martedì 10 giugno 2008

“Nuovi storici”: 13. Ilàn Pappe e la “Pulizia etnica della Palestina”

Come «Informazione Corretta» e altri media denigrano quanti criticano il sionismo, Israele, e gli Stati Uniti e la Memoria: Arbour - Bargouti - Blondet - Burg - Caio - Cardini - De Giovannangeli - D’Orsi - Facci - Finkelstein - Giorgio - Gideon Levy - Morgantini - Odifreddi - Oz - Paci - Pappe - Romano - Sabahi - Sand - Spinelli - Stabile - Storace - Tizio - Vattimo -
Cosa si intende qui per Israel Lobby?
«Una coalizione informale di individui e gruppi che cerca di influenzare la politica estera americana in modo che Israele ne tragga beneficio».
Ed in Italia come stanno le cose?
Stiamo cercando di scoprirlo!
«Esistono due distinti meccanismi che impediscono alla realtà del conflitto israelo-palestinese di essere giustamente divulgata, e sono i due bavagli con cui i leader israeliani, i loro rappresentanti diplomatici in tutto il mondo, i simpatizzanti d’Israele e la maggioranza dei politici, dei commentatori e degli intellettuali conservatori di norma zittiscono chiunque osi criticare pubblicamente le condotte dello Stato ebraico nei Territori Occupati, o altri aspetti controversi della storia e delle politiche di quel Paese. Il primo bavaglio è l’impiego a tutto campo dei gruppi di pressione ebraici, le cosiddette lobby, per dirottare e falsificare il dibattito politico sul Medioriente (negli USA in primo luogo); il secondo è l’accusa di antisemitismo che viene sempre lanciata, o meglio sbattuta in faccia ai critici d’Israele» (P. Barnard, Perché ci odiano, p. 206).
Come «Informazione Corretta» e altri media interpretano Israele, il Medio Oriente, la Palestina e la Storia: Allam - Battista - Bordin - Buffa - Colombo - Diaconale - Fait - Ferrara - Frattini - Israel - Livni - Loewenthal - Nirenstein - Ostellino - Ottolenghi - Pacifici - Pagliara - PanellaPezzana - Polito - Prister - Santus - Volli

Ricerche correlate:

1. Monitoraggio di «Informazione Corretta»: Indice-sommario. – 2. Osservatorio sulle reazioni a Mearsheimer e Walt. – 3. La pulizia etnica della Palestina. – 4. Boicottaggio prossimo venturo: la nuova conferenza di Durban prevista per il gennaio 2009. – 5. Teoria e prassi del diritto all’ingerenza. – 6. Per una critica italiana a Daniel Pipes. – 7. Letteratura sionista: Sez. I. Nirenstein; II. Panella; III. Ottolenghi; IV. Allam; V. Venezia; VI. Gol; VII. Colombo; – 8. La leggenda dell’«Olocausto»: riapertura di un dibattito. – 9. Lettere a “La Stampa” su «Olocausto» e «negazionismo» a seguito di un articolo diffamatorio. – 10. Jürgen Graf: Il gigante dai piedi di argilla. – 11. Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – 12. Analisi critica della manifestazione indetta dal «Riformista». – 13. Controappello per una pace vera in Medio Oriente. –
Versione 1.0
Status: 11.6.08

Ilàn Pappe è probabilmente lo scrittore che ha procurato i maggiori problemi agli strateghi della guerra di propaganda israeliani. La sua storia della “Pulizia etnica della Palestina” è difficilmente confutabile: i fatti e le persone sono lì e non possono essere smentiti. È semplicemente risibile la versione che nel 1948 i palestinesi se ne sia andati di loro spontanea volontà lasciando ogni cosa per un’esistenza da profughi generazione dopo generazione. Le opinioni pubbliche occidentali, non legate o condizionate da particolari interessi, dovranno alla fine fare i conti con la verità e con la loro coscienza ovvero con il loro perbenismo umanitario. Ciò che possono fare e fanno le Israel lobby dei vari paesi è di tentare di procrastinare nel tempo la percezione della verità. Cosa vorranno e potranno fare nel frattempo è cronaca dei nostri giorni. Non è mia intenzione predire il futuro prossimo, anche se ne ho forte la percezione.

1. Bugiardo a chi? – I “corretti informatori” danno del bugiardo a Ilàn Pappe sapendo di essere loro i bugiardi. Esilarante l’eletto commento, quando dice che gli eletti lettoti sono abituati al confronto delle idee. E quando mai? E di quali idee parlano? Anzi dove sono le loro idee? Se si presta attenzione si vede che non vi è ombra di possibile critica a ciò che l’ebreo Pappe denuncia implacabilmente: una pulizia etnica vi è stata e non vi è chi possa negarlo. Vi è certamente (e sono parecchi) chi si vuol gettare dietro le spalle questa verità, facendo fina di non sapere o ritenendo falsamente che la verità sia l’opposta. Non sono stati cioè i sionisti a cacciare i palestinesi dai loro villaggi (oltre 400) ma sono i palestinesi che hanno l’incredibile arroganza di voler tornare nei loro villaggi, insidiando così il sacro diritto di Israele all’esistenza sulle spalle e sulla pelle degli altri. Basta qui registrare l’eletto link senza ulteriore perdita di tempo.

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2. La democrazia incompiuta di Israele. – Riporto qui un’intervista di Pappe che rischia di sparire dalla Rete. Avevo prima aperto un link direttamente sull’intervista nella rubrica “Pagina nel Cibyerspazio” che – dulcis in fundo – si trova propria in fondo alla seconda colonna del blog. Poiché il collegamento originario non esiste più ricopio il testo nell’unico link che ancora contiene l’intervista in formato testo. Si tratta di un’intervista di Michele Giorgio, forse del 31 luglio 2005, che presumibilmente si trova nell’edizione cartacea o nell’Archivio del Manifesto. Non vi è traccia dell’intervista neppure nell’archivio di IC di solito ferocemente accanito contro tutto ciò che appare e di Michele Giorgio e di Ilàn Pappe.
INTERVISTA
(31 luglio 2005)

La democrazia incompiuta di Israele

Parla lo studioso israeliano Ilan Pappe, autore di Storia della Palestina moderna, edita da poco per Einaudi. «Una strategia diffamatoria per chi non condivide la linea ufficiale sul sionismo»
MICHELE GIORGIO

Docente di storia all’università di Haifa, Ilan Pappe è autore di numerosi testi e fra l’altro della recente Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, pubblicata in Italia per Einaudi: anche nel nostro paese si comincia così a conoscere l’opera di un accademico molto stimato in Europa ma che non gode di buona fama in Israele dove le sue critiche impietose del sionismo e della storiografia ufficiale suscitano scandalo e reazioni forti. Pappe, un attivista del Partito comunista, nel suo libro affianca le narrazioni degli sfruttatori (israeliani) e degli sfruttati (palestinesi) con il suo metodo rigoroso (basato su documenti originali in ebraico e arabo), non mancando di sottolineare che oppressi e oppressori non possono mai essere messi sullo stesso piano. Con lui abbiamo parlato del suo lavoro, delle difficoltà che incontra nella sua attività accademica, della libertà di pensiero in Israele e, naturalmente, anche della politica del governo Sharon a pochi giorni dall’inizio dell’evacuazione delle colonie ebraiche di Gaza. Lo abbiamo intervistato nel suo ufficio dell’università di Haifa.

D. Professor Pappe, lei è uno degli storici israeliani più noti e apprezzati all’estero, e i suoi lavori sono stati tradotti in molte lingue. Nel suo paese invece lei è considerato un nemico pubblico, un alleato dei palestinesi e degli arabi, un accademico da tenere a distanza. Per quale ragione?

R. Il trattamento che mi viene riservato in Israele è la conseguenza delle conclusioni alle quali è giunto il mio lavoro di ricerca, che sono profondamente diverse da quelle della maggior parte degli storici del paese. È la mia critica del sionismo, o meglio di alcuni suoi aspetti, che fa saltare i nervi a coloro che mi criticano. Non è, come pensano molti, una questione legata alla mia condanna della politica dei governi israeliani verso la questione palestinese. Molti miei colleghi pensano, scrivono e dicono le stesse cose ma non mettono in discussione il sionismo come faccio io. Ecco perché sono nel mirino di tante persone, sia ai vertici dell’establishment politico sia nella mia università. Lo stesso comunque accade anche ad altri colleghi che condividono le mie posizioni, come Tania Reinarth. Di loro però si parla molto meno e io, paradossalmente, posso considerarmi «fortunato».

D. In questi ultimi anni molti israeliani hanno puntato l’indice contro il sionismo. Perché lei viene preso di mira?

R. Per la mia definizione del sionismo come progetto coloniale, responsabile della pulizia etnica avvenuta (nel 1948-49, ndr) a danno dei palestinesi. In Israele non c’è una democrazia compiuta. Ci sono argomenti che rimangono un tabù, verità ufficiali che nessuno deve mettere in discussione altrimenti scattano le punizioni e talvolta si arriva alla diffamazione. Ad esempio, è stata accolta con disgusto la mia proposta di sanzioni internazionali contro Israele sino a quando questo paese non consentirà ai palestinesi di vivere liberi e indipendenti, proprio come si fece nel caso del Sudafrica razzista. Sono stato attaccato duramente, e non sono mancati anche gli insulti. Allo stesso tempo ho ricevuto lettere di approvazione da parte di molti israeliani, a conferma che la società di questo paese è viva e capace di mettersi in discussione anche se resta in gran parte prigioniera del mito, dell’ideologia, del nazionalismo.

D. Da anni gli storici ebrei, non solo in Israele, si combattono tra di loro. È uno scontro senza esclusione di colpi che talvolta è persino arrivato nelle aule dei tribunali. Sul ring in questo momento ci sono il suo amico Norman Finkelstein e un accanito difensore di Israele e del sionismo come Alan Dershowitz. Come giudica questa guerra che dura ormai da una quindicina di anni, ossia da quando si sono affermati i cosiddetti «nuovi storici» israeliani?

R. In genere, in questi casi, si tende ad affermare che il confronto di idee è positivo e testimonia il pluralismo esistente nel mondo accademico israeliano. Ma le cose non stanno così: la libertà alla quale si fa riferimento, qui esiste solo in parte. Ogni giorno ci troviamo di fronte al tentativo di delegittimare e diffamare chi mette in dubbio la verità storica ufficiale sulla genesi dello Stato ebraico - che, fatto non secondario, deve continuare ad essere accettata soprattutto all’estero per mantenere costante il sostegno internazionale a Israele. In genere le cose vanno così: se un docente di una università straniera critica troppo Israele, allora viene accusato di antisemitismo. In Israele, come nel mio caso, l’accusa è quella di tradimento. Si usa nei confronti degli studiosi israeliani non allineati la stessa strategia di diffamazione adottata verso i palestinesi di Israele che osano denunciare le discriminazioni che subiscono nonché la politica del governo. Il pluralismo di idee, sebbene sia ufficialmente garantito, di fatto è soggetto a limitazioni importanti che, a mio avviso, pongono dubbi sull’effettivo carattere democratico di Israele.

D. La scorsa primavera gli accademici britannici hanno attuato per alcune settimane il boicottaggio della sua università e di quella di Bar Ilan (Tel Aviv) aprendo un periodo di polemiche accese tra sostenitori ed oppositori di quella decisione. Lei è stato accusato di aver invocato quel boicottaggio in risposta all’ostilità crescente dei docenti dell’università di Haifa nei suoi confronti.

R. Si tratta di un’affermazione del tutto falsa. Il boicottaggio accademico di Haifa, Bar Ilan e delle altre università israeliane era in discussione in Gran Bretagna già dal 2002, quando l’esercito israeliano distrusse metà del campo profughi di Jenin. I colleghi britannici mi domandarono tre anni fa se ritenevo legittimo l’isolamento degli atenei israeliani. Risposi di sì perché, come ho spiegato prima, ritengo il boicottaggio uno strumento di pressione su importanti settori della società israeliana che rifiutano di prendere in considerazione la violazione dei diritti dei palestinesi. Nel caso di Haifa i colleghi britannici non hanno valutato solo i miei problemi nello svolgimento del lavoro, ma anche le discriminazioni nei confronti degli studenti arabi. Nel caso di Bar Ilan non dobbiamo dimenticare che questa università sostiene un college nella colonia ebraica di Ariel, quindi nei Territori occupati, in violazione delle risoluzioni internazionali. In ogni caso la decisione presa dal mondo accademico britannico non ha avuto vita lunga: i sostenitori di Israele, non solo in Gran Bretagna, in poche settimane hanno avuto il sopravvento e l’isolamento delle due università è stato revocato.

D. Contro il boicottaggio delle università di Haifa e Bar Ilan, si era espresso anche Sari Nusseibeh, il rettore dell’università palestinese di Al-Quds (Gerusalemme).

