Come «Informazione Corretta» e altri media denigrano quanti criticano il sionismo, Israele, e gli Stati Uniti: Aloni - Arbour - Barghouti - Berti - Blondet - Burg - Caio - Cardini - De Giovannangeli - D’Orsi - Facci - Finkelstein - Giorgio - Gideon Levy - Morgantini - Odifreddi - Paci – Pappe - Romano - Sabahi - Salerno - Sand - Israel Shamir - Spinelli - Stabile - Storace - Tizio - Vanunu - Vattimo -
Cosa si intende qui per Israel Lobby?
«Una coalizione informale di individui e gruppi che cerca di influenzare la politica estera americana in modo che Israele ne tragga beneficio».
Ed in Italia come stanno le cose?
Stiamo cercando di scoprirlo!«Esistono due distinti meccanismi che impediscono alla realtà del conflitto israelo-palestinese di essere giustamente divulgata, e sono i due bavagli con cui i leader israeliani, i loro rappresentanti diplomatici in tutto il mondo, i simpatizzanti d’Israele e la maggioranza dei politici, dei commentatori e degli intellettuali conservatori di norma zittiscono chiunque osi criticare pubblicamente le condotte dello Stato ebraico nei Territori Occupati, o altri aspetti controversi della storia e delle politiche di quel Paese. Il primo bavaglio è l’impiego a tutto campo dei gruppi di pressione ebraici, le cosiddette lobby, per dirottare e falsificare il dibattito politico sul Medioriente (negli USA in primo luogo); il secondo è l’accusa di antisemitismo che viene sempre lanciata, o meglio sbattuta in faccia ai critici d’Israele» (P. Barnard, Perché ci odiano, p. 206).
Ricerche correlate:
1. Monitoraggio di «Informazione Corretta»: Indice-sommario. – 2. Osservatorio sulle reazioni a Mearsheimer e Walt. – 3. La pulizia etnica della Palestina. – 4. Boicottaggio prossimo venturo: la nuova conferenza di Durban prevista per il gennaio 2009. – 5. Teoria e prassi del diritto all’ingerenza. – 6. Per una critica italiana a Daniel Pipes. – 7. Letteratura sionista: Sez. I. Nirenstein; II. Panella; III. Ottolenghi; IV. Allam; V. Venezia; VI. Gol; VII. Colombo; – 8. La leggenda dell’«Olocausto»: riapertura di un dibattito. – 9. Lettere a “La Stampa” su «Olocausto» e «negazionismo» a seguito di un articolo diffamatorio. – 10. Jürgen Graf: Il gigante dai piedi di argilla. – 11. Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – 12. Analisi critica della manifestazione indetta dal «Riformista». – 13. Controappello per una pace vera in Medio Oriente. –
Versione 1.3
Status: 2.8.08
Sommario: 1. Israele l’«unica» democrazia del Medio Oriente? È «peggiore dell’aparthed» sudafricano! – 2. «A Tel Aviv si vive bene»: sulla pelle dei palestinesi. – 3. Gideon Levy a colloquio con Bassem Eid. – 4. L’occupazione israeliana è impazzita. – 5. La superiore moralità dell’esercito israeliano. – 6. I figli propri e quelli degli altri. –
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Status: 2.8.08
Sommario: 1. Israele l’«unica» democrazia del Medio Oriente? È «peggiore dell’aparthed» sudafricano! – 2. «A Tel Aviv si vive bene»: sulla pelle dei palestinesi. – 3. Gideon Levy a colloquio con Bassem Eid. – 4. L’occupazione israeliana è impazzita. – 5. La superiore moralità dell’esercito israeliano. – 6. I figli propri e quelli degli altri. –
Devo la conoscenza di Gideon Levy alla segnalazione di un lettore che mi ha mandato oggi un link della traduzione italiana di un articolo del giornalista israeliano apparso su Haaretz, un quotodiano di sinistra. L’articolo riguarda una recentissima visita, del 10 luglio del corrente anno 2008, di una delegazione proveniente dal Sud Africa. Nel dicembre del 2007 era stata bloccata la visita in Gaza della delegazione italiana di “Gaza Vive”: la «corretta informazione» che si vuol far circolare in Occidente è quella addomesticata e filtrata da fonte governativa. Le risultanze del viaggio della delegazione sudafricana sono che ciò occhi umani hanno visto in Israele supera quello che era stato l’apartheid sudafricano. I politici nostrani, succubi della Israel lobby, farebbero bene ad essere più prudenti