martedì 10 giugno 2008

Diversità ebraica: 14. Avraham Burg e lo stato alla nitroglicerina

Saranno “luoghi comuni”, ma io sono debitore ad Avraham Burg per una distinzione concettuale che mi è di non poco aiuto per districarmi in una selva di concetti, dove vi è chi scientemente ed in malafede specula. “Ebreo” è intanto diverso da “israeliano”. Teoricamente, se Israele è il nome ufficiale dello stato che è riconosciuto come tale anche dall’Italia, potrebbero essere tutti i palestinesi, quelli rimasti all’epoca della Nakba e quelli espulsi, che però reclamano il loro “diritto al ritorno”, ben diversamente fondato da quello sionista. “Ebreo” è anche concetto diverso da “sionista”. Ed inoltre “ebreo” ha ormai assunto un duplice significato a seconda che sia un’identità tutta costruita sull’«Olocausto» o ne prescinda e perfino vi si contrapponga. Questi diversi concetti, grazie all'opera teorica di Avraham Burg, giocano diversamente e perfino si contrappongo. Una prima conseguenza importante è il depotenziamento dell'accusa principale di cui si serve la propaganda sionista-israeliana: l’accusa di antisemitismo. A cosa essa propriamente si riferisce e cosa propriamente significa? Inoltre, la distinzione introdotta da Burg e con la quale i «Corretti Informatori» non sono neppure lontanamente in grado di misurarsi – denigrazione a parte – si distingue utilmente da analisi come quella di Edgar Morin, che ricostruiscono la storia concettuale dell’ebraismo e dell'antiebraismo risalendo troppo indietro nel tempo. Con Burg, che in sostanza riconosce la stessa impossibilità dello Stato ebraico che viene imputata ad un Ahmadinejad, rientriamo nella piena attualità dei nostri giorni e delle contrapposizioni di amico-nemico con riferimento alle guerre mediorientali.

Versione 1.5/st. 3.10.09
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1. Addio al sionismo e demolizione dei suoi pilastri ideologici. – Gli articoli che non piacciano ai «Corretti Informatori» recano l’annotazione in alto a destra “critica”. Questa sarebbe costituita dai commenti redazionali sempre rigorosamente anonimi e quasi sempre consistenti un una sequela di insulti e denigrazioni, se non peggio. Per fare la radiografia dei «Corretti Informatori» ci si basa sui loro commenti redazionali o per i casi più impegnativi sui loro “collaboratori”, tra questi la Prister, iscritta all’AIPAC. Nell’articolo della Repubblica – non assimilabile a quotidiano “amici” come il Foglio, il Velino, il Riformista, ecc. – vengono date informazioni essenziali, cui in effetti non è opposta nessuna critica, ma solo una regolare denigrazione o irrisione. Intanto Avraham Burg non è uno qualunque, uno di quelli con i quali ci si può regolare scrivendo al capufficio per inoltrare la solita accusa di antisemitismo, giusto per gettare scompiglio nel personale o nell’azienda o nella scuola. No, Avraham Burg è stato: «una delle grandi promesse della sinistra israeliana, presidente dell´Agenzia ebraica a 40 anni e della Knesset a 45, finché non ha deciso, a 50, di voltare le spalle alla politica». Con lui questi bassi metodi sono del tutto inefficaci. Se poi quelli che i “ corretti critici” chiamano “luoghi comuni” vengono da un Avraham Burg, allora non sono più “luoghi comuni” ma verità acclarate, documentate, accertate da un’autorità interna (fino al giorno prima) che più alta non si può.

