martedì 10 giugno 2008

Diversità ebraica: 15. Norman G. Finkelstein e l’«Industria dell’Olocausto»


Norman G. Finkelstein è autore di uno di quei libri che sono un ebreo potrebbe scrivere. Se fosse stato un non-ebreo a scrivere un libro come «L’Industria dell’Olocausto», la credibilità non sarebbe stata la stessa. Solo il senso della verità e della giustizia avrebbe potuto spingere Finkelstein a mettersi in contrasto con l’universo ebraico, un mondo strano ed incomprensibile per un non ebreo. Leggendo Edgar Morin sembra che si debba risalire ai tempi del marranesimo, per capire fenomeni relativamente recenti. L’antisemitismo appare così un fenomeno generale della cultura moderna, per nulla imputabile al solo nazismo. Io qui però muovo da un più ristretto punto di vista: la Nakba. Ossia la vera e propria espulsione violenta e truffaldina dei palestinesi dai loro villaggi. Questo orrore bilancia perfettamente l’evento che i sionisti hanno scientemente strumentalizzato e sfruttato per la costruzione dello stato di Israele. Si tratta di un fatto ampiamente riconosciuto ed incontestabile. Equiparando ciò che viene tuttora fatto ai palestinesi e ciò che è stato fatto agli ebrei, è da dire che i palestinesi sono vittime innocenti senza se e senza ma, mentre il fenomeno dell’antiebraismo ha una storia ultramillenaria le cui cause, standa ad un Lazard, possono essere rintracciate almeno in parte negli stessi ebrei e nella loro peculiarità che ne ha reso nei secoli problematica la loro integrazione all’interno dei popoli nei quali si trovavano senza mai farne interamente parte.

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1. Ingresso negato in Israele. – All’ebreo Norman G. Finkelstein è stato negato l’ingresso in Israele per nessun altro reato che l’aver scritto il noto libro «L’Industria dell’Olocausto». Chiaramente pretestuose sono le visite o le persone con le quali avrebbe voluto parlare, cosa di per sé che non può costituire un reato. Libri come quelli di Finkelstein, stesso discorso per Pappe, Burg, Sand, non possono essere smontati sul piano critico e documentale. Non sapendo e non potendo fare di meglio ai «Corretti Informatori» non resta altro che la denigrazione, confidando nell’efficacia ottenuto attraverso la sua ripetizione costante per il loro autoconvincimento e con la speranza di produrre dubbio e confusione presso un pubblico poco informato.

2. L’«Opinione» di Arturo Diaconale non è abbastanza sionista. – Capita che i «Corretti Informatori» non siano sempre del tutto soddisfatti di testate omogenee in ispirazione sionista come l’«Opinione» di Arturo Diaconale. Si chiede infatti al Direttore come abbia potuto ospitare una lieve difesa di Norman G. Finkelstein e ci si augura che possa presto venir pubblicato un controarticolo. Il testo del commento, pardon del “corretto” commento, ha dell’incredibile, ma è un documento di ciò che è il sionismo.

3. Denigrazione e contumelie. – È inutile cercare argomenti criticamente apprezzabili alle posizioni espresse da Finkelstein in tutto l’archivio di IC. Quanto mai inverisimile le “puntuali” osservazioni di Riccardo Pacifici, di cui però non è dato il testo. Sarà divertente poterle leggere se riesco a reperirle. A tanta apodittica sicumera dei «Corretti Informatori» in effetti non si può obiettare nulla perché nulla dicono e non vi può essere contraddittorio quando non vi una tesi sostenuta ed argomentata.

4. Questioni di datazione. – La Susanna Nirenstein di cui al link fonda la sua critica alle tesi di Finkelstein sul fatto che l’eleborazione dell’Olocausto avviene dagli inizi del 1960 e non dal 1967 come invece sostiene l’autore dell’«Industria dell’Olocausto». Diventa difficile capire in cosa ciò invaliderebbe il libro di Finkelstein. Si potrebbe risalire ancora indietro nel tempo fino al processo di Norimberga, che è il vero presupposto di tutta l'operazione. Non è una questione di date, anche se non si può Auschwitz ancora prima di Auschwitz. Ci si può aspettare di tutto, ma la tesi di Finkelstein non ha carattere cronologico bensì strutturale.

5. L’espulsione dalla cattedra ed il ruolo di Alan Dershowitz. – È qui narrata da Christian Rocca per il “Foglio” la vicenda dell’espulsione di Norman G. Finkelstein dalla cattedra presso la De Paul university di Chicago. Il termini della questione sono chiari. Ha avuto un ruolo di primo piano l’avvocato Alan Dershowitz. Si tratta di una vicenda esemplare la cui verità a stento può essere alterata dagli ideologi della Israel lobby. Non ripetiamo qui analisi già fatte. Non vi sono elementi di novità. È un caso che si aggiunge ad altri innumerevoli che insieme danno la misura della influenza di cui può fare uso la più potente lobby degli Stati Uniti secondo quanto è stato narrato nell'esteso volume di Mearshemer e Walt.

6. «Olocausto», l’industria dell’estorsione. – Qui di seguito, come utile sintesi, riproduciamo qui una lettera di Finkelstein a “Le Monde”, che aveva presentato con una luce negativo il noto libro sull’«Industria dell’Olocausto», il cui libro per intero lo si può leggere andando al questo link di AAARGH insieme ad altri scritti disponibili in traduzione italiana.

Olocausto, l’industria dell’estorsione

di Norman Finkelstein

Le Monde ha dedicato due pagine e un editoriale (16 febbraio 2001) per mettere in guardia i suoi lettori contro il mio libro Industry of Holocaust. Ci si può lamentare che non abbia fornito un resoconto coerente dei principali argomenti affrontati nel libro e delle prove che li sostengono. Vorrei, prima di tutto, colmare questa lacuna, poi soppesare i potenziali pericoli derivanti dalla pubblicazione del libro. La sua tesi principale è che l’Olocausto abbia, in effetti, dato vita ad un’industria. Le principali organizzazioni americane ed internazionali, di concerto con i governi degli Stati Uniti, sfruttano a fini di potere e di profitto le terribili sofferenze di milioni di ebrei sterminati durante la seconda guerra mondiale e dell’esiguo numero di coloro che sono riusciti a sopravvivere.

Con tale sfruttamento privo di scrupoli di queste sofferenze, l’industria dell’Olocausto è all’origine di una recrudescenza dell’antisemitismo e viene in soccorso delle tesi negazioniste. Nell’immediato dopoguerra, i dirigenti ebrei americani, preoccupati di compiacere il governo degli Usa, alleati di una Germania malamente denazificata, avevano bandito l’Olocausto dai propri discorsi in pubblico. Al termine della guerra del 1967, Israele divenne il principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente. Le organizzazioni ebree americane, fino allora molto caute nei confronti dello Stato di Israele - nel timore di essere accusate di “doppia lealtà” - ne abbracciarono con fervore la causa, perché il sostegno ad Israele facilitava l’assimilazione degli ebrei negli Stati Uniti. I dirigenti ebrei, presentandosi come gli intermediari naturali tra il governo americano e il suo “atout strategico” in Medio Oriente, potevano in questo modo avere accesso alle sfere più alte del potere. Per stornare ogni possibile critica, le organizzazioni ebree americane si “ricordarono» dell’Olocausto che, ideologicamente rimaneggiato, si dimostrava un’arma temibile.

