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I miei legali mi hanno fatto ridurre, al minimo strettamente indispensabile, la mia «Memoria difensiva». Memoria che - pur ridotta all’osso - è rimasta di ben sedici pagine. Troppe, mi dicevano... I giudici, in generale, non leggono le cose lunghe, meno che mai i libri e gli autori da me citati. Inoltre, ciò che interessa loro, sono i fatti rilevanti per il giudizio che devono dare. Nel nostro caso, poteva interessare loro, solo se io, per prima cosa, avessi o non avessi fatto le lezioni a me attribuite dal Pasqua Marco, dal quale, evidentemente, bisogna prima passare, per sapere da lui, cosa si può o non si può insegnare nelle università italiane. Se fosse risultato, in primo luogo, che dette Lezioni vi fossero state, i giudici avrebbero poi dovuto affrontare altre più delicate e spinose questioni. Avrebbero dovuto decidere, ad esempio, se sulla base dell’art. 21 della vigente Costituzione, io avevo o non avevo il diritto di dire le cose che mi sono state attribuite. La mia tesi, al riguardo, è stata che innanzitutto – fatto salvo l’art. 21 e 33 cost. – io, in ogni caso, non avevo competenza disciplinare (e neppure interesse personale) in relazione all’oggetto della contestazione: io mi occupo di filosofia del diritto, cioè, ad esempio, del principio in sé della libertà del pensiero, ma non di campi di concentramento o di didattica della Shoah, dove esistono apposite cattedre, non di emorroidi, di fisica, chimica, medicina nucleare, testate atomiche, ecc. Posso e devo parlare, in una lezione universitaria, di cose che conosco per mia propria scienza, non di cose non attinenti alla materia, cose che, perciò, non conosco o che conosco malamente per sentito dire. Insomma, i problemi ed i fatti che nella mia «Memoria» ho voluto trattare, per completezza, erano molti ed andavano oltre il tema dell’addebito. Al fine di stimolare il Collegio a prestare attenzione a tutta la problematica che desideravo trattare, ho perciò redatto il seguente Abstract, riassuntivo di tutta la Memoria di 16 pagine. Memoria che pare insolitamente lunga, anche se breve rispetto a quanto avrei voluto o potuto dire.
– della Risposta al quesito di addebito, dove confermo di non avere tenuto mai Lezioni universitarie sull’olocausto e si pongono questioni procedurali sulla possibilità e sul diritto di difesa; in ottobre 2009 non svolgevo nessun corso;
– delle controdeduzioni nelle quali sostengo che il Relatore avrebbe dovuto mantenersi entro i limiti del mandato ricevuto e non invece introdurre surrettiziamente o suggestivamente suoi personali e soggettivi giudizi, peraltro infondati in fatto e in diritto, senza che siffatte ricostruzioni siano mai state nelle dovute forme notificate e contestate all’interessato, impossibilitato a difendersi. Ciò ha dato luogo ad una specie di processo inquisitorio segreto, contrario al nostro ordinamento giuridico, dove vengono sottolineate e sindacate mere opinioni, estrapolate dal loro contesto e ricostruite in violazione dell’art. 21 della costituzione.
Alterazione filologica e semantica dell’espressione “cosiddetto olocausto”, erroneamente a me attribuita. Disamina di altre espressioni estrapolate e distaccate dal loro contesto. Né l’inizio né la prosecuzione del procedimento disciplinare ha fondamento alcuno, né in fatto né in diritto.
– Querela penale a “La Repubblica” e/o azione civile per creazione e diffusione di notizie false.
Da un punto di vista tecnico-giuridico occorre distinguere in una «Memoria difensiva» fra il “fatto” ed il “diritto”, che regola quel dato fatto. Se fossi stato accusato di omicidio, avrebbe dovuto esserci un morto perché si desse il fatto. Ma se il morto non c’è, non esiste neppure il presupposto per il giudizio. Se poi il morto ci fosse stato, si sarebbe poi dovuto considerare la norma che punisce quel determinato fatto. Se, ad esempio, fosse emerso che si trattava di legittima difesa, allora sarebbe rimasto il morto, ma non si sarebbe trattato più di omicidio e quindi non avrei potuto essere punito per ciò che sarebbe risultato un mio diritto di potermi difendere, anche ove necessario procurando l’altrui morte. Nel mio caso il fatto era l’esistenza o meno delle Lezioni, attribuitemi dal Marco Pasqua e su cui si erano accaniti i “poteri forti”. La menzogna a mezzo stampa risulta eclatante per il fatto, assolutamente verificabile, che io in ottobre non svolgevo nessun corso di Lezioni. Anzi nella settimana intorno al 22 ottobre non ero neppure all’Università, dove secondo il Pasqua Marco vi sarebbe stato addirittura uno “shock” da me provocato, ma in realtà prodotto dalla stessa “Repubblica” con la creazione di una notizia totalmente falsa e ripresa da tutti gli altri come vera, anzi come oro colato. Questa è la carta stampata, alla quale i cittadini, invero sprovveduti, attingono le loro “verità” e su cui i politici costruiscono il loro consenso elettorale.
