Questo è il
secondo titolo della nuova collana “Voltairiana”,
di cui vale la pena trascrivere parte della nota dell’editore sulla ragione
della stessa: “Nel convincimento che ormai anche il nostro Paese ha assunto
connotati marcatamente illiberali in tutti gli ambiti… perdipiù consentendo nel
suo seno l’esistenza e il prosperare di caste intoccabili come magistratura e
sindacato, abbiamo concepito questa nuova collana “Voltairiana” per “offrire
agli italiani, di parole chiave che affollano il discorso pubblico, una lettura
diversa rispetto a quella imposta dal canone semantico ufficiale e unico… Un’operazione di ortopedia
lessicale? Sicuramente. Ma soprattutto di disintossicazione
concettuale”. Con ciò la casa editrice, ed il compianto editore da poco
scomparso Aldo Canovari, proseguono l’opera meritoria di disintossicazione
da banalità ed idola del pensiero
unico.
Anche questo pamphlet evita demonizzazioni a priori;
piuttosto avvalendosi (anche) delle
concezioni di Tönnies e Max Weber, sostiene che di popoli ce ne
sono essenzialmente due: il popolo
sacro, caldo e naturale, e il popolo profano,
freddo e innaturale. Essendo dei tipi
ideali, nel concreto convivono, ma sono “separati in casa”. Ogni popolo
concreto è così, un po’ sacro e un po’ profano, anche se l’uno e l’altro
aspetto possono, nel corso della storia, prevalere. I connotati distintivi dell’uno
e dell’altro idealtipo sono diversi: il primo è monista, organicista, bellicista
e mistico, vive la politica come religione e la religione come politica. Al
contrario “il popolo profano esprime una vocazione al disincanto, alla razionalità,
alla stoica moderazione degli impulsi… Non crede in salvezze, Regni di Dio,
terre promesse. E diffida di chi invoca il popolo in loro nome… Questo popolo ,
insomma, non è un organismo naturale ma
un artefatto più o meno razionale, non è monista ma pluralista, non garantisce
identità ma molteplicità, non ha coesione , ma un certo grado di frammentazione…
soprattutto, non presuppone un fine morale comune, per nobile che suoni: la
grandezza della patria o il riscatto dei lavoratori, la volontà di Dio o il
primato della razza”.
Scrive l’autore
che nel secolo passato l’intermezzo tra le due guerre mondiali, e le guerre
stese costituiscono l’apogeo del “popolo sacro”, diffusosi in quasi tutta Europa.
Il secondo dopoguerra, quello del popolo profano. Di solito il popolo sacro “finisce
imbrigliato nelle maglie del popolo profano, con cui la sua pulsione
totalitaria viene addomesticata da leggi e regole, logorata da polemiche e
sfottò, sfiancata da negoziati e compromessi”. Il popolo sacro ne esce spesso “profanato,
normalizzato, sgonfiato, finché si accasa a malincuore nei freddi regimi
costituzionali”. Il che ricorda assai le considerazioni di Max Weber sulla conversione
dei regimi politici carismatici in pratica quotidiana.
D’altra parte
scrive l’autore “Se nella storia percorsa finora v’è una pallida regolarità,
sta nel fatto che non v’è ondata globalista che non generi una reazione
localista, pulsione cosmopolita che non causi un rinculo nativista, spinta
secolare che non subisca un rigurgito religioso”. Quanto alla situazione odierna
pare che ci sia ripresa del “popolo sacro”.
D’altra parte “popolo
sacro e popolo profano ci sono dagli albori ed è probabile che in forme sempre
mutevoli e sempre nuove miscele ci saranno sempre, in ogni civiltà, in ogni
società e, in fondo, nel cuore e nella mente di ogni individuo”. S’alimentano a
vicenda. Tuttavia nell’epoca moderna è il popolo profano che “vanta più progressi
che tonfi, che s’è allargato più che
ristretto”. E il motivo è che ha desacralizzato
il popolo. “Penso che la desacralizzazione del popolo sia un correlato
chiave del processo di secolarizzazione… Secolarizzazione e desacralizzazione,
secolarizzazione e popolo profano, secolarizzazione e democrazia camminano in parallelo nella storia occidentale. Non è
una legge, ma una tendenza sì”.
Una nota: è vero
che gli idealtipi del popolo ricorrono sempre, e quindi sono compresenti nello
stesso popolo concreto e nella stessa epoca. Tuttavia desacralizzare – anche per
questo – non basta. Anche il popolo profano deve (nel senso che è necessitato)
sacralizzare qualcosa. Se è ad esempio il relativismo, sarà questo il nucleo “sacro”
e non modificabile della Costituzione. Le “tavole dei valori” costituzionali,
scrivono le Corti e i giuristi, sono l’espressione di ciò che è immodificabile pena il passaggio
da una ad un’“altra” costituzione. Questo in estrema sintesi ciò che risulta da
tante decisioni e opinioni. Perfino il PD, la cui concezione pare così vicina
all’idealtipo del popolo profano, in occasione del conflitto russo-ucraino (specialmente)
è partito alla carica contro la Russia,
chiamando alla lotta delle democrazie (sedicenti) liberali contro le
autocrazie. Ma ciò conferma che nelle istituzioni politiche (e nelle comunità
umane, come scriveva Maurice Hauriou, c’è sempre un fond (anche) teologico e un involucro (couche) giuridico. Non è possibile sfuggire al fond come non si può prescindere dalla couche, è una regolarità. Comune ai popoli sacri e a quelli
profani, e alle loro istituzioni.
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