venerdì 18 luglio 2008

Adozione a distanza di bambini palestinesi al Centro Sociale Intifada

Versione 1.1

Questo non è una cronaca giornalistica per la quale non mi ero attrezzato neppure con penna e taccuino per segnare nomi che non posso ora riportare. Mi limito invece a riportare le mie sensazioni dopo aver partecipato ieri sera giovedi 17 luglio all’evento svoltosi al Centro Sociale Intifada in via di Casal Bruciato in Roma. Avevo avuto notizia e invito alla manifestazione pubblica dalla rete grillina del Meetup, dove il messaggio di Valerio così recitava:

FESTA PER LA PALESTINA LIBERA
Palestina Libre Party!!!
Giornata di cultura, promozione ed informazione al gusto di solidarietà… per festeggiare insieme la voglia di vivere del popolo palestinese

GIOVEDI 17 LUGLIO
CENTRO SOCIALE INTIFADA - VIA DI CASAL BRUCIATO

Dalle 18.30
Stand delle associazioni e dei comitati di solidarietà con il popolo palestinese
Mostre dalla Palestina
Proiezione del film “Jerusalem east Side Story

E dalle 20.00

Buffet palestinese
Kebad
Bevande al gusto di Samar Cola
Musica e danze dalla Palestina!

Promuovono: Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese, Associazioni Giovani Palestinesi “Wael Zuaiter”, Forum Palestina, "Comitato Con La Palestina nel Cuore”, Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila, Rete Ebrei Contro l’Occupazione, Centro Sociale Intifada.

Non so se la riuscita della manifestazione abbia corrisposto alle aspettative dei promotori. Io sono giunto quasi in orario alle 18.30, ma la proiezione del film ha iniziato verso le 20. Ho potuto però vedere la mostra fotografica, i libri esposti su un tavolo e soprattutto parlare con le persone che erano nel frattempo venute. Sono nuovo all’ambiente e sono rimasto fino alla fine per avere tutte le informazioni possibili.

Qualcuno mi ha spiegato su mia richiesta il significato della parola “Intifada” da me associato all’idea di una sassaiola. Invece Intifada significa ribellione, resistenza, rivolta e simili. La sassaiola – un bambino che lancia un sasso contro un carroarmato israeliano – è solo una manifestazione della Intifada che forse può essere tradotto meglio con il nostro concetto di Resistenza se non fosse che i nostri media devono aver avuto ordine dalla NATO o dalla CIA di non usare mai la parola “resistenti” al posto di “terroristi”. Ricordo come Franco Frattini, non ancora ministro degli esteri, avesse redaguardito durante una trasmissione televisiva una giornalista che aveva detto “resistenti” anziché “terroristi”. Lo stesso Frattini, Commissario europeo, credo si sia attribuito il merito di aver incluso i guerriglieri di Hamas nell’elenco burocratico dei terroristi. Non vi è da stupirsi del resto: sono cose vecchie quante il mondo. Gli attentatori di via Rasella – si noti: non erano dei kamikaze – erano terroristi per la parte che aveva subito l’attentato, mentre per la storia vincitrice sono diventati “resistenti”, eroi, liberatori o qualcosa di simile. Definizioni rigorosamente sancite da sentenze che a distanza di oltre mezzo secolo si accaniscono contro vecchi ultranovantenni, colpevoli di aver fatto la rappresaglia, quella stessa rappresaglia che oggi sono assolutamente ordinarie in Israeli nella proprozione di 1 a 100 e con numerosissimi errori tecnici o danni collaterali, quegli stessi effetti collaterali che se ben ricordo sono nella sentenza di condanna a Priebke.


Per connessione tematica colga qui l’occasione per riferire come in una degli interventi da parte di una persona che veniva giusto dalla Palestina, da dove mancava da quattro anni, è stata stigmatizzata la testata «Informazione Corretta» del torinese Angelo Pezzana per la quotidiana diffamazione e denigrazione del popolo palestinese. Ma è stato un lieve accenno, non una conferenza stampa su «Informazione Corretta», a seguito del quale ho potuto rendere nota alla persona la mia attività di “monitoraggio” della “correttezza” di «Informazione Corretta», la cui natura e funzione “filogovernativa sionista-israeliana” appare evidente, anche se mi restano ignote le connessioni formali con il governo di Tel Aviv.


