martedì 15 luglio 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Dazi e mazzi"


 

Mentre da gran parte della stampa si levano grida di dolore per i dazi all’Europa annunciati da Trump e sono calcolati i danni (le minori esportazioni) che ne conseguiranno alle economie europee, nessuno – che mi risulti – ha affiancato, come determinante del comportamento (e della decisione futura) di Trump, quanto vi concorrano presupposti, regole e regolarità della politica.

Tra questi il problema del nemico, inteso nel senso del competitore ostile, prescindendo dallo stato di guerra e di pace. E’ chiaro che in un pluriverso politico tutti i soggetti si trovano in uno stato di ostilità, che può avere carattere agonale o polemico (Freund). Ma gli Stati sono collocati in una graduazione di ostilità, come ci dimostra la storia. Per la Francia generalmente il primo posto è di chi occupa la riva destra del Reno, cioè la Germania; Italia e Spagna, pur confinanti sono per lo più collocati a gradini inferiori della “scala”.

Ovviamente, anche per evitare un confronto in posizione sfavorevole, occorre affrontare un nemico per volta e garantirsi che gli altri (potenziali) nemici conservino lo stato di neutralità, o meglio si comportino da alleati. Lo sapevano bene i Romani il cui divide et impera è la sintetica espressione di questa regola, che de Benoist considera la prima (e più importante) della lotta politica. Ossia la riduzione (del numero) dei nemici. In questa situazione Trump che ha trovato il modo di alzare il tono del conflitto con mezzo mondo, Cina in testa, difficilmente può non accordarsi con l’Europa. Anche perché – e qua si torna, almeno in parte, sull’economico – U.E. e U.S.A. hanno per lo più gli stessi problemi: delocalizzazione, dumping commerciale dei paesi emergenti, immigrazione fuori controllo. E avere gli stessi problemi non divide ma è un incentivo ad allearsi: nel secolo scorso UK, U.S.A. e U.R.S.S. divennero alleati perché avevano in comune gli stessi problemi; l’espansionismo tedesco e giapponese. Questo li indusse a superare le differenze di interessi ed ancor più quelle ideologiche.

Infine se a seguire una certa convinzione, onde a determinare, almeno parzialmente affinità e non affinità politiche (e campi di maggiore o minore affinità) è l’appartenenza alla stessa “civiltà” (Kultur) è palese che U.E. ed U.S.A. sono la filiazione politica del cristianesimo occidentale, col suo millenario bagaglio di idee, convenzioni e costumi, estesi ad ogni campo: dal religioso all’economico, dal giuridico alla scienza. Il che aiuta: ha ragione la Meloni quando parla di occidente: una cultura comune unisce assai più di quanto interessi – per lo più occasionali e limitati – possano dividere.

A patto di non fare di questi ultimi il criterio (esclusivo) di scelta politica. Il che talvolta, succede.

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