lunedì 20 luglio 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodogia. – Cap V § 1.2: L’ordine di sterminio.








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Rinvii:
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO V
Hilberg e le conoscenze della storiografia olocaustica
sul Führerbefehl all’inizio degli anni Ottanta.
Bilancio di due convegni storici.

1.2.
L’ordine di sterminio


Uwe Dietrich Adam esaminò la politica ebraica nazionalsocialista dal settembre 1939 al giugno 1941, periodo che «può essere considerato come quello della scalata verso la “soluzione finale”». Egli però puntualizzò subito che

«la data precisa nella quale fu ordinata questa “soluzione finale” costituisce un problema irrisolto sia per la storia tedesca sia per la storia mondiale».

Circa la genesi della “soluzione finale”, Adam si schierò decisamente contro la tesi intenzionalista radicale sostenuta da Jäckel, dichiarandosi «d’accordo con la schiacciante maggioranza degli storici nel pensare che l’ordine di liquidare gli Ebrei sotto il dominio tedesco non è mai stato dato e neppure progettato, in nessuna forma, prima dell’inizio della guerra» (621). Dal momento che «non è stata mai scoperta traccia scritta di quest’ordine» ed è poco probabile che se ne trovi una in futuro,
«allo storico incombe il compito di datarlo il più precisamente possibile facendo appello all’interpretazione. Poiché i metodi e le ipotesi sono numerosissimi a questo riguardo, ci troviamo di fronte ad opinioni molto diverse. Alcuni pongono la concezione della “soluzione finale” all’epoca di Landsberg (Jäckel, Dawidowicz); un altro la fissa al marzo 1941 (Krausnick) o al luglio 1941 (Hilberg, Browning), altri infine alla fine dell’autunno 1941 (Adam, Broszat). Né le leggi né le misure amministrative del Terzo Reich contro gli Ebrei possono permetterci di precisare la data dell’ordine di sterminio. Ma per chi conosce bene la struttura istituzionale del Terzo Reich dopo l’inizio della guerra, ogni misura presa circoscrive le possibilità di interpretazione e permette perfino di eliminare certe date o di confermarne altre con qualche certezza» (622) (corsivo mio).

Allo scoppio della guerra, la questione ebraica, quale era stata formulata nel programma del Partito e dai primi protagonisti di una legislazione razziale, era risolta.

«Se si vuole riassumere l’essenziale della politica nazista nei confronti degli Ebrei, si ritrova un obiettivo costante e primordiale: separare gli Ebrei dagli “Ariani”. Questo obiettivo politico e razziale dell’ideologia nazista - l’eliminazione degli Ebrei dal “Volkskörper” (corpo della nazione) tedesco - fu raggiunto nel 1938» (623).

Dopo l’inizio delle ostilità, la politica nazista nei confronti degli Ebrei mirò al consolidamento di tale separazione, ma essa fu
«elaborata in gran parte sotto l’effetto di fattori imponderabili, di idee a breve scadenza, di rivalità tra uffici, di allusioni accidentali o intenzionali di Hitler. L’assenza di un’autorità centrale per coordinare, amministrare, dirigere le misure antiebraiche ha svolto un ruolo non trascurabile in questa mancanza d’unità e in queste esitazioni della legislazione» (624).

L’Ufficio centrale di sicurezza del Reich (RSHA) continuò in questo periodo la politica di emigrazione dell’anteguerra.
«Prima dell’inizio della guerra, il Servizio di sicurezza (Sicherheitsdienst: SD) in particolare sosteneva con accanimento una “soluzione della questione ebraica” mediante emigrazione. La creazione dell’Agenzia centrale per l’emigrazione (Zentralstelle für jüdische Auswanderung) nel gennaio 1939, permise a Heydrich di assumere la direzione della politica ebraica al livello ministeriale. Egli mise in opera rapidamente i piani di emigrazione del SD e ottenne il suo primo successo apprezzabile nel luglio 1939, quando creò l’Associazione degli Ebrei della Germania (Reichsvereinigung der Juden in Deutschland). Essendo sottoposta all’autorità del RSHA, essa gli dava il controllo di importanti organismi culturali ebraici e soprattutto del finanziamento e della direzione dell’emigrazione ebraica» (625).