quando ripetono lo slogan dello stato di Israele come «unica democrazia» del Medio Oriente, certamente l’«unico» regime della storia di cui io sappia con strade separate per soli ebrei ed altre concesse al traffico palestinese. Nello stesso tempo ho voluto guardare nell’archivio di IC per vedere cosa trovavo su Gideon Levy. Ne ho trovato la qualifica interessante di “israeliano filo-palestinese” che ho quindi ripreso per la testatina di questo post e di altri raggruppabili sotto identica categoria. Poi è citato alcune altre volte: a) per essere stato citato come fonte attendibile da Bernardo Valli in un articolo sull’emergenza umanitaria in Gaza; b) per essere stato citato sempre come fonte autorevole ed attendibile anche dal Manifesto; c) in quanto citato come fonte attendibile ed autorevole anche dal Corriere della Sera. Per il resto Gideon Levy è pane difficile da masticare per un’agenzia volta alla più becera propaganda filogovernativa e più cieca di dieci talpe. Aggiungo come ipotesi da verificare l’idea secondo cui questi “israeliani filo-palestinesi” sono le menti politiche più lucide nella situazione data. L’apartheid potrà essere superato dentro uno Stato Unico con assoluta parità di diritto e nel quale sia contentito il vero ritorno alle proprie case: il ritorno dei profughi palestinesi, che dovranno essere risarciti moralmente e materialmente. Solo così è ipotizzabile una pace duratura in Medio Oriente. Non Israele sarà il nome del nuovo Stato, nome posticcio e coloniale, ma Palestina. In essa potranno convivere uomini di tutte le fedi religiose o di nessuna fede religiosa.
Webgrafia:
1. Frammenti vocali in MO: Palestina e Israele.
1. Israele l’«unica» democrazia del Medio Oriente? È “peggiore dell’apartheid” sudafricano! – Sono indotto a riportare integralmente un articolo di Gideon Levy: tanti sono i nomi, i luoghi e le situazioni che occorre memorizzare e studiare. L’articolo appare in traduzione italiana sul sito di «Ebrei contro l’occupazione»: per fortuna degli stessi ebrei esistono ebrei ed ebrei! La propaganda per l’estero, cioè per noi “correttamente” informati da Angelo Pezzana, ci presenta uno stato di Israele che dovrebbe attirare le nostre simpatie e tutta la nostra solidarietà per motivi riconducibili a due filoni: a) il regime israeliano sarebbe democratico come noi siamo e quindi per affinità di regime dovrebbe scattare la solidarietà per gli uni (sionisti occupanti israeliani) e l'antipatia ed ostilità per gli altri (vittime palestinesi non ancora disperse); b) il grande senso di colpa dell’Europa per l’«Olocausto» dovrebbe legittimare una sorta di risarcimento a danni di terzi (i palestinesi vittime di una pulizia etnica nel 1948 con i sopravvissuti oggi internati in Gaza). La realtà è ben diversa. L’articolo di Gideon Levy ne offre una squarcio impietoso contro cui ben poco possono i «Corretti Informatori»:
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2. «A Tel Aviv si vive bene»: sulla pelle dei palestinesi. – I «Corretti Informatori» nel link indicato con il titoletto si lamentano di una stampa “unidirezionale”, basata su articoli da Israele come quelli di Gideon Levy. E poi ostentano ai loro critici che «A Tel Aviv si vive bene: alti salari e natalità». Buon per loro, non ce ne dispiace affatto. Ma sappiamo anche che tutta la prosperità di Israele dal 1948 ad oggi è dovuto ad un flusso “unidirezionale” di risorse che dagli USA e dall’Europa va verso Israele. Alla Francia si deve anche l’inizio dell’atomica israeliana. Ma è un benessere che poggia sulla pulizia etnica dei palestinesi, su un regime da apartheid, su lacrime e sangue prevalentemente palestinese. Se ne sono orgogliosi, è affar loro. Io me ne vergognerei ed avrei non pochi sensi di colpa. Ma la colpa è affar loro nel senso che si sono ornai fin troppo abituati a vivere bene su un senso di colpa altrui, abbondantemente coltivato, sollecitato, esasperato da una solerte produzione culturale e cinematografica nonché dai garndi circuiti mediatici.
3. Gideon Levy a colloquio con Bassem Eid. – Il link riporta ad un dibattito del 2005. Di Bassem Eid ho riferito in occasione del convegno romano di Fiammetta Nirenstein. Ne ho riportato un’impressione nettamente negativa. Bassem Eid era fra i partecipanti. Non ricordo se fu proprio lui ad indicare l’ammontare della somma che gli USA avrebbero dovuto mettere a disposizione – ove non lo abbiano già fatto – per finanziare il dissenso interno negli stati arabi.
4. L’occupazione israeliana è impazzita. – Avevo avuto una prima notizia di ciò che stava succendo a Nablus in occasione del ricevimento presso il Centro Sociale Intifada in Roma, via di Casal Bruciato. Per la verità non avevo capito bene di cosa si trattasse. Andando ora al link la cosa diventa più chiara. Gideon Levy spiega come l’esercito israeliano stia distruggendo qualsiasi attività economica in Nablus con il pretesto che in questo modo verrebbe ad essere finanziato Hamas. Quindi chi fabbrica il pane non può più continuare a farlo: manca il pane per chi deve comprarlo e soprattutto cessa il lavoro per il panettiere ed i suoi aiutanti. Lo stesso dicasi per parrucchieri e barbieri. Ortolani e calzolai. È la follia allo stato puro. L’articolo lo si trova significativamente sul sito “Ebrei contro l’Occupazione”.
5. La superiore moralità dell’esercito israeliano. – L’articolo di cui al link giunge a me oggi, ma non è recente. Si riferisce alla guerra del Libano e parla dello scarso valore della vita umana in Israele, ossia della vita altrui e infine anche della propria. Trovo impressionante gli accenni agli “omicidi mirati”, che è in pratica una forma di terrorismo di stato. Se ne è parlato di recente a proposito dello scambio di prigionieri: secondo voci usciti dal Mossad i prigionieri liberati sono in realtà dei “morti che camminano”, il che lascia pensare che dopo la liberazione sia stato progetto il loro omicidio. Questa è l’«unica» democrazia del Medio Oriente di cui la propaganda ci decanta ogni giorno i meriti per i quali tocca sostenerla come fossimo “noi stessi”: «Israele siamo noi», dice qualcuno che ahimé siede nel nostro parlamento.