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2. L’«altro sionismo» di Avraham Burg. – Si trova al link un’utile sintesi del pensiero e della posizione di Avraham Burg. In particolare, si ritorna sun concetto da me più volte richiamato di un’identità ebraica diversa da quella tutta modellata sull’«Olocausto». In effeti, diventa impossibile parlare con un ebreo al quale non sia possibile manifestare l proprio scetticismo su una loro peculiare visione della storia del Novecento, anzi di tutta la storia universale. I nuovi storici cui nel libri si accenna potranno aiutarci a distinguere fra ebrei appartenenti ad una specifica refligione, capaci di convivere in un altro stato con cittadini di diversa religione, ed ebrei da doversi percepire come una sorta di alieni all’interno delle nostre società, dovendoli guardare come cittadini ultraprotetti e dai cui cautelarsi innanzitutto tacendo e lasciando loro dire tutto quello che vogliono. Questa è una convivenza impossibile, non già in Israele, da cui è andato via Burg insieme ad altri come Ilàn Pappe, ma in Italia e in ogni altro paese.

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3. Un intervento del 2002: sull’ingresso di Israele nell’Unione Europea. Giudico scriteriato e non desiderabile questo progetto dei radicali, che sono visionari della politica, anche se qualche volta ci azzeccano. Il Burg è qui intervistato come presidente del parlamento israeliano, cioè la Knesset. Le posizioni espresse nell'intervista non lasciano capire nessun dissenziente rispetto ai temi ufficiali del governo e dello stato israeliano. Non sarebbe stato altrimenti presidente della Knesset. Il dissendo, dunque, deve essere maturato dopo il 2002 ed essere un fatto relativamente recente. Altri interventi che si trovano in rete non fanno sospettare in Abraham Burg nulla delle sue più recenti posizioni che capovolgono interamente quelle precedenti. Cosi ad esempio a proposito di: crociate, banche svizzere, ecc. (segue)

4. Ora anche in italiano il libro “Vaincre Hitler” di Avraham Burg che demolisce l’identità ebraica olocaustica. – Mi ero già precipitato a comprare la traduzione francese dei libri di Avraham Bourg, Ilàn Pappe e in ultimo Shlomo Sand, appena avutane notizia. Dopo non molti mesi ecco che esce anche la traduzione italiana, che resta per me di più immediata intelligibilità. Pazienza! Seguo un metodo che ricordo mi era stato indicato per l’apprendimento delle lingue straniere. Leggerò quindi anche in traduzione italiana il libro di Burg, la cui importanza non sfugge a Infopal che ne dà notizia con una semplice ripubblicazione della recensione di Sergio Romano. Apprendo solo oggi grazie alla segnalazione dei «Corretti Informatori» dell’esistenza dell’edizione italiana. Pubblico però qui di seguito la recensione dell’edizione italiana che ne fa Sergio Romano: i «Corretti Informatori» sono doppiamente imbufaliti contro Sergio Romano e contro Avraham Burg, ma il loro “corretto commento” esorcizzante è ancora più fragile ed incosistente del solito. Probabilmente non hanno letto il libro di Burg in nessuna delle lingue in cui è uscito. Decisamente stonata nell’edizione italiana la Postfazione di Elena Lowenthal, l’ultima persona che avrebbe potuto scrivere una postafazione di cui il libro non ha bisogno. Evidentemente, è un tentativo di ostacolarne l’influenza sul pubblico italiano.

Corriere della Sera Critica
30.10.2008 Dimenticare la Shoah, condannare Israele
nella recensione di un libro di Avraham Burg, Sergio Romano conferma le sue ossessione
[A scrivere il libro recensito è Avraham Burg, non Sergio Romano: se mai le ossessioni sarebbero di Avraham Burg, che ha definito Israele uno stato alla nitroglicerina]

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 ottobre 2008
Pagina: 43
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Se l'ossessione dell'Olocausto cambia il volto dell'ebraismo»
Sergio Romano sul CORRIERE della SERA del 30 ottobre 2008 recensisce il libro di Avraham Burg "Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanismo ebraico", in uscita in Italia.