Analizzo i dogmi centrali che costituiscono la base ideologica dell’Industria dell’Olocausto: 1) l’Olocausto è un avvenimento decisamente unico e 2) costituisce il punto culminante dell’odio irrazionale ed eterno dei Gentili contro gli ebrei. La dottrina dell’«unicità», sebbene intellettualmente sterilizzante e moralmente discutibile -- la sofferenza delle vittime non ebree «non è comparabile» -- torna bene poiché è politicamente utile. A sofferenza unica, diritti unici. Secondo il dogma dell’odio eterno dei Gentili, se gli ebrei sono stati sterminati durante la seconda guerra mondiale, è perché tutti i Gentili, carnefici o collaboratori passivi, volevano la loro morte. Il laborioso tentativo di Goldhagen per stabilire una variante di questo dogma (I volenterosi carnefici di Hitler) non aveva alcun valore scientifico ma, come la dottrina dell’«unicità», aveva una sua utilità politica. Questo dogma conferisce tutti i diritti. Infine, tratto la questione dei risarcimenti materiali. Sostengo che l’industria dell’Olocausto si rende colpevole di una "duplice estorsione": dirotta fondi sia a spese dei governi europei che dei veri sopravvissuti alle persecuzioni naziste. Anche la storia ufficiale dell’organismo incaricato dei ricorsi, la Claims Conference, dimostra che il denaro specificatamente destinato alle vittime dal governo tedesco non è stato utilizzato correttamente. Nel corso dei recenti negoziati sull’indennizzo ai lavoratori dei campi di concentramento, la Claims Conference ha presentato cifre riguardanti i sopravvissuti ebrei decisamente gonfiate. Ebbene, aumentare il numero dei sopravvissuti significa ridurre quello delle vittime. I numeri che fornisce la Claims Conference si avvicinano paurosamente agli argomenti negazionisti. Come diceva mia madre (anche lei sopravvissuta ai campi): "Se tutti quelli che pretendono essere sopravvissuti lo sono realmente, ci si può domandare chi ha ammazzato Hitler!". La maggior parte delle accuse dell’industria dell’Olocausto alle banche svizzere erano infondate o fortemente tinte di ipocrisia. Il rapporto finale della commissione Volcker ha stabilito che le banche svizzere non hanno sistematicamente ostacolato i sopravvissuti dell’Olocausto o i loro eredi nelle loro ricerche, e neppure distrutto dossier bancari per mascherarne le tracce. La scoperta più importante del mio libro è che gli Stati Uniti sono stati anch’essi un rifugio per beni ebrei trasferiti prima o durante la seconda guerra mondiale. Seymour Rubin, un esperto che ha reso testimonianza davanti al Congresso, ha concluso che il dossier americano è peggiore di quello svizzero.
Tuttavia, il rapporto ufficiale della Commissione consultiva presidenziale sui beni dell’Olocausto, reso di pubblico dominio alcune settimane fa, non fa cenno ad alcuna richiesta di pagamento delle somme dovute dagli Stati Uniti. Gli svizzeri e i francesi sono tenuti a sottostare a quest’obbligo morale, gli americani no. Sono trascorsi oltre due anni da quando l’industria dell’Olocausto ha costretto le banche svizzere a un accordo definitivo, ma nessuno dei richiedenti ha ricevuto un centesimo del denaro svizzero. Analizzando attentamente il piano, recentemente approvato, per la ripartizione di questo denaro si desume, infatti, che alle vere vittime toccherà praticamente niente. L’industria dell’Olocausto ha svenduto lo status morale di martire del popolo ebreo e per questa ragione merita il pubblico vituperio. Le Monde si preoccupa che il mio libro possa suscitare antisemitismo. Condivido e rispetto questa preoccupazione. Negare questo pericolo sarebbe dare prova di malafede. Ma è soprattutto la tattica brutale e avventuriera dell’industria dell’Olocausto a creare antisemitismo. Biasimare il mio libro equivale a biasimare il messaggero portatore di cattive notizie. Durante i negoziati con i Tedeschi sul lavoro nei campi di concentramento, un membro della delegazione tedesca mi ha detto: "Voglio essere onesto con lei. Da parte nostra, pensiamo che tutti noi siamo stati vittime di un ricatto". Penso che in privato molti tedeschi onesti siano di questo parere e, purtroppo, hanno ragione. Si può anche supporre che esistano rispettabili cittadini svizzeri e francesi pronti a fare eco a questo sentimento. E non è difficile immaginare ciò che pensano i cittadini dell’Europa dell’Est, nel momento in cui l’industria dell’Olocausto reclama per sé i beni degli ebrei assassinati e fa pressione per accelerare i ritmi per l’estromissione degli attuali occupanti. Lo scopo del mio libro è quello di suscitare l’apertura di un dibattito che avrebbe dovuto avere luogo già da molto tempo. Tenuto soffocato col pretesto del politically correct, il malessere non può che aggravarsi. Per evitare il risorgere dell’antisemitismo, i profittatori dell’Olocausto devono essere pubblicamente denunciati e condannati. Come Le Monde, io difendo con la massima energia la memoria dell’Olocausto commesso dai nazisti. Ciò contro cui lotto è il suo sfruttamento a fini politici ed economici. Nessun progresso nella conoscenza storica è possibile fino a quando l’industria dell’Olocausto non metterà fine alle proprie attività. Mi sono sforzato di rappresentare l’eredità dei miei genitori. La principale lezione che mi hanno dato è che si deve sempre confrontare. Stabilire una distinzione tra "le nostre" sofferenze e "le loro" è di per sé una truffa morale. "Non bisogna fare confronti" è il leitmotiv dei maestri cantori della morale.

Le Monde

Da La Stampa del 06/03/01; Traduzione del Gruppo Logos.
Lo sfruttamento di cui qui si parla è di tipo economico e politico.

7. Wikipedia. – La scheda mi sembra abbastanza obiettiva, pur non prendendo parte a favore o contro l’autore. L’osservazione che precede è vecchia nel tempo. Successive esperienze mi hanno dimostrato che all’interno della redazione di Wikipedia, una giungla da esplorare, si annidano blogger sionisti. Una mia querelle personale con un certo “Vituzzu” è tuttora in corso.

8. Una prefazione tedesca all’«Industria dell’Olocausto». – Andando al link si trova un testo di Finkelstein da leggere e studiare attentamente.

(segue)
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(segue)

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