Ma il RSHA aveva fatto i conti «senza la struttura anarchica del Terzo Reich», che creò ostacoli all’emigrazione ebraica e non consentì di raggiungere anche in Germania
«le cifre stupefacenti di Eichmann a Vienna. Dopo lo scatenamento della guerra, si può concludere che la politica del RSHA era in accordo con la volontà di Hitler di ottenere il più presto possibile una “judenreines Deutschland”, una Germania “epurata degli Ebrei”» (626).

Il RSHA cercò di risolvere d’urgenza il problema dell’emigrazione.
«Certo, le tasse di emigrazione aumentavano regolarmente, ma, nello stesso tempo, il RSHA tentò di ammorbidire il controllo dei cambi. Malgrado tutti i regolamenti ufficiali, esso permise perfino l’impiego degli Ebrei nell’agricoltura “al fine di facilitare la loro emigrazione dando loro una formazione professionale”. Il RSHA riuscì anche a diminuire o ad abolire per gli Ebrei un buon numero di tasse speciali e di limiti all’esportazione dei capitali. Nel dicembre 1940, esso giunse a convincere il ministero dell’Economia a fare accelerare, contro tutte le regole in vigore, le procedure finanziarie in ogni caso di emigrazione. Questa ricerca di una soluzione globale della “questione ebraica” si può cogliere ancora nel tentativo effettuato nel maggio 1941 dal RSHA per ottenere da Göring una direttiva generale di emigrazione. In seguito questo documento (627) è stato spesso male interpretato a causa della sua formulazione. Göring ordinò a tutte le autorità di facilitare l’emigrazione degli Ebrei fuori del Reich e dei territori sotto protettorato, per quanto era possibile, anche durante la guerra. L’emigrazione degli Ebrei di Francia e Belgio doveva essere invece proibita a causa della “soluzione finale che, senza alcun dubbio, si avvicinava”. Questo termine ingannatore di “soluzione finale” fu interpretato da generazioni di storici come se designase una distruzione fisica, mentre in quest’epoca significava soltanto l’emigrazione degli Ebrei verso il Madagascar. La trappola si strinse solo a partire dall’agosto 1941. Il RSHA proibì l’emigrazione degli Ebrei in buona salute (628). Alla fine di agosto del 1941, Eichmann estese quest’ordine a tutti gli Ebrei che vivevano nei territori occupati dalla Germania. Il 23 ottobre 1941, il RSHA informò tutti i servizi di polizia e il SD dell’ordine di Himmler che proibiva qualunque emigrazione di Ebrei, senza eccezione, per la durata della guerra» (629).

La relazione di Adam terminò così, senza specificare in che cosa consistesse questa «trappola».
Christopher R. Browning affrontò il tema specifico della decisione concernente la “soluzione finale”. Egli sottolineò anzitutto le «divergenze essenziali» che all’epoca dividevano le due interpretazioni olocaustiche:
«La decisione concernente la soluzione finale è stata oggetto di un gran numero di interpretazioni storiche. Le divergenze essenziali appaiono a proposito di due questioni connesse: da una parte, la natura del processo attraverso il quale fu presa la decisione, e, più particolarmente, il ruolo di Hitler e della sua ideologia; dall’altra, il momento in cui questa decisione fu presa. Come Martin Broszat ha rilevato a ragione, una varietà di interpretazioni ci avverte che qualunque teoria sull’origine della “soluzione finale” rientra nel dominio della probabilità piuttosto che in quello della certezza» (630) (corsivo mio).

Browning espose poi un quadro ricapitolativo di queste «divergenze essenziali»:
«Per Lucy Dawidowicz, la concezione della soluzione finale precedette di ventidue anni la sua realizzazione; per Martin Broszat, l’idea emerse dalla pratica: l’uccisione sporadica di gruppi di Ebrei fece nascere l’idea di uccidere sistematicamente tutti gli Ebrei. Tra questi due poli estremi si trova una grande quantità di interpretazioni. Così Eberhard Jäckel sostiene che l’idea di uccidere gli Ebrei si formò nella mente di Hitler alla fine degli anni Trenta. Karl Dietrich Bracher suppone che l’intenzione esistesse già in quest’epoca. Andreas Hillgruber e Klaus Hildebrand affermano la supremazia dei fattori ideologici ma non propongono alcuna data precisa. Altri, non tutti funzionalisti, collocano la svolta decisiva nel 1941: tuttavia, per quanto riguarda quest’anno, sono state proposte molte date. Léon Poliakov stima che la data più verosimile sia l’inizio del 1941, mentre Robert Kempner e Helmut Krausnick sostengono che Hitler prese la decisione in primavera, in connessione con i preparativi per l’invasione della Russia. Raul Hilberg pensa che la decisione fu presa nel corso dell’estate, quando i massacri in massa perpetrati in Russia fecero credere che questa soluzione fosse possibile in tutta l’Europa per la Germania vittoriosa. Uwe Dietrich Adam afferma che essa fu presa in autunno, nel momento in cui l’offensiva militare ristagnava e si rivelava dunque impossibile una “soluzione territoriale” per mezzo dell’espulsione in massa verso la Russia. Infine Sebastian Haffner, che non è certamente funzionalista, sostiene una tesi ancora più tardiva, l’inizio di dicembre, quando un primo presentimento della disfatta militare finale indusse Hitler a ricercare una vittoria irreversibile sugli Ebrei» (631).

A questo punto Browning si chiese:

«Come spiegare una tale diversità di interpretazioni circa il carattere e la data della decisione concernente la soluzione finale?».

Questa diversità si spiegava, secondo Browning, con una ragione soggettiva - il differente punto di vista da cui si pongono gli intenzionalisti e i funzionalisti - e una oggettiva, che è in realtà la vera ragione: «con la mancanza di documentazione». Infatti egli dichiarò:

«Non esistono archivi scritti su ciò che fu discusso tra Hitler, Himmler e Heydrich a proposito della soluzione finale, e nessuno dei tre è sopravvissuto per testimoniare dopo la guerra. Perciò lo storico deve ricostruire egli stesso il processo di decisione al vertice, estrapolando a partire da avvenimenti e testimonianze esteriori. Come l’uomo di Platone nella caverna, egli vede soltanto i riflessi e le ombre, non la realtà. Questo processo temerario di estrapolazione e di ricostruzione conduce inevitabilmente a una grande varietà di conclusioni» (632) (corsivo mio).

Browning insistette in effetti ripetutamente sulla mancanza pressoché totale di documenti riguardo alla genesi della decisione concernente la “soluzione finale”:
«Eppure, malgrado tutto ciò che si sa sulla preparazione dell’invasione tedesca della Russia, non esiste una documentazione specifica concernente il destino riservato agli Ebrei russi. Per ottenere una risposta a tale questione, bisogna ricorrere a testimonianze del dopoguerra, a prove indirette e a riferimenti sparpagliati nei documenti più recenti» (633).
«Se la decisione di uccidere tutti gli Ebrei in Russia è stata indubbiamente presa prima dell’invasione, le circostanze e il momento esatto di questa decisione restano invece oscuri. È impossibile stabilire se l’iniziativa venisse da Hitler o da qualcun altro, da Heydrich per esempio. Inoltre, non si sa se Hitler aveva già fatto la sua scelta in marzo, quando annunciò chiaramente ai militari che la guerra russa non sarebbe stata una guerra convenzionale, o se la compiacenza dei militari li spinse successivamente ad estendere la cerchia delle vittime prese di mira al di là dell’intelligentzia giudeo-bolscevica. Una documentazione insufficiente non consente di rispondere in modo defitivo a tali questioni e autorizza soltanto ipotesi informate» (634)(corsivo mio).
«Non si sa, e senza dubbio non si saprà mai esattamente, quando e come Heydrich e il suo superiore diretto, Himmler, presero coscienza della loro nuova missione» (635).

Infine,

«non ci fu un ordine scritto per la soluzione finale, e non abbiamo alcun riferimento a un ordine verbale, tranne quello fornito da Himmler a Heydrich che affermava di agire in accordo col Führer» (636)(corsivo mio).

Browning rilevava poi che «il rapporto tra l’antisemitismo di Hitler e l’origine della “soluzione finale“ resta soggetto a controversia». Tuttavia la tesi intenzionalista è nettamente smentita dalla politica di emigrazione attuata dai nazionalsocialisti nei confronti degli Ebrei fino all’autunno del 1941:
«L’ipotesi di una politica nazista che sarebbe la conseguenza logica e deliberata dell’antisemitismo di Hitler non si accorda facilmente col suo comportamento reale negli anni che hanno preceduto il 1941. Per esempio, egli credeva alla responsabilità degli Ebrei, questi “criminali di novembre”, nella sconfitta tedesca del 1918, con un fervore pari a quello con cui credeva a ognuna delle sue altre asserzioni antiebraiche. È certo che il passo del Mein Kampf spesso citato in cui Hitler si rammarica che dodicimila o quindicimila Ebrei non fossero stati gasati durante la guerra, ha più senso nella leggenda della “pugnalata alle spalle” che come profezia o allusione velata alla soluzione finale. Se si ammette la premeditazione a lungo termine, la conseguenza “logica” della tesi degli Ebrei traditori di guerra avrebbe dovuto essere il massacro “preventivo” degli Ebrei tedeschi prima dell’offensiva in Occidente o almeno prima dell’attacco contro la Russia. In pratica, la politica ebraica dei nazisti consisteva nel creare una Germania “judenrein” (pura da Ebrei) incoraggiando e spesso obbligando gli Ebrei ad emigrare. Per riservare agli Ebrei tedeschi le possibilità di accoglimento, che erano limitate, i nazisti si opposero all’emigrazione degli altri Ebrei del continente. Questa politica fu mantenuta fino al momento in cui, nell’autunno 1941, i Tedeschi proibirono l’emigrazione degli Ebrei dalla Germania e, per la prima volta, dichiararono che la proibizione di emigrare imposta agli Ebrei di altri paesi mirava ad impedir loro di sfuggire al loro dominio (637). Gli sforzi degli specialisti nazisti della questione ebraica per promuovere l’emigrazione, sia prima della guerra sia durante essa, e i loro piani di reinsediamento in massa non erano solo tollerati, ma anche incoraggiati da Hitler. È difficile conciliare questo comportamento coll’ipotesi di una intenzione omicida da lungo tempo covata nei confronti degli Ebrei occidentali. Bisognerebbe allora ammettere che, sapendo che si accingeva ad uccidere gli Ebrei, Hitler perseguiva tuttavia una politica di emigrazione che “favoriva” gli Ebrei tedeschi rispetto agli altri Ebrei e salvava dalla morte la maggioranza di coloro che egli considerava precisamente i più responsabili della disfatta del 1918. Si è sostenuto che Hitler attendeva semplicemente il momento opportuno per la realizzazione dei suoi progetti omicidi. Ora, questa tesi non spiega né il perseguimento nello stesso tempo di una politica di emigrazione che andava nel senso opposto, né questa lunga dilazione. Se Hitler attendeva semplicemente lo scatenamento del conflitto per intraprendere la sua “guerra contro gli Ebrei”, perché lasciò ai milioni di Ebrei polacchi, che erano nella mani dei Tedeschi dall’autunno del 1939, un “rinvio di esecuzione” che durò trenta mesi? Essi furono vittime di massacri sporadici e di condizioni di vita che provocarono numerosi morti, ma non ci fu uno sterminio sistematico prima del 1942».

In conclusione,
«la politica ebraica attuata dai nazisti fino al 1941 non giustifica la tesi secondo la quale esisteva da molto tempo una volontà ben determinata di liquidare gli Ebrei europei. È molto più plausibile considerare l’antisemitismo di Hitler non come l’origine di un “piano” di sterminio logicamente dedotto e stabilito da molto tempo, ma come uno stimolante, un pungolo per la ricerca incessante di una soluzione sempre più radicale» (638).

Dal canto suo, Browning sostenne la tesi che
«l’intenzione di massacrare sistematicamente tutti gli Ebrei europei non era ben determinata nella mente di Hitler prima della guerra; essa si cristallizzò solo nel 1941, dopo che le soluzioni precedentemente considerate si furono rivelate irrealizzabili e l’offensiva imminente contro la Russia ebbe aperto la prospettiva di un accrescimento ancora più considerevole del numero degli Ebrei nell’impero tedesco in espansione. La soluzione finale prese forma a partire da un certo numero di decisioni prese quello stesso anno. In primavera, Hitler ordinò la preparazione del massacro degli Ebrei russi che sarebbero caduti nella mani dei Tedeschi nel corso dell’invasione imminente. Durante l’estate di quello stesso anno, Hitler, sicuro della vittoria militare, fece preparare un piano che mirava ad estendere il processo di sterminio agli Ebrei europei. In ottobre, sebbene la speranza di una vittoria militare non si fosse realizzata, Hitler approvò le grandi linee di questo piano, che precedeva la deportazione verso i centri di sterminio utilizzando un gas letale» (639).

Ma anche questa ricostruzione era puramente congetturale. Del resto Browning dichiarò che questa presunta decisione non si poteva inquadrare in un piano generale di sterminio ebraico:
«Tuttavia, la politica ebraica dei nazisti nel resto dell’Europa non ne fu trasformata immediatamente. Si continuò a parlare di emigrazione, di espulsione e di piani per un reinsediamento futuro. Nell’autunno 1940, degli Ebrei furono espulsi dalla regione di Baden, dal Palatinato e dal Lussenburgo verso la Francia non occupata; ci furono anche deportazioni da Vienna verso la Polonia all’inizio del 1941. Nel febbraio 1941, Heydrich parlava ancora di “trasferirli in un paese che si stabilirà più tardi”. E il ministero degli Esteri continuava a collaborare col RSHA, l’Ufficio centrale di sicurezza del Reich, per bloccare l’emigrazione degli Ebrei di altri paesi e monopolizzare così per gli Ebrei tedeschi le possibilità di emigrazione, che erano limitate. Questa politica fu ancora riaffermata il 20 maggio 1941 in una circolare firmata da Walter Schellenberg che proibiva l’emigrazione degli Ebrei dal Belgio e dalla Francia. La vecchia politica di emigrazione, di espulsione e di reinsediamento fu abbandonata solo progressivamente. Nel luglio 1941 il RSHA informò il ministero degli Esteri che non si prevedevano altre espulsioni verso la Francia. Nel febbraio 1942 il ministero degli Esteri abbandonò ufficialmente il piano Madagascar. I preparativi dell’uccisione degli Ebrei russi non ebbero dunque ripercussione immediata sulla politica ebraica dei nazisti negli altri paesi» (640).

Nonostante ciò, Browning non fu neppure sfiorato dal dubbio che la sua congettura di un ordine di massacro degli Ebrei russi fosse infondata; al contrario, sostenne che

«l’idea della soluzione finale per gli Ebrei europei si formò con un processo separato e risultò da una decisione distinta» (641).

Ma, non essendo neppure questa presunta decisione suffragata da prove documentarie, anche qui il campo restava aperto alle congetture più disparate, che Browning riassunse così:

«Hilberg pone la decisione al più tradi nel luglio 1941; Uwe Dietrich Adam sostiene una data tra settembre e novembre; Sebastian Haffner suggerisce dicembre e Martin Broszat contesta l’idea stessa di una decisione globale in una data particolare e crede ad un processo graduale ed incosciente di intensificazione» (642).

Circa il presunto ordine di sterminio, la sua posizione era la seguente:

«Nel luglio 1941, dopo che le armate naziste avevano sbaragliato le difese sul confine sovietico, accerchiato quantità enormi di soldati russi, e infine percorso i due terzi della distanza da Mosca, Hitler approvò la bozza di un piano per lo sterminio di massa della popolazione ebrea d’Europa. E nell’ottobre 1941, con l’accerchiamento vittorioso di Vyazma e di Bryansk e con il breve riaccendersi della speranza di un triofo finale prima dell’inverno, approvò la soluzione finale» (643).
Una ulteriore congettura documentariamente infondata.

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