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Gentile signor Stefano Gatti,
nella speranza che Lei concordi nuovamente sulla necessaria diffusione in ogni sede mediatica delle mie considerazioni, ardisco far seguito alla mia del 29 luglio.
Questa volta però, vista l'assenza di una Sua risposta, ho deciso di risparmiare busta, carta e francobolli per le destinazioni postali a Milano e Roma. Non me ne voglia se la somma risparmiata servirà ad acquistare altre pubblicazioni e volumi. Del resto, assicuro, si tratterà sempre di documentazione su di Lei e i suoi congeneri.
Per quanto a noi goyim, ed a me in particolare, ripugni perdere tempo in questioni inessenziali, ritengo pur sempre corretto aderire alla massima «chiedere è lecito, rispondere è cortesia». Ovviamente, quando si tratti di rispondere a quesiti gentilmente formulati, senza intenti polemici né volontà di aprire, ad esempio con Lei, una diatriba intellettuale.
Non entro quindi nel merito del problema Siria, sul quale abbiamo probabilmente visioni discordanti, e neppure tratterei della legittimità dello Stato degli Ebrei o dell'annosa questione «nazismo/neonazismo». Per la quale ultima mi sono già dilungato, sperando comunque di avere chiarito, con Sua soddisfazione, un problema culturale che forse tuttora La affligge.
Da informazioni raccolte, ho saputo che Lei sarebbe il responsabile di tale «Osservatorio sul pregiudizio antiebraico». Mi sarei maggiormente compiaciuto se la dizione fosse stata «Osservatorio sul giudizio antiebraico». Non ritenga che gli avversari dei Suoi congeneri siano sempre affetti da pre-giudizi, irrazionali e non documentati! Talora – certo raramente o forse mai secondo Lei – potrebbe trattarsi di post-giudizi. Giudizi cioè a posteriori, razionali e documentati. Ma non voglio sottrarLe ulteriore tempo per la Sua prestigiosa professione di Osservatore. Entro in argomento.
Al punto 5 della mia lettera Le avevo chiesto su quale mia nefandezza Lei basasse l'aggettivo «famigerato», usato per definire la mia persona. Non mi ha risposto. Taluno mi ha suggerito che il motivo poteva essere il mio radicale rifiuto dell'impostazione mentale dei Suoi congeneri. Talaltro, la mia ripugnanza per il Santo-che-benedetto-sia. Talaltro ancora, rifacendosi a più concrete analisi politiche, la mia irriducibile avversione ad essere preso per i fondelli.
Boh! Penso che, in mancanza di una Sua risposta, dovrò rassegnarmi a restare nell'ignoranza. Certo, non mi affiderò alla Giustizia Democratica né la inviterò coi padrini ad un appuntamento dietro il convento dei Carmelitani. Anche se «la giustizia deve essere di questo mondo». Anche se per l'Altro Mondo ho fatto mio il «Let din welet dayan» del sublime Acher (non per Lei, ma per i goyim traduco: «Non c'è giudizio né Giudice»). Invero, lascio ai Suoi congeneri deboli di mente la questione «retribuzione nel Mondo Avvenire». Deboli di mente, chiarisco, qualora ci credano davvero. Forti invece di mente, fortissimi e ammirevoli, qualora di tale superstizione abbiano impregnato, quale arma letale, la mente dei goyim. Abbia pazienza, ormai mi conosce, mi cito:
Per il goy Kevin MacDonald, docente di Psicologia alla California State University, il giudaismo, al di là di tutte le tattiche che lo razionalizzano quale religione, altro non è che «una strategia evoluzionistica ecologicamente specializzata [...] sostanzialmente centrata sulla difesa del gruppo», massimo tra i paradigmi di etnocentrismo e competizione per il successo economico-riproduttivo, «una strategia di gruppo altruistica, nella quale gli interessi dei singoli sono subordinati a quelli del gruppo»: «"Ciò che importa davvero nella religione ebraica non è l'immortalità del singolo ebreo, ma quella del popolo ebraico [...] Il futuro della nazione, e non quello dei singoli, resta l'obiettivo decisivo" [S.W. Baron, A Social and Religious History of the Jews, I e II, edito nel 1952 da The Jewish Publication Society of America]». Una strategia che ha portato nei millenni, con la voluta separazione degli ebrei dal resto dell'umanità, ad una sorta di «pseudospeciazione»: «Per coloro che si dispersero in civiltà estranee, anche dopo generazioni, "il giudaismo fu in realtà non tanto la religione della madrepatria quanto la religione della razza ebraica; fu una religione nazionale non in senso politico, ma in senso genealogico" [G.F. Moore, Judaism in the First Centuries of the Christian Era: The Age of the Tannaim, I, Harvard University Press, 1927]. Di conseguenza, convertirsi "non significò entrare in una comunità religiosa, ma venire naturalizzati nella nazione ebraica, e cioè – dal momento che l'idea di nazionalità era razziale più che politica – essere adottati dalla razza ebraica"» (in MacDonald I), ribadendo che «possiamo concepire il giudaismo soprattutto come un'invenzione culturale, mantenuta in vita dai controlli sociali che operano per strutturare il comportamento dei membri del gruppo e caratterizzata da un'ideologia religiosa che razionalizza all'interno del gruppo il comportamento sia nei confronti dei membri del gruppo sia nei confronti degli estranei [that rationalizes ingroup behavior both to ingroup members and to outsiders]» (in MacDonald II).
