La notizia c’è, ma gli organi del mainstream non te la danno, occupati e preoccupati come sono nel tentativo, fin troppo trasparente, di innescare una moderna crociata di cristiani contro musulmani, su commissione e a beneficio di Israele, come ha lasciato intendere in ultimo, acutamente, sul Corriere della Sera, Vittorio Messori, ricevendo subito gli strali della Brigata Sionista d’Italia. Persino il ministro degli esteri Frattini, grande amico di Israele, si è fatto televisivamente promotore di un ricatto di dubbia carità cristiana: o i paesi musulmani proteggono i “nostri” cristiani o noi, europei, non daremo più le nostre elemosine, i nostri “aiuti”. Se l’Occidente doveva dare una prova della sua superiorità morale, Frattini ne ha data una ulteriore formulazione. Ed, in effetti, quello egiziano di Mubarak è un regime che vive di elemosine dell’Occidente, principalmente degli USA, che comprarono e pagarono il trattato di pace israelo-egiziano del 1979, successivo agli accordi di Camp David. Da allora l’Egitto vive in una sorta di sudditanza e ricatto continuo: qualsiasi cosa Israele gli chiede, l’Egitto la fa, pena l’interruzione degli “aiuti” statunitensi. L’Occidente dice “democrazia” ed intende stato “fantoccio”: devi fare quel che ti dico io, anzi no, devi ingegnarti “liberamente” ad interpretare i miei più reconditi ed inconfessabili desideri. Se si ricostruisce per sommi capi la storia del Medio Oriente dallo smembramento dell’Impero ottomano ad oggi, non sono sicuro che quei martoriati paesi ci abbiano guadagnato in libertà, benessere, democrazia, civiltà. Ma questa è un’altra storia. Qui, io che giornalista non sono, cerco di narrare al meglio un grave incidente, piuttosto sospetto, occorso a un pullman di attivisti per i diritti umani, fra i quali si trovava Joe Fallisi, sulla strada che da Rafah conduce all’aeroporto del Cairo.
Sarà poi Joe Fallisi che di suo pugno narrerà l’esperienza da lui vissuta in Gaza, dove – entrato autononamente attraverso il valico di Rafah – ha potuto tenere un concerto, organizzato dal centro culturale Baladna (= “la mia citta”), fare un’intervista al primo ministro Ismail Haniyeh e condurre in porto il gemellaggio fra Gaza e il comune pugliese di Villa Castelli, in provincia di Brindisi. La proposta di gemellaggio avrebbe dovuto giungere, portata da Fallisi, insieme con la Freedom Flotilla, bloccata tragicamente dall’esercito israeliano il 31 maggio dello scorso anno. Fallisi è molto soddisfatto del pieno successo di questi tre obiettivi, che si era proposto nell’affrontare il suo terzo viaggio a Gaza, passando attraverso le forche caudine d’Egitto. Terminata la sua missione a Gaza, dove ha anche incontrato il suo amico Vittorio Arrigoni, un altro italiano di cui Frattini non si interessa gran che, ma che vive addirittura a Gaza da qualche anno, Joe si era unito. sulla via del ritorno, ad un folto gruppo di attivisti asiatici per i diritti umani (Lifeline-India), anch’essi riusciti ad entrare a Gaza negli stessi giorni, attraverso il valico di Rafah, per portare i loro aiuti umanitari, gratuiti e liberi, non soggetti a nessun “do ut des”, secondo il modello “politically correct” dell’attuale ministro italiano degli Affari Esteri.
Gli Asiatici, cioè un consistente gruppo di giovani, anziani, donne, bambini (compreso un neonato), avevano ordinato richiesto tre pullman di buon livello, necessari per portare da Rafah all’aeroporto del Cairo i partecipanti stremati dalla missione umanitaria, appena conclusa a prezzo di notevoli sacrifici, di puro volontariato della società civile, partendo dalle catene dell’Himalaya, per giungere a Gaza da Oriente. L’altra carovana omonina di Lifeline era invece partita dall’Inghilterrra: Oriente e Occidente così uniti nel nome della libertà di Gaza. Ordinati e pagati anticipatamente tre pullman confortevoli, i committenti si videro invece arrivare due catorci, dove è stato giocoforza stipare quanti dovevano entrare in tre bus. Nonostante la penuria di posti, Joe Fallisi è stato calorosamente accolto su uno dei due pullman per l’aeroporto. Fra l’altro, Fallisi ha potuto ritrovare e riabbracciare alcuni attivisti con i quali aveva partecipato alla Gaza Freedom March al Cairo. Durante la notte, verso le tre, mentre viaggiavano, stipati come sardine, si è udito a circa 70 km dal Cairo un grande scoppio. L’autobus ebbe una violentissima frenata, scardinò il muretto di cemento dell’autostrada, piegandosi sul fianco sinistro. La dinamica dell’incidente, la sua esatta causa a tutt’oggi non è chiara neppure a Fallisi, che su quel pullman viaggiava e che tuttora conserva dolori alle gambe per l’urto subito. Nell’incidente ci sono stati vari feriti che hanno reso indispensabile l’intervento di un’autoambulanza. È da aggiungere – dal racconto di Fallisi – come i medici avessero vivamente consigliato per alcuni feriti il ricovero ospedaliero, ma la polizia si è intromessa, sollecitando la rapida e globale partenza di tutti gli attivisti, feriti compresi, bisognosi di cure, che secondo la polizia avrebbero potuto avere nei loro rispettivi paesi. Evidentemente, la polizia e il regime erano interessati a sbarazzarsi il più presto possibile di tutti, per evitare inchieste giornalistiche, che sarebbero andate a gravare, dal punto di vista dell’informazione internazionale, sulle recenti, sanguinose e non ancora chiare vicende di Alessandria e avrebbero gettato ulteriore cattiva luce sul medesimo regime.
