domenica 19 luglio 2009

Freschi di stampa: 15. Aleksandr Solgenitsin: «Due secoli insieme. Ebrei e russi durante il periodo sovietico».

Home
Precedente - Successivo

Vale lo stesso discorso fatto per il volume precedente, di cui questo non si presenta formalmente come secondo volume. È come se fosse un’opera indipendente. Ne ho letto oltre la metà, ma per le restanti pagine procedo molto lentamente perchè mi appaiono come le più interessanti e voglio cercare di riflettere il più possibile su di esse. Nessuno potrà negare gli stretti intrecci fra ebraismo e bolscevismo in un duplice aspetto: interno ed estero. All’interno gli ebrei ebbero un ruolo di primissimo piano nella costruzione del regime bolscevico ed all’estero gli ebrei della diaspora, soprattutti i magnati ebrei americani, diedero un fondamentale apporto proprio in considerazione dell’ottimo trattamento che gli ebrei russi ricevano dai bolscevichi a discapito degli stessi russi, che in numero di dieci-quindici milioni finirono sterminati. Sono i contadini russi, la vera anima della Russia, il cui genocidio nessuna Giornata della Memoria, nessun Museo dell’«Olocausto» è andata ricostruendo. I pochi che come Solgenitsin ne vanno evocando la memoria sono stati subito emarginati, appena ci si è resi conto che la sua narrazione non poteva essere funzionale alla nuova vulgata dei Liberatori, della Resistenza, della condanna senza se e senza del ventennio nazista-fascista che sarebbe meglio collocare con Nolte all’interno di una guerra civile europea con periodizzazione 1917-1945, dove alla fine gli stati europei si sono trovati soppiantati dai nuovi vincitori, non diversi e non migliori dai vincitori di tutti i tempi e dove paesi come l’Inghilterra e la Francia che pensavano di essere pure loro nel club dei vincitori si sono invece ritrovati fra i vinti, nel ruolo di serventi e di utili idioti, perdendo quelle posizioni gepolitiche, imperiali e coloniali a cui tenevano e che pensavano di poter conservare. La storia, per chi la vuol capire, non è mai quella che viene raccontata dai vincitori, ma se si è vinti per poterla intendere bisogna vederla con gli occhi della condizione che ci è propria. Non avrebbe nessun senso – insegnano i filosofi antichi – che una rana guardasse il mondo e l’universo con gli occhi di un uomo ed un uomo a sua volta costruisse la sua filosofia non a immagine propria, ma come invece potrebbe vederla una rana. Per toglierci questa libertà di giudizio e di pensiero i vincitori hanno saggiamente disposto innumerevoli forme di censura e per i più incalliti ed irriducibili, che possono aprire gli occhi ad altri, è stato predisposto il carcere duro. Un ritorno indietro di secoli.

Il libro esce per lo stesso editore Controcorrente nel 2007 ed ha la stessa consistenza di pagine, anzi un poco di più, esattemente 651 pagine. Ne parleremo ancora.

(segue)


Nessun commento: