in cui non si dice che è non un omicidio l’esecuzione di un disertore inflitto in guerra ad un individuo che comunque è privato in modo violento della sua vita altro è contestare sul piano storico che il fatto sia mai avvenuto. L’accertamento del fatto, sia esso un omicidio o un’esecuzione legale di un individuo, o anche di un’intera popolazione, deve essere innanzitutto investigato e non può essere presupposto come un dato di fede.
L’antinegazionismo è in realtà il perseguimento penale di un’opinione storico su un fatto o sulla modalità in cui esso si sarebbe verificato. In sé un fatto è un fatto e la sua realtà o meno non dipende, non è costituita dall’opinione che di esso si abbia. Né le persone che siano o non siano decedute lo sono state per l’opinione che si abbia del loro decesso, vero o fittizio, nell’una o nell’altra forma avvenuto o meno.
Il reato di “negazionismo” si annuncia fin dall’inizio della nostra analisi come un reato “ideologico” con cui si intende imporre con mezzi legali una individuabile concezione della storia del Novecento interamente influenzata dal rapporto vincitori/vinti. Possiamo aggiungere: è un reato politico dove il “nemico” è dichiarato per avvenuta debellatio ipso fatto un “criminale”. È una regressione giuridica rispetto ad una precedente netta distinzione fra nemico = soldato in armi e criminale = autore di crimini elencati in un codice penale vigente.
Il concetto di «olocausto», assai ricorrente nel linguaggio politico e mediatico ovvero in una letteratura non scientifica, ha piuttosto a che fare con la teologia politica che non con la storia, intesa come accertamento e narrazione di fatti avvenuti, che non con il diritto penale in quanto chiara definizione di fattispecie penali orientate alla repressione di concrete condotte individuali. Naturalmente, qui si prescinde dalla concretezza e realtà dell’evento comunque evocato. La stessa “Convenzione Internazionale sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio del 1948” non può che riferirsi ad un fatto concretamente avvenuto e, se deve prevenire, prima che possa verificarsi: valga a ciò l’operazione “Piombo Fuso” e l’assedio di Gaza tuttora in atto. Ma di certo nel 1948 non era ancora contemplata l’opinione sul fatto stesso, sul suo accertamento più o meno veritiero.
Credo che per una datazione dello studio della repressione ideologica e fattuale, nonchè per la creazione stessa del reato di “negazionismo” debba partirsi dal 1986, anno in cui viene istituito in Israele e quindi “esportato” in altri paesi, principalmente europei. È un ben penoso tentativo quello di trovare antecedenti “nobili” pre 1986.
3.
Luther sembra cambiare registro quando scrive: “L’antinegazionsimo giuridico pretende di armare la repressione penale ed un’azione politica ed amministrativa efficace di prevenzione”. Qui siamo fuori dal diritto propriamente detto e si entra nella persecuzione, nella vendetta, nella guerra continuata sul piano dell’ideologia.
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1. «In particolare il ramo dei genocide studies su cui M. Dabag, Wahrnehmung und Prävention von Genozid aus der Sicht der strukturvergleichenden Genozidforschung, in: V. Radkau / E. Fuchs / T. Lutz (ed.) Genozide und staatliche Gewaltverbrechen im 20. Jahrhundert, Innsbruck-Wien, Studienverlag 2004, pp. 22ss.».
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La ricerca è strutturata in Parti e capitoli disposti cronologicamente a secondo dell’introduzione di legislazioni limitative della libertà di pensiero e di espressione, dopo il 1986, nei singoli paesi ovvero dei tentativi di introdurle in paesi che ne sono prive ovvero di paesi che hanno abrogato siffatte leggi. Vengono anche monitorati i movimenti politici e le personalità che propugnano e promuovono l’adozione di normative che sostanzialmente aggirano ed eludono il chiaro enunciato delle libertà e di espressione come diritto umano fondamentale. Vengono anche necessariamente ricostruiti gli esatti termini delle controversie storiche, per le quali si stima che nella sola Germania dal 1994 ad oggi ben 200.000 persone siano state penalmente perseguite per meri reati di opinione. Esiste infatti un deliberata disinformazione con la quale si fanno credere ai comuni cittadini le cose più assurde ed incredibili, attribuendole alle persone incriminate.
Post editi:
PARTE PRIMA.
Gli Stati.
Capitolo I: Israele (1986). Gli Stati.
Capitolo II: Francia (1990), ossia il primo paese europeo ad aver seguito le indicazioni israeliane.
Capitolo III: Austria (1992).
Cap. IV: Germania (1994).
Cap. V: Svizzera (1995).
Cap. VI: Belgio (1995).
Cap. VII: Spagna (1995).
Cap. VIII: Lussemburgo (1997).
Cap. IX: Polonia (1999).
Cap. X: Ungheria (2010).
Cap. XI: Italia (2010).
Cap. XII: Lituania (2010).
Cap. XIII: Grecia (2010).
Cap. XIV: Vaticano (2009).
Cap. XV: Gran Bretagna (2011).
Cap. XVI: Romania (2011).
– Il Capitolo finale di questa parte prevede un excursus in tutta la legislazione costituzionale europea dal 1789 in poi relativamente alla libertà di pensiero, che terremo sempre accuratamente distinta dalla libertà di stampa, con la quale spesso la si confonde, e possibilmente anche distinta dalla libertà di coscienza e dalla libertà di fede e di religione.
PARTE SECONDA.
Le Organizzazioni.
Capitolo I: La normativa dell’ONU sull’Olocausto e sulla Giornata della Memoria. Le Organizzazioni.
Capitolo II: Ambiguità normative dell’Unione Europea.
Capitolo III: La giurisprudenza della Corte europea di giustizia.
Capitolo IV: L’associazionismo ebraico e le sue articolazioni.
Capitolo V: Le associazioni parlamentari e interparlamentari.
Capitolo VI: La convegnistica repressiva.
Altri paesi con legislazioni liberticide:
Israele (1986), Spagna (1995), Portogallo (1998), Svizzera (1995), Austria (1992), Belgio (1995), Romania, Lituania, Polonia, Francia (1990), Slovacchia....
• Il 27 gennaio 2007 vi fu una condanna delle Nazioni Unite di ogni forma di “holocaust deneal”. Sembra essere una cosa grave e contraddittoria con la dichiarazione universisale dei diritti dell’uomo per quanto riguarda la libertà di pensiero. Occorre vedere minutamente cosa accadde all’ONU e quali furono i passaggi attraverso cui si giunse alla condanna di quella che appare essere una mera “opinione” ed in quanto tale non perseguibile.
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Links contenenti materiale in lettura
o da studiare direttamente online.
Con eventuali commenti e appunti provvisori.
Links contenenti materiale in lettura
o da studiare direttamente online.
Con eventuali commenti e appunti provvisori.
Sommario: 1. Il legno storto, davvero storto. – 2. Negazionismo in Europa: è libertà di espressione? –
1. Il legno storto, davvero storto, a firma Gianni Pardo.
Stranamente, molti commenti suonano nel senso che è bene ciò che altri hanno fatto. Così ad esempio quello qui commentato.
Ovviamente, per me non si tratta se il “negazionismo” sia il gran crimine che si dice, ma se il gran bene della libertà di pensiero sia cosa a cui cui si possa rinunciare come ad un piatto di lenticchie. Quando il “negare”, il dire “no, non ci credo” o simili, diventa un reato, in cosa siamo su un piano diverso da quando si innalzavano roghi per bruciarvi streghe ed eretici?
E poi, perché mai dovrebbe essere punito anche il carcere duro la negazione di questa cosa e non anche di quell’altra? E poi ancora di quell’altra? e così via.
In realtà, per questa via si perseguono determinati interessi politici: o si è sciocchi e sprovveduti per non accorgesene o si è in malafede ed amici del giaguaro.