Già Tel Avi, non Gerusalemme! Dopo il filmato su Gerusalemme capisco meglio il livore dei «Corretti Informatori» quando si accaniscono contro quei giornalisti che scrivono essere Tel Aviv e non Gerusalemme la capitale di Israele. Infatti, Gerusalemme è stata occupata nel modo più violento e brutale che si potesse immaginare. Nel filmato l’immagine che mi ha colpito di più è stata quella di un’anziana signora che spiegava davanti alla porta di quella che era stata la sua casa in Gerusalemme come fosse rimasto lo stesso cancello, gli stessi alberi, tutto identico quello che poteva vedere all’esterno di quella che era stata la sua casa prima di venirne cacciata dagli occupanti. La scena si chiude con l’arrivo festante dei nuovi inquilini, visibilmente usciti da uno di quei ristoranti di cui parla Michael Sfaradi nella sua Lettera aperta ad Amos Oz, da me commentata in altro post. E vedendo davanti al cancello l’anziana signora pensano magari: «Chi è questa? Cosa vuole?».

Il pensiero è vagabondo e le idee vengono una dopo l’altro con le più strane associazioni. Mi viene ora da pensare al buldozer impazzito e suicida, di cui ancora non si è spenta l’eco e su cui la propaganda sionista insiste, pretendendo l’universale condanna dell’attentatore suicida da parte della stampa nazionale italiana. Guardando il filmato su Gerusalemme di Buldozer se ne vedono tanti al lavoro: per demolire le case dei palestinesi e per spianare interi quartieri palestinesi trasformandoli in zona verde. Oltre duemila abitazioni palestinesi sono state distrutte dal governo israeliano in una chiara ed evidentissima operazione di pulizia etnica. Sono stati costruiti incredibili reticolati e colmo della beffa ad un palestinese, nel filmato, vengono addebitate le spese del buldozer per la demolizione della casa e per il trasporto dei detriti. È probabile che il buldozer impazzito ed omicida sia stato un distruttore di case palestinesi.



Altra associazione di idee in seguito alla vista del filmato. Avrei voluto prendere per il bavero Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore nazionale del partito di cui rinnovo puntualmente ogni anno la tessera, e metterlo davanti alla visione del Muro che secondo una sia dichiarazione avrebbe un significato difensivo. Nulla di più falso! Il Muro ha un significato aggressivo, offensivo, genocida, essendo finalizzato nel suo scopo principale a portare avanti il piano di pulizia etnica che ha avuto nel 1948 una sua premeditata applicazione secondo quanto documentato da Ilàn pappe nel suo volume sulla “Pulizia etnica della Palestina”, ma che si trova nell’essenza stessa del pensiero sionista nella misura in cui questo pensa all’«ebreo» con eslcusione di ogni elemento “non-ebraico”. L’equiparazione fra sionismo e razzismo sarebbe stata dichiarata alla conferenza ONU di Durban del settembre 2001 se non vi fosse stato il boicottaggio di USA e Israele, un boicottaggio che si è già manifestato di nuovo [Giorgino Israel: «Questa signora è…» rivolto a Louise Arbor, presidente della Commissione ONU per i diritti umani. Vedi] con il via dato dalla ministra Tzini Livi, pare inizialmente agente del Mossad.

Troppe digressioni ho fatto, dimenticando lo scopo principale dell’evento svoltosi al Centro Sociale Intifada. I promotori si sono proposti di favorire l’adozione a distanza di bambini palestinesi. Versando una modesta somma mensile si concorre non solo al sostentamento del bambino palestinese, spesso mutilato da ferite inferte dai gloriosi soldati israeliani, ma anche ciò che rimane delle loro famiglie. Vengono date massime garanzie sulla trasparenza delle donazioni e soprattutto vengono organizzati – governo israeliano permettendo – periodici viaggi in Palestina dove i “genitori adottivi” possono conoscere e vedere i bambini palestinesi adottati. Ad aver spiegato ciò è stato un medico palestinese, credo residente in Roma da molti anni.

