lunedì 23 giugno 2008

Apartheid: 23. Jimmy Carter un presidente scomodo

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La mia attenzione su Jimmy Carter è stata attratta dal sul volume Peace not aparteid, di cui non mi pare esiste un’edizione italiana. E ciò mi sembra alquanto strano. Detto ciò sono molto più le cose che non so su Carter di quelle che so. Questa scheda ha lo scopo di colmare le mei lacune, ma sempre nell’ottica della mia ricerca sul lobbismo sionista in Italia e nei suoi collegamenti esteri. È questa una necessaria delimitazione di campo per evitare una facile dispersione su temi generali di politica estera e di storia contemporanea. Questa scheda è correlata per contrapposizione a quella su Geoge W. Bush che ha seguito nei suoi mandati presidenziale una politica diametralmente opposta a quella di Carter e che in questo ultimo scorcio della sua presidenza imperiale sembra voglia funestare il mondo con una nuova criminale e sanguinosa guerra all’Iran, dopo quella già fatto ed ancora in corso contro l’Afghanistan e l’Iraq. In tutte queste guerre gli unici a gioire ed a trarre vantaggio paiono essere i politici israeliani, anima nera della presidenza imperiale.


Versione 1.3 / 24.10.08
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Sommario: 1. Jimmy Varter nen giudizio di Sergio Romano. – 2. Jimmy Carter nel giudizio del candidato presidenziale John McCain. – 3. Carter e Hamas. – 4. Le lacrime di Carter. –

1. Jimmy Carter nel giudizio di Sergio Romano. – Riporto di seguito la consueta corrispondenza fra Sergio Romano ed i suoi Lettori. Questa volta la conversazione cade sulla figura e sull’operato di Jimmy Carter, su cui l’ambasciatore esprime il suo parere. Non sono riuscito a capire quale sia l’articolo dove Carter viene criticato, ma ciò che qui interessa è il giudizio di Sergio Romano. La linea editoriale del Corriere della Sera, dove escono articoli di Magdi Allam, di Pierluigi Battista, di Piero Ostellino, ma anche di Sergio Romano è come il “gioco delle tre carte”.
Il Corriere ha ospitato un articolo che critica fortemente l'ex presidente degli Stati Uniti Carter per il suo viaggio in Medio Oriente, accusandolo di essere mosso soltanto da vanità, senilità e oscurantismo religioso. Carter ha scritto un libro sulla Palestina che contiene valutazioni forse opinabili che però, a mio parere, meriterebbero una confutazione basata su argomenti razionali e non solo invettive. È possibile una serena discussione sulle opinioni e sugli argomenti del libro di Carter?
Alessandro Figà Talamanca
sandroft@mat.uniroma1.it

Caro Figà Talamanca,

Come lei ricorda, Carter ha scritto un libro severo in cui non ha esitato a denunciare la politica degli israeliani verso i palestinesi come una forma di apartheid. Più recentemente ha fatto un viaggio in Medio Oriente nel corso del quale ha trattato Hamas come un legittimo interlocutore politico e ha cercato di coinvolgere l'organizzazione in una tregua che permetterebbe la ripresa dei contatti politici. Al ritorno dal viaggio ha scritto un lungo articolo per il New York Times in cui ha giustificato la sua iniziativa con argomenti che mi sono parsi comprensibili e sensati. Ha ricordato in particolare che il Carter Center (l'organizzazione umanitaria per la pace e la conciliazione internazionale, creata alla fine della sua presidenza) ha avuto un ruolo ispettivo in alcune elezioni palestinesi, fra cui quelle del gennaio 2006, trionfalmente vinte da Hamas, e ne ha constatato la correttezza.

Carter ha ragione: fra tutte le consultazioni elettorali dei Paesi arabi dell'ultimo decennio, quelle palestinesi sono state le più democratiche. E ha ragione anche quando osserva che l'autorità di Hamas non è basata sulle sue operazioni terroristiche, ma sulla popolarità di cui gode nei territori occupati. Parlare con Mahmud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese, è necessario ma non sufficiente. Non è possibile predicare la democrazia agli arabi, come ha fatto la presidenza Bush in questi anni, e ignorare che le elezioni palestinesi sono state molto più trasparenti di quelle egiziane. E credo che sia stato un errore infine respingere certi segnali di disponibilità lanciati da Hamas o trascurare i tentativi di mediazione dell'Arabia Saudita. Per questa ragione il viaggio di Carter mi è parso utile e opportuno.

