mercoledì 23 luglio 2008

I paradossi di Norimberga

Versione 1.0

Mentre scrivo questa breve nota il buon Massimo Bordin sta celebrando la sua rassegna stampa, dove fra una notizia e l’altra distilla i suoi commenti. Oggi suona una delle sue liriche più amate il tribunale internazionale per i crimini di guerra. Giova ricordare che tutta questa storia incomincia con Norimberga, quando i vincitori di una guerra la cui storia è ancora da scrivere decisero di ergersi a giudici dei vinti. Si operava allora la fusione del concetto di nemico e di criminale che andrà accompagnando tutti i conflitti successivi. Non vi sarà nemico sconfitto che non sia dichiarato anche criminale. In fondo il concetto di “terrorista” è un surrogato di “criminale”. Per una simile qualificazione giuridica non è più necessario neppure un tribunale: basta un apposito ufficio incaricato di redigere liste. Il terrore nelle definizione che ne dava Sant Just sta diventando la religione del nostro tempo. Il terrore non è qui il gesto disperato di un palestinese che rinuncia al bene sommo della sua vita per gridare la sua privazione di diritti e di dignità, ma è il terrore di stato consistente nella distruzione e nella delegittimazione di ogni forma di reale opposizione, di ogni non allineamento, di ogni anticonformismo. Il pensiero unico dell’Impero è il nuovo statuto giuridico della nostra epoca. A considerare che gli Usa in tutto l’arco della loro storia hanno partecipato in media ad una guerra di aggressione ogni dieci mesi, dove ogni genere di “crimini” sono stati commessi, dovremmo trovare i presidenti USA come ospiti abituali dei Tribunali di Norimberga. Non sarà mai così. È una storia vecchia, piuttosto laboriosa da narrare nuovamente.

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