La tesi di Burg, così com’è ricostruita da Romano, sarebbe quella della strumentalizzazione della Shoah
[Lo avete letto il libro? Ne dubito. Burg condanna nettamente l’odierna politica di Israele. Tanto è vero che se ne andato a stare in Francia.]
per giustificare la politica israeliana, strumentalizzazione che avrebbe messo in secondo piano i valori universalistici dell'ebraismo.
[Vi è differenza fondamentale fra ebraismo originario, fra ebraismo sionista ed ebraismo olocaustico, cioè con una identità tutta costruita sull’«Olocausto», evento sacro sottratta perfino alla libera ricerca storica e protetto da leggi penali punitive anche di quanti contestano le cifre delle vittime rispetto ai canonici sei milioni.]
All'origine del fenomeno dell’importanza della Shoah nella politica israeliana vi sarebbe il processo Eichmann, svoltosi nel 1960.
[Fu un grande fatto mediatico che viene continuamente ricordato.]
Romano aggiunge una sua spiegazione personale, che ripropone il mito della "Israel Lobby": "esiste probabilmente un altro fattore, non meno importante. Gli anni Sessanta furono quelli in cui Israele divenne il partner privilegiato di Washington nella regione e la comunità ebraica negli Usa cominciò a esercitare una considerevole influenza sulla politica americana".
[E non è vero? Il libro di Mearsheimer e Walt non è sufficiente a dimostrarlo? La “Israel Lobby” non è un mito, ma una rete di cui proprio i «Corretti Informatori» sono parte integrante ed organica. Non si spiegherebbe diversamenti i continui attacchi, il livore, le volgarità quotidianamente rivolti a Sergio Romano.]
In realtà, non si vede come la volontà di non essere distrutti,
[Ad essere stati distrutti e cacciati dalle proprie case e villaggi sono stati i palestinesi ad operi degli immigrati sionisti. Non si può ascrivere a crimine la volontà di vivere e di difendersi da parte delle vittime. In questi giorni una “barchetta” di temerari ha forzato un vergognosissimo blocco navale che da più di un anno sta strangolando un milione e mezzo di persone nella Striscia di Gaza. Quali siano i “principi umanitari ed universalistici” dei sionisti è facile constatarlo.]
e di difendersi,
[la difesa è propria di chi è aggredito, non dell’aggressore. Aggrediti sono stati nel corso di cento anni i palestinesi residenti, aggressori i coloni immigrati: è solo una propagante martellante, costata un’infinità di danaro, che ha finito per sovvertire una verità elementare ed intuitiva.]
possa essere tacciata di particolarismo, e di negazione dei valori etici ed universalistici dell'ebraismo.
[L’ebraismo è già una cosa, il sionismo è altro. Ciò che appunto Avraham Burg intende dire nel suo libro che lui è un ebreo che si sente orgogliosamente e positivamente tale, ma non si sente israeliano e tanto meno un ebreo ad identità tutta improntata sull’«Olocausto». I “Corretti Informatori” sono qui ignorante, dimostrando di non conoscere la lettera e lo spirito del libro di Burg, ebreo che in nessun modo odia se stesso.]
Non si vede come la constatazione della minaccia all'esistenza stessa di Israele,
[E ci risiamo con il disco della ottusità propagandistica. Ho già riferito altrove come a parlare di assurdità della nozione di “diritto all’esistenza” sia stato un altro ebreo che certamente non odia se stesso: Noam Chomsky. Si tratta in realtà di una pretesa al riconoscimento di legittimità di un’appropriazione di terre altrui, fatta con la frode, la violenza e la complicità criminale degli odierni potenti della terra, ma il senso di giustizia che alberga in una coscienza non ottenebrata resta nel tempo, mentre i potenti passano]
e del doppio standard con il quale il mondo, troppo spesso, giudica lo Stato ebraico, possa essere considerato un effetto negativo della memoria della Shoah.
