martedì 1 luglio 2008

Apartheid: 26. Shulamit Aloni e la critica politica interna

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Apprendo oggi della figura di Shulamit Aloni, una donna, ebrea, che è stata perfino ministra in Israele. Ben altra cosa da madonna Fiammetta Nirenstein. Almeno così mi sembra. La mia attenzione è stata richiamata da un suo articolo, anzi un editoriale, che si trova nell’archivio di “Liberazione” con titolo: L’apartheid in Israele c’è davvero. Oggi 1° luglio 2008 in un articolo del «Manifesto», che non riguarda Aloni, riappare però il tema dell’apartheid che fa saltare i nervi ai «Corretti Informatori», che possono soltanto opporre il non argomento della “calunnia”. Sono poi andato sull’archivio di «Informazione Corretta», dove però di questo articolo non è traccia, mentre lo si trova nel sito Ebrei contro l’occupazione. Le affermazioni e la testimonianza oculare di Aloni sono così nette e perentorie da non lasciar nessun margine di manovra ai «Corretti Informatori», nel cui archivio si trova una sola colta il nome Aloni, per l’intervista sull’Unità, ed una seconda volta citato in una eletto commento in quanto «testimone a carico di Israele». Non vi è altro. Seguirò quindi su altri archivi l’attività e le vicende di Shulamit Aloni.

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1. Shulamit Aloni intervistata da Umberto De Giovannangeli. – Fosse soltanto per questa intervista De Giovannangeli avrebbe meritato in eterno l’«odio» di cui è abituale oggetto in tutti i commenti degl «Eletti Informatori». Il testo dell’intervista, apparsa sull’Unità del 6 novembre 2007 merità di essere riportata per intero e quindi di esser letta e studiata:
«Il diritto alla difesa non può giustificare bombardamenti contro aree popolate da civili. Il diritto alla difesa non giustifica punizioni collettive quali quelle imposte alla popolazione di Gaza. Il diritto alla difesa non può assolvere coloro che si sono macchiati di crimini contro l’umanità». È un atto di accusa durissimo quello che Shulamit Aloni lancia contro il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak e l’ex capo di stato maggiore, il generale Dan Halutz; un j’accuse tanto più significativo perché a lanciarlo è una figura storica della sinistra israeliana: fondatrice di Peace Now, già parlamentare e ministra nei governi a guida Rabin e Peres, Shulamit Aloni è stata più volte minacciata di morte dai gruppi dell’estrema destra israeliani. Come sempre, le sue posizioni toccano la coscienza di Israele.

• Perché è tornata a scatenare polemiche in Israele?

• «Per amore della verità e perché ho troppo a cuore quei principi di democrazia che furono alla base della fondazione dello Stato d’Israele. Ed è in nome di quei valori che sostengo che Ehud Barak e Dan Halutz dovrebbero essere giudicati dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per crimini contro l’umanità».

• La sua è un’accusa pesantissima.

• «Pesantissime sono le azioni di cui Barak e Halutz si sono macchiati. Da israeliana non possono essere fiera dello Stato d’Israele per i comportamenti tenuti dall’allora capo di stato maggiore e dall’attuale ministro della Difesa. Il diritto alla difesa e la lotta al terrorismo non possono mascherare né tanto meno giustificare atti che si configurano come crimini contro l’umanità».

• A cosa si riferisce in particolare?

• «Mi riferisco ai massicci bombardamenti aerei ordinati da Halutz contro la Striscia di Gaza. Quei bombardamenti colpivano zone densamente abitate e non potevano non colpire la popolazione civile. E non vale come giustificazione sostenere che gli attivisti di Hamas usano muoversi tra la folla. L’eliminazione di un miliziano palestinese non giustifica l’uccisione di civili, molti dei quali donne e bambini».

• Sul banco degli imputati lei colloca anche l’attuale ministro della Difesa Ehud Barak. Perché?

