Qualche lettore
ricorderà che nei primi tempi della guerra in Ucraina notavo che la clausewitziana
“nebbia della guerra” era particolarmente densa e fuorviante perché alimentata a
piene mani da una comunicazione tutt’altro che imparziale, informata ed
esperta: con risultati spesso sconcertanti, a cominciare dal piano logico.
In occasione
della controffensiva ucraina si è raggiunto un apice della (cattiva)
informazione. Vediamo perché:
a) in primo
luogo della controffensiva sappiamo tutto leggendo il giornale o guardando la
televisione: luogo (Dombass); entità delle forze ucraine (8 brigate in
addestramento); tempo (imminente – ma rimandato già più volte nella sua imminenza perdurante); esiti politici
(la caduta di Putin) e così via, vagamente
precisando.
Ora la nebbia clausewitziana
è frutto sia della natura della guerra che delle misure dei comandanti, tutte
volte a non far capire al nemico i propri piani e obiettivi. Perché, a conoscerli,
è facile prendere le contromisure. Non occorre aver fatto la scuola di guerra:
basta ricordare l’Aida, quando Amonasro cerca di carpire, tramite la figlia, i
piani di Radames. Nella storia militare vi sono poi dei casi clamorosi di
“depistaggio” fornendo false (ma credibili) informazioni. Uno dei quali - così
noto che ci è stato realizzato un film – consistente nel confondere i tedeschi sul luogo dove sarebbe avvenuto lo
sbarco degli alleati nel 1944. I servizi inglesi lo prepararono così
accuratamente da trarre in inganno – anche a sbarco avvenuto in Normandia –
Hitler, convinto che ce ne sarebbe stato un secondo a Calais.
La conseguenza
logica non è solo che se uno dei contendenti ti dice che attaccherà a Charkiv
invece che a Kiev, sicuramente non attaccherà Charkiv, probabilmente neppure
Kiev, ma da un’altra parte, dove meno è atteso; ma anche che le informazioni
più credibili sono quelle che non sono diffuse. I (falsi) piani dello sbarco in
Francia furono messi dagli 007 inglesi sul cadavere di un ufficiale britannico
fatto ritrovare agli spagnoli (e quindi dai tedeschi), e non pubblicati sul Times; se li avesse letti sul giornale,
Hitler avrebbe creduto ad un espediente dell’Intelligence Service.
C’è da chiedersi
per quale ragione la comunicazione mainstream
è così lontana da una rappresentazione credibile (e coerente) della situazione.
Perché se le notizie fuorvianti sono fornite - come in gran parte sono – dagli
uffici dei belligeranti (e dei loro alleati) sarebbe il caso di citarne la
fonte (almeno) e, in certi casi di scrivere due righe di commento. Cosa che
qualche rara volta avviene, ma quasi sempre no. Escluso che tali mezzi possano
trarre in inganno il nemico, per la loro disarmante ingenuità, occorre
individuare altri obiettivi. Un analista attento come Pietro Baroni definisce
la “guerra psicologica” come “L’insieme delle operazioni, delle azioni, delle
iniziative tendenti a conseguire l’obiettivo di assumere e mantenere il
controllo di grandi strati di masse e di pilotarne le opinioni, i giudizi e le
conseguenti manifestazioni, agendo sulla ricettività istintiva, sull’emotività
e sul processo formativo delle valutazioni”. Nel caso gli obiettivi non sono
Putin o Zelensky, ma l’opinione pubblica, occidentale soprattutto. Dalla quale
occorre far approvare le misure a favore dell’Ucraina, in modo da attenuare
l’onere dei sacrifici e dei rischi che comportano. A tal fine è necessario
rappresentare la situazione bellica in modo conforme agli scopi da raggiungere.
E il divario tra
ciò che è e ciò che si rappresenta è l’inganno e la simulazione occorrente.
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