[Intanto la nozione di “stato ebraico” è già di per sé discutibile e problematica. Cosa vuol dire? Che il mondo dovrebbe accettare che dallo “Stato ebraico” ne siano stati espulsi con violenza e frode i suoi originari abitanti palestinesi e che questi non abbiano diritto loro ad esistere e a ritornare con indennizzo materiale e morale nelle case da cui sono stati scacciati? Non si capisce bene di quale doppio standard qui si parli, ma se esiste un doppio standar è tutto a svantaggio del palestinesi, non certo dei coloni sionisti e pseudoebrei.]
Contestare quest'ultima significa soltanto aiutare che ha interesse a stendere un velo d'oblio sui crimini di un passato recente.
[Se esistono siffatti crimini non ne sono responsabili quelli che oggi vivono ed in ogni caso i padroni odierni dei “Corretti Informatori” non ne sono la parte lesa e non hanno nessun diritto a forme di risarcimento. Dovrebbero anzi restituire il maltolto, se un ceto politico imbelle e corrotto non avesse svenduto i beni e la dignità dei cittadini che dicono di rappresentare. In realtà, la colossale operazione mediatico-ideologica della seconda metà del Novecento ha due vittime: i palestinesi espulsi dai loro villaggi e la memoria storica di tutti gli europei, macchiata con presunti crimini da far cadere sulle generazioni future, crimini sui quali è proibiti per legge ogni verifica e ricerca storica. Il Tabù dell’Olocausto è diventato legge nei maggiori stati d’Europa. Un ritorno alla barbarie che nega tutta la tradizione razionalista e illuministica dell’Europa, cioè la sua identità e coscienza più profonda e autentica. Gli europei che oggi difendono i palestinesi, scuotono un giogo che grava anche su di loro. Ben lo sanno quanti spendono enormi risorse per il controllo e condizionamento dei media. ]
I problemi di Israele non stanno in una presunta distorsione della memoria storica, ma in un presente di minacce assai concrete, di predicazione d'odio, di violenza e terrorismo.
[Minacce e accuse tutte imputabili ad Israele, che è stato criminosamente fornito di armamenti atomici. L’ideologica olocaustica in relazione ad un possibile uso di questi apocalittici ordigni di morte è molta più più pericolosa del chimerico fondamentalismo ebraico: si indica dall’altra parte il pericolo atomico, mentre invece è nelle nostre fila]
Anche su queste realtà, qualcuno vorrebbe stendere un velo, facendole magari apparire come proiezioni del trauma non rielaborato, o peggio, utilizzato per alimentare paranoie, della persecuzione antiebraica nazista.
[La persecuzione antiebraica nazista nessuno la nega, ma ad essere perseguitati in quel particolare contesto storico di guerra civile europea non furono solo gli ebrei, che lo furono in misura inferiore a tanti altri strati. Discriminazione e persecuzione sono cose concettualmente diverse dallo sterminio e dal genocidio. La ricerca storica dovrebbe essere libera di poter verificare l’esistenza e la consistenza dei genocidi del XX secolo. Attualmente, è certo che Israele compie verso i palestinesi una politica di genocidio volta a “distruggere”, cancellare il popolo palestinese negandone l’esistenza e il “diritto all’esistenza”, insieme con una politica volta a destabilizzare tutto il Medio Oriente, ponendolo sotto il tallone Usa e quindi sotto il controllo della pulce israeliana. Non siamo fessi e riusciamo a capire questa tendenze della corrente politica internazionale, che si esprime con elicotti e armamente materiali, ma anche in forme ideologiche come quelle rappresentate dai “Corretti Informatori”, non saprei dire se formalmente pagati da Israele, ma certamente proni ad ogni stupidaggine propagandistica proveniente dal Mossad]
Tra costoro, sia o meno fedele la sua ricostruzione delle tesi di Burg, certamete c'è Romano.
[Romano ha certamente ricostruito fedelmente il pensiero di Burg, molto di più di quanto dimostrino di intenderlo i “Corretti Informatori”, che non hanno il libro e che mai potranno intenderne ed accettare il suo contenuto. In questo caso dimostrano una flagrante ignoranza in materia che dovrebbe essere cosa loro in quanto “judaica”]
Ecco il testo del suo articolo:

Sergio Romano,
Recensione a: Avraham Burg,
Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico .
(Neri Pozzi, Ottobre 2008, pp. 407, Euro 19).

in “Corriere della Sera”, del 30 ottobre 2008, p. 43


Secondo l'autore israeliano di un libro apparso ora in traduzione italiana, esiste ormai una «impresa della Shoah» che «imperversa» nella vita pubblica, ritorna insistentemente nel dibattito nazionale, condiziona la vita degli ebrei in Israele e nel mondo. «Non passa letteralmente giorno — scrive — senza che io trovi, sul giornale che sto leggendo, qualcosa che riguarda la Shoah: risarcimenti, antisemitismo, un nuovo studio, un libro interessante, un'intervista eccezionale, una testimonianza rara». Le gite scolastiche ad Auschwitz sono diventate un inderogabile appuntamento degli allievi delle scuole israeliane e le visite al memoriale di Yad Vashem sono ormai una tappa obbligata nel programma dei viaggi ufficiali di un uomo politico straniero.
Questo fenomeno non avrebbe grande importanza se non avesse avuto, secondo l'autore, effetti inquietanti. Il culto pervasivo e incessante della Shoah ha modificato la cultura politica dello Stato israeliano. È diventato la pubblica giustificazione della durezza poliziesca con cui Israele amministra i territori occupati.
Ha militarizzato la società israeliana. Ha generato una estrema destra brutale e fanatica che ricorda all'autore, paradossalmente, il nazismo.
Ha creato la convinzione, ormai radicata in larghi settori dell'ebraismo soprattutto americano e israeliano, che la Shoah sia un avvenimento incomparabile e non possa essere esaminato storicamente come altre tragiche vicende della storia mondiale, dai massacri degli armeni alla strage dei ruandesi, dal terrore sovietico a quello cinese. Ha creato un nemico permanente, l'eterno antisemitismo, contro il quale l'ebraismo ha l'obbligo di armarsi e mobilitarsi. Durante una sessione straordinaria del Parlamento israeliano sulla lotta contro l'antisemitismo, l'autore ha constatato amaramente: «Mentre tutto il mondo esprime solidarietà verso di noi, noi diciamo: il mondo è tutto contro di noi». Ma il più grave degli effetti provocati dal culto della Shoah, sempre secondo l'autore, è d'ordine morale. Dominato dal ricordo dal genocidio, l'ebraismo sembra avere rinunciato al proprio umanesimo, alla propria missione universale, alla propria sensibilità per gli umili e gli oppressi, agli straordinari valori morali del suo pensiero filosofico e religioso.
Alcune di queste considerazioni sono già state fatte da altri e potranno sembrare potenzialmente antisemite. Ma l'autore del saggio
Sconfiggere Hitler (Neri Pozza Editore) si chiama Avraham Burg e fa parte dell'aristocrazia dello Stato d'Israele. La madre apparteneva a una vecchia famiglia sionista di Hebron ed era sopravvissuta ai massacri del 1929 grazie alla protezione di un vicino arabo. Il padre era un ebreo tedesco, Yossel Burg, che fu leader del sionismo religioso, professore universitario, ministro di gabinetto con David Ben Gurion all'epoca del processo Eichmann (il solo, insieme a Levi Eshkol, che votò contro l'esecuzione della condanna a morte), poi ministro degli Interni con Menachem Begin durante la prima guerra del Libano e infine direttore di musei.
La carriera pubblica di Avraham è stata brillante. Ha militato nel movimento pacifista «Peace Now» e nel Partito laburista, ha diretto l'Agenzia ebraica e l'Organizzazione mondiale sionista, è stato presidente della Knesset (il parlamento israeliano) dal 1999 al 2003. Quando il Dalai Lama visitò Israele e chiese di fargli visita, il ministero degli Esteri gli mandò un emissario per raccomandargli di non fare un gesto che avrebbe attirato sul governo di Gerusalemme le ire della Repubblica popolare cinese. Burg rispose seccamente che la visita avrebbe avuto luogo e mantenne l'impegno. Il suo libro è un continuo intreccio di ricordi familiari, annotazioni autobiografiche, lunghi compiacimenti introspettivi e acute analisi storiche. Le pagine politicamente più interessanti sono quelle in cui Burg s'interroga sulle ragioni dell'importanza che la Shoah ha assunto nella politica israeliana. All'origine del fenomeno vi sarebbe il processo Eichmann, nel 1960. Ben Gurion era stato infastidito da un processo precedente nel corso del quale erano stati polemicamente discussi i contatti che la dirigenza sionista, tramite l'Agenzia ebraica, aveva avviato con il regime nazista negli anni Trenta per facilitare la partenza dalla Germania di alcune decine di migliaia di ebrei tedeschi. Questi fatti, anche se noti a molti, avevano provocato un dibattito sulla «purezza» della causa sionista che aveva ferito lo stesso Ben Gurion. La cattura di Eichmann e il suo processo in Israele dovettero sembrare al fondatore dello Stato israeliano, secondo Burg, il modo migliore per reagire alle accuse, chiudere il dibattito, concentrare l'attenzione dell'opinione pubblica israeliana sulla Shoah. Il risultato andò probabilmente al di là delle attese. Mentre «la morte di Eichmann — scrive Burg — avrebbe dovuto chiudere l'epoca della Shoah e aprire l'era del dopo Shoah (...), è avvenuto l'esatto contrario».
È una spiegazione interessante e plausibile. Ma esiste probabilmente un altro fattore, non meno importante. Gli anni Sessanta furono quelli in cui Israele divenne il partner privilegiato di Washington nella regione e la comunità ebraica negli Usa cominciò a esercitare una considerevole influenza sulla politica americana. In una delle sue pagine più critiche sugli ebrei d'America Burg scrive: «È molto difficile farsi eleggere contro la volontà dell'elettorato ebraico. Finanziamenti, organizzazione, sostegno pubblico e parimenti la legittimazione, nonché la capacità di nuocere ai candidati sgraditi, hanno reso la partecipazione ebraica alla vita politica americana un fattore di importanza strategica internazionale». Il libro di Burg ha irritato molti israeliani e, come osserva in una postfazione Elena Loewenthal, «potrà agevolmente far da sponda a chi non aspetta altro per negare, accusare». Ma è anche una dimostrazione di libertà, di coraggio, di spregiudicatezza, della capacità ebraica «di scardinare per costruire, di provocare per ispirare».

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Eccolo! Il libro si trova nelle mie mani, giunto appena ieri in Libreria. Vedo che non solo la postafazione, ma anche la traduzione è di Elena Loewenthal. Non mi pento di aver già comprato la traduzione francese, pur avendola pagata di più. La traduzione italiana è per me inaffidabile non perché la Loewenthal non conosca l’ebraico, cosa che non saprei né potrei giudicare. Ma perché certamente la traduttrice non si trova in sintonia con il pensiero di Avraham Burg da lei scomunicato insieme a quello di altri autori maledetti: Pappe, Sand. Ce ne occuperemo comunque criticamente via via che procederemo nella lettura. Scrivere sull’acqua, cioè nel ciberspazio, ha suoi propri vantaggi e comodità, potendo scegliere il tempo, la forma della scrittura sempre modificabile e l’ampiezza di trattazione.

5. La posizione di Burg su Pio XII. – Avraham Burg non è il mio eroe. Se lui è un ebreo, avendo tutto il diritto di esserlo, io non lo sono e non penso di diventarlo. Mi interessa soltanto studiare le peculiare posizione di Avraham Burg all’interno dell’ebraismo. La posizione su Pio XII è lineare con le tesi contenute nel sue libro: una faccenda tutta interna alla chiesa cattolica. Per questo gli ebrei fanno bene a non intromettersi. Qualche perplessità sulle valutazioni di politica estera, ma non è questo oggetto della mia analisi e non sono certo un discepolo goym di Burg.

