mercoledì 8 luglio 2009

Freschi di stampa: 9. Paola Caridi: «Hamas. Che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese».

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Si tratta di un libro di difficile lettura, sul quale non posso formulare nessun giudizio critico, ma che tuttavia continuo a leggere fino alla fine con la massima attenzione possibile. Perché difficile e perché una strana ammissione di impotenza critica? Tanto varrebbe non parlarne e non recensire il libro. E invece no! Vi è da augurarsi che di libri come questo ve ne siano parecchi altri in modo da renderci familiari nomi, come quello di Hamas, che giungono in modo distorto alle nostre orecchie bombardate da una stampa largamente influenzata dagli israeliani e favorevole alla loro politica. Che dire poi di un ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, che sembrano un organo dell’Hasbara. Ricordo, prima ancora che fosse nominato ministro degli esteri, il suo spocchioso rimprovero ad una giornalista che nel porgli non ricordo quale domanda aveva però usata l’espressione “resistenza irachena”. Nossignore! Sono tutti “terroristi” e devono venir sempre chiamati “terroristi”, additandoli alla pubblica opinione come criminali senza se e senza ma. Quanti in Iraq, Afgahnistan, Gaza e in ogni parte del mondo resistono ai Liberatori del mondo, ai Portatori di civiltà, di democrazia e di diritti umani, devono essere bollati come “terroristi”. Questo modo di ragionare, o meglio di non ragionare, vale sommamente per Hamas, di cui niente altro sappiamo se non tutto il male possibile che ce ne viene raccontato.

Il libro è difficile in 284 pagine è ricco di nomi ed eventi con cui non abbiamo familiarità, con i quale la grande stampa e i media non ci hanno fatto acquisire familiarità. Sono poi nomi arabi difficili da ricordare per chi non ha nessuna conoscenza della lingua araba. Un nome come Arafat o Abu Mazen si imprime nella nostra memoria per averlo sentito centinaia di volta. Ma sfido ognuno a ricordare un nome arabo che vede scritto per la prima volta e di cui non ha mai sentito la pronuncia. Dopo poche pagine ci si è già dimenticati del nome. Ovviamente, queste possono essere miei limiti da non specialista della materia. Ma io parlo qui appunto da non specialista, da lettore di un grande pubblico che vorrebbe essere meglio informato su un conflitto, o meglio su un genocidio abilmente e vergognosamente occultato, quello palestinese, che è il piùù rilevante e caratterizzante della nostra epoca: l’evento di politica internazionale più importante di tutti. È bene dirlo e sottolinearlo perché una manovra diversiva alla Dershowitz muove a far distogliere lo sguardo verso altre parti del mondo che certamente non possono dirsi felici. Un Dershowitz non si accorge nella sua boria sionista di come si dia la zappa sui piedi quando egli stesso dice che l’ONU ha deliberato contro Israele da sola più risoluzioni di condanna che per tutti gli agli stati del mondo messi insieme. Una persona normale che non fosse Dershowitz, o un altro sfegatato fanatico sionista, ne trarrebbe la ovvia conlusione che qualcosa di anomale deve pur esserci in quella che si propaganda come l’Unica democrazia del Medio Oriente. Ed invece no! Costoro pretendono di delegittimare e demonizzare perfino l’ONU, il cui atto certamente più criticabile fu la spartizione della Palestina, cioè di un paese terzo sul quale non aveva nessun titolo, e quindi il riconoscimento dello Stato di Israele. Ma allora, appena istituito, l’ONU era un fantoccio nelle mani dei suoi creatori. Poi, via via che la decolizzazione avanzava e nuovi stati si affacciavano alla ribalta, entrando a far parte dell’ONU come nuovi membri, la politica dell’ONU veniva cambiando lentamente.

Per Hamas una cosa che si sente spesso è la sua elezione democratica avvenuta nel gennaio 2006. Furono elezioni volute da Bush, che evidentemente si aspettava una rappresentanza quisling e collaborazionista. Infatti, la costante politica di Israele è quella di produrre partner collaborazionisti. Fu il caso di Arafat e degli accordi di Oslo; è il caso di Abu Mazen e di tanti alti altri. Come grande pubblico ci manca la casistica e le nostre orecchie date in pasto ai tanti Pagliara sono sottoposte alla solita solfa: il diritto di Israele all’esistenza, il suo diritto all’autodifesa contro gli efferati e barbari resistenti, ovvero terroristi, che non si piegano alle povere vittime dell’«Olocausto». Ciò che imbestialisce è proprio questo: non si piegano e resistono. Non basta bombardarlo con operazioni come “piombo fuso” e con un blocco genocida che ha prodotto l’Unico di una vera e propria prigione a cielo aperto dove sono rinchiusi un milione e mezzo di persone, un vero e proprio Lager al cui confronto i Lager nazisti erano un Club Mediterranée. Ciò non basta! Occorre delegittimare e criminalizzare un intero popolo scacciato dalle sue case, dai suoi villaggi, reso straniero in patria: un vero e proprio furto di patria! Sulla base di un’ideologia politica religiosa contro la quale insorgono perfino i tanti ebrei autenticamente legati alla tradizione della Torah, da loro considerato assolutamente antitetica al sionismo, che pretende di chiamare a raccolta – con considerevole successo – tutti gli ebrei del mondo affinché si riconoscano in quella che Robert Fisk chiama costantemente l’ultima guerra coloniale di conquista di un territorio. L’operazione non poteva essere più sporca, ma i nostri media e i nostri governati pretendono di renderci tutti correspensibili. Producono libri desisamente idioti con titoli come «Israele siamo noi», per far scattare in ognuno di noi un processo di identificazione con il Lui del film, un Lui che si contrappone ad al Altro brutto sporco e cattivo che non siamo noi e che impariamo a odiare, nutrendo per lui una congenita e subliminale avversione.