2. Cafebal.com: Negazionismo in Europa: è libertà di espressione? – Bisognerebbe che ce lo dicesse l’autrice Theresa Schelling cosa è la libertà di espressione e quando e da chi ciè concessa poterla avere. Correlata alla libertà, ma del tutto ignorata, è la libertà di poter sentire cosa un’altra abbia da dire. Chi toglie all’uno la libertà di parlare, toglie all’altro la libertà di ascoltare. Viene da chiedersi di chi si abbia più paura? Di chi parla o di chi può ascoltare? Chi ascolta è pur sempre libero di giudicare e di farsi un’opinione. Viene però qui considerato o come un minorenne o come un idiota. La dove Therese scrive: «Nessun altro evento della storia umana è stato indagato quanto l’Olocausto: chi, come Mahler, lo nega, fa propaganda di destra nascosta sotto la bandiera della lotta per la libertà di pensiero», è facile obiettare quanto scrive Norman G. Finkelstein a proposito di tanta “indagine” di studi: tutta paccottiglia da supermercato, stucchevolmente ripetiva. I lavori a cui tutti questa “indagatori” si rifanno risalgono al solo Hilberg ed a poco altri. La seconda parte del testo è del tutto priva di connessione logica. La libertà di pensiero non è né di destra né di sinistra; è per tutti! E non vi può essere democrazia di sorta se non è basata sulla libertà di pensiero, anche la più radicale, senza limiti, o come si dice con un brutto vezzo assai di moda: senza se e senza ma.
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1.
Parto dall’assunto che “negazionismo” sia nozione pseudoscientifica. È da me considerato come una costruzione polemica elaborata per fini di denigrazione, diffamazione, delazione. È necessario creare una specifica fattispecie penale per reprimere dissidenti ed avversari politici, spesso del tutto innocui sul piano dell’agire o di vere e proprie condotte criminose che si sostanzione in reati tipici e tradizionali: omicidio, furto, violenza, ecc.
Esistono purtroppo teorici e “giuristi” che si prestano a fornire simili gabbie ideologiche. Ne passeremo in rassegna quello che troveremo in rete. Esaurita questa comoda possibilità di ricerca, ci recheremo poi il il lavoro tradizionale in biblioteca.
2.
Una definizione di negazionismo, anzi di “antinegazionismo” che si trova comunque in Joerg Luther è la seguente: «l’antinegazionismo è, di conseguenza, l’insieme delle idee e delle pratiche che negano ogni giustificazione morale del negazionismo e combattono quanto meno la negazione di un genocidio». Bah! Un genocidio per lo meno sappiamo cosa è e possiamo convenire sul suo significat: una uccisione, non importa qui in che modo, di un’intera popolazione, di un popolo. Il concetto è diverso da quello di “strage” che riguarda una moltitudine di individui. Per genocidio intendiamo comunemente una popolazione nella sua intererezza, salvo possibile e fortunati scampati e “sopravvissuti”.
Ma il punto è: in quanto fatto storicamente avvenuto un simile fatto deve pur essere accertato. Se una popolazione di 1.000.000 di persone è fisicamente soppressa altro è negare la qualificazione penalistica di “genocidio” allo stesso modo in cui non si dice che è non un omicidio l’esecuzione di un disertore inflitto in guerra ad un individuo che comunque è privato in modo violento della sua vita altro è contestare sul piano storico che il fatto sia mai avvenuto. L’accertamento del fatto, sia esso un omicidio o un’esecuzione legale di un individuo, o anche di un’intera popolazione, deve essere innanzitutto investigato e non può essere presupposto come un dato di fede.
L’antinegazionismo è in realtà il perseguimento penale di un’opinione storico su un fatto o sulla modalità in cui esso si sarebbe verificato. In sé un fatto è un fatto e la sua realtà o meno non dipende, non è costituita dall’opinione che di esso si abbia. Né le persone che siano o non siano decedute lo sono state per l’opinione che si abbia del loro decesso, vero o fittizio, nell’una o nell’altra forma avvenuto o meno.
Il reato di “negazionismo” si annuncia fin dall’inizio della nostra analisi come un reato “ideologico” con cui si intende imporre con mezzi legali una individuabile concezione della storia del Novecento interamente influenzata dal rapporto vincitori/vinti. Possiamo aggiungere: è un reato politico dove il “nemico” è dichiarato per avvenuta debellatio ipso fatto un “criminale”. È una regressione giuridica rispetto ad una precedente netta distinzione fra nemico = soldato in armi e criminale = autore di crimini elencati in un codice penale vigente.
