mercoledì 15 luglio 2009

Omar Barghouti: «Boicottare l’apartheid israeliana è un dovere morale e politico».

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Il testo di Omar Bargouti qui messo in nuova e maggiore evidenza è tratto dalla cartelletta di lavoro che è stata data agli Iscritti alla “Giornata di lavoro internazionale” che si è tenuta il Roma il sabato 11 luglio 2009 su «La campagna BDS in Italia e nel mondo. Esperienze e proposte operative». Proprio nello stesso giorno entrava in distribuzione la traduzione italiana di un libro del feroce sionista Alan Dershowitz, che ho incominciato a leggere ed a criticare, anzi «demolire» nei suoi folli contenuti. Fra questi vi sono capitoli contro la campagna di boicottaggio, in particolare accademico, iniziata nel mondo. Parrebbe che la minaccia di ritorsioni legali contro i sindacati inglesi della docenza universitaria ebbe a sortire effetti, arrestando quella campagna. Ricordo en passant un ben diverso boicottaggio praticato da Israele contro le istituzioni universitarie: il bombardamento e la distruzione con vittime dell’edificio in cui in Gaza si trovava l’università islamica. Basterebbe questo solo fatto per indicare i validissimi motivi per i quali le università israeliane devono essere boicottate, considerando il loro stretto e strettissimo collegamento con la guerra e la pulizia etnica della Palestina. Inoltre le motivazioni del boicottaggio accademico hanno valenza politica: per l’abbattimento dell’apartheid israeliano e per il rispetto del diritto internazionale umanitario. I governi dovrebbero varare loro tutte le normative che sanciscono la piena legittimità formale e sostanziale di ogni forma di lotta alla discriminazione razziale, all’oppressione coloniale, alla pulizia etnica. Il saggio che segue di Omar Barghouti, del marzo 2007, offre una limpida indicazione dei fondamenti politici, giuridici e morale della campagna di boicottaggio nel mondo e ben si contrappone alla argomentazione leguleia di Alan Dershowitz, contro cui non demorderemo nella nostra polemica: in Italia non è ospite gradito fuori dalle ristrette lobbies entro cui tutti costoro operano.

Antonio Caracciolo


1.

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Boicottare l’apartheid israeliana: Un dovere morale e politico

di Omar Barghouti*, marzo 2007

In una situazione di oppressione dura e sistematica, il silenzio equivale a complicità. In nessuna parte del mondo questa complicità è più evidente e vergognosa del caso del sistema coloniale e razzista israeliano. Quasi sessanta anni sono passati dalla Nakba, la pulizia etnica della Palestina organizzata dai sionisti, dalla creazione di Israele letteralmente sulle rovine della società palestinese e dal corrispondente rifiuto del diritto al ritorno alle loro case dei profughi palestinesi. Da quaranta anni dura l’occupazione militare illegale della striscia di Gaza e della West Bank, inclusa Gerusalemme Est. A fronte di questa oppressione a molte facce, la complicità diventa corresponsabilità, almeno parziale, dei crimini di guerra israeliani e del perpetuarsi del regime di apartheid israeliano.

Gli ultimi sviluppi politici in Israele, particolarmente le ultime elezioni parlamentari che hanno portato al potere un partito apertamente fascista, hanno mostrato in modo non equivoco che la stragrande maggioranza degli ebrei israeliani sostiene con convinzione (1) le politiche razziste e coloniali dello stato e le sue continue violazioni del diritto internazionale. Tutto questo accompagnato all’immenso potere militare e politico e alla propensione ad usarlo, ha fatto in modo che i palestinesi sentano una vera minaccia esistenziale profilarsi su di loro. Come è già accaduto in passato, dopo la sconfitta largamente riconosciuta in Libano che ha colpito la sua dottrina della deterrenza, l’establishment militare-securitario israeliano, sostenuto da tutto lo spettro politico sionista, ha intensificato la sua campagna sanguinosa di morte e distruzione contro i civili palestinesi innocenti sotto occupazione, particolarmente nella striscia di Gaza. Le ultime atrocità hanno spinto eminenti personalità internazionali – Jimmy Carter è l’ultima tra queste – a denunciare pubblicamente le politiche di Israele come paragonabili, o addirittura peggiori, dell’apartheid in Sud Africa.

Uno degli aspetti più macroscopici dell’apartheid israeliana, molto prima della costruzione del muro dell’apartheid, è stato il trattamento da parte di Israele dei civili palestinesi, inclusi i bambini, come subumani, o come umani relativi. Solo negli ultimi 7 anni, Israele ha ucciso 815 bambini palestinesi, «un bambino a settimana, quasi ogni settimana», come ha sottolineato il giornalista israeliano Gideon Levy (2). «L’assassinio di un bambino o di una bambina palestinese», aggiunge Levy, «non disturba il pubblico israeliano. La West Bank è calma, ... e sotto la copertura di questa calma, falsa e temporanea, i nostri soldati, i nostri figli migliori, stanno uccidendo decine di bambini e teenagers come se fosse una routine, al di fuori della nostra vista». Anche prima di questa intifada, nel 1996, un colono israeliano vicino a Hebron uccise Hilmi Shusha di 11 anni con la sua pistola. II giudice israeliano all’inizio rilasciò l’assassino, dicendo che il bambino «era morto da se come conseguenza di una ‘pressione emozionale’». «La corte suprema israeliana definì l’atto un ‘chiaro assassinio’». A seguito di pressioni, il giudice riconsiderò la cosa e condannò l’assassino a sei mesi di servizio in una comunità e a una multa di poche migliaia di dollari (3). Ad altri bambini, che non sono stati uccisi o feriti, è stato regolarmente impedito l’accesso alle cure per la salute e alla scuola.

La percezione israeliana, sistemica e radicata, dei palestinesi come umani relativi che sono, quindi, non titolati all’uguaglianza e ai diritti umani fondamentali, è ciò che fa si che i palestinesi identichino il sistema di colonialismo, di discriminazione razziale, e il rifiuto dei diritti umani fondamentali come una forma di apartheid. Di fatto, i palestinesi non sono soli nell’avere questa immagine di Israele. Dugard ha affermato nel 2004 che il regime di apartheid israeliano nei territori occupati è «peggiore di quello che è esistito in Sud Africa» (4). Leaders Sud Africani, intellettuali, politici e difensori dei diritti umani, incluso l’archivescovo Desmond Tutu, aderiscono alla stessa scuola di pensiero (5).

Anche coraggiosi leaders ebrei sudafricani, incluso il ministro Ronnie Kasrils, hanno condannato l’apartheid in Israele, dicendo che è peggiore di quella del Sud Africa (6).

Anche in Israele, alcuni politici e intellettuali hanno stabilito dei paralleli tra Israele e il Sud Africa. II deputato Roman Bronfman ha detto una volta, «La politica di apartheid si è infiltratata anche in Israele, e discrimina quotidianamente contro gli arabi israeliani e altre minoranze» (7).

L’ex ministra israeliana dell’istruzione, Shulamit Aloni, ha recentemente affermato che Israele commette crimini di guerra, «utilizza il terrore» e «non è diversa dal Sud Africa razzista» (8).

Ci si chiede, che cosa può aver suscitato tutta questa indignazione morale? La risposta può venire dai seguenti esempi di come si vive sotto l’occupazione israeliana.

