Giuseppe Bedeschi, La prima Repubblica (1946-1993). Storia di una democrazia difficile. Rubettino Soveria Mannelli, 2013, pp. 353, € 19,00 www.rubettino.it
Questa storia della “prima repubblica” sostiene tesi che da un lato sono evidenti, dall’altro sono trascurate, occultate e contestate dalla storiografia del “pensiero unico”. Due esempi (tra i tanti): l’uno, il centrismo.
Scrive Bedeschi che il centrismo fu non un periodo di conservazione ma di forte spinta innovatrice. E infatti, le maggiori decisioni politiche del dopo guerra, tuttora valide quanto più vicine alla lettera e allo spirito delle scelte originarie, sono quelle del centrismo, che hanno condizionato – e in parte condizionano – anche le vicende attuali: e, quel che parimenti rileva, hanno avviato la società italiana ad un periodo di sviluppo durato assai più della “formula politica” che l’aveva agevolato.
Giuseppe Bedeschi |
E il tutto ricorda quanto scriveva Croce degli azionisti, ironizzando sulla loro confusione politica e ideale. Confusione di cui, ancora oggi la mentalità azionista – e i prosecutori di quella – portano i segni evidenti, nelle prediche moralistiche, nella bontà delle intenzioni come nella pochezza dei risultati e spesso nell’ipocrisia che il divario tra intenzioni e risultati, occultato, rende poi manifesta.
Bedeschi sostiene poi che il centrosinistra fallì perché non riuscì a conseguire gli obiettivi più urgenti (anche in una visione progressista) come case, scuole ed ospedali per realizzare operazioni puramente “anticapitalistiche” come la nazionalizzazione dell’energia elettrica (costata duemila miliardi). Il massimalismo, ancora influente nel PSI nenniano e definitivamente superato da Craxi, fece si che un occasione positiva fu, in parte, sprecata sugli altari di posizioni ideologiche già all’epoca superate.
Palmiro Togliatti |
Democrazia bloccata significa, scrive Bedeschi, democrazia senza alternanza “Ma l’alternanza è la grande, fondamentale risorsa dei sistemi liberaldemocratici. Si può dire che non esiste liberal-democrazia senza alternanza. … Nell’Italia della Prima Repubblica tutto questo è mancato, con conseguenze gravissime: un partito, la DC, e alcuni partiti suoi alleati, sono stati «condannati» a governare. Di qui una inamovibilità del ceto politico, dei suoi grands commis, dei suoi «esperti», dei suoi tecnici ecc. Di qui anche un continuo aumento della corruzione, grazie a quella inamovibilità”.
Inoltre “un’altra tara è stata costituita dalla cultura statalistica propria dei nove decimi delle forze politiche italiane” (statalismo comune in effetti, in maggiore o minore misura a quasi tutti i partiti e non solo alla sinistra).
Il blocco della democrazia e lo statalismo imperante (perseguito anche – e forse soprattutto – per il controllo della società) ha reso “fragile” il sistema nel momento in cui venne meno il quadro politico internazionale in cui era nato: cioè l’ordine di Yalta. Uno dei cui prodotti è la Costituzione ancora oggi vigente, che l’Italia (e tutti i paesi sconfitti) si dovettero dare per espressa disposizione della “Dichiarazione sull’ Europa liberata” dei tre grandi; (circostanza “rimossa” da tanti che Bedeschi, pur così attento, non ricorda). E che aveva agevolato le pratiche consociative e l'espansione della sfera (e della spesa) pubblica e anche la vischiosità decisionale sconfinante nell’immobilismo di un sistema a governo debole.
Nel complesso un libro interessante ed “atipico” (nel senso ricordato), la cui lettura è vivamente consigliata sia per l’accuratezza delle analisi sia per la completezza dell’esposizione dei fatti (ancora oggi non frequente malgrado il crepuscolo dell’egemonia).
Teodoro Klitsche de la Grange
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