Il concetto di «olocausto», assai ricorrente nel linguaggio politico e mediatico ovvero in una letteratura non scientifica, ha piuttosto a che fare con la teologia politica che non con la storia, intesa come accertamento e narrazione di fatti avvenuti, che non con il diritto penale in quanto chiara definizione di fattispecie penali orientate alla repressione di concrete condotte individuali. Naturalmente, qui si prescinde dalla concretezza e realtà dell’evento comunque evocato. La stessa “Convenzione Internazionale sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio del 1948” non può che riferirsi ad un fatto concretamente avvenuto e, se deve prevenire, prima che possa verificarsi: valga a ciò l’operazione “Piombo Fuso” e l’assedio di Gaza tuttora in atto. Ma di certo nel 1948 non era ancora contemplata l’opinione sul fatto stesso, sul suo accertamento più o meno veritiero.
Credo che per una datazione dello studio della repressione ideologica e fattuale, nonchè per la creazione stessa del reato di “negazionismo” debba partirsi dal 1986, anno in cui viene istituito in Israele e quindi “esportato” in altri paesi, principalmente europei. È un ben penoso tentativo quello di trovare antecedenti “nobili” pre 1986.
3.
Luther sembra cambiare registro quando scrive: “L’antinegazionsimo giuridico pretende di armare la repressione penale ed un’azione politica ed amministrativa efficace di prevenzione”. Qui siamo fuori dal diritto propriamente detto e si entra nella persecuzione, nella vendetta, nella guerra continuata sul piano dell’ideologia.
Navigazione
1. «In particolare il ramo dei genocide studies su cui M. Dabag, Wahrnehmung und Prävention von Genozid aus der Sicht der strukturvergleichenden Genozidforschung, in: V. Radkau / E. Fuchs / T. Lutz (ed.) Genozide und staatliche Gewaltverbrechen im 20. Jahrhundert, Innsbruck-Wien, Studienverlag 2004, pp. 22ss.».
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Riferimenti normativi nazionali e internazionali
Riferimenti normativi nazionali e internazionali
1) A/RES/61/255 = Il 27 gennaio 2007 vi fu una condanna dell’ONU di ogni forma di “holocaust denial”.
1. “Repubblica”, in prima fila. – Per tutti costoro, che operano nei media, non meritevoli di incondizionato credito e fiducia, come si apprende dal recente libro di Erich Salerno, basterebbe un’obiezione molto semplice: «Ma se siete così certi della verità, perché mai temete ed impedite ad altri di cercarla?» In realtà, non di verità si tratta, ma della costruzione di un’ideologia di regime su cui creare un nuovo consenso. Costoro, e chi li paga, non fanno niente di diverso di ciò che imputano ai regimi sconfitti, la cui colpa principale è quella di essere stati sconfitti. Se la vittoria qui dovesse venir data non dalla superiorità delle armi, ma da quella dei superiori principi di civiltà, basta ricordare l’uso dell’atomica e quanto il mondo ha visto dopo il 1945. La Nakba non è inferiore all’«Olocausto»: la precede perfino se si considera la sua lunga preparazione ideologica, il primo insediamento sionista del 1882, precedente addirittura la stessa nascita di Hitler, il collante ideologico necessario per un’operazione dove giustizia ed umanità sono foglie di fico, dietro cui si nasconde ben altro.
1. “Repubblica”, in prima fila. – Per tutti costoro, che operano nei media, non meritevoli di incondizionato credito e fiducia, come si apprende dal recente libro di Erich Salerno, basterebbe un’obiezione molto semplice: «Ma se siete così certi della verità, perché mai temete ed impedite ad altri di cercarla?» In realtà, non di verità si tratta, ma della costruzione di un’ideologia di regime su cui creare un nuovo consenso. Costoro, e chi li paga, non fanno niente di diverso di ciò che imputano ai regimi sconfitti, la cui colpa principale è quella di essere stati sconfitti. Se la vittoria qui dovesse venir data non dalla superiorità delle armi, ma da quella dei superiori principi di civiltà, basta ricordare l’uso dell’atomica e quanto il mondo ha visto dopo il 1945. La Nakba non è inferiore all’«Olocausto»: la precede perfino se si considera la sua lunga preparazione ideologica, il primo insediamento sionista del 1882, precedente addirittura la stessa nascita di Hitler, il collante ideologico necessario per un’operazione dove giustizia ed umanità sono foglie di fico, dietro cui si nasconde ben altro.
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