40 anni di occupazione militare israeliana

Niente fa cogliere di più l’immensa ingiustizia dell’occupazione come il Muro coloniale israeliano, costruito per la maggior parte su territorio occupato e condannato come illegale da un parere della Corte Internazionale dell’Aia, nel luglio del 2004. Nonostante le gravi conseguenze sulla vita, l’ambiente, la salute e i diritti politici dei palestinesi, gli ebrei israeliani sono nella quasi totalità a favore del Muro (9). Ma l’ex ministro israeliano per l’ambiente, Yehudit Naot, ha protestato contro un aspetto specifico del Muro dicendo:
«La barriera di separazione interrompe la continuità di aree aperte ed è dannosa al paesaggio, alla flora e alla fauna, ai corridoi ecologici e al drenaggio delle valli. Il sistema protettivo avrà effetti irreversibili sulle risorse della terra e creerà enclaves di comunità che resteranno tagliate fuori dal loro ambiente» (10).
Anche dopo lo spostamento degli iris e la creazione di passaggi per gli animali, il portavoce dell’Ente per la Natura e la Protezione dei Parchi Nazionali d’Israele, ha lamentato che:
«Gli animali non sanno che adesso c’è un confine. Sono abituati a un determinato spazio e ciò che ci preoccupa sono gli effetti sulla loro diversità genetica, perché gruppi diversi di una popolazione non saranno in grado di accoppiarsi e riprodursi. lsolare,le popolazioni su due lati della barriera crea senza alcun dubbio un problema genetico» (11).
Così sensibili al benessere dei fiori selvatici e delle volpi, Israele invece tratta i bambini palestinesi come creature superflue. Cecchini addestrati professionalmente ne hanno fatto un bersaglio mortale in incidenti minori in cui i bambini tiravano sassi. E quando non c’era l’alibi delle sassaiole, allora bisognava che i soldati israeliani ne provocassero una. Un giornalista esperto come l’americano Chris Hedges, ha denunciato (12) come i soldati israeliani a Gaza avevano metodicamente provocato i bambini palestinesi che giocavano in mezzo alle dune del sud della striscia con lo scopo di poter sparare contro di loro. Così conclude il suo report: «In altri conflitti, in paesi dove ho fatto l’inviato, ho visto sparare ai bambini [...] ma mai prima avevo visto dei soldati attirare i bambini come topi nella trappola e assassinarli per sport».

Israele e i Diritti dei Profughi Palestinesi

Lungi dal riconoscere la propria colpa per aver creato il problema più vecchio e vasto riguardante i profughi, Israele si è sempre sottratto a qualsiasi responsabilità nei confronti della Nakba. La cosa più singolare nella narrazione corrente israeliana sulla “nascita” dello stato di Israele è il totale diniego di qualsiasi crimine. A parte poche, limpide eccezioni, gli israeliani vedono come “indipendenza” di Israele la spietata distruzione di più di 400 villaggi palestinesi e la loro campagna di pulizia etnica che portò all’esilio di oltre 750 mila palestinesi. Anche gli israeliani di sinistra impegnati spesso si addolorano per la perdita della “superiorità morale” d’Israele dopo l’occupazione della West Bank e di Gaza nel 1967, come se prima di allora Israele si fosse comportato come uno stato civile e rispettoso della legge come la Finlandia.

Mentre da una parte negano ai profughi palestinesi i loro diritti fondamentali, gli ebrei in Israele e in Occidente hanno ottenuto numerosi successi nella loro campagna per gli indennizzi dell’Olocausto, che spesso includeva il diritto di tornare in Germania, Polonia o altri paesi. Ma il massimo dell’incoerenza morale è reso palese dalla pressione sulla Spagna perché riconosca come cittadini spagnoli i discendenti degli ebrei espulsi dall’Andalusia più di 500 anni fa e quindi li risarcisca adeguatamente (13).

Oltre ad essere immorale e illegale, la negazione da parte di Israele dei diritti dei profughi palestinesi di certo è una ricetta garantita per la perpetuazione del conflitto (14).

Israele e i suoi cittadini arabo palestinesi

Israele può non essere sola a praticare una discriminazione razziale contro la propria minoranza nazionale (15). Ma è certamente unica nell’ottenere un notevole successo almeno fino ad ora nel farla franca e dare di se una falsa immagine di illuminismo e democrazia. Al centro della particolare forma israeliana di apartheid vi è una visione profondamente radicata dei cittadini palestinesi dello stato non soltanto come indesiderata memoria del “peccato originale” (16), ma anche come minaccia demografica. La norma è sempre stata la discriminazione razziale cui sono soggetti in ogni aspetto basilare della vita. Infatti sostenere una completa e non equivoca uguaglianza fra arabi ed ebrei in Israele equivale oggi a parlare di sedizione (17). E fino ad oggi una maggioranza significativa di ebrei israeliani si è dichiarata d’accordo, opponendosi alla piena uguaglianza con i cittadini palestinesi d’Israele (18).