Nel quadro dei rapporti fra Israele e gli Stati Uniti Jimmy Carter appare, a prima vista, come una eccentrica anomalia. Il suo viaggio non è piaciuto né al governo di Gerusalemme, che ha trattato l'ex presidente con grande freddezza, né al Dipartimento di Stato. Eppure vale forse la pena di ricordare che Carter non è un fenomeno isolato e che gli Stati Uniti furono in molte occasioni alquanto critici della politica israeliana. Nel 1956, all'epoca della spedizione di Suez, minacciarono di adottare sanzioni contro Israele per il suo ruolo nella spedizione anglo-francese contro l'Egitto di Nasser. E fino al 1967 rifiutarono di assicurare forniture importanti alle forze armate israeliane. La situazione cambiò dopo la guerra del Sei giorni quando Israele divenne il maggiore alleato degli Stati Uniti nella regione e poté contare su cospicui aiuti finanziari e forniture di armi. Ma in un articolo pubblicato dal Wall Street Journal del 7 maggio uno studioso israeliano, Michael B. Oren, ricorda che Ronald Reagan condannò il bombardamento israeliano del reattore nucleare iracheno e l’assedio di Beirut l'anno successivo; mentre Bush sr. interruppe i finanziamenti americani in segno di protesta per la creazione d'nsediamenti israeliani nei territori occupati destinati agli immigrati russi. Sono atteggiamenti critici che potrebbero divenire nuovamente attuali se Barak Obama venisse eletto alla presidenza degli Stati Uniti.
A questo giudizio di Sergio Romano corrisponde il livore dei «Corretti Informatori» che si può leggere cliccando sul link e prestando attenzione alla titolazione ed al volgarissimo commento. Ecco l’Eletto Commento:
30.05.2008 Sergio Romano elogia Jimmy Carter
ci sarebbe stato da stupirsi del contrario
[Commento alquanto fesso: Sergio Romano è capace di autonomia di giudizio ed i suoi testi non sono mai prevedibili. Dipendono dall’oggetto. Invece i commenti degli Eletti Mentitori sono sempre prevedibili e suonano: Israele ha sempre ragione.]

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Sergio Romano
Titolo: «I RAPPORTI USA-ISRAELE E LA DIPLOMAZIA DI CARTER»

Sergio Romano sul CORRIERE della SERA del 30 maggio 2008 elogia Jimmy Carter, che "non ha esitato a denunciare la politica degli israeliani verso i palestinesi come una forma di apartheid" (cioè non ha esitato a dire il falso, demonizzando Israele, che dà a tutti i suoi cittadini eguali diritti, e che si difende da un offensiva terroristica proveniente da territori autonomi)
[Il falso non è tale per decreto degli Eletti Mentitori. Vero e falso risultano da un riscontro dei fatti, dalla loro interretazioni, dal contradditorio,. Tutti cose che mancano dalla testa degli Eletti Mentitori, ordinariamente dediti al falso per consacrata elezione]
per le aperture ad Hamas, gruppo terroristico
[La nozione di terrorismo è nella testa degli Eletti Mentitori una categoria religiosa affine al concetto di male e di peccato. Basta però leggere qualche libro per scoprire che il terrorismo, cioè la pratica di attentati ad opera di servizi spionistici, è insita nella politica insareliano che ne fa continuamente ricorso ed offre su questo terreno addirittura consulenza agli USA in materia di “omicidi legali”, di cui leggesi in Johnson]
che deve essere riconosciuto come interlocutore politico perché ha vinto elezioni più regolari di quelle degli stati arabi,
[Gli Eletti Mentitori non possono negare la regolarità delle elezioni palestinesi, ma lasciano intendere che elezioni regolari e democratiche non valgono nulla se non sostengono le elette ragioni di Israele: quando non convengono, la regolarità delle elezioni è un dettaglio di poco conto. Questa è la democrazia israeliana: la democrazia che più le conviene]
scrive di inesistenti "segnali di disponibilità" degli islamisti e in conclusione auspica che un'elezione di Barack Obama renda nuovamente attuali "atteggiamenti critici " dell'America verso Israele.
[Si capisce come una simile eventualità possa dispiacere agli Eletti Mentitori]
Per atteggiamenti critici, nello specifico, Romano intende appunto la convinzione che Hamas debba essere riconosciuto come interlocutore.
[Evidentemente i «Corretti Informatori» sono di diverso avviso. Ma né Romano né Carter sono tenuti ad uniformarsi all’Eletto Correttore]
Anche se non abbandona il terrorismo,
[ancora si usa questa categoria coniata apposta per delegittimnare l’altro. Con questo sistema di pensiero Israele dal 1948 sta perseguendo luna pulizia etnica ed un genocidio che non ha nulla da invidiare ad Auschwitz]
anche se straccia gli accordi sottoscritti dall'Autorità palestinese,
[ossia un’autorità Quisling con la quale Israele contava di dividere i palestinesi per poi eliminare lo stesso Abu Mazen ovvero il popolo palestinese da lui tradito e svenduto]
anche se vuole che Israele venga distrutto
[Ed i 400 villaggi palestinesi di cui parla Pappe non sono stati distrutti dagli israeliani? Curioso modo di paventare la distruzione propria e di dimenticare la distruzione inflitta.]
(le elementari condizioni poste dalla comunità internazionale si riassumono nel ribaltamento di queste linee politiche dei Fratelli musulmani palestinesi).
[Curioso questo appellarsi alla Comunità internazionale dopo averne violato tutte le regole]
"Atteggiamento critico" verso Israele significa dunque, nel linguaggio di Romano, sostenere che essa debba "trattare" sul proprio diritto all'esistenza.
[Strano diritto all’esistenza costruito sulla non esistenza palestinese, sulla pulizia etnica, sull’occupazione di terre altrui, sul diritto di conquista bellica e simili. Chi si nasa su simili pretese non può invocare il diritto della comunità internazionale, ma la protezione e la complicità di Stati Gaglioffi]
Basta capirsi.
Appunto! Quel che è da capire è semplice. Gli Eletti Commenti hanno la meccanica regolarità dei testi propagandistici o distorsivi, di cui si legge in alcuni brani dei libri di Chalmers Johnson. Appositi uffici hanno lo specifico compito di dire il falso o di fare opera di distorsione nei media. Sarebbe ingenuo ricercare una logica e dei principi morali negli Eletti Commenti. Serve tuttavia segnalarli, almeno in modo esemplificativo ed in un numero limitato di casi, attingendo all’Eletto Archivio.

