sabato 29 agosto 2009

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 17. Abu Shusha, non lontano dai luoghi dove il bastione del socialismo sionista aveva i suoi kibbutz.

Homepage
Precedente/Seguente
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.

La sorte degli oltre 700.000 palestinesi espulsi dai loro villaggi e dalle loro case è comune, ma a suo modo ogni singola espulsione – senza diritto al ritorno – è unica. Di tutto è stato fatto dagli occupanti sionisti per cancellare il ricordo delle loro malefatte: dalla denigrazione delle vittime alla cancellazione delle loro tracce, fino a proibirne con legge ed accorgimenti vari ogni rievocazione della memoria offesa.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.

Sommario: 1. Espulsione e distruzione delle case. – 2. Operazione “spara e piangi”. –

1. Espulsione e distruzione delle case. – Ecco come Pappe accenna appena alla distruzione del piccolo villaggio di Abu Shusha, al quale toccò una sorte non dissimile da quella degli altri villaggi. Per capire le dimensioni di una comunità si consideri che oggi il comune di Mongiana, in Calabria, conta meno di 1000 abitanti e moltissimi comuni in Italia hanno e conservano una loro identità, alla quale sono fieramente attaccati, con sole poche centinaia di abitanti.
L’attacco di Al-Qawqji al kibbutz Mishmar Ha-Emek del 4 aprile fu la risposta diretta all’espulsione di massa da parte degli ebrei che era cominciata intorno al 15 marzo. I primi villaggi ad andarsene quel giorno stesso furono Ghubayya al-Tahta e Ghubayya al-Fawka, con più di 1000 abitanti ciascuno. Più tardi, quello stesso giorno, toccò al villaggio più piccolo di Khirbat al-Ras. Anche qui l’occupazione era accompagnata dalle caratteristiche ormai familiari della pulizia etnica: l’espulsione degli abitanti e la distruzione delle loro case. Dopo l’incidente di Mishmar Ha-Emek fu la volta di villaggi ancora più grandi: Abu Shusha, Kafrayn, Abu Zurayk, Mansi e Naghnaghiyya (pronunciato Narnariya): le strade a est di Jenin presto si riempirono di migliaia di palestinesi che i soldati ebrei avevano espulso e buttato sulla strada, non lontano dai luoghi dove il bastione del socialismo sionista aveva i suoi kibbutz. Il villaggio più piccolo, Wadi Ara, di 250 abitanti, fu l’ultimo a essere cancellato, in aprile48.

I. PAPPE, op. cit., p. 137.
Note:
48. Quasi tutte le espulsioni e le distruzioni dei villaggi furono descritte nel «New York Times», che è la nostra fonte principale. insieme con All That Remains; benny Morris, The Birth of the Palestinian refugee Problem; e Ben-Zion Dinur e al., The History of Hagana.
Al-Qawqji era un resistente arabo che aveva fatto il possibile per limitare la conquista ebraica, sferrando qualche attacco che provocò vittime, cui fece seguito l’immancabile ritorsione già messa in conto secondo un logica “funzionalista”.

2. Operazione “spara e piangi”. – Un modo proverbiale per indicare l’insincerità di un pentimento o di un rimorso morale è l’espressione lacrime di coccodrillo, per indicare le conseguenze del tutto fisiologiche della digestione ovvero la ricerca dell’autoassoluzione della propria passata condotta morale. Ancora oggi è tipica la strategia dell’esercito israeliano nel commettere i peggiori crimini per negarli subito ad ogni contestazioni da parte di fonti non autorizzate ovvero ad esprimere il proprio disappunto e rammarico, quando non è proprio più possibile negare i propri misfatti. È questa la presunta superiore moralità ebraica ovvero sionista. La disstinzione fra ebraismo genericamente inteso e sionismo è quanto mai necessaria: la confusione ed intercambiabilità dei termini è un modo stesso della guerra in atto. Significativamente Ilan Pappe, rispondendo a domanda sul merito della celebre dichiarazione presidenziale, già partorita in ambienti del B’naï B’rith, asseriva che si è antisemiti se non si è antisionisti. È infatti piuttosto difficile per il giudaismo descritto da Rabkin difenersi dai crimini del sionismo, respingendoli da se in quanto totalmente estranei alla cultura religiosa della Torah e suoi derivati. Ma, come è qui necessario, diamo il passo di Pappe, dove troviamo una nuova lista di villaggi distrutti, dei quali singolarmente cercheremo ogni notizia rintracciabile oltre la prima indicazione a noi data da Pappe nel suo volume La pulizia etnica della Palestina, un testo che deve entrare nella nostra coscienza e che deve essere sottratto alla campagna di silenziamento.
Fu nella città di Haifa e nei suoi dintorni che le operazioni di pulizia etnica si intensificarono; il loro passo mortale annunciava l’arrivo della distruzione. Quindici villaggi - alcuni piccoli, cioè con meno di 300 abitanti, alcuni enormi, con circa 5000 - furono eliminati in rapida successione. Abu Shusha, Abu Zurayk, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at, Arab Zahrat al-Dumayri, Balad al-Shaykh, Damun, Khirbat al-Kasayr, Khirbat al-Manshiyya, Rihaniyya, Khirbat al-Sarkas, Khirbat Sa'sa, Wa'rat al-Sarris e Yajur furono tutti cancellati dalla mappa della Palestina all’interno di una zona piena di soldati britannici, emissari dell'ONu e corrispondenti stranieri.

A salvare gli abitanti dei villaggi non bastavano espulsioni e fughe. A molti dettero la caccia gli abitanti marxisti dei kibbutz di Hashomer Ha-Tza’ir, che con rapidità ed efficienza saccheggiavano le loro case prima di farle saltare in aria. Siamo in possesso di documenti di condanna verbale da parte di politici sionisti di quel periodo turbati da queste pratiche, che fornirono ai “nuovi storici” di Israele il materiale sulle atrocità che questi non avevano scoperto in altre fonti d’archivi053. Oggi, tali documenti di denuncia suonano come un tentativo da parte di politici e soldati ebrei “sensibili” di assolvere la propria coscienza. Essi fanno parte di un ethos israeliano che è ben descritto dalla formula “spara e piangi”, il titolo di una raccolta di espressioni presumibilmente di rimorso morale usate dai soldati israeliani che avevano partecipato a un’operazione di pulizia etnica, su scala ridotta, nella guerra del giugno del 1967 . Questi soldati e ufficiali con problemi di coscienza furono poi invitati dal popolare scrittore israeliano Amos Oz e dai suoi amici a compiere un “rito di assoluzione” nella Casa Rossa prima che venisse demolita.
Nel 1948, tre anni dopo l'Olocausto, rimostranze simili servivano ad alleviare la coscienza turbata dei soldati ebrei coinvolti nelle atrocità e nei crimini di guerra contro una popolazione civile in larga misura indifesa.

Una tattica per affrontare le implicazioni morali del Piano D era quella di urlare forte mentre uccidevano o espellevano gente innocente. Un altro metodo era quello di disumanizzare i palestinesi che, come aveva promesso l’Agenzia ebraica all’ONU, dovevano diventare a pieno diritto cittadini dello Stato d’Israele. Invece furono espulsi, messi in campi di prigionia o uccisi: «Il nostro esercito avanza e conquista i villaggi arabi e i loro abitan ti fuggono come topi», scrisse Yossef Weitz54.
Ilan Pappe,
La pulizia etnica cit., 139-40

Note:
53. Questo fornisce le fonti principali per Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem Revisited.
54. Yossef Weitz, My Diary, vol. 3, 21 aprile 1948.
Saremmo in errore se pensassimo che la partita è ormai chiusa ed anche noi, che certamente non abbiamo sparato a nessuno, non possiamo fare altro che piangere. In realtà, la guerra sionista per la pulizia etnica della Palestina iniziata nel 1948 e mai cessata, si combatte ancora oggi nella nostra testa ogni volta che i media o gli agenti sionisti, attivi anche in internet, pretendono di presentarci e farci digerire una realtà e verità diversa da quella che risulta da una disamina oggettiva dei dati storici disponibili. Non abbiamo nessuna pretesa di superità morale nei confronti di nessuno, ma la nostra coscienza non si lascia irretire in quella complicità morale della comunità internazionale che è necessaria ad una genia di banditi per acquisire legittimità agli occhi del mondo e di governi spesso corrotti e non esenti essi stessi da crimini. Noi possiamo vincere questo genere di guerra, smascherando i lestofanti e gli impostori, e mettendoli di fronte alle loro responsabilità morali, per le quali nessuna legge della memoria ovvero della menzogna può pretendere la nostra acquiescenza e correità.

Nessun commento: