mercoledì 2 luglio 2008

Boicottaggi: 27. Omar Barghouti e la lotta contro l’apartheid

Homepage

Ero a corto di notizie su come era andato a finire il boicottaggio dei docenti inglesi contro Israele. Ero curioso di sapere ma non riuscivo ad avere notizie. Apprendo solo ora che quella battaglia fu persa. La “task-force governativa anti-boicottaggio” si è dimostrata più forte. Seppi casualmente che due colleghi della mia facoltà hanno dato un contributo alla sconfitta, schierandosi dall’altra parte. L’ho saputo casualmente, perché il loro nome figurò come “parte lesa” nella “lista nera” imputata ad un navigatore che si era solo limitato a copiare il nome dei docenti italiani che avevano accettato di inserire il loro nome in una lista pubblica di antiboicottatori. La cosa mi riusciva e mi riesce strana. È motivo di celia ogni volta che mi capita di parlarne con i Colleghi, con i quali conservo ottimi rapporti. Apprendo anche che uno dei promotori, se non il promotore, di questa forma di lotta è Omar Barghouti, di cui inizio qui uno studio. Nella sua intervista del .... con cui inizio il file, egli parla del problema dell’apartheid che esiste in Israele, denunciato ad esempio da Shulamit Aloni, incontestabile non già sul piano documentale, ma desumibile dai principi stessi del sionismo, nella sua teoria, nella sua prassi. Speriamo di avere maggiori lumi dallo studio di Omar Barghouti.

Versione 1.5 / 15.7.09


1. Omar Barghouti promotore della lotta contro l’apartheid. – Naturalmente, i propagandisti di Israele si ostinano a negare l’evidenza dell’apartheid, sostenuto fra l’altro da Jimmy Carter, che ci ha scritto sopra pure un libro. Per questo Carter è stato fatto oggetti di non pochi attacchi. E figuriamoci cosa più succedere, cosa può essere fatto a chi non si chiama Carter e non è stato presidente degli Stati Uniti. Riporto come avvio di un più ampio studio l’intervista che Omar Barghouti rilasciò in Roma a Michelangelo Cocco nella sede del Manifesto. Risale al 12 ottobre del 2007.
«Non può essere attuato, perché sarebbe illegale». Lo University and college union (Ucu) britannico il 28 settembre scorso ha bocciato il boicottaggio accademico contro Israele. Dopo che nel suo congresso di maggio era passata una mozione per far circolare e discutere l’iniziativa, promossa dai palestinesi, il sindacato che rappresenta oltre 120mila persone (tra cui docenti, ricercatori, bibliotecari) ha fatto marcia indietro: «Sarebbe illegale fare appello, direttamente o indirettamente, a una simile misura punitiva nei confronti di istituzioni».
I fautori del boicottaggio contestano la «complicità» delle istituzioni accademiche nell’occupazione militare, oltre a una serie di episodi. L’Università di Haifa, ad esempio, nel 2005 invitava gli studenti provenienti dall’estero «a non viaggiare in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza. Evitare, se possibile, le città arabe all’interno d’Israele». Più recentemente il governo ha costruito un ateneo nella colonia di Ariel, contribuendo a rendere permanente l’insediamento, in territorio palestinese e illegale per il diritto internazionale.
Subito dopo l’approvazione della mozione, il premier Olmert aveva istituito una task force governativa anti-boicottaggio. A mettere in chiaro la posta in gioco era stato il ministro degli esteri, Tzipi Livni: «Chiunque promuova un simile boicottaggio deve sapere che ha un prezzo. Abbiamo l’obbligo di prevenire l’espansione del fenomeno». In Gran Bretagna sono infatti in piedi altri boicottaggi anti-israeliani.
Contro quello accademico si sono mobilitati, tra gli altri, Scholars for peace in the Middle East - un’organizzazione filo-israeliana che è riuscita a raccogliere le firme di 10mila docenti contrari al boicottaggio - e 32 premi Nobel. Alla fine tra chi, come l’ex combattente sudafricano Ronnie Kasrils, ha indicato nella lotta contro l’apartheid un modello per i palestinesi, e chi, come il docente di Harvard Alan Dershowitz, si è battuto strenuamente contro l’iniziativa, hanno avuto la meglio questi ultimi. Omar Barghouti però riesce a guardare all’intera vicenda con ottimismo: «È la prova che il governo israeliano ha paura del boicottaggio» sostiene il fondatore della Campagna per il boicottaggio accademico e culturale d’Israele (Pacbi, www.pacbi.org) che abbiamo intervistato durante la sua visita alla redazione del manifesto.

• La decisione dell’Ucu rappresenta una sconfitta per la vostra campagna, non crede?
• Sì, è una sconfitta, un ribaltone. Spero però che sia una marcia indietro temporanea, perché va contro il principio stesso della libertà accademica: capovolgendo la decisione precedente, la Ucu ha detto ai suoi membri che, su un problema così rilevante come il boicottaggio d’Israele, è illegale discutere. D’altro lato la decisione ha mobilitato molti docenti - anche quelli contrari al boicottaggio - per la libertà accademica: non ci appoggiano sul boicottaggio, ma credono sia indispensabile confrontarsi.

• Vi hanno battuti con un’azione coordinata di media, ministri, premi Nobel, associazioni. Voi non avete saputo mettere in moto nulla di simile.
• Siamo molto più deboli della lobby filo-israeliana. Ma, in questo momento, non è uno svantaggio. Israele si sta comportando come un elefante in una cristalleria. Il sionismo ha subìto una trasformazione storica: fino agli ultimi anni, specialmente nei confronti dell’Occidente, agiva tentando di persuaderlo dei suoi obiettivi. Ora pone accademici, intellettuali e media di fronte a un’alternativa: seguire la linea o essere puniti. Alla fine questo modo di agire andrà a nostro vantaggio, perché Israele perderà la battaglia per «conquistare i cuori e le menti».

• Nel 2005 un altro sindacato britannico, l’Aut, fece marcia indietro sul boicottaggio accademico. Non lo trova strano nella Gran Bretagna che si mobilitò contro l’apartheid in Sudafrica?
• I nostri compagni sudafricani ci ricordano che il loro appello per il boicottaggio istituzionale fu lanciato negli anni ‘50 e il mondo iniziò a praticarlo trent’anni dopo. Gli alti e bassi non riflettono un cambiamento nell’opinione pubblica: quando perdiamo è solo per il risultato di intimidazioni da parte della lobby, che ora agisce allo scoperto: come il professor Alan Dershowitz di Harvard che ha minacciato la rovina professionale ed economica degli accademici britannici qualora avessero votato per il boicottaggio. Ma sono andati troppo oltre negando il dibattito in una società democratica come quella britannica.

• Gli oppositori del boicottaggio accademico sostengono che danneggi la libertà del pensiero, la cultura.
• Un’accusa falsa, basata su false premesse. Lanciato nell’aprile 2004, l’appello palestinese al boicottaggio è rivolto contro istituzioni, non verso gli individui. Nessuno vuole proibire agli accademici israeliani di esprimere ciò che pensano. Le istituzioni universitarie israeliane sono complici del crimine d’occupazione che ci nega la libertà di movimento, di ricevere un’educazione adeguata, di vivere. Perché nessuno discute delle libertà palestinesi, tutte violate?