6. I figli propri e quelli degli altri. – Il link immette in una sintesi di un articolo di Gideon Levy. A quanto vi si legge si può aggiungere questa considerazione. In queste giornate afose dell’agosto 2008 capita di leggere testi ispirati dalla propaganda israeliana dove entrano in scena quadretti idilliaci di vita familiare. Cosa di più commevente di un soldatino di 20 anni che imbraccia fucili modernissimi capaci di distribuire morte in ogni direzione. Se poi viene catturato, ecco che ci vengono chieste firme di adesione per la loro liberazione e vengono inoltrati appelli al presidente... italiano, cioè a Napolitano, quasi fosse presidente non della repubblica italiana, ma di una colonia di Israele. Se poi muore qualche bambino israeliano gli inni funebri ed i guaiti giungono in cielo. Guai se in tanto clamore qualcuno – come Gideon Levy – si azzarda a far notare che ciò che si commette ai danni e sulla pelle del popolo palestinesi supera in sofferenza e orrore l’immaginabile. Pare incredibile, ma è cosa: anche la pietà è a misura di propaganda. Nella guerra mediatica in atto non vi è esclusione di colpi, ma sembra di notare che gli appositi uffici israeliani contano in un rapporto direttamente proprorzionale fra intensità delle propaganda e assuefazione dell’opinione pubblica al “ragioni” di Israele: il suo diritto ad esistere al prezzo dell’altrui estinzione.
(segue)
Webgrafia:
1. Frammenti vocali in MO: Palestina e Israele.
1. Israele l’«unica» democrazia del Medio Oriente? È “peggiore dell’apartheid” sudafricano! – Sono indotto a riportare integralmente un articolo di Gideon Levy: tanti sono i nomi, i luoghi e le situazioni che occorre memorizzare e studiare. L’articolo appare in traduzione italiana sul sito di «Ebrei contro l’occupazione»: per fortuna degli stessi ebrei esistono ebrei ed ebrei! La propaganda per l’estero, cioè per noi “correttamente” informati da Angelo Pezzana, ci presenta uno stato di Israele che dovrebbe attirare le nostre simpatie e tutta la nostra solidarietà per motivi riconducibili a due filoni: a) il regime israeliano sarebbe democratico come noi siamo e quindi per affinità di regime dovrebbe scattare la solidarietà per gli uni (sionisti occupanti israeliani) e l'antipatia ed ostilità per gli altri (vittime palestinesi non ancora disperse); b) il grande senso di colpa dell’Europa per l’«Olocausto» dovrebbe legittimare una sorta di risarcimento a danni di terzi (i palestinesi vittime di una pulizia etnica nel 1948 con i sopravvissuti oggi internati in Gaza). La realtà è ben diversa. L’articolo di Gideon Levy ne offre una squarcio impietoso contro cui ben poco possono i «Corretti Informatori»:
Il quadro è desolante. Ciò che noi cittadini qualunque possiamo fare è di combattere la nostra piccola battaglia per la verità. Innanzitutto, una verità di cui dobbiamo noi stessi divenire consapevoli. Forti della verità possiamo facilmente respingere la menzogna organizzata da tutte le centrali estere delle propaganda e della disinformazione della Israel lobby.’Peggiore dell ’apartheid ’
Scritto da Gideon Levy
Sabato 12 Luglio 2008 18:36
Haaretz, 10 luglio 2008
Fonte:
«Rete Ebrei contro l’Occupazione»
Pensavo che si sentissero a casa propria nei vicoli del campo profughi di Balata, nella Casbah e al posto di blocco di Hawara. Ma hanno detto che non c ’era paragone: per loro il regime dell ’occupazione israeliana è peggiore di qualunque [altro] avessero conosciuto sotto l’apartheid. Questa settimana, 21 attivisti per i diritti umani, provenienti dal Sud Africa, hanno visitato Israele. Fra loro, vi erano appartenenti all’African National Congress di Nelson Mandela; almeno uno aveva preso parte alla lotta armata, e almeno due erano stati in carcere. Vi erano due giudici della Corte Suprema del Sud Africa, un ex vice-ministro, parlamentari, avvocati, scrittori e giornalisti; neri e bianchi, almeno la metà ebrei, oggi in conflitto con l ’atteggiamento conservatore della comunità ebraica nel loro Paese. Alcuni erano stati qui in precedenza, per altri era la prima visita.
