venerdì 5 dicembre 2025

Teodoro Klitsche de la Grange: "Guerra ibrida, novità?"

Da qualche anno si è diffuso il termine “guerra ibrida” che vuole significare la compresenza, in un confronto ostile, di condotte di guerra “classica” con altre accomunate dall’assenza di violenza: sanzioni economiche, propaganda, attacchi informatici. Qualcuno vorrebbe identificarla come il modo di guerra del XXI secolo.

Senonché a (parziale) rettifica della “modernità” di tale tipo di guerra, alcuni di tali elementi non violenti sono praticati da secoli.

Le sanzioni economiche soprattutto (che possono essere particolarmente efficaci): è opinione diffusa che se Roosevelt non avesse fatto seriamente rispettare le sanzioni contro il Giappone (come ad un certo momento fece) il Giappone avrebbe dovuto ritirarsi dalla Cina (al più tardi) nel 1943.

Altri che invece sono del tutto nuovi (ad esempio gli attacchi informatici) ma solo perché non c’erano i computer, così come la guerra aerea è nata solo con gli aeroplani (e il loro impiego militare).

Se si rimane fermi al concetto tradizionale di guerra cioè di confronto violento tra sintesi politiche con formazioni organizzate militarmente e provviste di strumenti idonei alla distruzione fisica del nemico, che si fonda sugli aspetti più appariscenti del fenomeno bellico, indubbiamente l’uso del termine guerra, per gli attacchi ibridi, appare una forzatura.

Ma se, come spesso mi capita di scrivere, ci si rifà al concetto che ne avevano pensatori come Clausewitz e Gentile, ossia che la guerra è un mezzo per costringere il nemico a fare la nostra volontà, quella forzatura non è tale o comunque appare secondaria.

Già negli anni 30 del secolo passato Carl Schmitt scriveva che “il concetto di guerra si è nel frattempo molto modificato. Intanto esso non si esaurisce più nella lotta militarmente armata, ma vi è anche una attività extra-militare nelle ostilità, poiché la guerra diventa guerra economica, guerra di propaganda”, e riteneva che aveva ragione Chamberlain a dichiarare, nella primavera del 1939, che non si era né in guerra, né in pace, malgrado la guerra sarebbe stata dichiarata parecchi mesi dopo.

La nota intervista dell’ammiraglio Cavo Dragone ha rinfocolato il dibattito sul tema, e la relativa confusione derivante dal termine “guerra”; corretto per quella ibrida solo se lo si usa nel senso di Clausewitz e Gentile ma che suscita allarmi se non inteso in tal senso.

Ciò stante a leggere sulla stampa le dichiarazioni dell’Ammiraglio di essere più aggressivi sulla cibersicurezza, siamo ancora nei limiti di una risposta proporzionata: un hacker, un hacker e mezzo avrebbe detto Napoleone se avesse avuto i computer. Quello che invece sarebbe assai imprudente è replicare con bombe e missili ad un attacco informatico.

Le prese di posizione di Tajani e della Kallas, questa che ha parlato di sanzioni “ibride” per “contrastare gli attacchi ibridi” (quindi una difesa omogenea all’attacco) e quello che ha richiamato alla “difesa da una guerra ibrida”, invocando alla prudenza hanno correttamente interpretato il senso dell’intervista dell’ammiraglio.

Resta comunque il fatto che, da secoli la guerra si fa non solo con le azioni e il confronto diretto, ma in varie forme e tipi, compreso quello per procura in cui dietro i belligeranti apparenti c’è una lotta di potenza tra quelli occulti, che sostengono, soprattutto sul piano economico, il proprio alleato. Richelieu finanziò la lotta antiasburgica dei protestanti per i primi diciassette anni della guerra dei trent’anni, prima d’intervenire direttamente, costretto dalla sconfitta disastrosa dei propri alleati a Nordlingen.

C’è da sperare quindi, dato questo (e altri) precedenti, che la Russia non vinca troppo. Soprattutto per non ringalluzzire i nostri guerrafondai.

 

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