• Cosa chiede alla società civile italiana?
• Di boicottare al livello più semplice: non acquistate prodotti israeliani nei supermercati. Israele vende all’Europa prodotti agricoli per miliardi di dollari. Se non li comprerete, punirete Israele economicamente e politicamente. Secondo: le istituzioni italiane dovrebbero boicottare quelle israeliane per la loro complicità nell’occupazione.
Tralascio del tutto il solito «Corretto Commento», ringraziando soltanto gli Eletti Correttori per avermi fornito il testo di Barghouti. Per quello che posso accolgo l’invito di Barghouti non senza riservarmi una riflessione sui concetti di embargo e di boicottaggio, che per me non son la stessa cosa. Altro è un embargo contro un paese cui si negano medicinali e mezzi di sussistenza, determinando la morte di un milione di bambini, come è successo con l’Iraq. Altro è ad esempio rifiutare l’invito da parte di un’istituzione israeliana a tenere una conferenza in un’università israeliana, o invitare al proprio seminario un docente israeliano di cui si conoscono le posizioni filo-apartheid. Nel primo caso si commette un crimine contro l’umanità. Nel secondo caso si manda un messaggio politico di dissenso e di dissociazione. Naturalmente, occorre riflettere ancora, ma se si prende il caso del boicottaggio della Fiera del Libro in Torino la cosa diventa evidente. Nessuno ha inteso sbarrare la strada a quanti volevano recarsi allo stand di Israel, ma esser presenti con la propria testimonianza ricordando la Nakba come l’«unica» Verità dopo 60 anni è una testimonianza che nessuno potrà ignorare, neppure il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, che in seconda battuta ha riconosciuto legittima e costituzionale la critica ad Israele.

Torna al Sommario.

2. Omar Barghouti in Italia. – Omar Bargouti è uno dei fondatori del Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI) che però non pare abbia avuto successo in Inghilterra. È stato in Italia dall’8 al 14 ottobre 2007. (Segue).

3. Un tentativo di diffamazione. – Anche io come Naomi sono interessato a sapere qualcosa di Omar Barghouti il cui cognome è lo stesso di altri Barghouti che evidentementemente non sono la stessa persona. Sono così giunto ad uno scritto di Naomi Ragen, datato 30 ottobre 2006, che si trova su un sito dal nome eloquente: “Un cuore per Israele”., che si aggiunge ad una miriade di organizzazioni simili, tutte finalizzate a dare una certa immagine di Israele e del sionismo. ed una ben diversa dei palestinesi e del mondo islamico. Naomi non ha potuto infangare Omar, che non ha ancora ammazzati bambini israeliani per mangiarne le viscere. Ha però dimostrato la sua grande acutezza mentale. Ne prendiamo atto per gli annali della storia. Si può immaginare in quale direzione si muovano le armate sioniste, appena sull’orizzonte si affaccia qualche “infedele”. Omar può ben aspettarsi di avere alle costole il Mossad e le sue derivazioni.

4. Maggiori notizie sul boicottagio 2007. – Andando al link si trovano maggiori notizie sulla vicenda del boicottaggio da parte delle università inglese. Ringrazio il lettore anonimo che mi ha dato la segnalazione. Ho già detto che queste sono schede per lo studio di argomenti e posizioni su cui è illusorio aspettarsi lumi da televisioni e giornali. Proprio questa mattina stavo abbozzando una riflessione fra tutte le cose che nel mondo succedono e quanto di esse sappiamo o potremmo sapere dal sistema corrente dell’informazione. In effetti, il telegiornale ed il giornale che abitualmente leggiamo sono una forma del potere che ci sovrasta sia che ci vengano date notizie di ciò che accade sia nella forma in cui le notizie ci vengono comunicate. Tutte quelle pagine in apparenza retoriche dove si parla della Verità in filosofia non sono così astratta come si crede se si immagina concretamente il nostro diritto ed il nostro sforzo di sapere semplicemnte ciò che accade: nascita, morte, pace, guerra, violenza, inganno, frode, ingiustizie e sofferenze di ogni genere che nel mondo quotidianamente accadono sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo e dietro i nostri occhi che neppure vedono. Ma sempre il sapere ed il comprendere, l’attingere la Verità, è un lavoro della nostra mente al massimo della sua capacità. Nelle faccende del Medio Oriente ed in tutte le altre che riguardano il nostro passato storico diventa palpabile la lotta fra verità e menzogna. In questa lotta ciò che i manuali scolastici di filosofia in genere non dicono è che il solitario lottatore per la Verità, appena incomincia a disvelarla per sé e per gli altri, viene progressivamente emarginato, ridotto al silenzio, denigrato, diffamato, liquidato. Potrebbe sembrare che questo lottatore resti solo ma incolume davanti al suo disvelamento della verità, prigioniero della sua solitudine ed inutilità. Invece, non è proprio così pacifico. Chi ha scoperto la verità o può scoprirla è una minaccia che deve essere eliminata nel modo più efficace e rapido possibile. E quindi ritorniamo al ruolo delicatissimo delle cosiddette istituzione educative che sono esse stesse una forma del potere allo stesso modo di tutto il sistema dell’informazione. Tocca alle università elaborare una determinata presentazione del passato storico da imporre perfino con legge e sotto pena di licenziamento e carcere. Gli studenti poi devono apprendere ciò che ha lo scopo di renderli docili ed ubbidienti. Bisogna riconoscere che in fatto di lobbing e di boicottaggio nessuno è più bravo ed attivo di quegli uomini che dal 1945 ci hanno imposto una visione delle cose per le quali loro riescono a fare esattemente le stesse cose e peggio ancora di quelle che hanno imputato ai loro avversari ormai defunti ed incapaci di difendersi: uccidono degli uomini morti riversando sui vivi colpe che non hanno mai commesso e di cui neppure sospettano la natura ed esistenza.

5. La comprensione inibita della nostra quotidianità. – Andando al link sionista si trova il solito commento sionista, la solita tiritera, meccanica ed ormai autoconfuntantesi nella sua totale mancanza di intelligenza critica: la distruzione di Israele, la carta geografica, il diritto di esistenza, bla bla. Il problema non è la volontà ad altri attribuita di voler distruggere e cancellare dalla carta geografica Israele, ecc. Il problema è esattamente il contrario, e cioè che Israele ha cancellato dalla carta geografica la Palestina, ha distrutto il popolo palestinese, ne ha negato il diritto di esistenza, e come su questi misfatti pretenda di essere compresa ed amata, pretenda la complicità delle opinioni pubbliche occidentali ogni giorno sempre più istupide da una stampa comprata e asservita, da un lobbismo sempre più spinto, occulto e perverso. In quanto cittadini italiani con una costituzione che rappresenta cose diverse dalla realtà effettuale, noi abbiamo diritto ad una comprensione reale e critica della nostra quotidianità, non possiamo essere aggredisti da uno squadrimo mediatico come quello di IC, che nella sua diffamazione quotidiana di ogni voce critica verso Israele, ovvero come altri dicono «l”entità sionista» gode di piena impunità, mentre ogni voce appena un poco critica verso il loro mondo concettuale viene perseguita anche penalmente.

6. La prevista sortita dei diffamatori di professione, a contratto dell’Hasbara. – Ero presente ieri intorno alle 13, Seminario di lavoro in Roma sul boicottaggio, mentre Michelangelo Cocco faceva l’intervista apparsa oggi 12 luglio sul Manifesto. All’interno del Seminario è stato anche individuato un «rappresentante dell”ambasciata israeliana», di cui è stato mantenuto l’incognito, anche per assicurare il benché minimo attentato alla sua incolumità. Certamente non si trattata di un addetto alle relazione culturale, ma con ogni verosimiglianza doveva essere quella che volgarmente si chiama una spia. L’infame abituale commento della testa sionista IC fa apparie sempre più come sia un cliché propagandistico il riferimento all’«odio». Ho potuto conoscere personalmente in due giorni Omar Barghouti e l’impressione è stato decisamente quella di un giovane dall’animo gentile, nel quale è difficile immaginare furori alla Dershowitz. Il “boicottsggio” di cui si è parlato con termine forse improprio, è in realtà una lotta per il diritto e la giustizia, per elementari diritti di umanità che in Israele sono da sempre violati con gravissime complicità anche dei nostri governanti, di un ministro degli esteri italiano che sembra un sottosegretario israeliano.
A Roma per una giornata di lavoro sul boicottaggio promossa da International Solidarity Movement Italia, Forum Palestina e Sguardo sul Medio Oriente, Omar Barghouti non si scoraggia per «le difficoltà dell’Italia nell’adesione al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds)» contro Israele. L’intellettuale palestinese promotore del Bds racconta l’esperienza della Francia, dove nel novembre 2008 francesi e palestinesi hanno iniziato il boicottaggio della Veolia, la società che sta costruendo la metropolitana che collegherà le colonie di Gerusalemme occupata al centro della Città. «Da allora - ricorda Barghouti - Veolia ha perso 8 miliardi di dollari in contratti in Francia, Svezia, Gran Bretagna, Iran e Australia ed ha annunciato che si ritirerà dal progetto».