I miei legali mi hanno fatto ridurre, al minimo strettamente indispensabile, la mia «Memoria difensiva». Memoria che - pur ridotta all’osso - è rimasta di ben sedici pagine. Troppe, mi dicevano... I giudici, in generale, non leggono le cose lunghe, meno che mai i libri e gli autori da me citati. Inoltre, ciò che interessa loro, sono i fatti rilevanti per il giudizio che devono dare. Nel nostro caso, poteva interessare loro, solo se io, per prima cosa, avessi o non avessi fatto le lezioni a me attribuite dal Pasqua Marco, dal quale, evidentemente, bisogna prima passare, per sapere da lui, cosa si può o non si può insegnare nelle università italiane. Se fosse risultato, in primo luogo, che dette Lezioni vi fossero state, i giudici avrebbero poi dovuto affrontare altre più delicate e spinose questioni. Avrebbero dovuto decidere, ad esempio, se sulla base dell’art. 21 della vigente Costituzione, io avevo o non avevo il diritto di dire le cose che mi sono state attribuite. La mia tesi, al riguardo, è stata che innanzitutto – fatto salvo l’art. 21 e 33 cost. – io, in ogni caso, non avevo competenza disciplinare (e neppure interesse personale) in relazione all’oggetto della contestazione: io mi occupo di filosofia del diritto, cioè, ad esempio, del principio in sé della libertà del pensiero, ma non di campi di concentramento o di didattica della Shoah, dove esistono apposite cattedre, non di emorroidi, di fisica, chimica, medicina nucleare, testate atomiche, ecc. Posso e devo parlare, in una lezione universitaria, di cose che conosco per mia propria scienza, non di cose non attinenti alla materia, cose che, perciò, non conosco o che conosco malamente per sentito dire. Insomma, i problemi ed i fatti che nella mia «Memoria» ho voluto trattare, per completezza, erano molti ed andavano oltre il tema dell’addebito. Al fine di stimolare il Collegio a prestare attenzione a tutta la problematica che desideravo trattare, ho perciò redatto il seguente Abstract, riassuntivo di tutta la Memoria di 16 pagine. Memoria che pare insolitamente lunga, anche se breve rispetto a quanto avrei voluto o potuto dire.
– della Risposta al quesito di addebito, dove confermo di non avere tenuto mai Lezioni universitarie sull’olocausto e si pongono questioni procedurali sulla possibilità e sul diritto di difesa; in ottobre 2009 non svolgevo nessun corso;
– delle controdeduzioni nelle quali sostengo che il Relatore avrebbe dovuto mantenersi entro i limiti del mandato ricevuto e non invece introdurre surrettiziamente o suggestivamente suoi personali e soggettivi giudizi, peraltro infondati in fatto e in diritto, senza che siffatte ricostruzioni siano mai state nelle dovute forme notificate e contestate all’interessato, impossibilitato a difendersi. Ciò ha dato luogo ad una specie di processo inquisitorio segreto, contrario al nostro ordinamento giuridico, dove vengono sottolineate e sindacate mere opinioni, estrapolate dal loro contesto e ricostruite in violazione dell’art. 21 della costituzione.
Alterazione filologica e semantica dell’espressione “cosiddetto olocausto”, erroneamente a me attribuita. Disamina di altre espressioni estrapolate e distaccate dal loro contesto. Né l’inizio né la prosecuzione del procedimento disciplinare ha fondamento alcuno, né in fatto né in diritto.
– Querela penale a “La Repubblica” e/o azione civile per creazione e diffusione di notizie false.
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Da un punto di vista tecnico-giuridico occorre distinguere in una «Memoria difensiva» fra il “fatto” ed il “diritto”, che regola quel dato fatto. Se fossi stato accusato di omicidio, avrebbe dovuto esserci un morto perché si desse il fatto. Ma se il morto non c’è, non esiste neppure il presupposto per il giudizio. Se poi il morto ci fosse stato, si sarebbe poi dovuto considerare la norma che punisce quel determinato fatto. Se, ad esempio, fosse emerso che si trattava di legittima difesa, allora sarebbe rimasto il morto, ma non si sarebbe trattato più di omicidio e quindi non avrei potuto essere punito per ciò che sarebbe risultato un mio diritto di potermi difendere, anche ove necessario procurando l’altrui morte. Nel mio caso il fatto era l’esistenza o meno delle Lezioni, attribuitemi dal Marco Pasqua e su cui si erano accaniti i “poteri forti”. La menzogna a mezzo stampa risulta eclatante per il fatto, assolutamente verificabile, che io in ottobre non svolgevo nessun corso di Lezioni. Anzi nella settimana intorno al 22 ottobre non ero neppure all’Università, dove secondo il Pasqua Marco vi sarebbe stato addirittura uno “shock” da me provocato, ma in realtà prodotto dalla stessa “Repubblica” con la creazione di una notizia totalmente falsa e ripresa da tutti gli altri come vera, anzi come oro colato. Questa è la carta stampata, alla quale i cittadini, invero sprovveduti, attingono le loro “verità” e su cui i politici costruiscono il loro consenso elettorale.
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