domenica 21 febbraio 2010

Il “mostro” si difende: 1. – Articolo su “La Repubblica” e Nota rettorale di addebito.

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Da taluni, aspiranti al martirio e soprattutto ad aver martiri, su cui imbastire “sante cause” o, a seconda delle prospettive, da altri ad aver vittime per poter innalzare colonne infami, a futura memoria e pubblico terrore, secondo la sperimentata formula del “colpirne uno per educarne cento”, non si vuol comprendere da costoro l’argomento della mia “incompetenza scientifico disciplinare”, impiegato nella mia articolata difesa. In primo luogo, certo, vi è un’eclatante mancanza del fatto, l’aver svolto Lezioni su…, inventato ex nihilo dal secondo quotidiano d’Italia. Ed è per questa creazione e diffusione di una notizia falsa che sono convinto di poter vincere la mia causa civile contro il Marco Pasqua ed il giornale che gli ha pubblicato un articolo, dove per davvero si inventa di sana pianta “ciò che non esiste”, cioè le mie supposte Lezioni sull’Olocausto. Questo elemento della mancanza del fatto compare a più riprese, ad abundantiam, nel testo complessivo della memoria. Ma vi è un’altra argomentazione non meno valida, benché meno evidente. Io non avrei mai potuto (né voluto) trattare gli argomenti («negazione dell’Olocausto») che “Repubblica” mi attribuiva, per una ragione intrinseca al mio insegnamento di filosofia del diritto: l’incompetenza scientifico-disciplinare. Ogni materia che si insegna nelle università, in base ad un principio di divisione del lavoro, ha un suo proprio ambito. La filosofia del diritto è raggruppata nello IUS 20. Sarei stato davvero un “matto” se avessi preteso di insegnare cose che non so e non mi competono professionalmente. E sarebbe stato ben strano che il mio Rettore mi avesse chiesto se, ad esempio, nell’ambito delle mie Lezioni, io avessi trattato o meno la filosofia del diritto di Hegel ovvero avesse preteso da me che non ne trattassi. In questo caso “matto” sarebbe stato chi mi avesse posto un simile quesito e divieto. Poteva invece avere senso il chiedermi se andavo insegnando medicina o altro in luogo della filosofia del diritto. Nella mia difesa io ho quindi specificato che: a) non ho fatto le lezioni che da “Repubblica” mi venivano attribuite perché materialmente io in ottobre non svolgevo lezioni e non ero neppure presente in facoltà; b) perché mai ho svolto né avrei potuto svolgere simili lezioni, che – seriamente parlando – comportano conoscenze specialistiche dirette e di prima mano: fonti archivistiche, fonti storiche primarie, conoscenze tecniche dall’ingegneria alla chimica, topografia, ecc. e solo in ultimo una conoscenza critica della letteratura sull’argomento, di qualità assai disparata e spesso scadente, etc. E quando mai io ho dichiarato di avere queste competenze scientifiche, invero, per il mio temperamento, alquanto deprimenti? Forse le possiede Marco Pasqua, “esperto in pellegrinaggi” nei campi di concentramento e relativi archivi, o la redazione di “Repubblica”? Io di certo no! Tutt’altra cosa se – a ben vedere – da un docente si pretendono pubbliche professioni di fede. Non ne ho mai fatte e mi auguro di non essere mai costretto a farne, come in passato succedeva a quanti venivano mandati sul rogo, con o senza pubblica professione di fede o di abiura.

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PARTE PRIMA
Risposta al quesito rettorale
– Articolo su “Repubblica” e Nota di addebito

1°) A seguito di un articolo apparso su “La Repubblica” del 22 ottobre 2009 ricevevo per email la Nota di addebito rettorale (v. All. n° 1) con la quale mi si chiedeva se io avessi tenuto lezioni sull’olocausto all’Università, negandone o meno la veridicità storica. Mi veniva fissato il termine del 31 ottobre 2009 per rispondere al quesito e veniva nominato il prof. L. come Relatore delle mie dichiarazioni riguardanti l’addebito. In verità, in ottobre, io non svolgevo nessuna attività didattica, essendo il mio corso di filosofia del diritto (vedi il relativo programma allegato agli atti del procedimento: qui All. n° 5) terminato nel mese di maggio 2009, ossia nel semestre precedente. Non ero neppure all’università nei giorni in cui secondo “La Repubblica” vi sarebbe stato uno “shock” come conseguenza di mie inesistenti lezioni. Anche i giornalisti che mi avvicinavano, cogliendomi di sorpresa, potevano farlo solo presso la mia abitazione o al mio telefono privato, non avendo io in quei giorni impegni di nessun genere all’università. Dal Calendario delle Lezioni affisso nella Bacheca della Facoltà risulta in modo inconfutabile che io in ottobre non potevo assolutamente svolgere quelle Lezioni che da “La Repubblica” mi venivano soggettivamente ed arbitrariamente attribuite e che altri organi, suivers, si sono permessi il lusso di ripercuotere sul “mercato”, acriticamente e pedissequamente.

(segue)

* * *

Gli Allegati citati nel testo non vengono qui riportati, perché non necessari alla intellegibilità della «Memoria difensiva», ma anche perché non mi è chiaro se io abbia il diritto di pubblicare atti amministrativi interni. Sull’uso in rete della mia «Memoria» non vi sono invece dubbi di sorta. Credo che non riuscirò mai a contrastare la pubblicità negativa e diffamatoria che in pochi giorni il sistema mediatico, l’informazione di regime, ha fatto su di me. Posso dire di aver direttamente sperimentato sulla mia pelle la pessima opinione che avevo della carta stampata e dei media televisivi, che ormai nemmeno guardo più. Se mi occorre sapere cosa succede in Cina o in Iran, telefono a qualcuno, di fiducia, che abita in quei paesi, o consulto la Rete, ma non sento il telegiornale o quel mezzo busto che iniziava il servizio su di me con un “tenta di difendersi”. E meno male che ancora esiste il diritto di difendersi: se fosse per costoro, sarebbe già stato abolito. Non potrò mai dimenticare come gli operatori della tv di stato, di cui sono obbligato a pagare il canone, inquadravano i libri della biblioteca del mio Dipartimento, presi in prestito e messi apposta in bella evidenza, per poterli restituire alla scadenza del prestito. Erano diventati per le telecamere che li proiettavano agli italiani veri e propri corpi di reato, come bombe, coltelli insanguinati, impiastri chimici, ecc.. A rivedere queste riprese sul telegiornale della sera è stato difficile vincere un senso di irritazione. Di certo occupo ora in altro modo, più utilmente, il mio tempo che non a guardare la tv e neppure mi attraggono più quegli autentici pollai che sono i talk show televisivi, dove la superficialità dell’apparire nasconde spesso la profonda miseria dell’essere.

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