Ma torniamo al libro di Paola Caridi. Una delle cose più interessanti che vado leggendo è la famora carta di Hamas, di cui si sente qualcosa dire perché la propaganda israliana cita sempre un articolo che prevede la distruzione, ovvero il non riconoscimente di Israele, da cui segue poi la demonizzazione da parte di Israele del suo avversario in quanto “terrorista”. Questa posizione di israele è poi fatta propria dai paesi “amici” di Israele e “nemici” dei palestinesi e del mondo arabo. Nel libro si spiega come è nata la Carta ed anche come venga ritenuta non determinante dagli stessi militanti di Hamas: «la Carta non è il Corano», dicono loro stessi. In realtà, mi sembra ben si capisca che Hamas persegua interamente gli interessi del popolo palestinese e sia refrattario a qualsiasi forma di collaborazionismo. La politica di Israele è volta alla dispersione dei palestinesi, mediante un complesse di tecniche. Una di queste è la produzione di interlocutori collaborazionisti in quello che eufemisticamente chiamano “processo di pace”, ma che in realtà è un prender tempo per avanzare nel genocidio, nella pulizia etnica, nella decapitazione di ogni dirigenza indipendente. Al termine di un siffatto “processo di pace”, l’unica pace di cui si potrà parlare è la pace dei cimiteri e delle fosse comuni. Il “processo di pace” si avvale largamente della complicità dei governi “amici”, come quello di Frattini o di Bush, che mentre perdono e fanno perdere tempo alla cosiddetta internazionale danno il tempo ad Israele di completare l’opera con il loro “piombo fuso”, la cui operazione non è per nulla conclusa: viene completata attraverso il soffocamento per blocco!

Non abbandonerò questa pagina. Vi ritornerò sopra, terminando di leggere il libro, ma poi rileggendolo e consultandolo ogni volta che ne sarà bisogno. Un’ultima osservazione voglio adesso fare. Mi sembra di capire che agli attentati suicidi Israele faccia corrisponde gli «omicidi mirati», forse questi sono precedenti agli attentati suicidi. Le nefandezze di Israele vengono abituale nascoste, mentre la propaganda sui soliti luoghi comuni (esistenza, difesa, Olocausto, muro difensivo, ecc.) non ci viene risparmiata un solo momento. Vi fu in Giordania il caso di un avvelenamento disposto dal Mossad, i cui agenti furono scoperti ed arrestati. Israele fu costretto a fornire l’antitodo e poi peggiorano i “buoni rapporti” instaurati con la Giordania. Il fatto è narrato nel libro con dovizia di particolari. Sul piano morale osserviamo che vi è differenza fra omicidio e suicidio. Un attentatore, che al colmo della disperazione trasforma il suo corpo il un’arma la più micidiale possibile in una guerra dove non ha più nessun senso la distinzione ottocentesca fra “militari” e “civili” (i “coloni” israeliani non sono forse dei “civili”? ), non ha lo stesso statuto morale di chi a tavolini dispone, progetta ed esegue omici “mirati” che poi mirati non sono in quanto i morti “collaterani” sono spesso ed ordinariamente maggiori di quelli che si dice siano programmati.

Tipica della strategia israeliana – e ciò è riconosciuto come forma del “genocidio” nelle normative che con il tempo si sono prodotte – è l’omicidio in massa di ogni dirigenza palestinese che non accetti il ruolo “collaborazionista” che le viene assegnato, un ruolo che non risparmia la strategia complessiva di far scomparire progressivamente il popolo palestinese, davvero cancellato dalla carta geografia e dalla geografia umani dei popoli esistente e viventi. Hamas è stata più volte decimata con assassini di massa. Anche l’ultima operazione “piombo fuso” aveva lo specifico obiettivo di uccidere tutti i membri di Hamas, lasciando sulla piazza solamente il collaborazionista Abu Mazen, che avrebbe poi fatto ad un tempo il ruolo di Quisling e dei Kapò. Il libro di Caridi descrive il miracolo politico per il quale sembra che ogni volta Hamas rinasca può forte di prima, ricostituendo i suoi quadri dirigenti. Sembra di capire che fra Hamas ed i palestinesi vi sia un’identità piena, per cui non si può separare il popolo dalla sua necessaria dirigenza perché esso hobbesiana non degradi da popolo, ossia entità politica, in moltitudine dispersa che non ha neppure un nome, quel volgo disperso di cui parlava il Manzoni. È questa in fondo la politica di Israele: trasformare i palestinesi, che non si possono uccidere, in una moltitudine dispersa senza soggettività, unità e volontà politica, secondo le categorie politologiche di Carl Schmitt, stranamente presente nelle biblioteche dei neocon americano-sionisti.

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