6. Chi è «ripugnante»? Israele tutta! – Dalla notizia che si ricava cliccando sul titolo del capitolo cinque avevamo appreso che Burg si trovava in Israele. La notizia ci ha sorpreso perché sapevamo che aveva tagliato i ponti con israele e si era trasferito in Francia. Adesso sappiamo perché Burg si trovava in Tel Aviv. Era lì per fondare un nuovo partito insieme con un gruppo di noti intellettuali israeliani nel panorama politico di quello che lo stesso Burg ha definito “uno Stato alla nitroglicerina”, alludendo al sua carattere razziale e a un regime di apartheid, che fa dire ad un Ahmadinejad volutamente incompreso come Israele rischi la distruzione per sua propria implosione. Ma qual è la preoccupazione dei sionisti piemontesi. Eccola:

Su REPUBBLICA di oggi, 14/11/2008, a pag. 4, con il titolo “Israele, nasce il partito degli scrittori, Yehoshua e Oz sfidano i laburisti ”, Alberto Stabile scrive della nuova, probabile formazione politica fondata da alcuni scrittori di gran fama, quali Yehoshua e Oz. Quando un vuoto si forma, qualcuno lo riempie, vale anche in politica. La crisi della sinistra israeliana è innegabile. Il partito laburista è ai suoi minimi, Meretz, in totale crisi di leadership, è praticamente scomparso. Il vuoto va colmato. Ma il nuovo partito avrà vita grama se imbarcherà personaggi squalificati, come Avraham Burg, se corrisponderà al vero quanto scritto da Stabile. La sinistra israeliana è sionista, una figura come Burg allontanerebbe quasi completamente l'elettorato che ha sempre votato laburista o Meretz. Le posizioni di Burg sono giudicate in Israele «ripugnanti», il suo seguito è uguale a zero.
Quasi che il punto di vista dei coloni israeliani, paragonabile a quello dei bianchi prima dell’abolizione dell’apartheid sudafricano, fosse il giudizio del mondo che osserva i rituali della «democrazia» israeliana. Invero, ad essere «ripugnante» è piuttosto un simile elettorato, il cui fanatismo è per giunta armato di testate atomiche senza che l’«Occidente» abbia nulla da ridire. A ben pensarci, dopo ciò che ha detto e scritto, quello di Avraham Burg sembra un estremo disperato tentativo di salvataggio di quello che resta pur sempre il suo paese.

7. Burg in Italia. – È annunciata per il prossimo 20 novembre in Milano una presentazione del libro di Avraham Burg “Sconfiggere Hitler”. Presenti Sergio Romano ed Elena Loewenthal. Non mi recherò da Roma a Milano per assistere alla presentazione. Mi auguro che se ne faccia altra in Roma ed allora sarò presente. Spero anche che vi sia una registrazione da poter seguire su internet. Telefonerò all’editore per saperlo. Non è prevista nessuna presentazione romana e non è dato sapere di nessuna registrazione disponibile dell’incontro. Intanto qui si può seguire un forum ebraico sul libro in traduzione italiana.

8. Benny Morris attacca Burg. – Certamente il “tradimento” di Avraham Burg deve essere stato cocente per il sionismo. Burg dà interettamente ragione a Ilan Pappe, l’«altro» storico rispetto a Morris, che in quanto “storico” si caratterizza meglio come “ideologo”. Pappe avverte, in risposta ad un Napolitano portavoce del B’naï B’rith, che se non si vuol essere “antisemiti” occorre, si deve essere “antisionisti”. Certamente, non Benny Morris non è un antisionista ed i suoi corposi libri di narrazione storica non inganno un lettore mediocramente informato sugli svolgimenti generali della storia della Palestina dal 1882 in poi. È prima di quella data che esistevano relazioni pacifiche fra la grande, grandissima maggioranza di palestinesi e le poche migliaia di ebrei residenti, i quali pare siano stati i primi a non gradire la presenza sionista e ad avere intuito il pericolo della loro presenza. Di Morris non ci impressiona né la fama né la produzione abbondante. È bastata la prima riga di un suo ponderoso volume ad irritarci e a costringerci ad interrompere la lettura, che però riprenderemo per scrupolo filologico e deontologico. Ma diciamo subito che di Morris ci basta la lettura di poche righe per capirne l’animus ideologico e sionista, che non ci è per nulla difficile da confutare e respongere. Su un piano storiografico bastano e avanzano le critiche che si trovano nel libro di Pappe, costretto da minacce a lasciare Israele e insolentito in pubbliche conferenze da un figuro come Alan Dershowitz.

