domenica 31 maggio 2009

Jürgen Graf: «Il gigante dai piedi di argilla. Raul Hilberg e la sua opera simbolo sull’ “Olocausto”». - III: Osservazioni sul primo volume.

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I. Introduzione. - II. Osservazioni di carattere generale: 1 - 2 - 3. – III. Osservazioni sul primo volume. – IV. La mancanza di documenti su una politica di annientamento degli ebrei e sue conseguenze per gli storici ortodossi: 1 - 2 - 3: a. b. c. d. e. f. – V. I massacri sul fronte orientale: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8. – VI. Le deportazioni: 1 - 2 - 3 - 4 - 5. – VII. I centri di annientamento: 1 - 2 - 3: a. b. c. d. – 4: a. b. 5: a. b. c. d. e. – VIII. Statistica delle vittime in Hilberg: anatomia di una truffa. 1 - 2 - 3 - 4 - 5. – IX. Sconfitta di Hilberg nel processo Zündel. – X. Conclusioni.

Rinvii: Mattogno -

Osservazioni sul primo volume.

Hilberg introduce il primo capitolo (I precedenti) della sua opera con le seguenti parole (7):
«La distruzione degli Ebrei d’Europa da parte della Germania fu un tour de force, e la disfatta degli Ebrei di fronte all’aggressione tedesca, la chiara dimostrazione di un fallimento. Sotto questo aspetto, l’evento fu il risultato di pratiche molto antiche. Le politiche e le azioni antiebraiche non fecero la loro improvvisa comparsa nel 1933. Per molti secoli e in diversi Paesi, gli Ebrei erano state vittime di azioni distruttrici» (p. 3 ed. it. cit.).
Seguono osservazioni sull’antigiudaismo nella storia d’Europa. Hilberg considera il «processo di distruzione operato dai nazisti» come «il punto di arrivo di un’evoluzione ciclica». Al suo inizio vi erano stati tentativi di conversione degli Ebrei. Dal momento che questi per la massima parte non avevano voluto lasciarsi convertire, si era passati alla loro espulsione e come terzo, più radicale metodo è poi seguita l’eliminazione fisica degli ebrei (p. 6 s.). L’autore riassume la sua teoria come segue:
«I missionari del cristianesimo, in sostanza avevano finito con il dire: “Se rimanete Ebrei, non avete il diritto di vivere tra noi”. Dopo di loro, i capi secolari della Chiesa avevano sentenziato: “Voi non avete il diritto di vivere tra noi”. Infine, i nazisti tedeschi decretarono: “Non avete il diritto di vivere”» (p. 6, ed. it. cit.)
Il fatto che l’inimicizia verso gli ebrei proprio in Germania abbia toccato il suo punto estremo di arrivo non sia stato un fatto casuale, vuol dire che essa con i tedeschi ha potuto risalire ad una lunga tradizione. Già Martin Lutero, sarebbe stato un nemico accanito degli ebrei, come dimostrerebbe il suo scritto Degli Ebrei e delle loro menzogne (p. 13 ss.). Da Lutero Hilberg passa agli antisemiti tedeschi del XIX secolo e conclusivamente all’ideologia del nazionalsocialismo ostile agli ebrei. Acclude infine considerazioni sulla reazione ebraica alle persecuzioni continuamente sofferte nel corso della storia: a queste gli ebrei avrebbero reagito «per lungo tempo attraverso tentativi di attenuazione o di sottomissione» (p. 24). Ciò sarebbe stato loro fatale nel Terzo Reich:
«Nel 1933, di fronte ai nazisti, le reazioni tradizionali prevalsero, ma questa volta con risultati catastrofici. Le suppliche degli Ebrei non frenarono la macchina amministrativa, non più di quanto lo potè la considerazione delle loro attività ritenute indispensabili. Senza preoccuparsi dei costi dell’operazione, la burocrazia tedesca si dedicò all’annientamento degli Ebrei con crescente velocità e su scala sempre più ampia. Incapace di mutare i propri atteggiamenti per cominciare a resistere, la comunità ebraica accentuò la cooperazione fino ad accelerare l’azione nazista. In tal modo, essa stessa affrettò la propria distruzione. Dunque, possiamo notare che, nel loro rapporto reciproco, tanto le vittime che gli assassini utilizzarono un’esperienza secolare. Ciò condusse i Tedeschi al successo, gli Ebrei al disastro» (p. 25).

Come vediamo, Hilberg pone all’inizio della sua opera storica considerazioni psicologiche e filosofiche sulla preistoria dello sterminio degli ebrei – per il quale egli fino a questo momento non ha fornito la traccia di una prova, ma la presuppone assiomaticamente come nota. Egli mette dunque certamente la carrozza davanti al cavallo. Al metodo scientifico dovrebbe corrispondere l’accertamento dei fatti e solo dopo il filosofare sui motivi che hanno condotto ad essi. Dopo il secondo capitolo (Gli antecedenti), in cui sono esposte le misure antiebraiche adottate dopo la presa del potere del NSDAP, l’autore si dedica alle «Strutture della distruzione» (p. 51 s.). Di questa «distruzione» fanno parte per lui:

– la definizione del concetto di “ebreo” da parte dei nazionalsocialisti (p. 61-80) ed il divieto di matrimoni misti fra ariani ed ebrei;
– le espropriazioni degli ebrei (p. 81-162);
– la concentrazione degli ebrei in determinati quartieri residenziali, concretamente e soprattutto in ghetti, dove dapprima erano stati racchiusi gli ebrei che vivevano nel vecchio Reich e nel protettorato di Boemia e poi anche quelli nei territori polacchi conquistati nel 1939.

In questo capitolo Hilberg si appoggia quasi esclusivamente su fonti solide ed esaminabili, cosicché i fatti da lui esposti non sono contestabili nella loro interezza. A tale riguardo questa parte espone una documentazione utile sulla progressiva privazione dei diritti degli ebrei sotto il regime nazionalsocialista. Discriminazione, espropriazione e ghettizzazione di una minoranza non sono un elemento di una «politica di sterminio». I negri del Sudafrica non avevano diritti politici nel sistema dell’apartheid e vivevano per lo più in distretti separati, ma nessun uomo ragionevole sosterrà che essi siano stati sterminati dalla minoranza dei bianchi al governo. I palestinesi in Israele e giusto adesso nei territori da questo occupati sono tiranneggiati e vessati in tutti i modi immaginabili – non vengono però affatto sterminati. Hilberg opera quindi consapevolmente con una confusione concettuale.

Non è questo il solo caso di disonestà, nel quale ci imbattiamo nel primo volume. A pag. 216 l’Autore scrive nel contesto dell’espulsione degli ebrei tedeschi verso Oriente:
«Il mese di ottobre 1941 segnò l’inizio delle deportazioni di massa dal territorio del Reich; esse non si sarebbero concluse se non al termine del processo di distruzione. Questa volta, l’espulsione non aveva più come obiettivo finale l’emigrazione degli Ebrei, ma il loro sterminio. Tuttavia, siccome i campi di sterminio, finalizzati all’assassinio mediante camere a gas, non erano ancora costruiti, venne deciso che, in attesa della messa in funzione dei campi della morte, si sarebbero fatti transitare gli Ebrei nei ghetti, situati nei territori incorporati o, più a Est, nelle zone sovietiche occupate. Primo fra tutti, il ghetto di Lódz sarebbe stato un grande centro di raccolta» (p. 216).

Les principaux camps de concentration et leur année d’ouverture: Auschwitz (1940), Bergen Belsen (1944), Buchenwald (1937), Dachau (1933), Flossenbürg (1938), Gross Rosen (1941), Lublin-Maïdanek (1943), Mauthausen (1938), Dora-Mittelbau (1943), Natzweiler-Struthof (1941), Neuengamme (1940), Oranienburg (1933), Ravensbrück (1939), Sachsenhausen (1936), Stutthof (1941).Les principaux camps d’extermination : Auschwitz-Birkenau (1942), Belzec (1942), Chelmno (1941), Sobibor, Treblinka (1942). [Didascalia tratta dalla stessa fonte indicata per la cartina].

Hilberg resta in debito con i suoi lettori di una pezza di appoggio per questa affermazione. Mentre tutto il processo di espulsione degli ebrei tedeschi verso Oriente può essere incontestabilmente dimostrato sul piano documentale ed Hilberg nelle sue innumerevoli note a piè di pagina si basa per lo più su documenti originali tedeschi, egli non adduce nessun documento come fonte per la suddetta affermazione, nemmeno una dichiarazione testimoniale.

Il passo sopra citato è uno dei primi chiari esempi di una tattica, di cui Hilberg si servirà spesso nel secondo volume: egli inserisce affermazioni non documentate (o basate solo su discutibili dichiarazioni testimoniali) riguardo stermini di Ebrei in affermazioni limpidamente documentate su persecuzioni di Ebrei o deportazioni di Ebrei e spera che il lettore non si accorga di questo trucco. Nel caso summenzionato la mancanza di logica della sua asserzione la si può toccare con mano, specialmente se la si considera nel suo contesto. Hilberg descrive dettagliatamente alle pagine 215-225 [ed. ted.] quali difficoltà logistiche e organizzative portasse con sé l’espulsione improvvisata di masse di ebrei tedeschi nei territori polacchi occidentali annessi al Reich nel 1939 come pure nel governatorato, e quanto furiosamente i responsabili nazionalsocialisti locali resistessero contro questi spostamenti. Ad esempio, Werner Ventzki, borgomastro della città di Lódz il cui nome fu cambiato in Litzmannstadt, si oppose assai energicamente al piano ben esaminato del capo delle SS Heinrich Himmler del settembre 1941 di deportare 20.000 ebrei e 5.000 zingari nel ghetto di Lódz, da dove nell’anno seguente dovevano essere ulteriormente trasportati verso Oriente. Ventzki metteva in evidenza che la densità di occupazione nel ghetto, già comunque sovraffollato in modo eccessivo, sarebbe stata elevata di 7 uomini per spazio con l’arrivo di queste 25.000 persone; che i nuovi arrivati dovrebbero venir sistemati in fabbriche, cosa che avrebbe avuto per conseguenza un’interruzione della produzione; che sarebbe cresciuta la fame e si sarebbe giunti inevitabilmente allo scoppio di epidemie (p. 222 s.) [ed. ted.]. L’azione di spostamento ebbe ciononostante luogo.

Se, come sostiene Hilberg, lo scopo delle deportazioni «non aveva più come obiettivo finale l’emigrazione degli Ebrei, ma il loro sterminio», perde ogni significato la politica nazionalsocialista di spostamento degli ebrei verso Oriente a fronte del completamento dei “campi della morte”. Secondo il libro di Hilberg i primi due “campi della morte”, Chelmo e Belzec furono messi in funzione nel dicembre 1941 e rispettivamente nel marzo 1942 (p. 956) [ed. ted.]. Perché mai allora a decorrere dall’ottobre 1941 i tedeschi spedirono in massa gli ebrei nei ghetti che servivano come stazione di attesa fino alla messa in funzione dei “campi della morte” anziché aspettare con le deportazioni ancora un po’ da due a quattro mesi e risparmiarsi tutti i fastidi organizzativi e il caos nei ghetti? A domande ovvie di questo genere Hilberg non offre nessuna risposta.

Il primo volume della Distruzione degli Ebrei d’Europa tutto sommato espone una documentazione assai ben ricercata sul destino degli ebrei nel Terzo Reich dal 1933 al 1941. Sull'interpretazione dei fatti si può essere di diverso avviso – ci interessano in questo contesto solo i fatti stessi, e ci asteniamo, in contrasto con Hilberg, da ogni filosofare. È arbitraria in Hilberg la classificazione come “politica di sterminio” dei provvedimenti antiebraici discriminatori adottati dal governo nazista durante questo periodo – con una simile politica essi non avevano nulla a che fare.

NOTE

(7) Per ridurre il numero delle note, diamo sempre di nuovo, quando citiamo Hilberg, il numero delle pagine fra parentesi in aggiunta alla citazione corrispondente. [Le citazioni sono sono qui sostituite dalla corrispondente traduzione italiana in un solo grosso e costoso volume rilegato di Frediano Sessi e Giuliana Guastalla: Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa. Nuova edizione riveduta e ampliata, Torino, Einaudi, 1995. Le pagine si riferiscono a questa edizione italiana. Della stessa edizione appena citata è stata fatta una ristampa anastatica economica in due volumi nella collana “Einaudi tascabili. Storia, n° 602”. La numerazione delle pagine è identica e le citazioni qui fatte corrispondono perfettamente a seconda che si usi l’una o l’altra edizione. N.d.T.]. Torna al testo.

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