giovedì 9 luglio 2009

Alan Dershowitz al microscopio: 15... visto da John H. Mearsheimer e Stephen M. Walt

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Registrazione sonora qui commentata: Antefatto ovvero Il “Demolitore” che demolisce se stesso. – 1. È venuto a Roma per insultare il papa. – 2. Il processo alle intenzioni degli altri. – 3. L’ospite non è di nessun riguardo ed ha già rotto le scatole. – 4. Prima di cominciare: “demonizzazione, critica e delegittimazione di Israele”. – 5. Il Lobbista venuto dall’America per sedere “in conclave” con i Cardinali riuniti in Vaticano. – 6. Anche Yakov Rabkin è un accademico “fallito” e imboscatosi in un’università di quarta categoria? – 7. «Ebreo», «sionista» o «lobbista»? Cosa è propriamente questo «ospite», introdotto in Vaticano e alla Camera? – 8. Dopo gli insulti e le contumelie, la parola ai derisi e diffamati: a. Intervista al cardinale Rodriguez. – 9. Gli altri genocidi nel mondo come “manovra diversiva” per far distogliere lo sguardo dal genocidio dei “cananei”. – 10. Hamas, Iran: un male assoluto o un postulato retorico e propagandisto, parola d’ordine per lo squadrone mediatico? – 11. Ma l’«ospite americano» i libri di cui parla li legge o li travisa soltanto? – 12. Cosa vi è dietro agli attacchi a Carter. – 13. Res gestae di Alano sul Google versione italiana. – 14. Chi demonizza chi ? – 15. Alan Dershowitz visto da John H. Mearsheimer e Sthephen M. Walt. –

15. Alan Dershowitz visto da John H. Mearsheimer e Sthephen M. Walt. – Fortunatamente non ho assistito alla performance di via Barberini, alla sede dell’Eurispes, dove Dershowitz ha recitato il suo spettacolo davanti ad una platea di giornalisti compiacenti, che però non mi sembrano abbiano gran che riportato sullo spettacolo indecente. A parte il pezzo preesistente della Farkas non ho trovato finora sulla rete nessun resoconto della conferenza stampa. Cercherò ancora, ma può darsi che si siano vergognati o non abbiano osato riportare in articoli le incredibili e grottesche affermazioni di Dershowitz, che non riesce ad avere rispetto per il papa e i cardinali neppure in Roma, centro mondiale del cattolicesimo. Probabilmente, l’«ospite americano» deve essere risultanto un poco ingombrante e impresentabile a quei politici che pensano di poter raccogliere tanto in Vaticano quanto in Israele. All’insulto rivolto ad un cardinale, definito un uomo con un copricapo in testa, viene spontaneo pensare a quanti politici italiani si siano messi in testo il tipico copricapo ebraico, la skippa o come si chiama. Sarebbe divertente unaa galleria fotografica di questi politici. Era invece inediti l’insulto ad un cardinale definito un uomo con un copricapo in testa. Certamente, noi italiani e cattolici abbiamo una nostra storia di anticlericalismo, ma non ricordo questo genere di insulto riferito al copricapo. Ricordo il coro di attestati di solidarietà per Bagnasco, quando si era vagamente temuto per la sua persona ed incolumità. Se l’insulto di Dershowitz alla chiesa ed al papa avesse avuto la stessa copertura mediatica, e se dovessero valere i precedenti, l’«ospite americano» avrebbe dovuto essere trasportato di peso a Fiumicino e messo sopra il primo aereo per l’America, sua abituale dimora. Tornando però al «Processo» intentato ai «nemici di Israele», sembra doveroso dare agli imputati il diritto di parola e di difesa. Se andiamo a leggere il libro incriminato, ossia il volume dei die politologi americano Mearsheimer e Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, vediamo che il nome Dershowitz vi ricorre spesso. E che si dice? Diamo di seguito una selezione di brani significativi.

1.
Dershowitz il lobbista confesso

In una pagina dove si parla della lobby, di cui non ritengono tuttavia che sia “onnipotente ” e irrestibile, si viene nello specifici organizzativo dell’AIPAC e si legge a proposito di Dershowitz:
Perfino il celebre giurista di Harvard, Alan Dershowitz, spesso pronto a bollare di antisemitismo chiunque critichi Israele, ha scritto in un memoriale che «la mia generazione di ebrei. .. è diventata parte di quella che forse è la più efficace organizzazione di lobbying e di raccolta di fondi nella storia di questa democrazia. Abbiamo compiuto un’impresa eccezionale, andando ovunque abbiamo voluto e ci fosse permesso andare»22.
22 Alan M. Dershowitz, Chutzpath (Boston: Little, Brown, 1991), p. 16.
Mearsheimer e Walt,
La Israel lobby e la politica estera americana,
Milano, 2007, p. 24.

Sarebbe interessante chiedere a Dershowitz, per il quale gli ebrei in quanto collettività organizzata non esistono, a che titolo è andato dove è andato: se non come ebreo, forse come sionista, lobbista o americano a prevalente cittadinanza sionista ed israeliana, o come componente di una delle molteplici associazioni ebraiche. Sembra che forse in America non sia molto avvertito il problema costituito dalla “doppia fedeltà”. In fondo, il senso del libro di Mearsheimer e Walt è un grido di allarme rivolto alla stragrande maggioranza di americani forniti di una sola cittadinanza, per dire loro a quali pericoli sono portati da un’infima minoranza di agguerriti e danarosi lobbisti che pensano di poter disporre di ogni politico americana e di ogni istituzione.

2.
Dershowitz il censore che non ama essere criticato

Le azioni di Dershowitz contro Finkelstein sono note in Italia anche per essere state raccolte dalla testata sionista «Informazione Corretta», che gioisce alla notizia che in virtà di evidenti quanto illiberali pressioni Norman G. Finkelstein sia stato privato di una cattedra che in condizioni normaali avrebbe avuto titolo ad occupare. Ma ecco cosa Mearheimer e Walt riportano sugli attacchi ed i metodi sionistici di dershowitz contro Finkelstein, la cui voce noi sentiremo nel corso del «Processo»:
...Un episodio simile si verificò nel 2003, quando gli avvocati di Alan Dershowitz, professore di giurisprudenza a Harvard, inviarono lettere intimidatorie alla University of California Press per cercare di bloccare la pubblicazione del libro di Finkelstein Beyond Chutzpah, un’ampia critica a The Case for Israel dello stesso Dershowitz. Nella sua campagna contro Finkelstein, Dershowitz scrisse anche al governatore della California, Arnold Schwarzenegger (nominalmente responsabile di istituzioni pubbliche come l'università). In seguito, dichiarò di non aver cercato di bloccare la pubblicazione, e che questa era stata l’interpretazione data alle sue iniziative dagli uomini della University of California Press, gli stessi che, resistendo alle pressioni, pubblicarono il libro di Finkelstein58. La campagna per impedire agli americani di leggere o ascoltare opinioni critiche su Israele viene condotta anche a livello di scuola superiore...

58 Jon Weiner, “Giving Chutzpah New Meaning,” Nation, July 11, 2005; and the subsequent correspondence ibid., August 29, 2005. Also see “Dershowitz, Prof Spar over Plagiarism,” New York Times, July 14, 2005; Neve Gordon, “The Real Case for Israel,” In These Times (online), October 12, 2005; Jennifer Howard, “Calif. Press Will Publish Controversial Book on Israel,” Chronicle of Higher Education (online), July 22, 2005; and Jon Wiener, “Chutzpah and Free Speech,” Los Angeles Times, July 11, 2005.

Mearsheimer e Walt,
op. cit., 226.
Questo brano si trova in un capitolo con titolo: “Prevalere nel dibattito pubblico”. Dershowitz ha un metodo efficace, antico quanto il mondo, per avere ragione sui suoi critici: impedire che possano parlare. Insieme alla bocca tappata ad altri si aggiungono poi performace come quella di cui alla registrazione sonora, dove un scelta di giornalisti amici sono ben disposti a suonare la grancassa per celebrare l’«ospite americano» ed il gioco è fatto.

3.
Come Dershowitz si occupa di “diritti umani”

Si può leggere in alcune presentazioni della figura di Dershowitz che egli sarebbe docente di Etica ed un fervente attivista di “diritti umani”. Capita quanto mai opportuno il brano che segue, tratto da un capitolo su «La lobby e la seconda guerra del Libano», dove si evidenzia come Dershowitz sia specializzato nell’attaccare quanti appunti di “diritti umani” si occupano. In questo, senso è corretto dire che anche lui è un attivista dei “diritti umani”:
Quinto: i gruppi filoisraeliani hanno condotto una campagna su vasta scala per infangare Amnesty International e, soprattutto, Human Rights Watch, per i loro rapporti fortemente critici sulla campagna di bombardamenti di Israele. Secondo Alan Dershowitz, «quasi tutti i componenti della comunità ebraica organizzata, progressisti e conservatori, religiosi e laici, condannano l’organizzazione Human Rights Watch per la sua partigianeria»117. Entrambe le organizzazioni per la tutela dei diritti umani sono state ingiustamente accusate di aver preso di mira Israele, ignorando i misfatti di Hezbollah e rappresentando in maniera distorta importanti aspetti di ciò che era accaduto sul campo di battaglia in Libano. Nello stesso tempo, l’AIPAC emise comunicati stampa diretti a rafforzare l'idea che le FDI avessero condotto bombardamenti di precisione chirurgica contro dei terroristi, evitando i civili.ll8 Contro entrambi i gruppi umanitari sono state immediatamente lanciate accuse di antisemitismo118.

117 Alan Dershowitz, “What Is ‘Human Rights Watch’ Watching?” Jerusalem Post, August 25, 2006. Also see Alan Dershowitz, “Amnesty International Redefines ‘War Crimes,’” Jerusalem Post, August 31, 2006. The attacks on Amnesty International and Human Rights Watch have continued in the war’s aftermath. See Gerald Steinberg, “Scrutinize Amnesty International,” New York Sun, May 23, 2007; and Marc Stern, “The Media Was Misled by Amnesty’s Legal Advocacy,” Forward, March 30, 2007.
118 Ken Silverstein, “AIPAC Points to Legion of Doom in Bekaa Valley,” Harper’s (online), August 10, 2006; “Israel Taking Significant Steps to Prevent Casualties as Hizballah Hides Behind Civilians,” AIPAC memo, August 1, 2006; and “Israel’s Defensive Actions in Lebanon and Gaza,” AIPAC FAQ, July 24, 2006.
Mearsheimer e Walt,
op. cit., 398-99.
Quanto alla rituale accusa di antisemitismo capita qui molto di proposito un punto, che svilupperemo altro, tratto dal libro di uno dei “nemici interni” di Israele, cioè, Yakov M. Rabkin, che evidenzia come in realta la ricorrente accusa di antisemitismo sia stata da più di un secolo a questa parte assolutamente essenziale al sorgere del sionismo e dell’avventura coloniale in Palestina. Senza l’«antisemitismo» il sionismo non può esistere perché verrebbe a mancare il suo fondamento costitutivo. Per questo ogni anno l’ADL deve redigere incredibili rapporti per documentare il permente e crescente pericolo del risorgere di “rigurgiti” di antisemitismo in ogni parte del mondo, e magari di preferenza nelle toilettes delle stazioni ferroviare o di altri bagni publici. Normalmente, si resta increduli davanti ad un’accusa che appare sempre più strampalata e infondata. Ma la cosa acquista un suo senso se si ha bene in mente la relazione essenziale e necessaria fra sionismo e antisemitismo. Certamente, possono, ci sono e devono esserci reazione ai processi di “pulizia etnica” in Palestina, alla vergogna di fronte ad una vera e propria prigione a cielo aperto come quella di Gaza. Se poi gran parte degli ebrei, spinti e istigati dal sionismo, si riconoscono in fatti criminali e gencidari, risultano di estrema fondatezza le analisi di Rabkin: qui le colpe non sono da parte di chi vuole impedire il massacro, ma da parte di chi questo massacro ha già irrimediabilmente commesso e pretende addirittura il paluso del mondo e della comunità internazionale.
4. La tempesta sulla lobby israeliana

L’articolo che segue non è recente ed è tratto dall’archivio di “Come don Chisciotte”. I due politologi americani rispondono in questo testo ad alcune critiche che si ritrovano nel libro di Dershowitz ora disponibile in traduzione italiana. Che l’intento di Dershowitz e del suo editore italiano fosse quello di creare un antitodo al successo e alla circolazione in Italia del libro di Mearsheimer e Walt non vi è dubbio alcuno. Come non vi è dubbio che il libro di Dershowitz non costituisce nessuna “demolizione” dei suoi due nemici, che vedono invece le loro tesi e le loro ragioni rafforzate. Per chi come il sottoscritto ha letto in traduzione italiana l’uno e l’altro libro non è per nulla difficile il confronto ed il giudizio comparativo. Vi è poi la schiera dei partigiani che amano credere e far credere ciò che loro piace e torna utile ai loro interessi materiali e alla loro causa. Che lo credano loro, in buona o mala fede, è cosa che rientri nella nostra sfera di decisione e di intervento. Ma che pretendano di farlo credere pure a noi è cosa che rigettiamo con sdegno.


LA TEMPESTA SULLA LOBBY ISRAELIANA
di
John Mearsheimer e Sthephen Walt

È possibile avere una discussione civile sul ruolo di Israele nella politica estera americana?

Abbiamo scritto “la Lobby Israeliana” al fine di iniziare una discussione su un soggetto che è diventato difficile da trattare apertamente negli Stati Uniti (London Review of Books 23 Marzo). Sapevamo di provocare una forte reazione e non siamo sorpresi che alcuni dei nostri critici hanno scelto di attaccare apertamente i nostri articoli e di travisare di proposito le nostre argomentazioni. Siamo però anche gratificati dalle tante attestazioni di stima che abbiamo ricevuto e dai commenti positivi che sono emersi sui media e nella blogsfera. È evidente che molte persone, inclusi Ebrei e Israeliani, sanno che è venuto il momento di aprire una discussione seria sul ruolo di Israele nella politica estera americana e sulle relazioni tra questi due paesi. È nello spirito delle lettere di risposta ai nostri articoli che lo scorgiamo. Esamineremo qui i motivi più salienti della disputa.

Uno degli argomenti più rilevanti addotti contro di noi è che noi vedremmo la Lobby Israeliana come una bene organizzata cospirazione da parte degli Ebrei. Jeffrey Herf
e Andrei Markovits sostengono che “le accuse al potere degli Ebrei rappresentano una delle più pericolose forme moderne di anti-semitismo” (Lettera del 6 Aprile). È una posizione che noi condanniamo e respingiamo nei nostri articoli. Infatti, descriviamo la Lobby come una coalizione di elementi individuali e di organizzazioni indipendenti senza un quartier generale. Essa include persone perbene come gli Ebrei e Ebrei-Americani che non rigirano la legge a seconda delle proprie posizioni.

La cosa più importante è che la Lobby israeliana non è segreta, clandestina; al contrario è apertamente diffusa e sostenuta nei più vari gruppi di interesse politico, dietro essa non vi è alcun atto illegale o cospiratorio. Così possiamo facilmente credere che Daniel Pipes non ha mai “preso ordini” dalla Lobby perchè la caricatura leninista che egli fa della Lobby in una sua lettera è decisamente insensata. I lettori noteranno anche che Pipes non nega che la sua organizzazione, Campus Watch, è stata creata per monitorare ciò che gli intellettuali dicono, scrivono e insegnano, al fine di non incoraggiare una seria discussione sul Medio Oriente.

Alcuni scrittori ci rimproverano per l’uso monotematico che faremmo dei nostri argomenti, accusandoci di dire che il solo responsabile dell’antiamericanismo nel mondo arabo-islamico sia Israele (come una delle lettere riporta: “l’antiamericanismo non ci sarebbe se Israele non fosse lì”) e suggerendoci che la Lobby israeliana sia responsabile della scelta dell’amministrazione Bush di invadere l’Iraq. Ma non è ciò che diciamo.

Noi sottolineiamo come il supporto americano alla politica di Israele nei territori occupati sia fonte e causa di antiamericanismo, ma puntiamo il dito anche sul fatto che il supporto ad Israele da parte degli Stati Uniti non è il solo motivo della presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. Infatti facemmo notare come Osama Bin Laden avesse altri motivi per lamentarsi con gli Stati Uniti a parte l’oppressione dei Palestinesi, ma, come riscontrato dalla commissione sull’11 settembre, questo era per lui il motivo principale.

Abbiamo anche esplicitamente sottolineato che la Lobby non avrebbe potuto convincere né l’amministrazione Clinton né quella di Bush ad invadere l’Iraq. Era evidente che nella scelta di muovere guerra all’Iraq c’era una forte presenza di gruppi neo-conservatori che comunque avrebbero giocato il ruolo fondamentale nella scelta. Due lettere arrivate recentemente spiegano che noi catalogheremmo Israele come un “errore morale”, mentre spenderemmo poco tempo e poca attenzione verso altri stati. Noi concentriamo la nostra attenzione su Israele non perché abbiamo qualcosa contro quel paese, ma solo perché gli Stati Uniti danno loro un grande supporto materiale e diplomatico.

È nostro dovere capire perché Israele merita questo trattamento speciale rispetto ad altri paesi. Abbiamo dimostrato che nessuna argomentazione è del tutto convincente: la strategia di Israele era considerata in declino sin dalla fine della Guerra Fredda e Israele stesso non era più importante di altri stati. Helf e Markovitz
continuano a sostenere che noi crediamo che Israele ha continuato a sopravvivere grazie agli Stati Uniti. Noi sottolineiamo e crediamo fermamente che gli Stati Uniti debbano adoperarsi nel caso Israele sia messo seriamente in pericolo. La nostra critica era rivolta principalmente alla politica di Israele e alle relazioni con l’America, non all’esistenza di Israele. Un altro tema ricorrente nelle lettere che riceviamo è “il perché l’opinione pubblica americana sia forte e coesa nei confronti di Israele”. Herf e Markovitz spiegano che ciò è dovuto al forte sostegno militare e diplomatico dato ad Israele dagli Stati Uniti; noi crediamo che ci sia un forte sostegno popolare a Israele soprattutto per le similitudini delle culture religiose, quelle giudaico-cristiane.

La sua popolarità è dovuta sostanzialmente al successo della Lobby, vista come un esempio di efficienza, il che porta Israele ad essere visto sempre in buona luce, limitando di fatto una seria discussione sulle sue azioni. I diplomatici e i militari sono anch’essi coinvolti in questa discussione distorta ma molti di loro riescono a vedere oltre la propaganda e la retorica.

Essi stanno in silenzio perché temono che gruppi come l’AIPAC possano danneggiare le loro carriere. Infatti se non ci fosse l’AIPAC gli americani potrebbero avere una visione più critica nei confronti della politica di Israele in Medio Oriente e vedere le cose in modo differente. Su un punto Micheal Szanto contrasta le relazioni USA-Israele, dimostra che attraverso Israele gli Stati Uniti hanno fornito supporto a tanti altri paesi dell’Europa Occidentale, al Giappone e alla Corea del sud. Egli però non sottolinea che le relazioni con questi altri paesi non dipendono dall’esistenza di una lobby. La ragione è semplice: questi paesi non hanno bisogno di una lobby perché ognuno di loro faceva già parte degli interessi strategici americani. Invece Israele è diventato un punto strategico per gli USA.

Al contrario Israele è diventato un “peso” strategico per gli USA, i suoi sostenitori americani hanno lavorato sempre più duramente per preservare le relazioni diplomatiche con Israele stesso. Altri critici sostengono che noi sopravvalutiamo il concetto di Lobby ebraica perché ci lasciamo sfuggire la forza controbilanciante dei gruppi Paleo-cristiani arabi e islamici, e dell’establishment diplomatico. Certo la forza controbilanciante esiste, ma essa è comunque costituita da elementi che sono in stretto legame con la Lobby. Ci sono gruppi politici arabo-americani, per esempio, ma essi sono divisi e lontani dall’influenza dell’AIPAC, ci sono poi altre organizzazioni che hanno un forte legame con la Lobby. Probabilmente l’argomento più popolare usato da Herf e Markovitz per spiegare questo controbilanciamento è dichiarare che il fulcro della politica americana in Medio Oriente è il petrolio e non Israele.

Non ci sono ragioni che attestano un interesse vitale strategico americano per quella regione. Washington ha supportato profondamente Israele, la domanda rilevante è, quanto peso ha avuto ognuno di questi interessi nella politica americana. Noi sosteniamo che la politica americana in Medio Oriente è giustificata principalmente dalla presenza di Israele e non da interessi petroliferi. Se le compagnie petrolifere e i paesi produttori di petrolio guidassero la politica, Washington favorirebbe i palestinesi e non Israele. Oltremodo, gli USA non avrebbero certamente mosso guerra all’Iraq nel marzo 2003 e l’amministrazione Bush non starebbe pensando di dichiarare guerra all’Iran. Sebbene ci siano stati numerosi proclami che sostenevano come motivo principale della guerra all’Iraq il petrolio, ci sono ancora più evidenti argomenti che supportano questa posizione, cioè, l’evidenza dell’influenza della Lobby ebraica.

Il petrolio è chiaramente un importante motivo per i politici americani, ma ad eccezione dell’episodio avvenuto nel 1973 (embargo petrolifero dell’OPEC), l’impegno americano verso Israele era ancora di minacciare l’accesso al petrolio. Ciò ha contribuito ad aumentare il problema terrorismo per gli USA, ha aumentato la proliferazione nucleare e gettato gli Stati Uniti in una guerra come l’Iraq. Alcuni dei nostri più acerrimi critici hanno provato a infangare le nostre tesi accostandoci a concetti razzisti, sostenendo che siamo antisemiti. Michael Taylor, per esempio, nota che i nostri articoli sono stati salutati con piacere dal leader del Ku Klux Klan David Duke (6 aprile).

Alan Dershowitz

Alan Dershowitz sostiene che parte del nostro materiale sia preso da siti web neo-nazisti e dalla letteratura dell’odio (20 aprile). Noi non possiamo sapere a chi piacciono o a chi non piacciono i nostri articoli ma rigettiamo ciò che Duke ha usato per promuovere il suo razzismo. In più, nessuno dei nostri pezzi è tratto da fonti razziste di alcun tipo, e Dershowitz non offre nessun supporto alle sue false tesi.

Abbiamo fornito una versione ampiamente documentata dell’articolo così che i lettori stessi possono vedere che usiamo fonti attendibili. Infine, alcuni critici sostengono che le nostre fonti siano fasulle. Per esempio, Dershowitz critica la nostra posizione secondo cui Israele era “esplicitamente uno Stato fondato da ebrei e basato sul principio del legame di sangue”.

Israele è uno Stato realmente fondato da ebrei (un fatto che Dershowitz non dovrebbe mettere in discussione), e il nostro riferimento all’identità e al legame di sangue è basato su una concezione ancestrale.

Sappiamo che Israele ha un gran numero di non ebrei (principalmente arabi), la nostra opinione è che quest’ultimi sono relegati in basso nella società che è a predominanza ebraica. Ci riferiamo anche alla famosa statista Golda Meir che “non c’è niente di peggio di un palestinese” e Jeremy Schreiber ci ha letti come se dicessimo che Meir stava negando l’esistenza di quelle perone piuttosto che semplicemente negando la nazionalità Palestinese (20 aprile). Non c’è disaccordo qui; concordiamo con l’interpretazione di Schreiber e abbiamo citato Meir nella discussione sul prolungato sforzo di Israele di ‘negare le ambizioni nazionali Palestinesi’

Dershowitz contrasta la nostra posizione secondo la quale gli israeliani non avrebbero offerto ai palestinesi uno stato vicino (Camp David luglio 2000). A supporto delle sue tesi egli cita l’accordo tra il Primo Ministro israeliano Barak e un negoziatore americano Dennis Ross. Ci sono un gran numero di tesi contrastanti su ciò che è accaduto a Camp David ma in ogni caso molti di loro concordano con noi.

Lo stesso Barak sostiene che “sarebbe stato promesso ai palestinesi una parte di territorio sovrano continuo tranne che per un sottile cuneo di terra che andava da Gerusalemme… fino alle sponde del fiume Giordano”. Questo cuneo che avrebbe diviso in due la West Bank, era essenziale per il piano di Israele di tenere sotto controllo la valle del Giordano per altri sei o venti anni. Infine, e contrariamente alle tesi di Dershowitz, non ci fu un “second map” e neanche un accordo finale a Camp David. È esplicitamente spiegato in una nota pubblicata nelle memorie di Ross che dice che “nessun accordo era stato raggiunto durante l’incontro finale a Camp David”.

In virtù di tutto ciò, non è sorprendente che il Ministro degli Esteri del governo Barak, Shlomo Ben-Ami, che fu un partecipante degli incontri di Camp David, abbia sostenuto : “Se io fossi stato un palestinese avrei ugualmente rifiutato Camp David”. Dershowitz sostiene anche che noi citiamo “fuori contesto” David Ben-Gurion e così mistifichiamo il suo punto di vista circa l’uso della forza per costruire uno stato ebraico in Palestina. Dershowitz si sbaglia. Come dimostrano un gran numero di storici israeliani, Ben Gurion fa numerose congetture circa l’uso della forza (o la minaccia di una forza soverchiante) per costruire uno stato ebraico in Palestina. Nell’ottobre del 1937 scrisse a suo figlio Amos che il futuro stato ebraico “dovrebbe avere un notevole esercito, cosi sono sicuro che non ci sarà impedito di stabilirci nel resto del paese tramite accordi e intese reciproche con i nostri vicini arabi o in qualche altro modo” .

In più i Palestinesi sono stati feriti profondamente dal dover concedere volontariamente la loro terra. Ben Gurion era un consumato stratega e sapeva benissimo che sarebbe stato poco saggio per i Sionisti parlare apertamente della necessità dell’uso brutale della forza. Citiamo un memorandum di Ben Gurion scritto prima della Conferenza Straordinaria Sionista avvenuta al Biltmore Hotel di New York nel maggio del 1942. Egli scrisse che “è impossibile immaginare un’evacuazione generale” della popolazione Araba “senza l’uso della forza, senza l’uso di una forza brutale!”. Dershowitz sostiene che la affermazione di Ben Gurion – ‘non dovremmo in alcun modo rendere ciò parte del nostro programma’ -- dimostra che egli si è opposto al trasferimento della popolazione Araba e all’uso brutale della forza che avrebbe implicato. Ma Ben Gurion non stava rigettando questo tipo di politica: egli stava semplicemente facendo notare che i Sionisti non dovevano proclamarla apertamente Egli disse anche che “non avremmo dovuto ostacolare chi come inglesi e americani sono favorevoli a questo processo, ma non vi dovremmo farne parte del nostro programma”.

Chiudiamo con un commento finale sulla controversia scatenata dal nostro articolo. Sebbene non siamo sorpresi dell’ostilità nei nostri confronti, disapproviamo le critiche non pertinenti al pezzo. Rimane il fatto che gli Stati Uniti sono in profonda difficoltà in Medio Oriente, e che non potranno sviluppare politiche efficaci in quella zona se non riusciranno a sviluppare una discussione civile sul ruolo di Israele nella politica estera americana.

Lettera apparsa originariamente su London Review of Books.

John Mearsheimer (University of Chicago) e Stephan Walt (Harvard University)
Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link: http://www.counterpunch.org/walt05052006.html
05.05.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GENNARO SEVERINO
Le argomentazioni dei due politologi sono limpide e convincenti quanto confuse e arzigogolate sono quelle dell’avvocato Dershowitz, che forse pensa di essere sempre in tribunale e di poter usare ogni genere di artifizio pur di tentare di convincere chi deve giudicare o almeno di poter confondere gli ignari.

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