R. Nusseibeh è libero di pensare ciò che vuole. Io mi limito a dire che come accademico dovrebbe tenere conto che le università palestinesi da anni di fatto sono soggette quotidianamente a un boicottaggio israeliano che si attua attraverso i posti di blocco che spesso impediscono a studenti e docenti di raggiungere gli atenei e molte altre misure restrittive. Purtroppo Nusseibeh e buona parte dei palestinesi continuano a essere molti ingenui nei riguardi del sionismo. Dopo tanti anni non hanno ancora compreso gli obiettivi di questo movimento.

D. Veniamo alla attualità politica. I coloni ebrei stanno attuando una protesta senza precedenti nella storia di Israele allo scopo di impedire l’evacuazione degli insediamenti colonici di Gaza e di altri piccoli centri nel nord della Cisgiordania. Il governo Sharon da parte sua si dice determinato ad attuare il ritiro a metà agosto. Lei cosa prevede?

R. Le aspettative sono minime. Sharon in realtà vuole un trauma, desidera che il mondo veda una società israeliana spaccata in due, in modo che in futuro la comunità internazionale non chieda a Israele di ritirarsi anche dalla Cisgiordania. Dopo il ritiro da Gaza cambierà molto poco sul terreno perché Sharon ha in mente di annettere a Israele circa il cinquanta o il sessanta per cento della Cisgiordania. I palestinesi per ora non possono far altro che ingoiare un piano che non hanno sottoscritto, sono impotenti di fronte a ciò che accade e inoltre, credo, non si rendono pienamente conto delle intenzioni di Sharon. Tra qualche mese sarà tutto più chiaro e a quel punto la situazione potrebbe riesplodere di nuovo, con conseguenze gravissime per i due popoli. In tutto ciò la sinistra sionista è assente e i suoi leader non fanno altro che seguire Sharon, senza sollevare dubbi e proporre alternative. In questo clima non si può essere ottimisti e si ha il dovere di continuare a denunciare ciò che accade per tentare di costruire un futuro finalmente diverso.
(segue)

3. Una critica con le gambe corte ed il naso lungo. – Circola la traduzione italiana di un articolo a firma Ashley Perry, apparso sul Jerusalem Post e pubblicato su uno dei tanti siti sionisti, la cui funzione è di far passare all’estero le veline del ministero israeliano della propaganda. Non ne faremo una lunga disamina, ma ci limitiano a riassumerne l’argomentazione evidenziandone le falle. e servendoci allo scopo di una semplificazione portata al grottesco. L’articolo dice che gli arabi sono più prolifici degli ebrei: più ne ammazzi e più prolificano. In effetti, ciò è vero, se si considera la vita media dei palestinesi. Non sono un demografo di professione e ripeto a mente cose a tutti note: l’età media di palestinesi ed arabi è molto più bassa della nostra, meno di venti anni o simili. Dati per noi incredibili. Mi riservo di ritornare in questo punto, dando statistiche e fonti. Ma ciò significa anche che è altissima la probabilità di morte. Se queste genti non procreassero ferocemente, quasi fosse un modo per continuare la guerra facendo figli, le popolazioni sarebbero già da un bel pezzo estinte. Altro che pulizia etnica. Si dovrebbe parlare più propriamente di sterminio, massacro, genocidio. E quindi ciò spiega perché mai i circa 300 mila rimasti in Palestina nell’anno della Nakba siano oggi diventati 700.000 (cifre a mente). E così pure per i campi profughi ed il Lager di Gaza.