• I massacri di Gaza hanno fatto guadagnare consensi alla campagna Bds. Come procede il vostro lavoro?
• Durante la guerra d’aggressione contro Gaza (1.417 palestinesi uccisi, ndr), la risposta è stata emotiva. Dopo i massacri, la campagna non si è fermata ma ha fornito uno strumento di protesta istituzionalizzato contro le politiche israeliane. E negli ultimimesi abbiamo registrato adesioni in paesi finora «freddi» come Francia, Italia, Olanda, Belgio. In Francia ha aderito la Fédération syndicale unitaire (insegnanti, 168.000 membri). In Italia la Fiom, anche se il suo boicottaggio è più simbolico che operativo.
• L’Autorità palestinese (Anp) collabora con Israele e Stati Uniti, Hamas cerca un riconoscimento internazionale e la società civile palestinese propone il boicottaggio. Non sono troppe tre strategie differenti?
• A partire dal processo di Oslo, l’Anp non ha raggiunto alcun risultato per i diritti dei palestinesi. I cosiddetti «negoziati» tra dominatori e schiavi si sono dimostrati completamente inutili, perché l’unico modo per abbattere i privilegi dei colonizzatori è la resistenza. E ora la leadership di Hamas sta provando a percorrere la strada già intrapresa dall’Anp negli anni ’90. La maggior parte della società civile però è per la resistenza e il Bds è una forma di resistenza non violenta.
• Perché volete isolare Israele?
• Il nostro appello è per porre fine all’oppressione israeliana dei palestinesi, in particolare l’occupazione/colonizzazione, il sistema di discriminazione razziale nei confronti dei cittadini non ebrei dello Stato d’Israele e la negazione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Queste tre condizioni persistono, e l’occupazione/colonizzazione si sta facendo più dura. I motivi per il boicottaggio sono sempre più validi. In quattro anni abbiamo ottenuto molto più di quanto l’Anp abbia raccolto in 15 anni di inutili negoziati: siamo riusciti a isolare Israele in settori sempre più ampi della società civile internazionale. Non abbiamo ancora visto risultati sul terreno, ma i nostri compagni sudafricani hanno avuto bisogno di 25 anni per raccogliere i primi frutti.
• Cosa proponete di boicottare?
• Una decisione morale e individuale anzitutto: non acquistare prodotti israeliani, perché sono sporchi di sangue palestinese. Poi vanno boicottate le istituzioni, sulle quali si regge l’occupazione. E, in alcuni casi, gli individui: non capisco perché in Italia sia stata invitata la cantante Noa, che ha appoggiato e giustificato i massacri di Gaza. Se un cantante ghanese, americano o brasiliano avesse sostenuto che le donne non sono esseri umani, sono sicuro che gli italiani l’avrebbero boicottato. Perché quest’ipocrisia quando si tratta d’Israele. Perché accettare che uno stato si comporti al di sopra delle leggi delle nazioni?
Il Seminario ha avuto come sua figura centrale Omar Barghouti che ha raccolto intorno a se molta simpatia e solidarietà. Nulla a che fare la sua immagine con un “professionista dell’odio”, come vorrebbero i nostri professionisti della diffamazione, della denigrazione, della delazione. Niente a che fare in Barghouti con l’ottusa faziosità di una Nirenstein o di tanti altri noti personaggi della nostrana Israel lobby: loro sì che nutrono tanto odio verso le vittime che hanno massacrato. Non lo hanno abbondantemente dismostrato? Odio efferato ed ipocrisia vomitevole! Se i convegnisti fossero degli adepti della cultura dell’«odio», ritrovato tecnico-psicologico della propaganda israeliana, la “spia” israeliana che ha onorato i lavori del Seminario non avrebbe trovato quella protezione ed incolumità che Israele non riconosce al nostro concittadino Arrigoni, che non può uscire da Gaza per ritornare in Italia. È tenuto prigioniero e la sua vita è stata in costante pericolo per tutto questo tempo. Avremmo potuto, magari, sequestare la spia israeliano e chiedere uno scambio con Arrigoni: è una deliberata battuta che serve a respingere l’abituale diffamzione dei «Corretti Sionisti».