• «Perché Barak è un pericolo per Israele, a causa del suo temperamento estremista e perché è un uomo di guerra che crede così di poter battere Benjamin Netanyahu (il leader del partito di destra Likud, ndr.). Condivido la decisione dei palestinesi di aprire contro di lui un procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per la sua decisione di togliere l’elettricità alla Striscia di Gaza. Quella assunta da Barak è una decisione illegale, inumana, che entra a pieno titolo nella categoria dei crimini di guerra. Le restrizioni imposte a Gaza costituiscono una punizione collettiva contro civili. Mi chiedo come si possa parlare di dialogo, della ricerca di un accordo di pace di fronte a questi crimini».

• Eppure di pace si continua a parlare tra Ehud Olmert e Abu Mazen. Tutti guardano alla Conferenza di Annapolis in programma per fine mese. Cosa pensa di questo appuntamento?

• «Penso che l’opinione pubblica del mio Paese sia più lungimirante e coraggiosa di coloro che governano. La gente sa che la pace non può essere a costo zero ed è pronta a pagarne il prezzo. La questione è se il governo israeliano sia altrettanto coraggioso. Conoscendo Olmert e, soprattutto, Barak ne dubito fortemente».

• In questo frangente, quale messaggio dovrebbe a suo avviso lanciare la sinistra israeliana al Paese?

• «Più che di messaggio parlerei di una grande mobilitazione popolare in grado di esercitare una forte pressione sul governo e su Olmert. Siamo al momento della verità: se falliremo, dovremo pagare un duro prezzo di sangue».

• Sabato sera scorso oltre 150mila persone si sono ritrovate a Tel Aviv per ricordare Yitzhak Rabin.

• «Presente e passato si sono intrecciati in quella piazza. Si è tornati a manifestare per la pace nel luogo in cui, 12 anni fa, fu assassinato l’uomo che aveva "osato" stringere la mano a Yasser Arafat e avviare una stagione di speranza. Dodici anni dopo, siamo tornati in piazza in nome di Yitzhak Rabin e di una lezione che lui ci ha lasciato e che Israele non deve dimenticare: solo il dialogo porta sicurezza».

• La piazza ha protestato anche per l’assenso dato dalla Corte Suprema per la cerimonia della circoncisione del figlio di Yigal Amir, l’assassino di Rabin.

• «Questa cerimonia, volutamente tenuta nel giorno dell’assassinio, 12 anni fa di Rabin, è un affronto alla memoria di Yitzhak e la riprova, inquietante, di una pericolosa rimozione di cosa abbia significato non solo per i famigliari ma per l’intera Israele quell’assassinio».

• Molto si discute sull’opportunità di aprire un confronto con Hamas. Qual è in merito la sua posizione?

• «Per giungere alla pace, io parlerei anche con il diavolo. Non esiste una scorciatoia militare alla soluzione della questione palestinese. La soluzione non può che essere politica. Per questo è decisivo che Annapolis non si risolva in un ennesimo fallimento. A mettere fine ai lanci di razzi da Gaza verso Israele sarà solo un accordo politico ad Annapolis e non la scellerata politica di forza condotta da Ehud Barak».
L’Eletto Commento riserva ormai poche novità rispetto agli schemi mentali dei «Corretti Informatori», i cui paraocchi di regime riuscirebbero difficili da indossare anche ai più docili asinelli, nobili animali chiamati in servizio nella fiera della politica italiana.

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2. L’apartheid in Israele c’è davvero: la denuncia di una ex-ministra. – È questo l’esatto titolo che si trova su Liberazione dell’11 gennaio 2007. Lo si trova in formato pdf nell’archivio del quotidiano comunista, ma non è facile trovarlo in rete, digitando i motori di ricerca. Per questo pensiamo di fare cosa utile nel riportarne qui intergralmente il testo. Il grande valore di testimonianza non è sfuggito a Maurizio Blondet che lo ha subito incastonato in un suo articolo dal titolo Il clero che idealizza Israele del 12 gennaio 2007.

La denuncia di un ex ministra
L’apartheid in Israele c’è davvero

di
Shulamit Aloni

Fonte: Liberazione, 11 gennaio 2007
Fra di noi, la certezza ebraica di essere nel giusto è data tanto per scontata che non riusciamo a vedere cosa abbiamo proprio davanti agli occhi. È semplicemente inconcepibile che le vittime per eccellenza, gli ebrei, possano compiere atti malvagi. Ciononostante, lo stato di Israele pratica la propria forma di apartheid, piuttosto violenta, nei confronti della popolazione palestinese natia.