BIBLIOGRAFIA:
MacDonald K. (I), A People that Shall Dwell Alone - Judaism as a Group Evolutionary Strategy, Praeger, 1994
MacDonald K. (II), Separation and Its Discontents - Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Praeger, 1998
MacDonald K. (III), The Culture of Critique - An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Praeger, 1998
MacDonald K. (IV), An American Professor to Responds to a "Jewish Activist" - Dr. MacDonald's Testimony in the Irving-Lipstadt Trial, «Journal of Historical Review» n.1/2000
MacDonald K. (V), prefazione alla nuova edizione di The Culture of Critique, 1stbooks Library (in proprio), 2002, in csulb.edu/~kmacd/books-Preface.html
MacDonald K. (VI), Judaismus als evolutionäre Strategie im Wettstreit mit Nichtjuden, «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» n.4/ 2006.
La mia seconda domanda – priva di malizia come la prima – era tesa a sapere se Lei fosse «figlio degli autori del volume, tosto mandato al macero, Il quinto scenario, edito nel 1994 da Rizzoli, nel quale si avanza la tesi che ad abbattere l'aereo passeggeri su Ustica furono due caccia israeliani». In caso affermativo La avrei pregata di indirizzare i miei complimenti e il mio rammarico agli autori. I complimenti, per l'acutezza investigativa e l'indipendenza intellettuale mostrata nel trattare un tema tanto esplosivo. Il rammarico, perché il volume è stato distrutto dall'editore e mai più ristampato. Un rogo di libri, Lei m'intende! Dopo le querimonie di Avi Pazner, ambasciatore dello Stato degli Ebrei.
Infine, mi accorgo di essere incorso, nella precedente lettera aperta, in due inesattezze (ma anch'Ella, del resto, a parte i rilievi già da me formulati, ha definito «lungo discorso» la mia esposizione di soli tredici minuti... vedrà nelle prossime conferenze!).
La prima: ho traslato l'anno goyish 2012 nell'ebraico 5769, mentre chiunque sa che l'anno corretto è il 5772. Il 5772° anno dalla Creazione del Mondo.
La seconda: ho definito «avvocatessa» Donatella Di Cesare, per quanto la quarta di copertina specificasse che è «professore ordinario di Filosofia teoretica». Chiedo scusa per il mio blocco mentale. Invero, dopo avere letto l'opuscoletto liberticida Se Auschwitz è nulla - Contro il negazionismo, mi ero inconsciamente convinto che nessun docente di filosofia avrebbe potuto assemblare una tale accozzaglia di sofismi e spacciarli per ragionamenti. Forse, ma non ne sono sicuro, nemmeno un azzeccagarbugli. E chiedo scusa agli azzeccagarbugli.
Non avevo dubbi pubblicando la Prima lettera di Giannantoni Valli a Stefano Gatti, che questo non avrebbe mai risposto. E credo che neppure Valli se lo aspettasse. La Lettera era tuttavia opportuna e la mancata risposta testimonia della mala fede di questi signori, che si comportano assai male da molteplici punti di vista, che cercherò di illustrare sommariamente. Intanto, questi Signori hanno un padrone di riferimento, che è l’odierno “stato” di Israele, che poggia sui seguenti principali pilastri: 1°) occupazione della Palestina, da sempre abitata dai suoi legittimi abitanti, cioè gli attuali palestinesi che vivono attualmente o in regime di apartheid, o come profughi del 1948 e successive ondate, o come internati nel Lager di Gaza; 2°) colonizzazione dei territori occupati, sia quelli del 1948 sia quelli del 1967, occupazione illegale quest’ultima, anche per la vigente normativa internazionale; 3°) la “pulizia etnica” della Palestina, che introduce una caratteristica nuova ed aggiuntiva, ben più grave, ai precedenti storici di altre forme di “occupazione”, “colonizzazione” ed “apartheid”, che in “Israele” esiste, ma in forma assai più grave di quella esistita nel Sud Africa o negli Usa, perché unita alle finalità premeditate ed attuate di “pulizia etnica”; 4°) un pilastro aggiuntivo, non meno importante, è il controllo capillare dei media dei paesi occidentali, al cui interno si colloca l’attività del Signor Gatti. Al controllo dei media occorre aggiungere la corruzione dei politici, che nel caso degli Usa, attraverso l’attività pubblica dell’AIPAC e altre associazioni, è visibile alla luce del sole. Da noi, avendo diversa tradizione giuridica, il fenomeno non è meno corposo, ma meno evidente. Basti pensare che il CDEC, a quanto è dato leggere in rete, ha avuto un corposo finanziamento pubblico su iniziativa di soggetti cui in Italia fa capo il B’naï Brith. E a quanto leggo il signor Gatti è l’estensore di una Rubrica sul “Pregiudizio antiebraico”, consistente in raccolte di articoli sulla stampa, redatti a loro volta da personaggi dello stesso giro. Ho già osservato in altra occasione come sarebbe il caso di concentrare l’attenzione sul pregiudizio “ebraico”, ben più consistente di quello (presunto) anti-ebraico. Ma non esiste un finanziamento pubblico per questo genere di ricerche, che il dott. Valli ha invece condotto per suo conto producendo una documentazione impressionante.
Dunque, questi Signori mai e poi mai risponderanno in primo luogo perché consapevoli della loro malafede, ma anche in virtù di un loro pregiudizio “razzista”. Infatti, se ci si imbatte in costoro si riscontra spesso, quasi fosse una parola d’ordine, una direttiva ricevuta da organi centrali, in argomentazioni del tipo: “io non parlo con uno che...”. Se la digressione non mi portasse ora lontano, avrei avuto da raccontare risvolti assai comici che rinvio ad altra occasione. Anche nella cosiddetta Indagine parlamentare della Signora Nirenstein sul presunto “antisemitismo”, una “indagine” che disonora il Parlamento italiano e ben mostra quanto sia caduto in basso, era stato detto da un parlamentare non troppo asservito alla Lobby che in una indagine conoscitiva avrebbero dovuto essere ascoltati anche i soggetti ai cui danni ed alle cui spalle veniva condotta una siffatta indagine, ossia gli storici “revisionisti” bollati diffamatoriamente e aprioristicamente come “negazionisti”. Ma avendo ben chiara la sporca operazione in atto, da soggetti NON parlamentari è stata data l’indicazione, anzi l’ordine, che NON si dovesse concedere l’«onore» di ascoltare e far parlare quelle persone contro le quali si vogliono imbastire leggi penali, per sanzionare niente altro altro che il loro diritto costituzionale alla libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento.