Fallisi stesso non sa se si sia trattato dello scoppio di una ruota o se l’autista, preso da un colpo di sonno, abbia sbandato sui bordi di cemento dell’enorme autostrada che conduce al Cairo. Ha potuto scattare alcune foto che documentano l’incidente. Può dare testimonianza del panico dei passeggeri, unito ad una grande forza d’animo, superando l’ultima avversità di un viaggio già irto di difficoltà e ostacoli. Quando io ho ricevuto una sua prima telefonata dall’aeroporto di Atene, dove era giunto dal Cairo, mi ha detto che «era vivo per miracolo» in quanto l’incidente non è stato affatto lieve e avrebbe potuto avere esiti tragici. Sarebbe stata una vera e propria strage, superiore per numero dei morti a quelli di Alessandria, essendo il pullman in questione stipato all’inverosimile. L’altro pullman, partito prima, era già giunto all’aeroporto, e stava aspettando gli altri passeggeri.
La cautela, la prudenza, il rigore nell’informazione e nella ricostruzione dei fatti impone di non gridare all’attentato, ma i dubbi permangono e con essi almeno il diritto di sapere se l’incidente debba considerarsi doloso o colposo. Se ne interesserà il nostro Ministro degli Esteri? Ne dubitiamo. Il suo cuore batte da tutt’altra parte ed i suoi pensieri hanno ben altra trama e contenuti. Viviamo in un chiaro processo di sfaldamento dell’unità nazionale, dove ognuno si arruola nella fazione che sente più vicina alla sua natura e ai suoi interessi. Credo di poter dire, a costituzione vigente, di non aver mai sentito un Frattini come “mio” ministro degli Esteri. E ne ho argomentato altrove. Anzi l’ho pure detto in faccia al signor ministro, contestandolo in un’occasione dove recitava la solita solfa della “sicurezza di Israele”, senza minimamente curarsi della “sicurezza” delle vittime palestinesi: clamorosa disparità di trattamento. Il nome dell’Italia, che per fortuna ancora c’è, io lo consegno a un Arrigoni, a un Fallisi, a quanti insieme ad altri cittadini del mondo – oltre 70 Paesi – sono saliti e saliranno sulle navi ovvero hanno partecipato e parteciperanno alle carovane, per portare aiuti, non soggetti a nessun “do ut des”, per una popolazione incredibilmente e kafkianamente rinchiusa in un Lager a cielo aperto da oltre quattro anni. La sua “colpa” è costituita dalla loro incrollabile volontà di resistere e dall’aver voluto liberamente eleggere un suo governo, non gradito ai grandi pupari della politica internazionale, nonché distruttori di ogni principio di diritto internazionale, ormai ridotto a vuoto schema concettuale per gli studenti universitari e per i professionisti di questa branca del diritto.
3 commenti:
Non so dove postarlo, quindi "abuso" del box dei commenti per una segnalazione: la vergognosa censura di Hessel da parte del CRIF (la cricca sionista francese).
La notizia, incredibilmente pubblicata anche dal Corriere in Italia, è stata poi rimossa dall'edizione online.
Anche in Francia è sparita dai principali quotidiani (poi dice che la lobby non è potente...), e sopravvive solo su siti secondari:
http://www.bdsfrance.org/index.php?option=com_content&view=article&id=316:le-crif-revendique-la-censure-de-stephane-hessel-et-latteinte-a-la-liberte-dexpression-a-lens&catid=9:evenements-bds-france&Itemid=1
A completamento del commento precedente:
http://www.liberation.fr/politiques/01012314225-pourquoi-a-t-on-annule-la-conference-de-hessel
Non mi era sfuggito il caso, anche se non trovo il tempo per dedicare la dovuto attenzione e seguirne gli sviluppi. Il luogo pertinente è il seguente:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2010/02/ricerche-storico-giuridiche-sul_01.html#undici
appositamente dedicato a tutto ciò che succede in Francia in materia di libertà del pensiero, di parola e relativa repressione. In effetti, il post è un poco nascosto e non sono riuscito finora a trovare una migliore evidenza per i singoli casi. Le sarò grato, se seguendo il caso in mia vece (non ne ho il tempo) segnalerà quanto le parrà opportuno in commenti al post indicato, dove potranno essere letti meglio.
Grazie!
Posta un commento