L’attacco dell’establishment ebraico all’ex presidente Jimmy Carter si fonda sul fatto che questi ha osato dire la verità che è nota a tutti: tramite l’esercito, il governo di Israele pratica una forma brutale di apartheid nel territorio che occupa. L’esercito ha trasformato ogni villaggio ed ogni cittadina palestinese in un campo di detenzione recintato, o bloccato; tutto questo per tenere d’occhio gli spostamenti della popolazione, e rendere loro la vita difficile. Israele impone persino un coprifuoco totale ogni qualvolta i coloni, che hanno usurpato illegalmente le terre dei palestinesi, celebrano le loro festività o compiono le loro parate.

Come se non bastasse, i generali che comandano la regione emanano frequentemente ulteriori ordini, regolamenti, direttive e norme (non dimentichiamo che sono i signori del territorio). Oramai hanno requisito ulteriori terreni allo scopo di costruire strade “solo ebraiche”: strade meravigliose, ampie, ben asfaltate, con un’ottima illuminazione notturna – tutto questo su terra rubata. Quando un palestinese passa su una strada siffatta, gli si confisca l’auto e lo si manda via.

Una volta sono stata testimone di un tale incontro fra un guidatore e un soldato che raccoglieva i dati prima di confiscare l’auto e di mandare via il suo proprietario. “Perché?” ho chiesto al soldato. “È un ordine: questa è una strada-solo-per-ebrei” ha risposto. Ho domandato dove fosse il cartello che lo indicasse, ad informare [altri] guidatori a non percorrerla. Ha risposto in modo semplicemente sbalorditivo. “È affar suo saperlo! E poi, cosa vuoi che facciamo? Che mettiamo qui un cartello a cui qualche reporter o giornalista antisemita possa scattare una foto, per poter mostrare al mondo che qui esiste l’apartheid?”

L’apartheid esiste davvero qui. E il nostro esercito non è “l’esercito più morale del mondo”, come ci dicono i comandanti. Sia sufficiente ricordare che ogni cittadina e ogni villaggio si sono trasformati in centri di detenzione e che ogni ingresso e ogni uscita sono stati chiusi, escludendoli dal traffico sulle grandi vie di comunicazione. Come se non bastasse il divieto ai palestinesi di percorrere, sulla loro terra, le strade asfaltate “solo per ebrei”, l’attuale generale in capo ha trovato necessario appioppare, con una “proposta ingegnosa”, un altro colpo a chi è nato lì. Nemmeno gli attivisti umanitari possono trasportare palestinesi.

Il maggiore Naveh, famoso per il suo grande patriottismo, ha emanato un nuovo ordine – che, a partire dal 19 gennaio, proibisce di trasportare palestinesi senza un permesso. L’ordine sancisce che gli israeliani non possono trasportare palestinesi in un veicolo israeliano (vale a dire uno registrato in Israele, indipendentemente dal tipo di targa), se non ne hanno ricevuto il permesso esplicito; l’autorizzazione riguarda sia il guidatore, sia il passeggero palestinese. Ovviamente nulla di tutto ciò si applica ai lavoratori che servono ai coloni: questi, ed i loro datori di lavoro, riceveranno naturalmente i permessi necessari, in modo da poter continuare a servire i padroni del territorio, i coloni medesimi.

Il presidente Carter, uomo di pace, si è davvero sbagliato nel concludere che Israele sta creando apartheid? Ha esagerato? I leader delle comunità ebraiche Usa non riconoscono forse la Convenzione Internazionale del 7 marzo 1966, firmata da Israele, sull’eliminare tutte le forme di discriminazione razziale? Agli ebrei statunitensi che hanno lanciato in modo forte ed ingiurioso la campagna contro Carter, accusato di calunniare il carattere e la natura democratica ed umanista di Israele, è forse sconosciuta la Convenzione Internazionale del 30 novembre 1973, sul reprimere e punire il crimine di apartheid? L’apartheid è ivi definito come un crimine internazionale, che fra le altre cose comprende usare strumenti legali differenti per governare su gruppi razziali diversi, privando così la popolazione dei diritti umani. La libertà di spostarsi non fa parte di tali diritti?

In passato, i leader delle comunità ebraiche Usa conoscevano abbastanza bene il significato di quelle convenzioni. Per qualche ragione, tuttavia, sono convinti che Israele sia autorizzato a trasgredirle. Va bene uccidere civili, donne e bambini, vecchi e genitori con i loro figli, deliberatamente o no, senza accettare alcuna responsabilità. Può essere permesso derubare la gente dei loro campi, distruggere i loro raccolti, rinchiuderli come animali allo zoo. D’ora in poi, è vietato a volontari israeliani e di organizzazioni umanitarie internazionali assistere una donna in travaglio trasportandola in ospedale.

I volontari del [gruppo israeliano per i diritti umani] Yesh Din non possono portare alla stazione di polizia, a presentare un reclamo, un palestinese derubato e pestato. (Le stazioni di polizia sono situate al centro delle colonie). C’è qualcuno che ritiene che questo non sia apartheid? Jimmy Carter non ha bisogno di me per difendere la sua reputazione, dopo le calunnie dei funzionari delle comunità israelofile. Il problema è che l’amore che nutrono per Israele distorce la loro capacità di giudizio e li acceca, impedendo loro di vedere ciò che hanno di fronte.

Israele è una potenza occupante che da 40 anni opprime la popolazione del luogo, che ha il diritto ad un’esistenza sovrana ed indipendente, vivendo con noi in pace. Dovremmo ricordare che anche noi abbiamo usato molto spesso un terrorismo assai violento contro un potere straniero, perché volevamo un nostro stato: l’elenco delle vittime è piuttosto lungo ed esteso. Non ci limitiamo a negare alla popolazione [palestinese] i diritti umani. Non rubiamo loro solo la libertà, la terra e l’acqua. Applichiamo punizioni collettive a milioni di persone; nella frenesia della vendetta, distruggiamo pure il rifornimento di energia elettrica per un milione e mezzo di civili: che “stiano al buio” e “patiscano la fame”.

Non si possono pagare i salari ai dipendenti perché Israele trattiene 500 milioni di shekel che appartengono ai palestinesi. E dopo tutto ciò restiamo “puri come la neve che cade”. I nostri atti non sono marchiati da alcun disonore morale. Non c’è alcuna separazione razziale, alcun apartheid. E’ un’invenzione dei nemici di Israele. Evviva i nostri fratelli e sorelle negli Usa! La vostra dedizione è apprezzata moltissimo: avete davvero allontanato da noi una brutta macchia. Ora possiamo avere una spinta in più, nel maltrattare, sicuri di noi stessi, la popolazione palestinese, tramite “l’esercito più morale del mondo”.

[traduzione dall’ebraico in inglese di Sol Salbe] (traduzione dall’inglese di Paola Canarutto)
Sarà difficile togliere valore a questa testimonianza, ma se qualcuno ci ha già provato o ci proverà ne leggerò con molta attenzione le argomentazione, riportandoli in questa scheda.

3. Le bombe su Beirut: altro odio su Israele. – Si trova al link un’altra intervista a Aloni sempre di Umberto De Giovannangeli, apparsa su l’Unità del 25 luglio 2006 e riguardante la guerra contro il Libano. Shulamit Aloni è la
leader storica del Meretz, la sinistra laica israeliana, fondatrice dei «Peace Now» il movimento pacifista israeliano che «non a caso nacque sull’onda del rigetto morale prim’ancora che politico della disastrosa invasione del Libano nel 1982, e della condanna senza appello di una delle pagine più terribili della storia di Israele: il coinvolgimento, sia pure indiretto, nel massacro di Sabra e Chatila».
Nel testo dell’intervista si parla di temi che abbiamo incontrato nella scheda su Sergio Romano. Non è mio scopo una più puntuale ricostruzione storica dei fatti, o una discussione delle diverse interpretazioni. Mi interessa rilevare l’esistenza di differenti identità ebraiche. Shulamit Aloni sarà certamente un personaggio “controcorrente”, ma fa parte a pieno titolo della società israeliana che non è granitica nel sostenre una sola posizione, una sola veduta. Il testo dell’intervista contiene molti elementi interessanti che mi confermano nella mia idea che l’unica soluzione possibile, ma estremamente difficile, rimane la creazione dello Stato Unico con superamento dell‘apartheid. Troppo è l’odio accumulato perché lo si possa dimenticare facilmente nell’arco di una sola generazione.
• Ha ancora un senso la parola «dialogo» nel martoriato Medio Oriente?
– «Deve esistere, perché l'alternativa è la distruzione, è fare di questa regione un enorme cimitero».

•Da quale punto a suo avviso occorrerebbe ripartire?
– «Dalla questione palestinese, la ferita più grave aperta tra Israele e il mondo arabo. Occorre battersi per una pace negoziata, fondata sul principio di due popoli, due Stati. Una pace che non nascerà certo dall'unilateralismo forzato che spinse Sharon al ritiro da Gaza. L'unilateralismo è una via senza uscita».
È una donna di vedute molto più amie e liberali di una Fiamma Nirenstein, ma se fossi un palestinese non accetterei l’ipotesi dei due stati, che sono anche geograficamente difficili da disegnare sulla carta geografica, ma che ove fosse si troverebbero di nuovo in guerra. Restano due possibilità: o il ritorno degli ebrei nei luoghi della diaspora da dove sono venuti (Russia, Polonia, Germania, etc.) o il completo sterminio dei palestinesi ed un allargamento della guerra a tutto il Medio Oriente, “liberato” e “democratizzato” sul modello della Germania o del giappone; oppure la costruzione di uno Stato Unico che non abbia nessuna caratterizzazione ebraica, musulmana o cristiana: un vero Stato uscito dall¿anno 48 del Seicento: 1648 pace e trattato di Weftfalia con la nascita dello Stato moderno. Per ottenere ciò occorre una forte volontà politica da tutte le parti in guerra.

4. Le radici ideologiche del fondamentalismo sionista. – Più interessante ai nostri fini conoscitivi è questo link che porta a Guerrilla radio, ossia un sito che conduce una «guerriglia alla prigionia dell’informazione» ed alla sua corruszione: come non dar ragione. Si tratta però di un’intervista del 16 febbraio 2005, apparsa su l’Unità il cui archivio non è liberamente accessibile. Ne viene fuori da una fonte attendibile, interna alla stessa società israeliana, la rappresentazione di una componente politica fortemente ideologizzata, non meno di come e quanto poteva essere la società fascista o nazista. Equiparare il sionismo al nazismo non mi sembra una provocazione polemica. Altra che società democratica o «unica democrazia»: i politici nostrani che dicono queste cose non sanno di cosa parlano. Shumamit Aloni non lascia adito a dubbi sulla realtà di Israele:
• Qual è l’humus ideologico su cui cresce l’estremismo fondamentalista dell’ultradestra israeliana?

– «È un mix tra messianismo religioso e nazionalismo portato agli estremi. È la visione manichea della Storia, per la quale da un lato c’è il popolo eletto, Israele, e sul fronte opposto il mondo ostile dei Gentili. C’è l’idea di Israele come un grande ghetto super armato in guerra permanente non solo con i terroristi palestinesi ma contro i loro "mandanti" che vanno ricercati in un mondo arabo che, in questa visione paranoica, ha come unico disegno quello di consumare una nuova Shoah contro gli Ebrei. In questa logica da guerra permanente tra i "Nemici" mortali vanno annoverati i "traditori", coloro cioè che dall’interno di Israele hanno operato per distruggere Erez Israel consegnandola nelle mani "empie e grondanti di sangue" degli arabi. Dentro questo humus è maturato l’assassinio, dieci anni fa, di Yitzhak Rabin, ed oggi la storia sembra ripetersi con Ariel Sharon».


• Il capo dello Stato Moshe Katzav ha invocato gli arresti amministrativi per i capi dell’ultradestra.