Qui una parentesi va aperta per spiegare l’ipocrisia con la quale questi Signori intendono aggirare non solo chiaro dettato costituzionale ma anche tutte le dichiarazioni universali dei “diritti dell’uomo” – ahime! quanti crimini vengono commessi con la scusa dei “diritti dell’uomo”, una “ingerenza umanitaria” che produce morti ammazzati e per fame a milioni –. Come ragionano questi Ipocriti del terzo millennio? Certo, dicono, la libertà di pensiero è sacra ed intoccabile. Ma siccome a “negare” fatti remoti che sono noti solamente per nostra statuizione, e che devono dunque essere presunti “de iure” e “de facto” veri ed indiscutibili, i reietti “negazionisti” (le streghe della nostra epoca) non fanno altro che ledere la “dignità” dei morti che ogni anno diventano sempre più morti, per il maggior decorso del tempo della loro dipartita, noi non facciamo altro che punire e reprimere la lesione della “dignità dei morti”, sacrificando ai morti “la dignità dei vivi”. Con questo artificio da miserabili azzeccagarbugli si persegue lo scopo politico di mettere a tacere qualsiasi critica verso lo stato di Israele, che si avvale di un esercito di “sayanim” – leggasi Atzmon ed altri –, cui appunto si deve la produzione di siffatte leggi e l’attività mediatica che le accompagna.
Va ancora notata una particolare incoerenza, di cui si è trovato vittima proprio Ilan Pappe, storico della “Pulizia etnica della Palestina”, ma anche figlio di un “ebreo”, al quale nella Germania degli anno Trenta era stata negata la libertà di parola. Orbene, nella Germania di inizio Terzo Millennio si verifica la stessa cosa per il figlio, che a Monaco in una sala del comune non ha potuto parlare per l’opposizione degli “ebrei” della locale comunità. La cosa si è saputa e Pappe ha scritto al riguardo una Lettera aperta che noi in questo blog abbiamo tradotto e pubblicata. È da dire che anche a Roma a Pappe è stata negata la libertà di parola in una sede pubblica, ma qui i retroscena non sono così documentabili e scoperti come in Monaco di Baviera. Tuttavia, la verità è facilmente intuibile. Un altro esempio collegato è ancora più recente. Qualche anno fa avrebbe dovuto tenersi a Roma nel Palazzo di Giustizia un convegno (con relatori venuti dalla Germania) sulla spinosa questione della “libertà di pensiero”, ma poteri occulti hanno fatto negare la sala, prima concessa, all’ultimo momento. E fin qui lo scandalo è ridotto. Senonché nella stessa sede non è stata invece negata la sala a chi si sta facendo promotore per mettere il bavaglio ad ogni non gradita libertà di pensiero, aggirando perfino la volontà del parlamento e la sovranità del popolo italiano. Questi Signori vorrebbero una applicazione automatica e regolamentare del Trattato di Lisbona, rendendo del tutto impotente il Parlamento italiano che - ministro Mastella – aveva dovuto tener conto della alzati di scudi della corporazione (pur non gloriosa) degli storici italiani, che in questo modo avrebbero visto il loro mestiere ridotto al rango di giornalisti embedded dei fatti storici del passato remoto. La legge non passo e vi fu soltanto un rincrudimento della infame legge Mancino, la cui “storia” sociologica e politica andrebbe utilmente ricostruita.
Concludo rilevando l’incoerenza morale della discriminazione, che gli “eredi” sedicenti e presunti delle Vittime per antonomasia praticano oggi verso quanti hanno la sola colpa di non accettare perinde ac cadaver le loro argomentazioni e le loro ricostruzione storiche del passato nonché il loro catalogo dei diritti. Come il dottor Valli, di nulla i nuovi paria sono responsabili che di far esercizio del loro libero pensiero. Poiché si è parlato di “dignità dei morti”, che questi Signori pretendono di tutelare mandando in carcere degli innocenti, è il caso di rilevare con Norman G. Finkelstein che proprio dei morti – che dovrebbero essere lasciati riposare in pace – sono loro ad abusare. Quei morti non potranno mai aver pace finché del loro nome e della loro memoria si continuare ad abusare per trarre vantaggi materiali e per far soffrire ingiustamente innocenti e uomini amanti della pace e della giustizia nonchè della verità. Stando così le cose, non dico ingenuo, ma è tecnicamente impossibile che uno Stefano Gatti abbia a rispondere a chi decostruisce e svela le sue menzogne e la sua attività denigratoria, non potendo tecnicamente dire “diffamatoria”, giacché l’uso di questo termine è una prerogativa giudiziara, ahimé di una Giustizia che si troverà ingabbiata ove la Lobby anche in Italia riuscisse a far passare le “sue” leggi a detrimento delle libertà del popolo italiano, che dovrebbe essere per lo meno sovrano in casa sua, infestata da sayanim che altro non vogliono che la sua rovina.