Perfino nella ricerca sul cancro (19) è fortemente presente l’apartheid israeliana. Nel giugno del 2001 il Ministero della Salute ha pubblicato una mappa della distribuzione geografica delle malattie oncologiche in Israele per gli anni 1984-1999. Il rapporto dettagliato presenta i dati di queste malattie nelle comunità con più di 10.000 abitanti. Nessuna comunità araba d’Israele è inclusa in questo rapporto tranne una. Alla domanda del perché di tale esclusione i funzionari del Ministero sono ricorsi alla giustificazione sempre valida di “problemi di budget”. Ma perché questa ricerca è particolarmente importante? Bene, perché in Israele soltanto quando si dimostra la correlazione tra la presenza di siti inquinanti e l’incidenza di malattie gravi, è possibile vietare l’installazione di nuovi impianti rischiosi o pretendere norme ambientali più rigide. Lasciando fuori intenzionalmente le città arabe da questa mappatura estesa del cancro, il Ministero della Salute ha indirettamente dato il via libera agli inquinatori per trasferirsi nelle città arabe. I risultati di questa apartheid sanitaria sono inquietanti. Nei tre decenni passati l’incidenza delle malattie oncologiche sulla popolazione palestinese d’Israele è salita del 97,8% fra gli uomini e del 123% tra le donne, a confronto con un incremento del 39,8% fra gli uomini e del 24,4% fra le donne nella popolazione ebraica. Un portavoce del Centro Contro il Razzismo ha commentato:
«Questo rapporto ha messo in evidenza due gruppi diversi. Uno, quello degli iperprivilegiati, la cui vita è cara allo stato e al Ministero della Salute; e l’altro di coloro la cui vita non ha importanza per lo stato».
Si deve vedere questa discriminazione nel contesto più vasto della percezione che in Israele si ha dei palestinesi che deriva dal razzismo coloniale e parzialmente dal fondamentalismo ebraico che è difficilmente citato in Occidente, a differenza di quello islamico e, in qualche misura, di quello cristiano. Politici, intellettuali e accademici israeliani e coloro che lavorano nei mass media spesso discutono appassionatamente su come combattere al meglio la “guerra” demografica del paese contro i palestinesi. Si sono eretti muri razzisti non solo nei territori occupati ma anche in numerose località all’interno di Israele dove ebrei e palestinesi vivono fianco a fianco (20).

Molti israeliani appartenenti all’intero spettro politico sono favorevoli a varie forme di pulizia etnica (21) dei cittadini palestinesi d’Israele. Quello che una volta era un tabù, uno slogan dell’estrema destra, è diventato un discorso accettabile sulla demografia nell’opinione pubblica d’lsraele (22).

Che fare allora?

Il miserabile fallimento negli ultimissimi decenni della comunità internazionale per far si che Israele rispetti il diritto internazionale, ha spinto i palestinesi a cercare alternative.

II 9 luglio 2005, che segna il primo anniversario del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, contro il Muro, più di 170 tra partiti politici, sindacati, associazioni professionali e altre associazioni della società civile hanno diffuso un Appello per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, o BDS, diretto contro Israele fino a che esso non rispetti completamente il Diritto Internazionale e i principi universali dei diritti umani.

La campagna per il BDS è strettamente legata alla resistenza palestinese non violenta contro l’oppressione israeliana. Questo storico appello stabilisce un precedente importante perchè è stato firmato dalle tre parti che costituiscono il popolo di Palestina: quella dei profughi, quella dei cittadini palestinesi d’Israele e quella dei palestinesi nei territori occupati. E’ anche la prima volta che una tale forma di resistenza non violenta è stata pienamente appoggiata praticamente da tutti i settori della società palestinese. Un aspetto importante dell’appello è che chiede a tutti gli israeliani dotati di coscienza di sostenerlo.

Che cosa chiede quindi precisamente la società civile Palestinese?

Basato sul sistema a tre livelli dell’apartheid israeliana descritto prima, l’Appello BDS chiede alle organizzazioni internazionali della società civile e alle persone di coscienza di tutto il mondo «d’imporre un boicottaggio di vasta portata e di realizzare iniziative di disinvestimento contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica nell’era dell’apartheid. We appeal to you to pressure your respective states to impose embargoes and sanctions against Israel. Invitiamo anche gli israeliani dotati di coscienza a sostenere questo appello per amore di giustizia e di una pace genuina» (23).

Sono molti gli argomenti contro l’Appello Palestinese. Cercherò di riassumere i più frequenti e i meno irrazionali, opponendogli controargomenti, il filo conduttore dei quali è il principio della coerenza morale.

Argomenti Principali contro il BDS

Alcuni insigni sostenitori della causa palestinese hanno opposto argomenti contro l’applicazione di sanzioni e boicottaggi contro Israele sul modello sudafricano, tra i quali i più significativi sono:

(A) Israele è un paese essenzialmente democratico con una vivace società civile, perciò si può convincere a porre termine alla oppressione senza sanzioni.

(B) A differenza del Sudafrica durante l’apartheid, la maggioranza in Israele si oppone alle sanzioni.

(C) Le organizzazioni della società civile israeliana sono in gran parte progressiste e all’avanguardia del movimento per la pace, e perciò dobbiamo sostenerle e non boicottarle.

Controargomenti

(A) Come può mai uno stato che sostiene la supremazia etnico-religiosa e che è anche una potenza coloniale, venir qualificato come democrazia? Ad esempio Tony Judt, professore di New York, chiama Israele un “anacronismo disfunzionale” e lo pone nella categoria degli “stati etnici bellicosi, intolleranti e guidati dalla fede”.

Il famoso scrittore ebreo americano I. F. Stone ha riassunto il dilemma del sionismo con queste parole: «Israele sta creando una specie di schizofrenia morale nel mondo ebraico. Nel mondo esterno il benessere degli ebrei dipende dal mantenimento di società laiche non razziali e pluralistiche. In Israele gli ebrei si trovano a difendere una società in cui non si possono legalizzare i matrimoni misti, in cui i non ebrei vivono una condizione inferiore a quella degli ebrei e nella quale l’ideale è razzista ed esclusivista».

(B) Fra tutti gli argomenti contro il boicottaggio, questo riflette o una sorprendente ingenuità, o una deliberata disonestà intellettuale. Dobbiamo giudicare se applicare le sanzioni ad una potenza coloniale basandosi sull’opinione della maggioranza della comunità degli oppressori? La comunità degli oppressi non conta affatto?

(C) Questo è semplicemente un mito promosso e mantenuto da alcuni accademici e intellettuali israeliani che si considerano di “sinistra”. La grande maggioranza degli israeliani presta servizio militare nelle forze di riserva, è perciò a conoscenza diretta dei crimini quotidiani dell’occupazione e della colonizzazione. Inoltre, con l’eccezione di una piccola seppur importante minoranza, la società israeliana in larga misura si oppone alla piena uguaglianza dei palestinesi, sostiene l’oppressione razzista dello stato o vi acconsente col silenzio.

Secondo insieme di argomenti contro BDS

Da una prospettiva leggermente diversa, alcuni osservatori hanno obiettato che boicottare Israele sia controproducente e possa portare a:

1) Perdere la capacità di influenzare il possibile cammino di Israele verso la pace
2) Radicalizzare la destra israeliana e indebolire la sinistra
3) Accrescere indirettamente le sofferenze dei palestinesi che si troverebbero a perdere economicamente e in condizioni perfino peggiori di oppressione da parte di un Israele più feroce e più isolato.

Secondo insieme di controargomenti

1) Di quale influenza si parla? L’Europa ne ha ben poca. Perfino negli USA l’israelizzazione della politica estera, particolarmente verso il medio oriente, ha raggiunto limiti tali da paralizzare qualsiasi possibile pressione americana volta a limitare, non diciamo di cambiare, le politiche oppressive di Israele.

2) Quale sinistra? In confronto con la sinistra sionista di Israele, i partiti di estrema destra europei appaiono dotati di tanta moralità quanto Madre Teresa, specie quando si tratta di riconoscere i diritti dei profughi palestinesi. D’altra parte la sinistra non sionista, moralmente coerente, è un gruppo minuscolo i cui aderenti come risultato del boicottaggio, possono, senza accorgersene, finire col perdere benefici, privilegi e finanziamenti. Per diminuire la possibilità che ciò avvenga inutilmente, dovremmo sfumare le nostre tattiche di boicottaggio. Ma, lo sappiamo tutti, questa non è una scienza esatta (se mai ve ne è alcuna). Dobbiamo dare rilievo all’impatto positivo, anche in Israele, che il boicottaggio può avere sulla lotta complessiva per i diritti umani, l’eguaglianza e la vera democrazia.

3) Più sofferenze? Dopo il Muro, le centinaia di blocchi stradali, gli assassini di routine, la demolizione delle case, l’abbattimento di migliaia di alberi e il rifiuto dei diritti fondamentali, che cosa può fare di più Israele e non esserne penalizzata?

Terzo: l’Olocausto e l’Antisemitismo

Come dice il filosofo francese Etienne Balibar: «Non si dovrebbe permettere a Israele di strumentalizzare il genocidio degli ebrei europei per porsi al di sopra delle leggi delle nazioni» (24). Inoltre, fingendo di non vedere l’oppressione israeliana, come spesso fanno gli USA e la maggior parte dell’Europa ufficiale, l’Occidente ha perpetuato la miseria, la sofferenza umana e l’ingiustizia che sono seguite all’Olocausto.

In quanto all’accusa di antisemitismo, è palesemente fuori posto ed è chiaro che viene usata come strumento di intimidazione intellettuale. Vale la pena di ripetere che gli appelli palestinesi per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni non prendono di mira gli ebrei e neppure gli israeliani in quanto ebrei. Sono rigorosamente diretti contro Israele come potenza coloniale che viola i diritti dei palestinesi e il diritto internazionale. II crescente sostegno tra gli ebrei americani ed europei per un’efficace pressione su Israele, è un controargomento che non viene reso noto adeguatamente.

BDS non preclude la cooperazione israelo-palestinese, ammesso che si riconosca la realtà dell’oppressione, si accetti la necessità fondamentale dell’uguaglianza e sia diretta contro l’ingiustizia. L’appello non fa che stabilire dei criteri accurati per rendere tale cooperazione moralmente integra e politicamente efficace. Non basta fare appelli per la pace, perché questa parola è diventata la più abusata del dizionario internazionale, in particolare quando due famigerati e noti criminali di guerra si considerano “uomini di pace”. Pace senza giustizia equivale a istituzionalizzare l’ingiustizia.

I progetti di pace che omettono deliberatamente qualsiasi riferimento all’oppressione che Israele esercita sui palestinesi non sono altro che iniziative dannose e corrotte. Coloro che immaginano di poter spazzare via il conflitto, suggerendo qualche forum per il riavvicinamento, la distensione o “il dialogo” che sperano possa condurre ad autentici processi di riconciliazione e, alla fine, alla pace sono degli illusi patologici o dei pericolosi bugiardi. Cercare di cambiare le percezioni degli oppressi invece che aiutare a porre fine all’oppressione stessa, è indice di cecità morale e di miopia politica. Prolungare l’oppressione non è soltanto immorale è anche controproducente dal punto di vista pratico, in quanto perpetua il conflitto.

Non è che il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni debbano essere usati in blocco e servire in ogni contesto. Se si accetta la premessa fondamentale che è necessario fare pressione su Israele affinché accetti il diritto internazionale, allora si possono applicare forme diverse di pressione, a seconda dei contesti specifici. Senza un efficace sostegno, basato sui principi di questa forma minima, civile, non violenta di resistenza all’oppressione o a su qualsiasi altra forma paragonabile di lotta, le organizzazioni internazionali della società civile abbandonerebbero i loro obblighi morali di mettersi dalla parte del diritto, della giustizia, della vera pace, dell’uguaglianza e della possibilità di far prevalere i principi etici universali.

They’ll also be guaranteeing that no child’s knee will shake in fear again, no child’s heart will stop beating prematurely, no child’s dreams will be extinguished.

Endnotes:

Independent Palestinian researcher; founding member of the Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI).

(1) According to a reliable Israeli poll conducted on July 315t and August 1st for instance, almost the entire Jewish Israeli public supported bombing Lebanese civilians and their infrastructure despite knowing well the level of destruction and civilian casualties that resulted. Prof. Ephraim Yaar and Prof. Tamar Hermann. Peace Index: July 2006/Support for the war and the IDF holds up, Ha’aretz, August 9, 2006. Torna al testo.
(2) Gideon Levy, Tair’s Palestinian Peers, Ha’aretz, February 11, 2007. Torna al testo.
(3) Reuters, January 22, 2001; Phil Reeves, Fury as court frees settler, The Independent, January 22, 2001. Torna al testo.
(4) Aluf Benn, UN agent: Apartheid in territories worse than S. Africa, Ha’aretz, August 24, 2004. Torna al testo.
(5) Desmond Tutu, Apartheid in the Holy Land, The Guardian, April 29, 2002. Torna al testo.
(6) Jon Jeter, South African Jews Polarized Over Israel, Washington Post, December 19, 2001. Torna al testo.
(7) Roman Bronfman, The Hong Kong of the Middle East, Ha’aretz, May 20, 2005. Torna al testo.
(8) Roee Nahmias, ‘Israeli terror is worse’, Yedioth Ahronoth, July 29, 2005. Torna al testo.
(9) Ha’aretz Editorial, A Fence Along the Settlers’ Lines, October 3, 2003. Torna al testo.
(1o) Mazal Mualem, Old Habitats Die Hard, Ha’aretz June 20, 2003. Torna al testo.
(11) Ibid. Torna al testo.
(12) Chris Hedges, A Gaza Diary, Harper’s Magazine, October 2001. Torna al testo.
(13) DPA, Sephardi Jews Demand Recognition from Spanish Government, Ha’aretz, October 15, 2002. Torna al testo.
(14) For more details on this, refer to: Omar Barghouti, On Refugees, Creativity & Ethics, ZNet, September 28, 2002. Torna al testo.
(15) According to Physicians for Human Rights Israel, “Although the Palestinian citizens of the State of Israel represent approximately 20% of its population, this community suffers from institutionalized discrimination that produces severe socio-economic gaps between the Jewish majority and the Arab minority. No significant investments are made to eliminate these gaps. On the contrary, the Arab population continues to suffer from under budgeting and discrimination in many areas including employment, education, property and planning policies, and health care services”. Torna al testo.
(16) Israeli writer Benjamin Beit Hallahmi says, «Israelis seem to be haunted by [...] the curse of the original sin against the native Arabs. How can Israel be discussed without recalling the dispossession and exclusion of non Jews? This is the most basic fact about Israel, and no understanding of Israeli reality is possible without it. The original sin haunts and torments Israelis: it marks everything and taints everybody. Its memory poisons the blood and marks every moment of existence». Benjamin Beit Hallahmi, Original Sins: Reflections on the History of Zionism and Israel (1993); cited in: “The Origin of the Palestine Israel Conflict,” www.cactus48.com Torna al testo.
(17) Edward Herman, Israeli Apartheid and Terrorism, Z-Magazine, April 29, 2002. Torna al testo.
(18) Ha’aretz, May 22, 2003. Torna al testo.
(19) Eli Ashkenazi, Budget for Cancer Mapping doesn’t extend to Arab Sector, Ha’aretz, March 28, 2005. Torna al testo.
(20) Lily Galili, Long Division, Ha’aretz, December 19, 2003. Torna al testo.
(21) According to peace activists Gadi Algazi and Azmi Bdeir: “Transfer [Israeli euphemism for ethnic cleansing OBI isn’t necessarily a dramatic moment, a moment when people are expelled and flee their towns or villages. It is not necessarily a planned and well organized move with buses and trucks loaded with people ... . Transfer is a deeper process, a creeping process that is hidden from view . ... The main component of the process is the graduail undermining of the infrastructure of the civilian Palestinian population’s lives in the territories: its continuing strangulation under closures and sieges that prevent people from getting to work or school, from receiving medical services, and from allowing the passage of water trucks and ambulances, which sends the Palestinians back to the age of donkey and cart. Taken together, these measures undermine the hold of the Palestinian population on its land”. Cited in: Ran HaCohen, Ethnic Cleansing: Past, Present, and Future, www.Antiwar.com December 30, 2002. Torna al testo.
(22) Yulie Khromchenco, Poll: 64% of Israeli Jews support encouraging Arabs to leave, Ha’aretz, June 22, 2004. Torna al testo.
(23) Palestinian Civil Society’s Call for Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) can be read in full at: www.PACBl.org Torna al testo.
(24) Etienne Balibar, A Complex Urgent Universal Political Cause, Address before the conference of Faculty for Israeli Palestinian Peace (FFIPP), Université Libre de Bruxelles, July 3rd and 4th. Torna al testo.

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