mercoledì 22 luglio 2009

Storia: 17. Ilan Pappe: «La pulizia etnica della Palestina» (2008).

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Il libro di Ilan Pappe sulla «Pulizia etnica della Palestina» è già uscito dallo scorso anno ed io sono stato tra i primi ac acquistarlo e leggerlo. Ma non è un testo semplicente da leggere. È da studiare e da porlo come fondamento di un agire politico. È con questo spirito che in Italia e all’estero vengono organizzate sempre nuove presentazioni e giornate di studio. È stata particolarmente importante quella svoltasi in Roma il 24 gennaio del 2009, pochi giorni dopo la sospensione dei bombardamenti di Gaza noti come “operazione piombo fuso”, dove il piombo evoca per noi il vecchio piombo delle tipografie. Il ruolo di gran parte della stampa e dei media, che ha coperto il genocidio, e lo sta continuando a coprire perché prosegue lo strangolamento dell’assedio di Gaza ed il processo di pulizia etnica, iniziato nella sua fase operativa nel 1948, ma da sempre in mente ai coloni che intendevano riprendere possesso della “terra promessa”, secondo la nota superstizione religiosa, che per buona parte dei nostri politici è diventata fonte di legittimazione politica.

Il libro di Pappe più di ogni altro pone in evidenza il concetto e la prassi della pulizia etnica che dal 1948 ha impregnato sistematicamente la politica dei governi israeliani che si sono succeduti. Ai loro vertici si trovano spesso quegli Undici che nella “casa rossa” di Tel Aviv avevano progettato la “pulizia etnica”, con una scientificità e determinazione che a torto si attribuisce ad altri in questo genere di operazioni. A parlare di pulizia etnica erano stati gli storici palestinesi a partire dagli anni settanta. Dieci anni dopo vengono gli israealiani, ossia i cosiddetti “nuovi storici”, fra cui Benny Morris e lo stesso Ilan Pappe. Fra i due vi è una differenza sostanziale. Il primo resta uno storico di regime, lui stesso sionista, mentre Ilan Pappe è rigoroamente un antisionista che a domanda risponde su Napolitano, dicendo che si è antisemiti se non si è antisionisti.

Il libro è da studiare attentamente e da farne base per nuove ricerche, come ad esempio l’istituzione di un Memoriale palestinese dell’eccidio di Gaza, ma anche di tutti quelli che lo hanno preceduto, su cui la nostra pubblicistica è assai avara di notizie. Mentre ogni giorno veniamo bombardati dalla pretesa cancellazione dalla carta geografica che Ahmadinejad intenderebbe fare di Israele, e dunque cancellando anche i palestinesi, che non farebbe più da “scudo umano”, si tace sul fatto che Israele già nel 1948 cancellò letteralmente dalla carta geografica più di metà dei villaggi palestinesi, espellendo più di metà della sua popolazione, cui curiosamente non si riconosce l’ovvio “diritto al ritorno”. Gli ideologi israeliani pretendono che vi sia stato una “scambio di popolazione” sia pure nel rapporto di 1 a 10, per i 70.000 ebrei che dai paesi arabi sarebbero emigrati in Israele. En passant, in Iran continuano a vivere indisturbate comunità ebraiche.

La nostra epoca ha di singolare che operazioni come lo sterminio degli italiani di America, sul cui “destino” di morte è stata edificata una nuova potenza, anzi la Superpotenza, che si presenta come democrazia esemplare, ma al cui atto di nascita si trova tratta dei negri e sterminio degli indiani, cioè della popolazione autoctona. Quando succedevano queste cose, la circolazione delle notizie non era quella odierna. Oggi, succedono le stesse cose – con la benedizione dell’attuale classe politica americana che in questo modo rinnova il suo genocidio degli indiani e la tratta dei negri –. ma la copertura non può più avvenire con una fitta coltre di ignoranza, bens+ deve avvalersi della copertura e mistificazione mediatica.

Ecco dunque il senso e l’utilità di un libro e di ricerche come quello di Pappe, che ha dovuto pagare il suo prezzo: minacce e diffamazione verso la sua persona sono cose di tutti i giorni. La migliore difesa che possiamo farne è di leggere e studiare il suo libro, trasformandone ogni pagina in un nuovo libro di approfondimento. Ad esempio, per ognuno dei 400 villaggi rasi al suolo dagli israeliani andrebbe dato il nome, da imparare a menoria pur nella difficile proncuncia e grafia araba, ricostruendone la storia dalla viva bocca dei “sopravvissuti” o dei loro figli e nipoti, prima che il tempo cancelli la loro testiminianza. I Benny Morris, finanziatissimi, possono raccontare la loro storia al loro pubblico naturale, cioè i sionisti. Noi siamo abbastanza criticamente avvertiti da saper riconoscre chi non ce la conta giusta.

(segue)

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