7. Boicottare l’apartheid israeliana è un dovere morale e politico. – Andando al link si accede ad un testo di Omar Bargouti del marzo 2007, che conserva intatta la sua validità per illustrare le ragioni della campagna di boicottaggio. Mettendo a confronto questo testo con le pagine del libro «Processo ai nemici di Israele», appena uscito in traduzione italiana, si vede bene come a dover essere processari per crimini contro l’umanità dovrebbero essere i governanti israeliani e i loro supporter.

8. Sul boicottaggio alla Fiera del Libro torinese del 2008. – Stranamente, non abbiamo trovato nell’archivio di IC questa intervista di Michelangelo Cocco a Omar Barghouti. La ritroviamo invece in un altro archivio, di altri e ben diversi ebrei, ECO, cioè Rete Ebrei contro l’Occupazione, dove era stata inserita il 23 gennaio 2008 alle ore 13. L’intervista è del 22 gennaio ed era apparso sul Manifesto. Riportiamo di seguito tutto il testo, che conserva intatta la sua validità, anche alla luce della Giornata internazionale del BDS tenutasi a Roma l’11 luglio 2009:


Mercoledì 23 Gennaio 2008 08:13 Michelangelo Cocco
il Manifesto, 22 gennaio 2008

La Fiera del libro di Torino dedicata a Israele, la sinistra italiana divisa sul boicottaggio. Parla il fondatore della campagna per il boicottaggio culturale di Israele, Omar Barghouti. Hanno preparato una locandina che recita: «60 anni di espropriazione dei Palestinesi! Non c’è nessuna ragione per celebrare "i 60 anni di Israele"!». Proveranno a pubblicarla sulle pagine interne del New York Times e dell’International Herald Tribune. Intanto dalla Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale d’Israele (Pacbi, www.pacbi.org) arriva ai pacifisti italiani un messaggio senza se e senza ma: boicottate la Fiera internazionale del libro di Torino (in programma dall’8 al 12 maggio prossimi). Omar Barghouti, fondatore della Campagna palestinese per il boicottaggio, al telefono da Gerusalemme respinge le critiche della sinistra istituzionale e rilancia: chi non boicotta, afferma, è «complice del razzismo».
• «Liberazione» ha scritto che «il boicottaggio culturale è una risposta pericolosa, perché porta alla radicalizzazione delle posizioni». Cosa ne pensa?
• Sembra che i comunisti italiani abbiano la memoria molto corta: dimenticano che, per abbattere l’apartheid, contro il Sudafrica fu adottato un boicottaggio totale, che colpiva sia gli individui sia le sue istituzioni. Noi chiediamo che Tel Aviv venga colpita solo nelle sue istituzioni. Quando un paese commette crimini, viola costantemente il diritto internazionale e le sue istituzioni culturali sono complici, se non le boicotti, diventi tu stesso complice.
• Gli scrittori non sono responsabili delle politiche dei loro governi, argomentano altri oppositori del boicottaggio.
• La base ideologica di ogni società è costituita da figure intellettuali e culturali, inclusi gli scrittori che sono sempre, almeno in parte, responsabili. Questo non significa che debbano essere puniti per qualsiasi azione del governo. Ma quando c’è un legame diretto, quando cioè quello che scrivono è propaganda in favore di uno stato che commette crimini internazionali, allora sono da considerare colpevoli.