Altro messaggio che l’evento ha voluto comunicare è stata l’immagine di un popolo palestinese non tutto schiacciato sulla sua condizione di popolo do profughi, ma di gente che è capace nonostante tutto di manifestare una volontà di vivere in modo positivo, dimostrandosi capace di produrre e di lavorare.
A questo proposito devo raccontare una notizia data, ma di cui non ho afferrato bene gli estremi. In Nablus con una ennesima angheria l’esercito e la polizia israeliano hanno bloccato un’attività commerciale che consentiva di lavorare a parecchi palestinesi. Il classico problema dei posti di lavoro da favorire e salvaguardare – argomento tipico dei politici nostrani – non esiste per nulla in Israele, quando a perdere il lavoro sono i palestinesi. Se oltre il lavoro potessero perdere anche la vita senza lasciar tracce, sarebbe giunto a compimento il piano di pulizia etnica, spudoratamente perseguito con il plauso anche dei nostri politici che siedono in Parlamento, facendosi beffa della croce da analfabeti che apposto su una scheda consente loro infiniti privilegi senza nessun controllo da parte degli sprovveduti ed impotenti elettori.

Avrei desiderato parlare con qualcuno dell’organizzazione Ebrei contro l’Occupazione, che era fra i promotori dell’evento. Purtroppo il responsabile dell’Organizzazione non era presente alla serata, che è terminata come da programma con una cena a base di cucina palestinese e con musiche di autori palestinesi. Volevo con lui verificare le mie recenti acquisizioni sulle differenti nozioni di identità ebraica. A sentire la propaganda sionista sembrerebbe che tutti gli ebrei siano eguali, che pensino allo stesso modo, che condividano tutti la politica di Israele, che siano tutti per l’Occupazione delle terre palestinesi. Ed invece non è così. Anzi gli Ebrei di avviso diverso sono oggetto di attacchi non meno feroci di quelli che la propaganda israeliana riserva abitualmente ai non-ebrei, ai goim, come loro dicono. Credo che per sventare le accuse di antisemitismo – arma terroristica usata contro ogni critico di Israele – la cosa più efficace da fare sia un’operazione culturale che approfondisca sempre più il concetto di «ebreo», facendone vedere la pluralità, e lumeggiando di conseguenza l’accusa ed il fenomeno dell’«antisemitismo», che ha ancora meno senso logico e storico se non si spiega contestualmente cosa è l’«ebreo» o il «semita» di cui taluni sarebbero «anti».


Dimenticavo. Dulcis in fundo. All’evento non era presente il sindaco Gianni Alemanno. Non saprei dire se perché non formalmente invitato o perché non sarebbe mai venuto al centro sociale Intifada di via Casal Bruciato, estrema e degradata periferia che non ha nulla a che fare con i sontuosi palazzi del centro storico dove abitualmente incontra la controparte filoisraeliana. Come suo elettore avrei forse potuto pretenderlo. Ma come ognuno sa, il fatto di eleggere qualcuno non significa aver potere su costui. Se si in condizioni di disagio, si va da lui a pietire per qualche favore, avendogli dato il voto. Ricordo una volta, in una sala di attesa di Palazzo Madama, di aver visto un parlamentare che si liberava di un elettore, dall’aspetto malmesso, dandogli qualche banconota mentre lo licenziava come un mendicante. Se poi si è invece collettori e manovratori di pacchetti di voti, allora si può essere certi di ottenere una maggiore considerazione da parte degli eletti. Se sono giunti a qualche posizione di potere (ministri, sottosegretari, e simili), allora vi è uno scambio di favori: il pacchettaro, non i singoli elettori, riceve qualcosa di tangibile: una consulenza retribuita, una presidenza a qualcosa, una provvidenza, una briciola. Ma se si è elettori sfusi ed in qualche modo capaci di vivere dignitosamente del proprio lavoro, si può essere certi di non contare assolutamente nulla, se non addirittura di venir sbeffeggiato: «E lei non mi voti!».


Già! E perché nel nostro sistema democratico uno vota qualcuno? Io ho spiegato metaforicamente ad alcuni miei corrispondenti privati: e se non voti qualcuno, a cui chieder poi conto, avendone il diritto sancito dall’art. 49 della costituzione, cosa altro vuoi fare? Sparargli nelle gambe e ritornare agli anni di piombo? Non può essere certamente questa la soluzione e nessuno più di me scongiura e si dissocia da ogni forma di violenza. Ma appunto perché la democrazia deve essere conquistata innanzitutto nel nostro paese senza avere l’assurda presunzione di volerla insegnare ai popoli “incivili” del Medio Oriente, eccetto beninteso la civilissima Israele dell’Apartheid, non dobbiamo stancarci di criticare i nostri politici, che sono molto spesso degli ambiziosi arrivisti che nella politica hanno cercato e fatto la loro fortuna: dalle “pezze al culo” alle sontuose poltrone del potere.

Nel caso di Gianni Alemanno posso dire di essere stato suo elettore. Di certo non avrei votato Rutelli. Non potevo neppure astenermi perché ero politicamente impegnato con un Consigliere risultato eletto ed ora mia tramite ideale con il Sindaco. Di certo a non aver votato Alemanno è stato Riccardo Pacifici, che in dichiarazioni pubbliche certamente non ha favorito la campagna elettorale di Alemanno. Per lui Veltroni e Rutelli sarebbero stati probabilmente meglio, avendone già ottenuto favori. La regola dei volponi della politica è la seguente. Se qualcuno di quelli “sfusi”, cioè di voti singoli e non a pacchetto, ti chiede qualcosa di attinente l’interesse pubblico (non certo favori privati), te ne puoi tranquillamente infischiare e lasciarlo alla porta. Preoccupati piuttosto di quelli che non ti hanno votato e possono darti fastidio o del filo da torcere.


Essendo Alemanno un volpone della politica, la cui biografia potrebbe essere istruttivo ricostruire, sa che a Pacifici conviene dar retta. Il precedente sindaco Veltroni concesse al Foxman, cittadino non italiano ma capo mondiale dell’ADL, addirittura la massima onorificenza capitolina: la Lupa. Alemanno era presente alla manifestazione organizzata in piazza del Campidoglio da Antonio Polito e da Riccardo Pacifici. Scopo dichiarato di questa manifestazione era un pubblico e solenne atto di villania contro un capo di Stato, non meno legittiamto dal suo popolo di quanto lo stesso Alemanno e gli altri politici presenti alla serata capitolina non fossero stati legittimati dai loro elettori. Anzi, considerando l'ultima legge elettorale con la quale abbiamo votato e confrontandola con la legge elettorale iraniana, possiamo dire senza tema di smentita che Ahmadinejad è un rappresnetante democraticamente eletto più di quanto non siano stati eletti gli attuali parlamentari italiani, di cui – parole pudibonde della Bonino – si può dire che siano state “nominate” in Parlamento da quegli “oscuri” signori che al riparo dai riflettori e da ogni pubblica trasparenza hanno fatto le liste. Mi è capitato di leggere, ma ho perso il riferimento bibliografico – mi aiuti chi può – che nell’ex Congo Belga una legge elettorale come la nostra è stata rifiutata in quanto antidemocratica. Dunque, cosa ci stia a fare in parlamento e cosa realmente e politicamente rappresenti una Fiamma Nirenstein lo lascio desumere al lettore intelligente e informato dei fatti, della loro genesi, degli svolgimenti, e di tutte le segrete cose che si possono solo verosimilmente immaginare e mai sapere.

Mi avvio alla conclusione di queste riflessioni estemporanee ed anarchiche. Manderò il link di questo mio post al sindaco Alemanno da me votato e che in qualche modo deve perlomeno prendere conoscenza delle mie richieste. Considerato lo stato disastroso delle finanze comunali, fatte salvi i sani principi della contabilità pubblica e della buona ammministrazione, chiedo che vengano tolte le somme destinate dalla precedente amministrazione Veltroni per viaggi di istruzione delle scolaresche in Auschwitz (cosa in sé macabra e diseducativa) e che le stesse somme vengano invece destinate all’adozione a distanza di bambini palestinesi, spesso rimasti orfani e mutilati dalle gloriose gesta del glorioso esercito israeliano. Mi impegno io stesso nella misura del possibile a controllare e vigilare che dette somme siano effettivamente destinate allo scopo per le quali sarebbero donate, e cioè per il sostentamento materiale dei bambini palestinesi e della loro residuale famiglia, secondo i piani che sono stati illustrati dal medico palestinesi, credo forse cittadino romano lui stesso, giacché mi parlava di un’antica conoscenza personale con il sindaco Vetere, mio compaesano calabrese. Sembra che la comunità calabrese sia in Roma la più numerosa, ma di certo non è tutelata e protetta come altre comunità che sembrano godere di diritti maggiori di quelli concessi dalla costituzione ad ognuno in modo eguale.



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