Per cinque giorni sono stati a visitare Israele in modo anticonformistico – senza Sderot, l ’esercito e il Ministero degli Affari Esteri (ma con Yad Vashem, il monumento allo sterminio, e un incontro con la Presidente della Corte Suprema, la Giudice Dorit Beinisch). Hanno passato la maggior parte del tempo nelle aree occupate, dove quasi nessun ospite ufficiale va – nei luoghi evitati pure dalla maggior parte degli israeliani.
Il lunedì hanno visitato Nablus, la città più imprigionata della Cisgiordania; da Hawara alla Casbah, dalla Tomba di Giuseppe al monastero del Pozzo di Giacobbe. Si sono spostati da Gerusalemme a Nablus con l ’Autostrada 60, osservando i villaggi imprigionati che non hanno accesso alla strada principale, e vedendo le “strade per gli indigeni”, che vi passano sotto. Hanno visto e non hanno detto alcunché. Non c ’erano strade separate, sotto l ’apartheid. Sono passati, muti, attraverso il posto di blocco di Hawara: non avevano mai avuto barriere di quel tipo.
Jody Kollapen, che dirigeva gli Avvocati per i Diritti Umani nel regime dell’apartheid, osserva in silenzio. Vede la “giostra” in cui si schiacciano masse di persone che vanno al lavoro, a vedere la famiglia o all ’ospedale. Neta Golan, che è vissuta per diversi anni nella città assediata, spiega che solo lo 1% degli abitanti ha il permesso di lasciare la città in auto; si sospetta che siano dei collaborazionisti con Israele. Nozizwe Madlala-Routledge, ex vice-ministro della difesa e della sanità, attualmente parlamentare, figura riverita nel suo Paese, è colpita dal vedere un ammalato portato in barella. “Privare la gente di cure mediche umane? Sapete, si muore, per quello”, dice sottovoce.
Le guide del tour – attivisti palestinesi – spiegano che Nablus è isolata da sei posti di blocco; fino al 2005, uno era aperto. “Si suppone che vi siano motivi di sicurezza per i posti di blocco, ma chiunque voglia perpetrare un attacco può pagare 10 shekel1 per un taxi e percorrere circonvallazioni, o camminare sulle colline.
Il vero scopo è rendere la vita difficile agli abitanti. La popolazione civile soffre”, dice Said Abu Hijla, lettore all ’Università Al-Najah, nella città.
Nell ’autobus, faccio conoscenza con i mie due vicini: Andrew Feinstein, figlio di sopravvissuti allo sterminio, che ha sposato una musulmana proveniente dal Bangladesh, ed è stato parlamentare per sei anni per l ’ANC; e Nathan Gefen, che ha come partner un uomo musulmano, e che da giovane apparteneva al movimento di destra Betar. Nel suo Paese, devastato dalla malattia, Gefen è attivo nel Comitato contro l ’AIDS.
“Guardate a sinistra e a destra”, spiega la guida, con l ’altoparlante, “sulla cima di ogni collina, sul Gerizim e sull ’Ebal, c ’è un avamposto dell ’esercito israeliano che ci osserva”. Qui ci sono fori di proiettili nel muro di una scuola e c ’è la Tomba di Giuseppe, sorvegliata da un gruppo di poliziotti palestinesi armati. Qui c ’era un posto di blocco, e qui è dove è stata uccisa una passante a cui avevano sparato, due anni fa. L ’edificio governativo che c ’era qui è stato bombardato e distrutto da aerei da guerra F-16. Mille abitanti di Nablus sono stati uccisi nella seconda intifada: 90 nell ’Operazione Scudo Difensivo, più che a Jenin. Due settimane fa, il giorno che è entrata in vigore la tregua nella Striscia di Gaza, Israele ha compiuto quelli che, ad oggi, sono i suoi due ultimi assassinii. La notte scorsa i soldati sono di nuovo entrati, arrestando gente.
È passato molto tempo, da quando qui ci sono stati turisti in visita. C ’è qualcosa di nuovo: gli innumerevoli poster-memoriali, attaccati ai muri per commemorare i caduti, sono stati sostituiti, in ogni angolo della Casbah, da monumenti di marmo e da placche di metallo.