Antonio Caracciolo
* * *
Seconda lettera del dottor Gianantonio Valli
al signor Stefano Gatti
Gentile signor Stefano Gatti,
G. Valli in Milano 14 luglio 2012 |
Questa volta però, vista l'assenza di una Sua risposta, ho deciso di risparmiare busta, carta e francobolli per le destinazioni postali a Milano e Roma. Non me ne voglia se la somma risparmiata servirà ad acquistare altre pubblicazioni e volumi. Del resto, assicuro, si tratterà sempre di documentazione su di Lei e i suoi congeneri.
Per quanto a noi goyim, ed a me in particolare, ripugni perdere tempo in questioni inessenziali, ritengo pur sempre corretto aderire alla massima «chiedere è lecito, rispondere è cortesia». Ovviamente, quando si tratti di rispondere a quesiti gentilmente formulati, senza intenti polemici né volontà di aprire, ad esempio con Lei, una diatriba intellettuale.
Non entro quindi nel merito del problema Siria, sul quale abbiamo probabilmente visioni discordanti, e neppure tratterei della legittimità dello Stato degli Ebrei o dell'annosa questione «nazismo/neonazismo». Per la quale ultima mi sono già dilungato, sperando comunque di avere chiarito, con Sua soddisfazione, un problema culturale che forse tuttora La affligge.
Da informazioni raccolte, ho saputo che Lei sarebbe il responsabile di tale «Osservatorio sul pregiudizio antiebraico». Mi sarei maggiormente compiaciuto se la dizione fosse stata «Osservatorio sul giudizio antiebraico». Non ritenga che gli avversari dei Suoi congeneri siano sempre affetti da pre-giudizi, irrazionali e non documentati! Talora – certo raramente o forse mai secondo Lei – potrebbe trattarsi di post-giudizi. Giudizi cioè a posteriori, razionali e documentati. Ma non voglio sottrarLe ulteriore tempo per la Sua prestigiosa professione di Osservatore. Entro in argomento.
Al punto 5 della mia lettera Le avevo chiesto su quale mia nefandezza Lei basasse l'aggettivo «famigerato», usato per definire la mia persona. Non mi ha risposto. Taluno mi ha suggerito che il motivo poteva essere il mio radicale rifiuto dell'impostazione mentale dei Suoi congeneri. Talaltro, la mia ripugnanza per il Santo-che-benedetto-sia. Talaltro ancora, rifacendosi a più concrete analisi politiche, la mia irriducibile avversione ad essere preso per i fondelli.
Boh! Penso che, in mancanza di una Sua risposta, dovrò rassegnarmi a restare nell'ignoranza. Certo, non mi affiderò alla Giustizia Democratica né la inviterò coi padrini ad un appuntamento dietro il convento dei Carmelitani. Anche se «la giustizia deve essere di questo mondo». Anche se per l'Altro Mondo ho fatto mio il «Let din welet dayan» del sublime Acher (non per Lei, ma per i goyim traduco: «Non c'è giudizio né Giudice»). Invero, lascio ai Suoi congeneri deboli di mente la questione «retribuzione nel Mondo Avvenire». Deboli di mente, chiarisco, qualora ci credano davvero. Forti invece di mente, fortissimi e ammirevoli, qualora di tale superstizione abbiano impregnato, quale arma letale, la mente dei goyim. Abbia pazienza, ormai mi conosce, mi cito:
Per il goy Kevin MacDonald, docente di Psicologia alla California State University, il giudaismo, al di là di tutte le tattiche che lo razionalizzano quale religione, altro non è che «una strategia evoluzionistica ecologicamente specializzata [...] sostanzialmente centrata sulla difesa del gruppo», massimo tra i paradigmi di etnocentrismo e competizione per il successo economico-riproduttivo, «una strategia di gruppo altruistica, nella quale gli interessi dei singoli sono subordinati a quelli del gruppo»: «"Ciò che importa davvero nella religione ebraica non è l'immortalità del singolo ebreo, ma quella del popolo ebraico [...] Il futuro della nazione, e non quello dei singoli, resta l'obiettivo decisivo" [S.W. Baron, A Social and Religious History of the Jews, I e II, edito nel 1952 da The Jewish Publication Society of America]». Una strategia che ha portato nei millenni, con la voluta