– «È una presa di posizione che dà il segno della gravità della situazione. Certo, l’opera di prevenzione, come quella repressiva, è necessaria ma da sola non può bastare se non è accompagnata da una grande battaglia politica e ideale all’interno della società israeliana. Una “battaglia” culturale contro la demonizzazione dell’altro da sé, contro l’idea che la Sacra Terra d’Israele sia più importante dello Stato d’Israele e della sua essenza democratica. Una battaglia contro la logica dei "tradimento" scagliata con violenza contro chiunque "osi" lavorare per riaprire spazi di dialogo con i palestinesi. Una battaglia politica che accerti e spezzi una volta per tutti i rapporti che legano l’estrema destra e l’ala più oltranzista del movimento dei coloni con settori della politica che in passato hanno avuto anche responsabilità di governo. L’errore più grave che potremmo commettere è sottovalutare le minacce dell’estrema destra o ridurre questo problema solo a una questione di ordine pubblico».
Si ritrovano qui concetti che si possono leggere in Avraham Burg.

5. La famiglia in regime di apartheid. – Il link immette in un Forum di discussione dove si trattano questioni tecnico-giuridiche in materia di ricongiungimento familiare ed alla luce della normativa internazionale. Da qui si accede ad articoli in inglese della stessa Shulamit Aloni che vengono riassunti e commentati dai partecipanti. Il post è del 13 dicembre 2007.

6. Shulamit segno di contraddizione già nel 1992. – Il link immette nell’archivio storico del «Corriere della Sera» in un articolo del 12 ottobre 1992 a firma Lorenzo Cremonesi. Descrive una Shulamit Aloni, allora di anni 63 ben portati, dunque oggi di 79, speriamo egualmente ben portati, che suscitava forti reazioni su temi di carattere religioso. Come ministro dell’educazione è interessante la sua minnaccia di «bloccare le visite degli studenti israeliani ai campi di concentramento nazisti». Infatti: «tornano a casa con idee troppo fasciste». Il Ministero dell’Educazione che le si vorrebbe togliere era la roccaforte tradizionale degli ortodossi. Il Meretz, di cui Aloni è esponente, era un partito nato dalle tre liste della sinistra sionista. I suoi 12 deputati fanno quadrato intorno ad Aloni e dunque il Ministero non le può essere tolto: «Per loro è un principio irrinunciabile, una crociata contro l’egemonia ortodossa. Darla vinta alla Shas significherebbe legittimare il pieno controllo della minoranza religiosa su Israele». La Shas era il partito religioso. Interessante questa notizia:
Era il 1948 e lei faceva parte dei drappelli del “Palmach”, i volontari legati al partito laborista che combattevano nella citta' vecchia di Gerusalemme.
Il Palmach, se non erro, è un nome famigerato che ricorre nel libro di Pappe sulla “Pulizia etnica della Palestina” che ebbe luogo proprio nel 1948, quando Shulami aveva 17 anni. Chissà che le sue successive posizioni non siano una risposta traumatica a ciò che allora vide e forse condivise. Materia da psichiatri, ma sarà per me interessante il suo giudizio sul libro di Ilàn Pappe.

7. Nuove denunce. – Il link contiene nuovi interessanti dati da analizzare e studiare. Ne riporto per intero il testo con riserva di ulteriore studio:
12 settembre. L'ex ministra israeliana dell'Istruzione, Shulamit Aloni, ha denunciato Tel Aviv per i maltrattamenti dei palestinesi, e l'ha accusato di "etnocrazia e razzismo".
In un libro uscito in questi giorni, l'ex ministra, che è stata anche ministro delle Comunicazioni e ministro delle Scienze e delle Arti, lamenta una "regressione della democrazia rispetto ai tempi della creazione dello stato di Israele".
Ella descrive la legge della "Dignità umana e della libertà", che fu formulata nel 1992 e che definì Israele un regime "ebraico e democratico", una diretta "contraddizione rispetto alla Dichiarazione di indipendenza israeliana" del 1948.
Nel suo saggio, la Aloni condanna il sistema di apartheid in Cisgiordania, il costante e decennale rifiuto del regime nei confronti di accordi di pace e le atrocità israeliane compiute nei Territori palestinesi.
La Aloni rivela anche che l'assassinio dell'inviato israeliano a Londra, Shlomo Argov, nel 1982, fu solo una scusa per l'occupazione del Libano, avvenuta nello stesso anno, e per l'espulsione della resistenza palestinese da quella regione, mentre l'OLP si era impegnato a un cessate il fuoco al confine settentrionale dei Territori occupati.
L'ex ministra, inoltre, collega l'assassinio dell'allora primo ministro Yitzhak Rabin, avvenuto nel 1995, alla promulgazione di leggi razziste a partire già dagli anni '80, sollevando l'ipotesi che dietro l'omicidio ci possa essere lo Shabak (l'agenzia di sicurezza israeliana, nota come "Shin Bet").
Aloni ricorda le istigazioni contro Rabin e accusa i coloni ebrei di "razzismo mussoliniano". "La destra israeliana e i coloni non vogliono la pace, ma l'intera Terra Santa senza gli Arabi e la moschee", ha affermato, definendo la "democrazia" una manovra per dare a Israele un'immagine accettabile agli occhi del mondo.
Nel 1998, Shulamit Aloni fu insignita del premio "Emil Grunzweig per i Diritti umani" dall'Associazione per i Diritti civili di Israele. Attualmente è direttrice dell'organizzazione "Yesh Din", nata nel marzo del 2005, che cerca di opporsi alle continue violazioni dei diritti dei palestinesi nei Teritori occupati.

Il testo tradotto in italiano si trova su Infopal. La denuncia di apartheid è qui rinnovata. Si spera che il libro della Aloni possa presto essere disponibile in un’edizione italiana.

8. La ‘democrazia’ di Israele è solo d’immagine. – Si tratta di un articolo del 12 settembre 2008. Si parla di un libro di Shulamit Aloni uscito in settembre. Parla di “etnocrazia e razzismo”. Vi sarebbe stata addirittura una «regressione della democrazia rispetto ai tempi della creazione dello stato di Israele», che però considerata la contestuale “pulizia etnica” non nasceva con i migliori auspici. Non stupisce dunque che oggi Aloni sia fortemente critica che una democrazia israeliana che è più materia di propaganda che non reale sostanza. Considerata la qualità della persona, il libro sarà certamente di notevole interesse ed una testimonianza di prima mano.

9. Su Gaza e l’operazione “Piombo Fuso”. – Strillano come maiali scannati i “Corretti Informatori” davanti alla testimonianzia e alle denuncie di Shulamit Aloni, che è ebrea ed israeliana. Ad altri possono rivolgere la solita accusa di “antisemitismo”, così abbondantemente sfruttata da essere ormai moneta fuori corso. Shulamit parla chiaramente di “razzismo” di matrice israeliana verso gli arabi. Non episodi isolati di mele marce, ma un fatto organico e strutturale al regime. È curioso, ridicolo, osceno la reazione dei C.I. per i quali una cosa è o non è a seconda delle risultanze delle commissioni di inchiesta disposte dagli stessi responsabili dei crimini loro imputati. Sarebbe come chiedere a una banda di ladri di costituire essi stessi una commissione per fare luce sui loro furti. Sembra incredibile, ma è il modo ordinario di fare “corretta” informazione da parte di siffatti “Corretti Informatori”, assai prodighi in insulti di ogni genere verso i loro “nemici”, cioè chiunque non si pieghi ad ogni cosa gli israeliani facciano, dicano, chiedano. Aloni non esista nel definire Lieberman un “razzista antiarabo”. Considerata la fonte, vi è da crederle.

(segue)

2 commenti:

arial ha detto...

Non so se la può interessare
1«La Legge sulla cittadinanza rende Israele uno stato d'apartheid». Parola di Amos Schocken, editore di «Ha'aretz», che ha commentato così, dalle colonne del suo quotidiano, la decisione del governo Olmert che la scorsa settimana ha prolungato, per l'ottava volta, l'«emendamento temporaneo» alla Legge sulla cittadinanza,
http://www.rete-eco.it/
(ebrei contro l'occupazione)

arial ha detto...

1Gideon Levy:'Peggiore dell'apartheid'http://www.rete-eco.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2145:peggiore-dellapartheid-&catid=3:cisgiordania&Itemid=4
26.7.08: Israel severs a-Nabi Samwil Village from rest of the West Bank
con mappa