“Non gettate la carta nel gabinetto, perché manca l ’acqua”, dicono agli ospiti negli uffici del Comitato Popolare della Casbah, posto in alto, in un edificio spettacolare, di pietra vecchia. L ’ex vice-ministro si siede a capotavola. Dietro di lei ci sono ritratti di Yasser Arafat, Abu Jihad e Mrwan Barghouti, il leader dei Tanzim, in carcere. Rappresentanti dei residenti nella Casbah descrivono le difficili esperienze a cui fanno fronte. Nell ’antico quartiere, il novanta per cento dei bambini soffrono di anemia e di malnutrizione, la situazione economica è terribile, continuano le incursioni notturne, e alcuni abitanti non sono autorizzati a lasciare la città per alcun motivo. Usciamo per un giro sulla traccia delle devastazioni compiute negli anni dall ’esercito israeliano.
Edwin Cameron, giudice nella Corte Suprema d ’Appello, dice ai suoi ospiti: “Siamo venuti qui con scarse conoscenze, e abbiamo sete di sapere. Siamo colpiti da quanto abbiamo visto finora, ci è molto chiaro che la situazione qui è intollerabile”. Un poster, attaccato a un muro esterno, ha la foto di un uomo che ha trascorso 34 anni in un carcere israeliano. Mandela è stato in prigione per sette anni di meno. Uno dei componenti ebrei della delegazione è pronto a dire, purché non si faccia il suo nome, che il paragone con l ’apartheid è assai pertinente, e che gli israeliani sono persino più efficienti nell ’implementare il regime di separazione razziale di quanto non fossero i Sud Africani. Se lo affermasse pubblicamente, sostiene, sarebbe attaccato dagli appartenenti alla comunità ebraica.
Sotto un albero di fichi, nel centro della Casbah, uno degli attivisti palestinesi spiega: “I soldati israeliani sono vigliacchi. È per questo che hanno creato vie per spostarsi con i bulldozer. Nel far ciò, hanno ucciso con i bulldozer tre generazioni di una famiglia, gli Shubi”. Qui c ’è il monumento in pietra alla famiglia – nonno, due zie, mamma e due bambini. Sulla pietra sono incise le parole “Non dimenticheremo mai, non perdoneremo mai”.
Non meno bello del famoso Pere-Lachaise, a Parigi, il cimitero centrale di Nablus riposa all ’ombra di un bosco di pini. Fra le centinaia di pietre tombali, spiccano quelle delle vittime dell ’intifada. Qui c ’è la sepoltura fresca di un ragazzo ucciso alcune settimane fa al posto di blocco di Hawara. I Sud Africani camminano silenziosamente fra le tombe, fermandosi davanti a a quella di Abu Hijla, madre della nostra guida; era stata raggiunta da 15 proiettili. “Non ci arrenderemo, te lo promettiamo”, hanno scritto i bambini sulla sua lapide; era conosciuta come “madre dei poveri”.
Il pranzo è in un albergo della città, e parla Madlala-Routledge. “È difficile per me descrivere quel che sento. Quel che vedo qui è peggiore di quello che abbiamo sperimentato. Ma mi dà coraggio trovare che qui ci sono dei coraggiosi. Vogliamo sostenervi nella lotta, con ogni mezzo possibile. C ’è un discreto numero di ebrei nella nostra delegazione, e siamo molto orgogliosi che siano stati loro a condurci qui; dimostrano il loro impegno a sostenervi. Nel nostro Paese siamo stati capaci di unire tutte le forze in una sola lotta, e fra di noi vi erano bianchi coraggiosi, ebrei compresi. Spero che vedremo più ebrei israeliani unirsi alla vostra battaglia”.
È stata vice-ministro alla difesa dal 1999 al 2004; nel 1987 era stata in carcere. Più tardi, le ho chiesto in quali modi la situazione qui è peggiore dell ’apartheid. “L ’assoluto controllo sulla vita delle persone, la mancanza di libertà di movimento, la presenza dell ’esercito dappertutto, la separazione totale e le ampie distruzioni che abbiamo visto”.
Madlala-Routledge pensa che la lotta contro l ’occupazione non abbia successo qui a causa del sostegno USA per Israele: con l ’apartheid, che le sanzioni internazionali hanno contribuito a distruggere, il caso era diverso. Qui, l ’ideologia razzista è anche rinforzata dalla religione; in Sud Africa non era così. “Discorsi sulla ’terra promessa ’ e il ’popolo eletto ’ aggiungono una dimensione religiosa, che noi non avevamo, al razzismo”.
Egualmente aspre sono le osservazioni del caporedattore del Sunday Times del Sud Africa, Mondli Makanya, di 38 anni. “Quando osservi da lontano sai che qui va male, ma non sai quanto male. Nulla può prepararti a quanto abbiamo visto qui. In un certo senso, è peggiore, peggiore, peggiore, di tutto quel che abbiamo sopportato. Il livello di discriminazione, il razzismo e la brutalità sono peggiori di quelli del periodo più cupo dell ’apartheid.
Il regime dell ’apartheid considerava i neri inferiori; io penso che gli israeliani non considerino affatto i palestinesi esseri umani. Come può il cervello di un uomo architettare questa separazione totale, le strade separate, i posti di blocco? Quel che abbiamo passato era terribile, terribile, terribile – e tuttavia non c ’è paragone. Qui è più terribile ancora. Noi sapevamo anche che un giorno sarebbe finito; qui non c ’è una fine in vista. L ’uscita dal tunnel è nerissima.
Sotto l ’apartheid, vi erano posti in cui bianchi e neri si incontravano. Gli israeliani e i palestinesi non si incontrano più affatto; la separazione è totale. Mi sembra che agli israeliani piacerebbe che i palestinesi sparissero. Nel nostro caso, non c ’è mai stato alcunché del genere: i bianchi non volevano che i neri si dileguassero. Ho visto i coloni a Silwan [a Gerusalemme Est] – persone che vogliono espellerne altre, dalle loro case”.
Dopo abbiamo camminato in silenzio per i vicoli di Balata, il più grande campo profughi in Cisgiordania, indicato 60 anni fa come rifugio temporaneo per 5.000 persone, che ora ne ospita 26.000. Nei vicoli scuri, ampî all ’incirca quanto un individuo magro, vi era un silenzio opprimente. Ognuno era immerso nei suoi pensieri, e il silenzio era interrotto solo dalla voce del muezzin.testo originale inglese
in Haartetz del 10 luglio 2008
(traduzione di Paola Canarutto)
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2. «A Tel Aviv si vive bene»: sulla pelle dei palestinesi. – I «Corretti Informatori» nel link indicato con il titoletto si lamentano di una stampa “unidirezionale”, basata su articoli da Israele come quelli di Gideon Levy. E poi ostentano ai loro critici che «A Tel Aviv si vive bene: alti salari e natalità». Buon per loro, non ce ne dispiace affatto. Ma sappiamo anche che tutta la prosperità di Israele dal 1948 ad oggi è dovuto ad un flusso “unidirezionale” di risorse che dagli USA e dall’Europa va verso Israele. Alla Francia si deve anche l’inizio dell’atomica israeliana. Ma è un benessere che poggia sulla pulizia etnica dei palestinesi, su un regime da apartheid, su lacrime e sangue prevalentemente palestinese. Se ne sono orgogliosi, è affar loro. Io me ne vergognerei ed avrei non pochi sensi di colpa. Ma la colpa è affar loro nel senso che si sono ornai fin troppo abituati a vivere bene su un senso di colpa altrui, abbondantemente coltivato, sollecitato, esasperato da una solerte produzione culturale e cinematografica nonché dai garndi circuiti mediatici.
3. Gideon Levy a colloquio con Bassem Eid. – Il link riporta ad un dibattito del 2005. Di Bassem Eid ho riferito in occasione del convegno romano di Fiammetta Nirenstein. Ne ho riportato un’impressione nettamente negativa. Bassem Eid era fra i partecipanti. Non ricordo se fu proprio lui ad indicare l’ammontare della somma che gli USA avrebbero dovuto mettere a disposizione – ove non lo abbiano già fatto – per finanziare il dissenso interno negli stati arabi.
4. L’occupazione israeliana è impazzita. – Avevo avuto una prima notizia di ciò che stava succendo a Nablus in occasione del ricevimento presso il Centro Sociale Intifada in Roma, via di Casal Bruciato. Per la verità non avevo capito bene di cosa si trattasse. Andando ora al link la cosa diventa più chiara. Gideon Levy spiega come l’esercito israeliano stia distruggendo qualsiasi attività economica in Nablus con il pretesto che in questo modo verrebbe ad essere finanziato Hamas. Quindi chi fabbrica il pane non può più continuare a farlo: manca il pane per chi deve comprarlo e soprattutto cessa il lavoro per il panettiere ed i suoi aiutanti. Lo stesso dicasi per parrucchieri e barbieri. Ortolani e calzolai. È la follia allo stato puro. L’articolo lo si trova significativamente sul sito “Ebrei contro l’Occupazione”.
5. La superiore moralità dell’esercito israeliano. – L’articolo di cui al link giunge a me oggi, ma non è recente. Si riferisce alla guerra del Libano e parla dello scarso valore della vita umana in Israele, ossia della vita altrui e infine anche della propria. Trovo impressionante gli accenni agli “omicidi mirati”, che è in pratica una forma di terrorismo di stato. Se ne è parlato di recente a proposito dello scambio di prigionieri: secondo voci usciti dal Mossad i prigionieri liberati sono in realtà dei “morti che camminano”, il che lascia pensare che dopo la liberazione sia stato progetto il loro omicidio. Questa è l’«unica» democrazia del Medio Oriente di cui la propaganda ci decanta ogni giorno i meriti per i quali tocca sostenerla come fossimo “noi stessi”: «Israele siamo noi», dice qualcuno che ahimé siede nel nostro parlamento.
6. I figli propri e quelli degli altri. – Il link immette in una sintesi di un articolo di Gideon Levy. A quanto vi si legge si può aggiungere questa considerazione. In queste giornate afose dell’agosto 2008 capita di leggere testi ispirati dalla propaganda israeliana dove entrano in scena quadretti idilliaci di vita familiare. Cosa di più commevente di un soldatino di 20 anni che imbraccia fucili modernissimi capaci di distribuire morte in ogni direzione. Se poi viene catturato, ecco che ci vengono chieste firme di adesione per la loro liberazione e vengono inoltrati appelli al presidente... italiano, cioè a Napolitano, quasi fosse presidente non della repubblica italiana, ma di una colonia di Israele. Se poi muore qualche bambino israeliano gli inni funebri ed i guaiti giungono in cielo. Guai se in tanto clamore qualcuno – come Gideon Levy – si azzarda a far notare che ciò che si commette ai danni e sulla pelle del popolo palestinesi supera in sofferenza e orrore l’immaginabile. Pare incredibile, ma è cosa: anche la pietà è a misura di propaganda. Nella guerra mediatica in atto non vi è esclusione di colpi, ma sembra di notare che gli appositi uffici israeliani contano in un rapporto direttamente proprorzionale fra intensità delle propaganda e assuefazione dell’opinione pubblica al “ragioni” di Israele: il suo diritto ad esistere al prezzo dell’altrui estinzione.
(segue)
1 commento:
qui, se interessa, c'è la sintesi di molti articoli di G. levy
http://frammentivocalimo.blogspot.com/search/label/Gideon%20Levy
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