Altro argomento stupido dell’articolista è all’incirca il seguente. No! Le vittime siamo noi. Solo gli ebrei possono rivestire il ruolo di Vittime: ne hanno il copyright universale nel tempo e nello spazio. E vengono quindi citati nello spazio e nel tempo le discriminazioni e persecuzioni di cui sono stati indubbiamente vittime gli ebrei. Ma dove sta l’erroneità del ragionamento? Nel fatto che un crimine subito non può essere giustificato con un nuovo crimine fatto ad altri. Hanno fatto a me e dunque io faccio a te. È anche sbagliato questo modo di ragionare per il fatto che la “lesione fisica” è personale e non trasferibile. Non è che se quattro secoli fa ad un soggetto caratterizzato come ebreo è stato fatto un qualsiasi torto a me spetti a titolo personale il risarcimento per una non verificabile lesione. E qui veniamo ad un’altra perla. Secondo l’articolista la “pulizia etnica” descritta da Pappe nel suo libronon vi sarebbe mai stata perché non si può rinvenire nessuna ordinanza amministrativa che l’avrebbe ordinata.
Coloro che sostengono che Israele avrebbe perpetrato una pulizia etnica a danno degli arabi non sono in grado di citare una sola ordinanza o disposizione in questo senso.
Costoro che così ragionano sarebbero – secondo un pregiudizio in positivo che si va diffondendo – le persone più intelligenti del mondo. Si dice infatti che gli ebrei sono mediamente più intelligenti della restante umanità. Non per nulla sono stati “eletti” dal Signore. Dal libro stesso di Pappe si apprende quale fosse la cura di non lasciar tracce. Ma senza andare al 1948 basta una più recente testimonianza, insospettabile, di fonte ebraica, cioè proveniente dall’ex ministra Aloni, la quale così racconta:
Una volta sono stata testimone di un tale incontro fra un guidatore e un soldato che raccoglieva i dati prima di confiscare l’auto e di mandare via il suo proprietario. “Perché?” ho chiesto al soldato. “È un ordine: questa è una strada-solo-per-ebrei” ha risposto. Ho domandato dove fosse il cartello che lo indicasse, ad informare [altri] guidatori a non percorrerla. Ha risposto in modo semplicemente sbalorditivo. “È affar suo saperlo! E poi, cosa vuoi che facciamo? Che mettiamo qui un cartello a cui qualche reporter o giornalista antisemita possa scattare una foto, per poter mostrare al mondo che qui esiste l’apartheid?”
Dando prova di indubbia intelligenza, il soldatino si preoccupa ben eseguire gli ordini ricevuti senza lasciar traccia dell’operato. Ma una mente più eletta deve essere stata quella che gli ha impartito l’ordine. Non possiamo immaginare un soldato tanto stupido da operare un sequestro di vettura senza aver ricevuto appositi circostanziati ordine. In caso diverso dovremmo immaginare un bandito di strada, travestito da soldato. Dunque, l’articolista del Jerusalem Post ed il suo traduttore italiano ci risparmino la loro stupidità: se la tengano tutta per loro. Ma se proprio vogliono una prova, ne hanno una vivente nelle persone che cacciate dalle loro case e dai loro villaggi non cessano dal reclamare un ben diverso diritto al ritorno, solo così riempiendo di terrore gli usurpatori delle loro terre, che si vedono persi e “distrutti” non dai missili di Ahmadinejad, ma dagli incontestabili diritti di quanti vogliono ritornare a casa loro.

Esilarante poi leggere come il Jerusalem Post citi una fonte CIA a sostegno delle sue tesi. Sappiamo che uno dei compiti primari della CIA è la produzione di informative false ed orientate a distorcere i media. Non meno esilarante è l’altra trovata propagandistica, concepita presso il compare statunitense, la cui Lobby ha tirato fuori come un coniglio dal cilindro la trovata dei profughi ebrei dai paesi arabi. La cosa non merita neppure un commento se non che si tratta chiaramente di un tentativo di contrastare gli effetti penetranti ed inesorabili del libro di Pappe, al quale l’articolista non lesina l’abituale dose di denigrazione:
Questi fatti vengono accortamente dimenticati e non pubblicizzati, permettendo a denigratori di Israele come il professor Ilan Pappe (prima all’Università di Haifa, ora in quella di Exeter) di non menzionare neanche di sfuggita la vera, grande pulizia etnica perpetrata in Medio Oriente.
tacendo, significativamente, sul fatto che in Exeter Pappe è andato a seguito di minacce subite nell’«unica» democrazia del medio Oriente, essendo egli colpevole di aver scritto libri che non collimano con la propaganda di regime, di cui il Jerusalm Post per la penna di Ashley Perry è indubbiamente espressione.

Ma a parte ciò l’articolista non sembra voler capire che un giudice qui vorrebbe innanzitutto sapere ciò che in Palestina gli ebrei, israeliani sionisti o come altrimenti si debbano chiamare, hanno fatto a quei palestinesi che vivevano in pace nelle loro case e nei loro villaggi fino a quando non ne sono stati scacciati, uccisi, oppressi in tutti i possibili modi. Se qualcosa di male è stato fatto altrove ad ebrei – dei quali e con i quali resta da provare che i sionisti occupanti ed invasori abbiano rappresentanza legale o morale –, sarà una causa a parte, della quale risponderanno quelli che sono legittimati a rispondere.

(segue)


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