9. A metà strada fra Finkelstein e Rabkin. – Annotiamo qui una breve riflessione per descrivere l’importante e significativa evoluzione di Avraham Burg, che è stato presidente della Knesset e dell’Agenzia ebraica, sedendo in questa carica prima dell’attuale titolare Sharansky. Insomma, Burg non è stato uno qualunque nell’ambito dell’ebraismo israeliano. È giunto dall’interno alla completa negazione del disegno sionista, riconoscendo la natura profonda. Naturalmente, per questo suo “tradimento” è fatto oggetto dell’odio più intenso, di quell’odio che un altro ebreo, Spinoza, diceva essere l’essenza profonda della natura ebraica. Sembrerebbe che un “ebreo” non possa esistere senza odiare e senza farsi odiare. Ciò ha capito Avraham Burg, ma ci sembra che non abbia forse compiuto tutta la sua evoluzione, e forse non possa andare oltre. Egli in qualche modo resta legato ad Israele, dove è nato, ha vissuto, ha costruito la sua vita. Difficile ammettere che tutto poggiava sulla menzogna e sulla più immonda ingiustizia. Se fosse vissuto in Canada, come Rabkin, avrebbe potuto riconoscere su un piano gnoselogico non solo l’inconciliabilità fra giudaismo e sionismo, ma anche il fatto che da un punto di vista teologico-politico la stessa esistenza dello stato di Israele è qualcosa di blasfemo da un punto di vista strettamente giudaico. Egli parla di “ultraortodossi” quando, se seguiamo Rabkin, non vi è qui nessuna ortodossia giudaica. Sarebbe interessante se de Giovannangelli avesse fatto una domanda a Burg sul libro di Rabkin, se lo conosce, cosa ne pensa. Ho detto posizione intermedia, L’altro bandolo è l’opera di Norman G. Finkelstein, che riconosce lo sfruttamento e la strumentalizzazione dell’«Olocausto». È il caso di ricordare che la controversia storica non riguarda l’esistenza dei campi di concentramento in sé o la discriminazione e le persecuzioni che gli ebrei hanno subito dai nazisti, ma riguardano tre precisi dogmi: a) il numero delle vittime che non può essere diverso dai sei milioni; b) l’esistenza delle camere a gas come metodo ordinario di sterminio; c) l’intenzionalità di detto sterminio. Se i dogmi non si possono discutere, suscitano però inquietanti interrogativi le evidenze riconosciute della strumentalizzazione e dello sfruttamento. Inoltre, di suo specifico, Burg ha sperimentato tutta l’insalubrità di un sistema educato ed ideologico basato sulla Shoah. Una gabbia di matti: stato alla nitroglicerina, esplosivo. Sono questi i termini che Burg usa per descrivere quell’autentica mostrosuità in forma di stato che è Israele. Se il mondo continua a starvi dietro, lo sbocco è l’impazzimento globale, l’Olocausto Nucleare che è nella cultura di quella banda di pazzi scatenati che sono i governanti israeliani. Ci si preoccupa, ma è solo finzione tattica, del nucleare che l’Iran non ha e non si guarda al vero pericolo nucleare: Israele. Probabilmente, chi comanda e ha il potere, soggiogando dopo l’Iraq e l’Afghanistan anche l’Iran, crede di aver ripetuto per tutta l’area politica del Medio Oriente ciò che è stato fatto con l’Europa dal 1945 in poi: aver creato un complesso di stati clienti, dove Israele è il kapò della situazione.

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