C’è un “nocciolo
duro” che collega il processo di decadenza della classe dirigente della
“Seconda repubblica” e in particolare il PD, confermato dalle ultimi elezioni
regionali, tutte perse dall’opposizione e l’ultima rovinosamente (Fedriga ha riportato più del doppio dei voti
del candidato PD-M5S ed altri): è la perdita
di legittimità delle élite in disfacimento.
L’ironia della
Storia ha fatto sì che, con le ultime elezioni politiche il primo partito e la
Presidente del Consiglio della “Repubblica nata dalla resistenza” siano gli
eredi di coloro che la resistenza l’avevano combattuta e dall’ “arco
costituzionale” erano esclusi. Così che attualmente, contrariamente alle
litanie ripetute da decenni, la volontà popolare ha rifiutato l’armamentario
propagandato – fino a qualche anno fa confortato dal consenso – dal 1945. In un
certo senso ha disconosciuto la paternità.
Questo,
indipendentemente dal fatto che la “tavola dei valori” che ispira la nostra costituzione, da non
identificare con quella propagandata per decenni dalla sinistra (e non solo)
che ne costituisce una versione parziale e ad “usum delphini”, non abbia ancora una sua legittimità, nel senso di
una diffusa condivisione.
Gli è che, come
scriveva Thomas Hobbes, l’essenza del rapporto politico e quindi del
comando-obbedienza, è che chi pretende il comando deve dare protezione
(effettiva). Con la conseguenza che se quella protezione non viene data cessa
anche l’obbligo di obbedire. Questo è asserito dal filosofo di Malmesbury proprio
nell’ultima pagina del Leviathan: di aver
scritto il trattato “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli
uomini la mutua relazione tra protezione
ed obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi
divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.
E nelle pagine
precedenti del Leviathan ci dà un
saggio di ciò che non da protezione e quindi non serve a pretendere obbedienza.
“Casistica” che ha più che qualche carattere di somiglianza con quanto
praticato (anche) dalle élite decadenti, e ancor più con i cattivi risultati
della loro azione di governo. Ad esempio quando Hobbes paragona la Chiesa
cattolica al regno delle fate (e gli ecclesiastici alle fate) anche perché
“Quale specie di moneta abbia corso nel regno delle fate non è detto nella
storia; ma gli ecclesiastici invece
accettano nelle loro riscossioni la moneta, che noi coniamo, benché, quando
debbano fare qualche pagamento, li facciano consistere in canonizzazioni,
indulgenze e messe” e così i chierici non lavorano, ma come le fate, vivono
approfittando del lavoro degli altri, banchettando con la crema del latte munto
dai fedeli (o – per il potere temporale - dai sudditi).
C’è più di un’analogia
con i trasferimenti di ricchezza, da tax-payers
a tax-consommers operati dai governi
delle élite, o ancor più con la predazione diretta (e indiretta) connessa;
senza trascurare che ad ogni salasso si accompagna una enunciazione di buone
intenzioni, e ancor più lo “scambio” di beni con chiacchiere.
Oppure quando
Hobbes mette in guardia dall’insistere nel giustificare l’esercizio del potere
col richiamo al titolo giuridico
(successione, conquista, consuetudine), invece che all’effettività e risultati ottenuti.
O, in senso contrario, col giustificare il proprio potere condannando le
malefatte del regime precedente (invece dei risultati propri).
Il potere
pubblico, assai più che ai tempi di Hobbes, ha giustificato dallo scorcio del XIX
secolo il proprio intervento e così la pubblicizzazione
di attività private (soprattutto nell’economia) con gli effetti in termini di
sicurezza del futuro. Ma i risultati italiani nell’ultimo trentennio, quando l’influenza
del PD (e predecessori) è stata determinante, sono i peggiori dell’area UE (ed
euro). Onde i risultati di un’azione
di governo esteso all’economia sono pessimi, e pertanto non c’è legittimità “di
scambio” (protezione/obbedienza) che possa confortarla. Non resta che
rivolgersi ad una legittimità fondata sulle intenzioni
conformi a certi valori. Ciò ha un doppio limite: che quei valori debbano
essere condivisi dalla maggioranza e, di conseguenza – e a lato – debbano essere
ragionevoli.
Tuttavia
condivisione ce n’è poca (v. risultati elettorali) e ragionevolezza (nel senso
di obiettivi effettivamente alla portata di un’azione di governo) non di più.
Non si capisce infatti
come insistere nel primario obiettivo di tutela dei c.d. “diritti umani” di esigue
minoranze posponendo loro i “diritti sociali” conseguiti nel XX secolo sia
produttivo di consenso, soprattutto maggioritario. Significa scambiare (con
gioia?) parte dello stipendio e della pensione per promuovere le unioni tra
omosessuali, l’utero in affitto, ecc. ecc. Che ci guadagna la stragrande
maggioranza?
Quanto alla
ragionevolezza va tenuto conto che il marxismo ha provato il carattere
totalmente immaginario del
proprio esito ultimo: la società
comunista, cioè il paese dei balocchi. Ma il vizio non è stato perso.
Alla natura
umana e all’ordine politico sono connaturali due caratteri: la paura della
morte e la preoccupazione per il futuro.
Ambedue
strumenti di governo (e di accettazione – consenso) del potere politico. Quanto
al primo c’è stato il tentativo di sfruttare come instrumentum regni il Covid, e poi la guerra russo-ucraina. Quest’ultima,
contraddittoriamente (per la sinistra) quale lesione alla libertà e sovranità di popolo.
Ma quale
beneficio ne abbia tratto il PD (e soci) non si vede.
Quanto all’ansia
per il futuro: ossia (anche) della sicurezza economica (propria e di tutti): ma
non si capisce quanta tranquillità agli italiani impoveriti possa venire (sia
dai risultati che) dalle intenzioni dichiarate
di un partito preoccupato di tutt’altro (LGTB et similia).
Hobbes scriveva
che concepire il futuro presuppone l’esperienza del passato “Un concetto del
futuro è solo una supposizione circa il medesimo derivante dal ricordo di ciò che è passato; e noi, in
tanto concepiamo che qualcosa avverrà di qui in avanti, in quanto sappiamo che
c’è qualcosa al presente che ha il potere di produrla. E che qualche cosa abbia
al presente il potere di produrre in avvenire un’altra cosa, non possiamo
concepirlo, se non grazie al ricordo che esso abbia prodotto la stessa cosa già
altra volta”. Ricordo che non è dei migliori.
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