separazione degli ebrei dal resto dell'umanità, ad una sorta di «pseudospeciazione»: «Per coloro che si dispersero in civiltà estranee, anche dopo generazioni, "il giudaismo fu in realtà non tanto la religione della madrepatria quanto la religione della razza ebraica; fu una religione nazionale non in senso politico, ma in senso genealogico" [G.F. Moore, Judaism in the First Centuries of the Christian Era: The Age of the Tannaim, I, Harvard University Press, 1927]. Di conseguenza, convertirsi "non significò entrare in una comunità religiosa, ma venire naturalizzati nella nazione ebraica, e cioè – dal momento che l'idea di nazionalità era razziale più che politica – essere adottati dalla razza ebraica"» (in MacDonald I), ribadendo che «possiamo concepire il giudaismo soprattutto come un'invenzione culturale, mantenuta in vita dai controlli sociali che operano per strutturare il comportamento dei membri del gruppo e caratterizzata da un'ideologia religiosa che razionalizza all'interno del gruppo il comportamento sia nei confronti dei membri del gruppo sia nei confronti degli estranei [that rationalizes ingroup behavior both to ingroup members and to outsiders]» (in MacDonald II).
BIBLIOGRAFIA:
MacDonald K. (I), A People that Shall Dwell Alone - Judaism as a Group Evolutionary Strategy, Praeger, 1994
MacDonald K. (II), Separation and Its Discontents - Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Praeger, 1998
MacDonald K. (III), The Culture of Critique - An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Praeger, 1998
MacDonald K. (IV), An American Professor to Responds to a "Jewish Activist" - Dr. MacDonald's Testimony in the Irving-Lipstadt Trial, «Journal of Historical Review» n.1/2000
MacDonald K. (V), prefazione alla nuova edizione di The Culture of Critique, 1stbooks Library (in proprio), 2002, in csulb.edu/~kmacd/books-Preface.html
MacDonald K. (VI), Judaismus als evolutionäre Strategie im Wettstreit mit Nichtjuden, «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» n.4/ 2006.
La mia seconda domanda – priva di malizia come la prima – era tesa a sapere se Lei fosse «figlio degli autori del volume, tosto mandato al macero, Il quinto scenario, edito nel 1994 da Rizzoli, nel quale si avanza la tesi che ad abbattere l'aereo passeggeri su Ustica furono due caccia israeliani». In caso affermativo La avrei pregata di indirizzare i miei complimenti e il mio rammarico agli autori. I complimenti, per l'acutezza investigativa e l'indipendenza intellettuale mostrata nel trattare un tema tanto esplosivo. Il rammarico, perché il volume è stato distrutto dall'editore e mai più ristampato. Un rogo di libri, Lei m'intende! Dopo le querimonie di Avi Pazner, ambasciatore dello Stato degli Ebrei.
Infine, mi accorgo di essere incorso, nella precedente lettera aperta, in due inesattezze (ma anch'Ella, del resto, a parte i rilievi già da me formulati, ha definito «lungo discorso» la mia esposizione di soli tredici minuti... vedrà nelle prossime conferenze!).
La prima: ho traslato l'anno goyish 2012 nell'ebraico 5769, mentre chiunque sa che l'anno corretto è il 5772. Il 5772° anno dalla Creazione del Mondo.
La seconda: ho definito «avvocatessa» Donatella Di Cesare, per quanto la quarta di copertina specificasse che è «professore ordinario di Filosofia teoretica». Chiedo scusa per il mio blocco mentale. Invero, dopo avere letto l'opuscoletto liberticida Se Auschwitz è nulla - Contro il negazionismo, mi ero inconsciamente convinto che nessun docente di filosofia avrebbe potuto assemblare una tale accozzaglia di sofismi e spacciarli per ragionamenti. Forse, ma non ne sono sicuro, nemmeno un azzeccagarbugli. E chiedo scusa agli azzeccagarbugli.
Con osservanza
Cuveglio, 13 agosto 2012
1 commento:
http://www.kevinmacdonald.net/translations.htm#Italiano
Si tratta solo di una brutta copia, ma è meglio di niente.
Cordiali Saluti.
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