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Questa è una scheda di lettura affatto speciale. Non è necessario che ne spieghi le ragioni ai miei Cinque Lettori. Diciamo che avrei pensato di destinarla ad un altro dei miei blog: i “Carl Schmitt Studien”, cosa che sarà sempre possibile fare, una volta che avrò finalmente terminato l’aggiornamento e il coordinamento del sistema dei miei blog, concepito ciascuno a seconda dei contenuti tematici prevalenti. Diciamo che il libro di Emanuele Castrucci rientra pienamente nella letteratura su Carl Schmitt ed è per questa ragione che seguiremo passo dopo passo tutte le pagine del libro di pagine 169, non amplissimo, secondo la migliore tradizione dello stesso Carl Schmitt, i cui libri, assurti a classici del pensiero politico, sono tutti di breve estensione, eccetto la Dottrina della Costituzione che supera di poco le 400 pagine nell’edizione tedesca e che è stata da me tradotta, mentre Emanuele Castrucci è il traduttore italiano di un’altra grande opera di Carl Schmitt, Il Nomos della Terra, che supera le 300 pagine. Ma tutte le altre opere di Schmitt ruotano intorno alle 100 pagine e sono spesso saggi apparsi su riviste.
Tra gli allievi di Schmitt, mi raccontava il Prof. Kaiser, vi era stata una discussione su quale dovesse considerarsi l’opera principale. E le risposte erano state diverse: chi propendeva per il “Concetto del Politico”, chi per la “Dottrina della Costituzione”, chi per il “Nomos della Terra”. Voglio aggiungere a questa discussione una recensione del “Colloquio sul Potere”, dove il recensore indicava quest’opera come la più importante dopo “Il Concetto del Politico”. E si tratta di qualche decina di pagine, dove è contenuta una definizione che si collega alle “Lezioni di antropologia politica” che noi seguiremo passo dopo passo sul Libro di Castrucci. Riporto il testo puntuale di Schmitt, che in onore di Thomas Hobbes enuncia una “relazione hobbesiana della pericolosità”:
È una questione preliminare e importante. Ci soccorre lo stesso Schmitt. Nell’indice analitico da noi finora compilato e redatto di tutta l’opera schmittiana non appare il nome dell’etologo Konrad Lorenz, che tratta specificatamente il tema dell’«aggressività» nel mondo animale. Compare però nel Colloquio sul Potere, che è del 1954, il nome di Oswald Spengler, messo in bocca allo Studente che così obietta alla relazione hobbesiana della pericolità: «Oswald Spengler ha già detto che l’uomo è un animale feroce». Noi non apriremo ora e qui una digressione non necessaria su Spengler, ma Schmitt così risponde all’obiezione dello Studente ed alla sua successiva incredulità:
Tra gli allievi di Schmitt, mi raccontava il Prof. Kaiser, vi era stata una discussione su quale dovesse considerarsi l’opera principale. E le risposte erano state diverse: chi propendeva per il “Concetto del Politico”, chi per la “Dottrina della Costituzione”, chi per il “Nomos della Terra”. Voglio aggiungere a questa discussione una recensione del “Colloquio sul Potere”, dove il recensore indicava quest’opera come la più importante dopo “Il Concetto del Politico”. E si tratta di qualche decina di pagine, dove è contenuta una definizione che si collega alle “Lezioni di antropologia politica” che noi seguiremo passo dopo passo sul Libro di Castrucci. Riporto il testo puntuale di Schmitt, che in onore di Thomas Hobbes enuncia una “relazione hobbesiana della pericolosità”:
«l’uomo è per gli altri uomini, dai quali si crede minacciato, tanto più pericoloso di qualsiasi belva nella stessa misura di quanto le armi dell’uomo sono più pericolose di quelle della belva».La traduzione è mia ed apparve sul numero 2 rivista Behemoth (aprile-giugno 1987), pag. 55. Il testo del Colloquio è poi uscito anche in volumetto presso altro editore. Se occorre darò in seguito altre delucidazione ricavate dallo stesso Schmitt. Intanto spiego il perché di questo avvio. Intanto perché il sottotitolo ci avverte che si tratta di “Lezioni di antropologia politica” e poi perché il Libro prende avvio da una citazione di Gianfranco Miglio che così suona:
«Non è possibile ignorare che - sul terreno della biologia, dell’etologia, della sociobiologia e della biopolitica - lo studio dell’aggressività, e dell’opposto “altruismo”, e la progressiva scoperta delle radici profonde, inconsce, dell’una e dell’altro, lasciano intravvedere prospettive probabilmente destinate a mettere in crisi e superare buona parte delle «spiegazioni. costruite sul terreno dell’esperienza culturale e istituzionale. In altri termini, il nesso che lega l'aggressività ai meccanismi biogenetici costituisce la grande incognita di cui il pensiero politico deve ancora onestamente rendere conto.
Qui devo affidarmi alla memoria per un’aneddottica non indegna, direi, di essere riportata. Il Saggio sopra citato di Miglio è del 1981 e ne ho sottomano il testo nella Raccolta che ne fecero i suoi Allievi nei due Tomi di Arcana Imperii nel 1888 con il titolo “Le regolarità della Politica”. Se la memoria non mi inganna fu proprio con riferimento a questo Saggio di Miglio che assistetti a una sfuriata di un Collega perché giudicava “reazionario” equiparare il mondo umano e il mondo animale, nella misura in cui il brano citato sembri evocativa dell’opera dell’etologo Konrad Lorenz (1903-1989).G. MIGLIO, Guerra, pace, diritto.
È una questione preliminare e importante. Ci soccorre lo stesso Schmitt. Nell’indice analitico da noi finora compilato e redatto di tutta l’opera schmittiana non appare il nome dell’etologo Konrad Lorenz, che tratta specificatamente il tema dell’«aggressività» nel mondo animale. Compare però nel Colloquio sul Potere, che è del 1954, il nome di Oswald Spengler, messo in bocca allo Studente che così obietta alla relazione hobbesiana della pericolità: «Oswald Spengler ha già detto che l’uomo è un animale feroce». Noi non apriremo ora e qui una digressione non necessaria su Spengler, ma Schmitt così risponde all’obiezione dello Studente ed alla sua successiva incredulità:
E qui ci tratteniamo dal seguire oltre questo “colloquio” assai intrigante. Per restare invece al tema della «aggressività» umana e al presunto carattere “reazionario” di un’analogia con il mondo animale, potremmo rispondere con una parafrasi di Senofane, dicendo che se gli animali, le belve “feroci”, potessero parlare, probabilmente si sentirebbero loro offesi ad essere paragonati con il mondo umano, la cui “ferocia” e “pericolosità” supera di gran lunga la loro ed è spesso del tutto gratuita, a confronto della loro unicamente determinata dalla natura. Non posso entrare in àmbiti disciplinari che non quelli dentro i quali ho svolto i miei studi, ma sono rimasto molto impressionato da alcune conferenze divulgative dove si spiegava cosa è la “psicopatia”. Si diceva – se ho ben inteso – che nel mondo animale non esiste rapporto predatorio dentro una stessa specie: il lupo normalmente si ciba dell’agnello, ma non di un altro lupo e non va a caccia di lupi, e così il leone, il serpente, ecc. Ma pare che nel caso degli psicopatici l’uomo diventa una “preda” per l’altro uomo. I casi più noti di psicopatia sono quelli dei serial killer con un’abbondante e sovrabbondante produzione cinematografica che ogni seria ci edifica e inebria dentro le nostre case con le famiglie riunite intorno al televisore. Ma parrebbe che il concetto di psicopatia sia più esteso e coinvolga il sistema delle relazione umane, ad esempio il rapporto creditore / debitore nell’usura, i casi di razzismo e in particolare di alcune dottrine politiche di cui non si può dire se non vogliamo provocare reazioni...C.S. - Perdoni! La relazione di pericolosità posta da Hobbes non ha assolutamente nulla a che fare con la tesi di Oswald Spengler. Hobbes al contrario presuppone che l’uomo non sia una belva, ma qualcosa di ben diverso, di meno ed assai di più al tempo stesso. L’uomo è capace di compensare in modo inaudito, di sovracompensare la sua debolezza ed insufficienza biologica con i ritrovati tecnici. Faccia adesso attenzione. Verso il 1650, quando Hobbes esprimeva questo rapporto, le armi dell’uomo - freccia ed arco, ascia e spada, fucili e cannoni - erano già di molto superiori ed abbastanza pericolose in confronto alle zampe di un leone o alle zanne di un lupo. Ma oggi la pericolosità dei mezzi tecnici è cresciuta illimitatamente. Di conseguenza è cresciuta in proporzione anche la pericolosità dell’uomo nei confronti degli altri uomini. Perciò la differenza fra potere ed assenza di potere è cresciuta in un modo così smisurato da porre in una problematica del tutto nuova il concetto stesso di uomo.
Thomas Hobbes (1588-1672)
S. - Non comprendo.
C.S. - Ascolti! Chi è propriamente l’uomo? Quello che produce e usa questi moderni mezzi di annientamento o quello contro cui sono rivolti? Non facciamo nessun passo avanti se diciamo: il potere è come la tecnica in sè né buono né cattivo, ma neutro; esso è pertanto ciò che l’uomo ne fa. Ciò farebbe soltanto eludere la vera e propria difficoltà, la questione del chi decide sopra il bene ed il male. Il potere dei mezzi moderni di annientamento supera la forza degli individui umani che li scoprono e li usano nella stessa misura in cui le possibilità delle macchine e dei procedimenti moderni superano la forza dei cervelli e dei muscoli umani. In questa stratosfera, in questo campo degli ultrasuoni la volontà umana, non giunge più. Il braccio umano che tiene la bomba atomica, il cervello umano che innerva i muscoli di questo braccio umano è nell’istante decisivo tanto poco un arto del singolo individuo umano quanto piuttosto una protesi, una parte dell’apparato tecnico e sociale che produce ed usa la bomba atomica. Il potere dell’individuo umano è qui soltanto il trasudamento di una situazione che risulta da un sistema di di visione del lavoro spinto all’estremo.
Carl Schmitt (1888-1985)
(segue)
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