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2. Jimmy Carter nel giudizio del candidato presidenziale John McCain. – Per McCain il presidente Carter sarebbe stato un presidente “schifoso”. È da chiedersi perché mai un giudizio così pesante quanto gratuito. Forse McCain con questa villania non degna di una statista pensa di ingraziarsi la Israel Lobby. È lecito pensare che se per avventura McCain dovesse venire lui eletto sarà probabilmente più schifoso di Carter e Bush messi insieme. Al resto del mondo non resta che augurarsi una vittoria di Obama.

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3. Carter e Hamas. – Vi è da scommettere che se la notizia di cui al link, ripresa da Infopal, verrà riportata da qualche quotidiano italiano e da qui intercettata da “Informazione Corretta”, potremo leggere un nuovo florilegio di insulti. Scommettiamo.

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4. Le lacrime di Carter. – Cliccando sul link si accede ad un articolo di Jimmy Carter riportato dai «Corretti Informati». Si tratta propriamente di un’Intervista fatta da Umberto De Giovannangeli, che riceve dai «Corretti Informati» l’abituale scarica di insulti. Nel panoramo dello squadrismo sionista possiamo ormai certificare che IC è il livello più bassa e che certamente è inadatto alla “campagna simpatia” promossa in Israele dopo “piombo fuso”. Ci auguriamo che non abbiamo a chiudere IC, o a tagliargli i rubinetti. Sono infatti un potente contributo nella comprensione della natura riprovevole del sionismo. Ci cembra decisamente i «Corretti Informatori» da qualche tempo vadano imitando la nostra collaudata tecnica del commento intertestuale, ma sono alquanto grossolani sia graficamente sia concettualmente. Il nome Carter sta tornando di attualità perché contro di lui si sta scagliando Alan Dershowitz nel suo “Processo ai nemici di Israel”, contro un Carter che è per giunta “suo amico”. Nessun invidia per Carter che dispone di simili amici. Vale la pena di riportare integralmente l’intervista apparsa su l’Unità del 18 giugno 2009.

L’Unità, 18 giugno 2009, p. 28
Intervista di U. De Giovannageli
Intollerabile tragedia
e la devastazione di Gaza


«Porto nel mio cuore i racconti di donne, uomini, bambini costretti a vivere come bestie più che come esseri umani. Non potrò mai dimenticare ciò che ho visto con i miei occhi: immagini di case, scuole rase al suolo in una deliberata devastazione». Parla Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, premio Nobel per la Pace. Carter è in questi giorni a Gaza. Queste le sue impressioni.
– Qual è l’immagine di Gaza che poterà con sé?
• «Una immagine angosciante. Non ho potuto trattenere le lacrime quando ho visto con i miei occhi rovine, devastazione, vite distrutte...».
– Il suo grido d’allarme sembra perdersi nel vuoto...
• «Ciò è profondamente ingiusto e finché ne avrò la forza non smetterò di denunciare questa situazione. Mi lasci aggiungere che la tragedia di Gaza non è solo ingiusta sul piano umano, dei diritti della persona, ma è anche dannosa per la stessa causa della pace. Perché è impensabile rilanciare il dialogo quando metà di un popolo è costretta a vivere in una enorme prigione a cielo aperto. I riflettori si sono spenti, ma la sofferenza di quasi un milione e mezzo di palestinesi non è diminuita...».
– E la comunità internazionale?
• «Purtroppo la comunità internazionale sembra sorda agli appelli che giungono da Gaza».
– A Gaza Lei ha avuto modo di incontrare i vertici di Hamas. Quali indicazioni ha potuto trarne?
• «Mi pare importante l’affermazione di Haniyeh
(primo ministro nel governo di Hamas nella Striscia, ndr.) di una disponibilità di Hamas ad accettare una soluzione negoziale se i confini fossero definiti entro quelli del ’67. Un’affermazione che si accompagna con una valutazione incoraggiante dei leader di Hamas sulle posizioni assunte dal presidente Obama. Il confronto è possibile, spazi sembrano aprirsi, ma per rafforzare questa prospettiva occorre porre fine al blocco di Gaza. Non è solo una scelta umanitaria. È un investimento su una pace possibile».
– Nel campo palestinese regna la divisione.
• «E la divisione rende tutto ancora più difficile. Su questo punto ho molto insistito nei miei incontri politici a Gaza. Ai miei interlocutori ho detto che solo un governo di unione nazionale potrebbe porre fine alla sofferenza del popolo palestinese...».
– Un governo con dentro Hamas...
• «Mi pare inevitabile. Piaccia o no, Hamas rappresenta una parte significativa della società palestinese. Negare questo dato di fatto non aiuta la ricerca di un un accordo di pace che non può reggere se taglia fuori metà dei palestinesi. Occorre incalzare Hamas, ma non serve la sua criminalizzazione. Di questo è consapevole il presidente Obama come dimostra il suo discorso al Cairo. Un discorso coraggioso, di svolta...».
– Lei sa che Israele l’accusa di unilateralismo filopalestinese.
• «Sono rattristato di questa accusa perché la trovo ingiusta, non corrispondente al vero. Ai palestinesi ho ripetuto che non è bello vedere la distruzione operata a Gaza dalle forze armate israeliane, ma non è neanche buono quando mi reco a Sderot (una delle città israeliane più colpite dai Qassam di Hamas, ndr.) vedere i razzi che cadono sugli israeliani. Resto fermamente convinto che il solo modo di evitare che questa tragedia possa ripetersi, è raggiungere un vero accordo di pace tra palestinesi e Israele. Un accordo fondato sul principio “due popoli, due Stati”; un principio che ispira l’azione dell’amministrazione Obama».
– Obama ha sottolineato a più riprese l’importanza del fattore tempo...
• «Sono pienamente d’accordo con lui. Occorre essere consapevoli che l’alternativa ad una pace giusta, rispettosa dei diritti dei palestinesi come della sicurezza d’Israele, non è il mantenimento dell’attuale status quo, ma una guerra ancora più dura di quelle che hanno già segnato questa tormentata regione».
– Un’altra questione cruciale nel conflitto israelo-palestinese è quella degli insediamenti. Un tema che divide il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu e l’amministrazione Usa.
• «Obama ha usato parole chiare definendo la colonizzazione dei territori occupati il principale ostacolo ad ogni accordo di pace. E si è impegnato di fronte al mondo perché questo ostacolo sia rimosso».
– Il presidente Obama si è impegnato per un accordo di pace definitivo entro la scadenza del suo mandato, nel 2012.
• “Vede, una cosa che abbiamo in comune è che io ho cominciato a lavorare sul Medio Oriente sin dal primo giorno del mio insediamento. E lui ha promesso a me e ad altri che avrebbe fatto altrettanto. Sta mantenendo la promessa. Questa è la sostanziale differenza tra Clinton, l’amministrazione Bush e Obama Una differenza che fa ben sperare».
Il “commento” oltre che essere infame come abituamente è, qui tocca anche i livelli del delirio. È da segnalare per la sua patologia. Concettualmente non merita una confutazione, cosa che ormai ci asteniamo dal fare.

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