• Cosa contesta ad autori come Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman, tutti invitati alla Fiera internazionale del libro?
• Io credo che Yehoshua, Oz e Grossman siano razzisti, perché giustificano la pulizia etnica dei palestinesi durante il conflitto del 1948 e non credono che la pace debba basarsi sul diritto internazionale. Vogliono che la frontiera tra Israele e la Palestina sia tracciata in base alla «realtà demografica», come Oz ha perfino scritto. Yeoshua, Oz e Grossman sono stati tra i primi - durante questa intifada - a pubblicare in tutta Israele annunci in cui affermavano: non possiamo accettare in alcun modo il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, perché ciò danneggerebbe Israele da un punto di vista demografico. Sostengono che, in quanto non ebrei, i rifugiati non hanno il diritto a tornare. Ritengo che questo sia razzismo.
• In un commento sul manifesto, il ricercatore Simon Levis Sullam ha scritto che «i boicottaggi contraddicono i principi stessi della cultura, che sono quelli del dialogo e del confronto». Che ne pensa?
• Penso che noi viviamo sotto occupazione da quarant’anni e dire che ciò ha a che fare col razzismo provoca grandi levate di scudi soltanto perché si ha paura delle lobbies filo-israeliane, dello stigma dell’antisemitismo.
• Un consigliere regionale del Pdci ha chiesto che alla Fiera sia «aggiunta» la presenza dei palestinesi. Nemmeno questo vi basta?
• Non esistono vie di mezzo tra oppressore e oppresso. Cercarle significa appoggiare l’oppressore. Tra il primo e il secondo non c’è alcun equivalente morale. Negli anni ’70 non sarebbe mai stata accettata la proposta di invitare i razzisti afrikaner assieme all’African national congress. Mai. Equiparazioni morali di questo tipo sono inaccettabili.
• Cosa suggerirebbe ai gruppi filo-palestinesi che stanno studiando le iniziative contro la Fiera?
• Di tenere duro, perché il boicottaggio è l’unico modo morale di affrontare Israele nell’arena internazionale. Bisogna battersi per isolare Israele, anche nel campo accademico e culturale, perché le istituzioni accademiche e culturali in Israele sono complici dei crimini dello stato. Non esiste una torre d’avorio in cui gli intellettuali sono al di sopra della legge internazionale: se prendono una posizione morale, bene, se ne adottano una complice, giustificando omicidi e violazioni del diritto internazionale, devono essere puniti.
• Ci sono degli intellettuali che le piacerebbe vedere in una fiera del libro alternativa?
• Certamente. Si potrebbero invitare palestinesi e israeliani che si oppongono all’oppressione, allora avrebbe davvero senso: persone come Ilan Pappe, Haim Bresheet, Oren Ben-Dor... Ce ne sono tanti che sarebbe troppo lungo nominarli tutti ora.

Osserviamo, en passant, in polemica e contradditorio con la rassegna stampa sionista di Franzese Franzese, che la cultura, quella vera e autentica, non va al mercato, non si vende come una prostituta. Esistono da parte degli intellettuali maggiori responsabilità politiche rispetto ad altre categorie di cittadini. Basta ricordare le implicazioni di una concezione della politica come philosophia prima. L’intellettuale non puà dire di non sapere, di non vedere, ma io non c’ero, non c’entro e simili.
(Segue)

Nessun commento: